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IN LIBRERIA

IL GRANDE VECCHIO
di Gianni Barbacetto Rizzoli Bur


IL MISTERO SINDONA, prefazione
di Gianni Barbacetto
Alet edizioni


A TEATRO

IN GALERA!

Lo spettacolo sulle intercettazioni telefoniche che non leggeremo mai più.

Conduce Gianni Barbacetto.
Teatro Ambra Jovinelli, 23 giugno 2009, Roma


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DIARIO MILANESE

I 6 divieti Moratti
Expo, però...
Sicurezza
Anni’70
Derivati in Comune
Madaffari
Quarto Oggiaro
Mafia a Milano
Le nuove povertà

IL RITORNO DEL CAIMANO
Come una democrazia si trasforma in regime. L'incredibile Italia 2008

PERCHE' B.
HA VINTO
Su Barabba, Ponzio Pilato, Umberto Eco e altro ancora


Sono in libreria


Gianni Barbacetto
Peter Gomez
Marco Travaglio
Mani Sporche

2001-2007. Così destra e sinistra si sono mangiate la seconda Repubblica

Chiarelettere
2007
 
 

Antonio Di Pietro con Gianni Barbacetto
Il guastafeste

La storia, le idee,
le battaglie di un ex magistrato entrato in politica senza chiedere permesso

Ponte alle grazie
2008

 
 
shim shim

Fine impero
Silvio Berlusconi alla sua battaglia finale




17 ANNI. ANCHE STAVOLTA NON HA ASPETTATO I 18.

COMUNQUE IL BLOG DI GIANNI BARBACETTO SI TRASFERISCE
SUL SITO DEL "FATTO QUOTIDIANO" >>>






LICIA RONZULLI E LE FESTE DI SILVIO
A seguito di un bonario accordo intervenuto con l’europarlamentare On. Licia Ronzulli, che ha deciso di rimettere la querela già presentata nei miei confronti innanzi la Procura di Milano>>>

"Parlerò, parlerò...". Se ne va per sempre
l'uomo che parlava a intermittenza

Se n'è andato per sempre l'uomo che avrebbe potuto scrivere il libro più completo sulla storia della mafia a Milano. Filippo Alberto Rapisarda è morto, a settant'anni, nella struggente palazzina cinquecentesca di via Chiaravalle, tra via Larga e l'Università Statale, a cento passi dal Duomo, dove ha trascorso tutta la sua vita milanese e dove nel 1994 è nato il primo club di Forza Italia. Nelle ultime settimane viveva con accanto una macchina che lo aiutava a respirare, ma non ha mai smesso di fumare. Tra una sigaretta e l'altra, diceva: "Parlerò, parlerò, ma prima voglio mettere da parte 10 milioni di euro per ciascuno dei miei figli". Non sappiamo se abbia raggiunto l'obiettivo, ma di certo ora non parlerà più. A meno che, come pure raccontava, non abbia lasciato documenti a futura memoria in una cassetta di sicurezza.

Molte volte ha promesso di "parlare", altrettante si è tirato indietro. Si è lasciato andare in alcune interviste e davanti ai giudici, ultimi quelli del processo palermitano per mafia a Marcello Dell'Utri. Ma poi ha sempre fatto marcia indietro, in un eterno stop and go della memoria. A chi scrive raccontò, anni fa, tra un corridoio e il grande salotto della palazzina di via Chiaravalle: "Vede? Questo era l'ufficio di Marcello Dell'Utri. Era un mio uomo, lavorava per me, a metà degli anni Settanta. Poi mi ha tradito e se n'è andato a lavorare per un giovane palazzinaro, un certo Silvio Berlusconi. Si è portato via i miei progetti: all'epoca volevo costruire una tv privata. E si è portato via i rapporti, i contatti, i finanziamenti... Vede questa porta? Io un giorno entro senza bussare. Era l'ufficio di Marcello, ma lui era un mio dipendente e questa in fondo è casa mia. Appena entrato, mi blocco: c'erano due signori palermitani che io conoscevo bene. Uno era Stefano Bontate, allora capo di Cosa nostra. Sulla scrivania un grande sacco da cui venivano rovesciati fuori soldi, tanti soldi. Un fiume di banconote".

Si disse disponibile a ripetere il racconto davanti a una telecamera, per il programma tv allora condotto da Enrico Deaglio: "Ma certo! Possiamo ricostruire la scena". Poi cominciò un'estenuante trattativa sul giorno e sull'ora e alla fine non se ne fece nulla. Sono veri, i mirabolanti e intermittenti racconti di quello strano finanziere di Sommatino (Caltanissetta) approdato negli anni Sessanta a Milano? O servivano soltanto ad alzare il prezzo del suo silenzio successivo? Nel 1987 dichiarò al giudice istruttore Giorgio Della Lucia: "Tra il dicembre del 1978 e il gennaio del 1979, mentre stavo tornando dallo studio del notaio Sessa, incontrai, non lontano dalla sede dell'Edilnord, Stefano Bontate e Mimmo Teresi, i quali mi invitarono a prendere un caffè con loro in un bar di piazza Castello. Teresi e Bontate mi dissero che dovevano andare da Marcello Dell'Utri, il quale aveva loro proposto di entrare nella società televisiva che di lì a poco Silvio Berlusconi avrebbe costituito. Teresi mi disse che occorrevano 10 miliardi e, tra il serio e lo scherzoso, mi domandò se per me quello era un buon affare. Io ci rimasi male, anche se non feci trasparire nulla. Dell'Utri in quel periodo lavorava formalmente solo per me. Nel 1977, con lui al mio fianco, avevo aperto Milano Tele Nord, la prima tv privata della città... Il discorso di Teresi mi diede dunque la prova di quello che già sospettavo: Dell'Utri faceva la spia per Berlusconi".

Ma poi Rapisarda torna a essere grande amico di Dell'Utri e gran sostenitore di Berlusconi, tanto che il primo club di Forza Italia nasce proprio nella sua palazzina di via Chiaravalle. Nel 1998, nuovo rovesciamento di fronte: va a testimoniare al processo Dell'Utri. "Incontrai Bontate e Teresi che mi dissero che avevano appuntamento con Dell'Utri. Mi chiesero un parere sul futuro delle tv commerciali. Dopo alcuni giorni li trovai nell'ufficio di Dell'Utri, in via Chiaravalle, con i soldi nei sacchi. Avevano già dato i primi 10 miliardi". Era il 1979, racconta Rapisarda. L'anno dopo, Dell'Utri avrebbe chiesto a Bontate e Teresi altri 20 miliardi di lire durante un incontro a Parigi, dove Rapisarda era latitante, con passaporto intestato al gemello di Marcello, Alberto Dell'Utri. Era ricercato per il crac di una sua società immobiliare, la Inim, ed era riparato in Francia dopo essere stato ospite in Venezuela dei fratelli Caruana, narcotrafficanti e mafiosi. Segue querela di Berlusconi e Dell'Utri, finita però con un'archiviazione.

Il crac della Inim, coinvolta nel fallimento Venchi Unica, è una vecchia storia che solleva un velo sui primi affari dei siciliani a Milano. Socio di Rapisarda e presidente dell'Inim è Francesco Paolo Alamia, considerato un uomo di Vito Ciancimino, il sindaco mafioso di Palermo. Racconta un pentito, Rocco Remo Morgana: "Dal 1975 al Natale del 1978 gli uffici dell'Inim erano frequentati da persone di origine siciliana tra i quali ricordo Mimmo Teresi, Stefano Bontate, Vittorio Mangano, Gaetano Cinà e uno dei fratelli Bono, credo che si trattasse di Pippo. Io personalmente in via Chiaravalle ho incontrato più volte Bontate e Teresi". Quella palazzina cinquecentesca ne ha viste tante. Ah, se i muri potessero parlare.

(di Gianni Barbacetto e Antonella Mascali
Il Fatto Quotidiano 1 settembre 2011)


Abolire 25 aprile e 1 maggio?
Una vendetta ideologica


Ideona contro la crisi: abolire il Primo maggio e il 25 aprile. S'intende: insieme al 2 giugno. Chi l'ha avuta, l'idea, dice: uno, sono tre giorni in più di lavoro, tre giorni di Pil in più; due, è una misura che non costa niente; tre, sono comunque le tre sole feste che si possono spostare, se non cancellare, perché le altre sono religiose e obbligatorie per trattato (con il Vaticano).

Ma siamo sicuri che sia una buona idea? Io credo di no. Anche per motivi economici: l'Italia sta faticosamente sviluppando un'economia del turismo diffusa e svincolata dalla stagionalità; e le tre feste che si vorrebbero sopprimere (accorpandole alla domenica) sono occasioni d'oro di vacanze e, perché no, anche di "ponti", che sono opportunità di "fare fatturato" per una rete amplissima di alberghi, agriturismi, ristoranti e, in generale, imprese grandi e piccole dell'industria del turismo e delle vacanze. Non è vero dunque che si tratti di una riforma a costo zero. Per guadagnare tre giorni di Pil, si penalizza un settore importante per il Paese come quello del turismo. Siamo sicuri che alla fine i conti tornino?

Ma poi, via, quest'idea di abolire Primo maggio e 25 aprile mi sembra, in definitiva, una furbata politica. Anzi, di più: una vendetta ideologica. L'Italia, come dice il magistrato Francesco Greco, "è un Paese offshore". Invece di far pagare gli evasori, chi governa vuol far pagare i soliti. Poi, già che c'è, ci aggiunge una piccola mossa furba: approfittando della crisi, si prende una rivincita ideologica, cancellando le due feste delle bandiere rosse, il 25 aprile della Liberazione dal fascismo e il Primo maggio dei lavoratori. L'idea, non espressa apertamente ma fatta passare con la scusa della crisi, è che si tratti di due fastidiosi residui di un secolo passato, di un passato finito, di una storia da dimenticare.

Invece 25 aprile e 1 maggio, con il 2 giugno festa della Repubblica, contribuiscono a costruire l'identità di una nazione, a dare anima al nostro tricolore. I simboli sono importanti: sarebbe doloroso cancellarli proprio nell'anno di una ritrovata unità nazionale attorno ai festeggiamenti per i 150 anni di questo Paese.

Sono io il vicecapo della P4

Confesso: sono io il vicecapo della P4. Il capo è Marco Travaglio: lo ha scritto Libero in prima pagina, domenica 26 giugno 2011. L'allegro quotidiano di Maurizio Belpietro ha nascosto in un trafiletto la notizia del giorno (indagato il generale della Guardia di finanza Michele Adinolfi, con l'accusa di aver passato notizie segrete a Luigi Bisignani). In compenso ha riempito prima pagina e pagina tre con la sensazionale rivelazione: "C'è Travaglio dietro la P4". Spiegazione: "La fonte di Bisignani era il Fatto. Il cui cronista Barbacetto telefonava al faccendiere". >>>

Bunga-bunga 2. La festa continua

Spira aria di bunga-bunga dalla Riviera. A Milano sono arrivate da Genova carte giudiziarie e intercettazioni telefoniche che andranno a ingrossare i faldoni del caso Ruby. Tra le voci registrate, quelle di Flavio Briatore, di Daniela Santanchè e di alcune giovani ragazze che, secondo indiscrezioni raccolte dal Fatto Quotidiano, parlano delle feste di Arcore e potrebbero essere utili ai magistrati della procura milanese per mettere ulteriormente a fuoco i rapporti tra Silvio Berlusconi e Lele Mora, l'impresario che i magistrati di Milano vogliono mandare sotto processo con l'accusa di aver fornito al presidente del Consiglio le ragazze del bunga-bunga. >>>

La Milano dei supereroi

Red Ronnie è un curioso personaggio che un tempo raccontava il movimento alla radio e la musica in tv. Passava le notti al Roxy Bar. Ma con gli anni si è trovato un impiego, un posto fisso. Meglio che in banca: nella portineria di Lady Letizia. Si è messo in servizio permanente effettivo della Signora mamma di Batman. La segue dappertutto e la filma ossessivamente. Un Moratti-Truman Show. Un'Isola della Famosa.

Risultati scarsi. Il pubblico non ha apprezzato. Lui, livido di rabbia, dà la colpa a Pisapia, che tanto ha colpa di tutto. È lui che ha impedito lo svolgimento del festivalino che voleva organizzare a spese del Comune, una via di mezzo tra X Factor e la Corrida. Ma il sindaco è ancora la sua Moratti, che colpa ha Pisapia se il Comune non gli ha finanziato il suo festival? Da quel momento, la pagina facebook di Red Ronnie è diventata quello che potete andare a vedere: finalmente divertente.

Se Pisapia è colpevole di ogni misfatto, in compenso mamma Batman sta compiendo ogni portentoso miracolo: cancella le multe con la sola forza del pensiero, blocca le licenze dei taxi, trasforma le moschee in basiliche romaniche, tramuta i rom in iscritti ai circoli della Vittoria Brambilla, converte i gay al bunga-bunga di Arcore. È tempo di supereroi, a Milano. Da una parte la mamma di Batman. Dall'altra Nembo Kid, il Pisapia che passa per strada e blocca e fa arrestare un ladro d'auto: ha tradito i colleghi.

(26 maggio 2011)

La fabbrica dei ricatti

Nei regimi è normale: la politica si fa a colpi di dossier, ricatti, intimidazioni. Oggi l'obiettivo del regime in Italia è distruggere Gianfranco Fini, che ha osato contraddire il satrapo anziano e rompere dall'interno il fronte dell'obbedienza coreana, obbligatoria dentro il Pdl. Va subito fermato, prima che altri seguano il suo esempio e la crepa si allarghi, fino a far crollare la diga (come dicevano altri, "punirne uno per educarne cento"). Ecco dunque un gran lavorio estivo sulla casa di Montecarlo.

Uno stuolo di persone è all'opera, da tempo, per trovare qualcosa che renda Fini un'anatra zoppa. Lo avevano annunciato: già nel settembre del 2009 il direttore del Giornale Vittorio Feltri aveva minacciato di andare a ripescare dossier sul presidente della Camera (anche se allora faceva riferimento a inchieste su comportamenti sessuali). "Fini ricordi anche che delegare i magistrati a far giustizia politica è un rischio", scriveva Feltri. "Specialmente se le inchieste giudiziarie si basano sui teoremi. Perché oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera. È sufficiente - per dire - ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme".

Più recentemente, il parlamentare Pdl Giorgio Stracquadanio ha detto chiaramente al Fatto quotidiano che Fini meritava un "trattamento Boffo". Poi è partita l'offensiva sulla casa di Montecarlo. Le notizie, naturalmente, vanno sempre date e benvenga il lavoro giornalistico di chi racconta vicende e fatti che coinvolgono uomini pubblici e cariche istituzionali. Senza sconti per nessuno. Ma è evidente anche ai bambini che in questo caso siamo di fronte a una campagna orchestrata. Giornali di proprietà della famiglia Berlusconi usati come una clava contro i suoi personali nemici. Giornalisti che scoprono il gusto dell'inchiesta solo quando devono colpire gli avversari del loro padrone.

Sullo sfondo, manovre ancora opache. Un deputato vicino a Fini, Carmelo Briguglio, membro del Copasir (il comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti) dichiara al Fatto che "ci sono stati colleghi parlamentari di area finiana che sono stati spiati e filmati da pezzi deviati dei servizi", i quali "organizzano pedinamenti dei parlamentari non graditi, confezionano dossier". Un ex avvocato di Luciano Gaucci, Vincenzo Montone, racconta, sempre al Fatto , di essere stato scavalcato nelle cause che riguardavano Elisabetta Tulliani, fidanzata di Fini ed ex di Gaucci, da un altro avvocato, Alessandro Sammarco, legale di Cesare Previti e Marcello Dell'Utri, oltre che di Silvio Berlusconi. Con l'inquietante intromissione nella vicenda del notaio Michele Di Ciommo, grande amico di Previti, già condannato per affari realizzati con Giuseppe Ciarrapico e in passato vicino ai boss della Magliana.

Certamente, dunque, sono da mesi al lavoro professionisti della disinformazione e del dossieraggio, avvocati, notai, giornalisti... Forse anche pezzi di apparati dello Stato - come ai bei tempi di Niccolò Pollari, Pio Pompa e Renato "Betulla" Farina - sono utilizzati per raccogliere informazioni e dossier non sui nemici dello Stato, ma sugli avversari politici del presidente del Consiglio pro tempore. Fango di Stato, da aggiungere ai dossier prodotti in casa, nelle redazioni degli house organ di regime e negli studi dei professionisti assoldati dal satrapo.

Già durante la Bicamerale, il magistrato Gherardo Colombo dipinse l'Italia come la "Repubblica dei ricatti". E Giuliano Ferrara, direttore del Foglio , rivendicò che per fare politica in questo paese bisogna "essere ricattabili". Nel momento supremo della crisi del berlusconismo, il regime tenta il tutto per tutto. Chi ha immensi conflitti d'interessi cerca d'inchiodare i portatori di piccoli conflitti d'interessi. Chi ha scippato la villa a un'orfana, come dice Alexander Stille, punta il dito sui maneggi certo poco edificanti attorno a un appartamento di partito a Montecarlo. L'Italia si riconferma come il paese dei ricatti, dove verità e menzogna, leggerezze e falsità si mescolano, amplificate da un sistema dell'informazione omertoso e servile, e diventano una micidiale arma politica. (16 agosto 2010)   

Le dame del Castello         

«Eravamo nella sala del governo e Silvio aveva la faccia scura. Così ho radunato un gruppone di venti deputate e siamo andate a tirarlo su di morale. Gli abbiamo detto che siamo con lui, qualunque cosa succeda... Il castello di Tor Crescenza è un posto bellissimo, per ragionare di politica è meglio di Palazzo Grazioli. Gli ho fatto fare due torte stupende, con scritto "meno male che Silvio c'è"».

Mariarosaria Rossi, deputata Pdl, detta la Madonna di Cinecittà, organizzatrice delle feste per Berlusconi al Castello di Tor Crescenza. ("Corriere della sera", 5 agosto 2010)



Perché Romani non può diventare ministro

È da una vita che aspetta di diventare ministro. E adesso che stava per farcela, per sedersi sulla poltrona lasciata libera da Claudio Scajola al ministero dello Sviluppo economico, si è messo di mezzo il Quirinale. Paolo Romani ha una storia professionale, politica e giudiziaria che mal si addice alla carica di ministro della Repubblica: soprattutto per una lunga e complessa indagine per bancarotta di cui è stato protagonista. Eppure ha tanto aspettato questo momento: facendo di tutto, nell'attesa, per rendersi utile al capo. Nel 2007, benché fosse già viceministro, ha fatto perfino l'assessore all'urbanistica a Monza, attento a presidiare gli interessi immobiliari locali della famiglia Berlusconi (che allora voleva costruire Milano 4 sull'area monzese della Cascinazza). Ora stava per raggiungere la meta. Ma forse non ce la farà. Eccola, la storia del quasi ministro bloccato a un passo dal traguardo. >>>


Il governo fugge anche dalla memoria

Il governo in fuga da Bologna (nessun rappresentante dell'esecutivo è presente oggi al ricordo della strage, 30 anni dopo) è la dimostrazione plastica di un'assenza politica: il governo e le forze che lo esprimono sono altrove, rispetto ai cittadini che chiedono, da tre decenni, la verità non solo sugli esecutori ma anche sui mandanti delle stragi italiane. La giustificazione dell'assenza fisica dalle manifestazioni di Bologna è la paura di ricevere, come ogni anno, i fischi di una parte della piazza. Ma può un governo pretendere di andare solo dove raccoglie applausi? E poi: i familiari delle vittime della strage hanno organizzato quest'anno il ricordo del 2 agosto 1980, decidendo che i politici e le autorità avrebbero parlato non in piazza, ma solo nell'incontro al chiuso; il rappresentante del governo non sarebbe stato dunque esposto alle contestazioni.

Nonostante questo, il governo ha ribadito la sua assenza. Una scelta. Una scelta politica. Perché la strage di Bologna non è soltanto la più grave e sanguinosa delle stragi italiane, è anche l'unica per cui si è arrivati a una verità giudiziaria. A mettere la bomba alla stazione, quel 2 agosto, furono i fascisti Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, secondo quanto hanno stabilito le sentenze ormai definitive. E Licio Gelli, per mano di due ufficiali del servizio segreto militare, operò per depistare le indagini della magistratura e indirizzarle sul binario morto di una fantastica "pista internazionale". Resta aperta, ancora 30 anni dopo, la domanda: chi armò la mano dei fascisti? Quale rete di poteri, sotto la direzione della P2, rese possibile la strage e tentò in ogni modo di avvelenare le indagini?

La "pista internazionale" ha i suoi sostenitori ancora oggi. Ancora oggi, tempi di "nuove P2? e di piduisti al governo, c'è chi lavora per affermare che la più grande strage italiana è stata partorita in qualche segreta stanza lontano dall'Italia. Protagonisti evocati, a scelta o tutti insieme: il terrorista Carlos, i palestinesi, i servizi segreti israeliani e via almanaccando. Tutto ciò senza uno straccio di prova, e buttando via come fossero carta straccia le migliaia di pagine di atti giudiziari che hanno portato alle condanne definitive per i neofascisti italiani. Tranquillizzante, la "pista internazionale": butta le responsabilità in un altrove lontano e fumoso, trasforma la strage di Bologna in una esotica spy story internazionale e toglie dagli impicci la P2, i servizi segreti italiani, i politici di casa nostra che sanno e che non vogliono parlare.

Comodo. Rasserenante anche per chi, in buona fede, non vuole credere a una realtà troppo dura: che nella storia italiana abbiano agito forze che hanno usato, via via, l'omicidio politico, il tritolo, la strage. Che hanno coperto gruppi criminali (terroristi fascisti o cosche mafiose) usati spregiudicatamente per fare i "lavori sporchi". La verità su questo passato italiano, anche trent'anni dopo, resta evidentemente troppo terribile. Meglio continuare a depistare, inseguendo "piste internazionali". E scappando perfino dai luoghi della memoria: non c'è stato, oggi, il discorso del governo a Bologna; ma l'assenza dell'esecutivo, questo 2 agosto, "parla" e dice più cose di cento discorsi. (2 agosto 2010)


Nunzia di fine regime

Occhio a Nunzia Di Girolamo, parlamentare emergente del Pdl, naturalmente giovane e carina. "Che splendidi orecchini, Nunzia", le ha detto il satrapo anziano, "come si dice, grandi orecchie, grande voglia". La sua storia mostra bene lo stato di disfacimento del regime. Feste e sorrisi nella ultima residenza estiva del satrapo, la nuova Salò, il castello di Tor Crescenza. Con il pianista Danilio che suona canzoni francesi e il vecchio Silvio che continua con i complimenti pesanti e le battute sessuali alle signore. Queste conquistano senza alcun merito posti nella cerchia dei gerarchi. Nunzia Di Girolamo è già diventata coordinatrice del Pdl nell'area sannita, ora punta al posto di viceministro lasciato libero da Cosentino. Il papà, del resto, ha investito su di lei. Una settimana fa, Nunzia era arrivata a palazzo Grazioli portando in regalo un mosaico fatto dagli artigiani della sua zona, che rappresentava Silvio con mamma Rosa. Culto del capo, il pianista Danilo che suona, il regime che affonda. (1 agosto 2010)

Parla Pomicino

Gianfranco Fini è stato alfine espulso dal partito che ha fondato. Il satrapo anziano che lo comanda non sopporta il dissenso, come nei peggiori partiti stalinisti. Quel Fabio Granata, poi, che parla di legalità e di mafia e stragi, è chiaro che dev'essere cacciato: non si parla di corda in casa dell'impiccato. A questo proposito, sentite che cosa dice in un'intervista ad "A" uno che se ne intende, Paolo Cirino Pomicino:
"Quando vedo ben tre parlamentari del Pdl nati a Casal di Principe, mi viene da pensare all'equivalente di tre parlamentari di Corleone. Ma le pare possibile che in Campania il potere del maggior partito italiano, il Pdl, sia concentrato in tre paesi ad altissima infiltrazione della camorra? Casal di Principe, da cui vengono Nicola Cosentino, la deputata Giovanna Petrenga e il senatore Gennaro Coronella, Sant'Antimo, da cui viene il presidente della provincia di Napoli Luigi Cesaro, sodale di Cosentino, e Afragola, la città del senatore Vincenzo Nespoli (inseguito da una richiesta d'arresto per riciclaggio e bancarotta fraudolenta, ndr). Il Pdl è un partito finito". (1 agosto 2010)

Milano, Notti Bianche, anime nere

L'operazione Notti Bianche, a Milano, ha fatto chiudere le discoteche Hollywood e The Club per giro di cocaina. Quello che stupisce non è che Milano sia diventata la capitale della coca, questo lo sapevamo già. Ma che dentro Palazzo Marino ci sia una cricca disponibile ad aiutare i signori della notte milanese. Dall'ex capo dei vigili Emiliano Bezzon alla ex vice dirigente del Comune Rita Amabile detta la zarina, da Rudy Citterio, ex membro della commissione comunale di vigilanza, a Laura Mari, dirigente del settore Demanio, da Maria Teresa Broggini, direttore centrale delle Attività produttive, fino alla funzionaria della Regione Tiziana De Puorto. Vedremo le singole responsabilità di ciascuno. Può darsi non ci sia niente di penalmente rilevante: però sono in tanti, in troppi, a essere "disponibili", dentro l'amministrazione pubblica della fu capitale morale d'Italia. Letizia Moratti se n'è accorta? (31 luglio 2010)


La tangente P2 dell'amico di Formigoni

Negli affari della "nuova P2" fa il suo ingresso anche l'ex braccio destro di Roberto Formigoni, Marco Mazarino De Petro. Ha incassato 30 mila euro (anticipo di una "consulenza" di ben 900 mila euro) pagati dalla società Hgp di Milano per poter realizzare "IsolaTua", un progetto di riqualificazione delle stazioni delle Ferrovie Nord Milano (Fnm). >>>

Luigi Bisignani, l'uomo che collega

Non troverete il suo nome nelle carte giudiziarie delle tante inchieste in corso sugli scandali di questa caldissima estate 2010. Eppure è il nome che le collega tutte. Non parliamo di responsabilità penali, che son faccende da magistrati. Ma di rapporti, contatti, relazioni. Chi è l'uomo che unisce, a un livello alto, lobbisti della "nuova P2", uomini della "cricca", personaggi della "banda larga" di Finmeccanica? Luigi Bisignani è un punto di convergenza. >>>

Giulio Tremonti, il delfino silenzioso

È ormai l'unico punto fermo in un centrodestra scosso da tempeste che sollevano onde da tsunami. Non solo in campo economico: tra cricche palesi e logge segrete, ministri che si dimettono e braccidestri condannati per mafia, lo tsunami coinvolge ormai il Pdl, il governo e lo stesso presidente del Consiglio, mai così in basso nei sondaggi. Giulio invece incassa solo successi. >>>

Altro che "amici di nonna Abelarda"


È stata la settimana del bavaglio e della nuova P2. Ma anche del cacciatore di aquilani... sì, i terremotati dell'Aquila hanno manifestato a Roma rinfacciando le promesse non mantenute, e come risposta sono stati selvaggiamente picchiati dalla polizia. "terremotati no global", li ha chiamati il solito Maurizio Belpietro. La verità è che anche il terremoto si è trasformato da vetrina di regime per il "ghe pensi mi" di silvio superstar a segno della crisi del satrapo anziano. Non mantiene le promesse, non risolve i problemi e con la manovra mette anche "le mani nelle tasche degli italiani"... È stata la settimana del silenzio contro la legge bavaglio, che prosegue il suo sciagurato cammino. Nel giorno dello sciopero, il Giornale di Vittorio Feltri è uscito lo stesso in edicola, dicendo di non voler mettersi il bavaglio, scioperando, nel giorno della protesta contro il bavaglio.

Peccato che il bavaglio se lo sia messo lo stesso, come ogni giorno, non pubblicando le notizie che non piacciono al suo padrone. Della nuova P2 di Denis Verdini e Marcello Dell'Utri, per esempio, si legge poco sui giornali che tifano per il satrapo anziano. La P3 è un gruppo "di tre pirla", sostiene Belpietro, gli "amici di nonna Abelarda" secondo Giuliano Ferrara, sfigati che non riescono a farne una giusta. Quando non si può più negare, la ricetta è minimizzare. Come ai tempi della P2, che fu ridotta "a bocciofila". Invece la P3 è oggi il cuore oscuro del potere, che mette insieme le relazioni massoniche di Denis Verdini e Flavio Carboni con i contatti opusdeisti di Marcello Dell'Utri. Il tutto con la partecipazione di un uomo potentissimo e defilato come Luigi Bisignani, ieri ragazzo prodigio della P2 di Licio Gelli e oggi al centro di tante partite delle politica e del potere, dell'economia e della finanza. (11 luglio 2010)


La nuova P2 di Denis Verdini & Co
Ecco perché Silvio vuole il bavaglio


Il satrapo anziano vuole il bavaglio. "È sacrosanto", ha detto a Studio Aperto, dopo aver fatto il giro delle radio e delle tv compiacenti, Tg1, Tg2, Tg4, per tentare di fermare gli smottamenti di consenso nella sua maggioranza e nel paese. L'eco delle sue parole risuona ancora in questo giorno di silenzio della stampa italiana. Un giorno in cui è più facile comprendere perché lo vuole a tutti i costi, il bavaglio: sono proprio le intercettazioni a permettere di sviluppare indagini come quella che ha scoperto una "nuova P2" coagulata attorno al faccendiere Flavio Carboni, non senza contatti con il coordinatore del Pdl Denis Verdini. Le intercettazioni, impietose, continuano a disvelare il fondo melmoso e occulto del potere italiano. Scoprono i giochi segreti che si svolgono attorno a Silvio Berlusconi. (9 luglio 2010). LEGGI TUTTO >>>


Una giornata particolare/2

Il golpista freddo nella giornata di mercoledì 9 giugno 2010.

«Cari colleghi, voi dovreste sapere che, vista da fuori, l'attività del governo e del Parlamento nel fare le leggi è una cosa, vista da dentro è un inferno. Non è che manchino le buone intenzioni o gli ottimi progetti, è che abbiamo una architettura istituzionale che rende difficilissimo trasformare questi progetti in leggi compiute e operanti. I tempi sono incredibili e sono i tempi che poi vedete nella burocrazia, nella giustizia civile, nella giustizia penale, in tutto ciò che attiene allo Stato, che si è sviluppato in una maniera eccessiva, prende a tutti noi cittadini il 50 per cento di ciò che produciamo e dà in termini di servizi molto meno di quanto ci si aspetti. (...) Sono passati 62 anni dalla Costituzione, è nata in un momento in cui era forte la contrapposizione tra capitale e lavoro, democristiani e comunisti dovettero trovare dei compromessi su ogni articolo. Mi chiedevo stanotte per quanto tempo un'impresa potrà vivere e crescere su compromessi di matrice cattocomunista. La risposta datela voi! (...) La Costituzione è molto datata, non si parla quasi mai di impresa e una sola volta è citata la parola mercato».

Una giornata particolare/1

Il golpista freddo nella giornata di martedì 8 giugno 2010.

Ore 11.47 «Da ministro dello Sviluppo economico posso dire che se la Rai non cambia e non smette di essere così faziosa contro la maggioranza sono quasi quasi tentato di non firmare il contratto di servizio pubblico». (Ansa)

Ore 12.27 «Oggi la sovranità non è più del Parlamento, è passata a una corrente della magistratura e ai suoi pm che attraverso la Corte Costituzionale abrogano le leggi che non gli piacciono. È uno sfogo? No, è la realtà». (Asca)

Ore 12.39 «Ho detto agli uomini della Protezione civile di non andare in Abruzzo o almeno di farlo senza insegne, senza rendersi riconoscibili. Dopo l'apertura di quel fascicolo c'è il rischio che qualcuno che magari ha avuto dei familiari morti sotto le macerie e con una mente fragile, gli spari in testa». (Agi)

Ore 12.50 «In Italia Il presidente del Consiglio non ha nessun potere. Potevo al massimo stabilire l'ordine del giorno del Consiglio dei ministri, ma l'ho delegato a Gianni Letta e non mi è rimasto nemmeno quello». (Adnkronos)

Ore 13.05 «Mettetevi per qualche minuto nei miei panni, aprite un giornale e accendete la tv pensando di chiamarvi Berlusconi, di essere me. Se dopo dieci minuti non vi viene la nausea mandatemi una lettera dicendomi che ho torto. Comunque resistiamo». (Sky Tg24)


Bossi & Berlusconi, la pista dei soldi

La Lega ora contende potere al Pdl. Ma fino a che punto si può spingere? Ci sono patti segreti tra i due leader? >>>

Italia: stragi e spie

Le bombe del 1992-93: "strategia della tensione", come nel 1969-74. La mano dello Stato e di "altre entità" nella stagione dell'eversione nera come in quella di Cosa nostra. Il ruolo degli Affari riservati, il peso di Umberto Federico D'Amato, le sue "rivelazioni" su Sofri: «Ci siamo fatti paurose e notturne bottiglie di cognac». >>>

Enzo Baldoni, sei anni dopo


«I resti del corpo di Enzo Baldoni, il freelance rapito il 24 agosto 2004 e ucciso il 27 agosto dello stesso anno a Latifia (Iraq), sono giunti nei giorni scorsi a Roma. Dagli esami effettuati dal Ris dei carabinieri, in particolare dalla comparazione del profilo genotipico, e' arrivata la certezza che si tratta proprio del corpo del giornalista assassinato. Non solo, attraverso la collaborazione dei servizi segreti dell'Aise, i carabinieri del Ros, coordinati dalla pool antiterrorismo della procura di Roma hanno definitivamente individuato gli esecutori materiali del sequestro e dell'omicidio di Baldoni, tutti appartenenti al gruppo "Esercito Islamico in Iraq"». Agi, 21 aprile 2010.
Il convoglio >>>
Inchiesta su Enzo Baldoni
L'uomo che fu ucciso due volte >>>



Fini rompe

Gianfranco Fini ha rotto con Berlusconi. Un'accelerazione improvvisa di una strada segnata, alla ricerca di una destra normale per l'Italia, che ne ha bisogno quanto (e forse più) di una sinistra normale (che pure non sarebbe male avere). Una destra che faccia la destra, ma che non sia la claque di un vecchio satrapo imbellettato, padrone di uomini e cose, sorridente sotto il cerone quando racconta barzellette e conquista, si fa per dire, vallette, escort, igieniste dentali e aspiranti ministre, ma feroce quando pianifica la conquista dell'Italia e degli italiani e la rottamazione della Costituzione repubblicana, in linea con il programma della P2 da cui proviene. Non sappiamo se Fini ce la farà, se riuscirà a diventare il Sarcozy italiano, oppure se l'anziano sultano riuscirà a isolarlo, comprandogli a uno a uno tutti i sostenitori, come ha già fatto con Gasparri e tanti altri. Ma almeno ci ha provato, ci sta provando. Se ci riuscisse, saremo a metà strada. Dopo una destra normale, all'Italia mancherà soltanto una sinistra normale, capace di imporre una sua agenda di temi, invece che inseguire e rincorrere le riforme del satrapo anziano, proponendo (ancora?) una Bicamerale, come fa D'Alema. (18 aprile 2010)

La rovina d'Italia? Saviano

Berlusconi Silvio ripete di nuovo che il problema non è la mafia, ma chi scrive di mafia. Saviano compreso. A preoccupare non è la piovra che ammazza in Sicilia, ma la Piovra film tv che va in giro per il mondo e mette in cattiva luce l'Italia. Di rinforzo arriva il presidente della Mondadori, Berlusconi Marina, che se la prende con "una pubblicistica a senso unico che non è certo il sostegno più efficace per l'immagine del nostro paese". A senso unico: ci vuole par condicio anche con Totò Riina. E sì, il problema dei Berlusconi non è la realtà, e cioè che ci sia la mafia, ma l'immagine, e cioè che non lo si dica in giro. Certo: a forza di dirlo in giro, potrebbe andare a finire che si venga anche a sapere, per esempio, che il braccio destro di Silvio, Marcello Dell'Utri, «è stato per oltre un trentennio al servizio dell'organizzazione mafiosa», come ha appena detto il magistrato che a Palermo ha chiesto per lui 11 anni di condanna in appello. (18 aprile 2010)

Brunetta designer

Renato Brunetta è riuscito a buttare in vacca anche il Salone del mobile di Milano. Si è presentato a consegnare un premio che si chiama "Premio Renato Brunetta", e già questo fa ridere. La spiegazione del perché si chiama così fa ancora più ridere: il ministro dei fannulloni ha disegnato dei mobili (probabilmente durante l'orario di lavoro) per un'azienda che gli ha, come si usa, riconosciuto le royalties sulle vendite. Lui, gentile, le ha girate a un giovane meritevole, trasformandole nel premio a sé intitolato. Il premio è di 5 mila euro, da che si arguisce che il mobile Brunetta non deve aver avuto un gran successo. Ma il bello viene adesso: sapete che cosa è successo durante l'Evento (ormai si chiama così ogni cosa, a Milano) della consegna del "Premio Renato Brunetta" all'incolpevole vincitore, un giovane talento del design? È successo che è stata presentata la nuova linea d'arredi, disegnata da Titti Giovannoni Ottaviani, che poi sarebbe la fidanzata di Brunetta. Tra i suoi pezzi, una culla, chiamata "T. aspettavo", che Titti e il ministro regaleranno alla ministra neomamma Mariastella Gelmini. (18 aprile 2010)

Tito Boeri, candidato sindaco a Milano?

Emma Marcegaglia al convegno della Confindustria di Parma porta cifre ben diverse da quelle del governo: la crisi c'è eccome, l'Italia arretra ed è da dieci anni un paese in declino, il pil pro capite cala, la recessione prosegue, la disoccupazione esplode. Silvio Berlusconi risponde con le battute e i sorrisi, dice che i conti sono in ordine e che non bisogna dare retta ai disfattisti. Lui, l'uomo con più potere politico e mediatico della storia repubblicana, dice che la Costituzione non dà alcun potere all'esecutivo. E promette le riforme, cioè di scassare i delicati equilibri costituzionali. Presidenzialismo, cioè più poteri al governo; federalismo, cioè più potere alla Lega; e riforma della giustizia, cioè più impunità alla politica. Un golpe freddo annunciato e proclamato.

Gillo Dorfles compie 100 anni. Auguri a un intellettuale che, a differenza di tanti altri in Italia, dice chiaro quello che pensa e non ha paura del potere.

Tito Boeri, l'economista della voce.info, mentre tutti elogiano la Lega uscita vittoriosa dalle elezioni regionali e glorificano il suo mitico "radicamento nel territorio", lui invita a vedere i soldi che il Carroccio dispensa con assoluta discrezionalità nei suoi bacini elettorali: nuove greppie del nord, come i rimborsi per le quote latte, contrapposte alle vecchie greppie del sud. Perché non pensare a Tito Boeri come candidato sindaco del centrosinistra a Milano? (10 aprile 2010)

Chi ha vinto (davvero) le elezioni?

Chi è più papista del papa? Fanno a gara, dopo la vittoria elettorale della destra, a mostrarsi fedeli non agli elettori, non a Dio, ma ai comandi del Vaticano. Personaggi della settimana dunque i neopresidenti di regione Roberto Cota e Luca Zaia, l'impomatato ex pr di discoteca a Bodega diventato ministro e ora governatore del Veneto. Con tutti i problemi che ci sono, il loro primo pensiero da presidenti è stato per la pillola Ru486: «Mai nei nostri ospedali». Poi gli hanno spiegato che la faccenda non la decidono loro, ma la legge, ed è finita lì. Ma intanto hanno acquisito meriti presso il Vaticano, che ha sdoganato la Lega e chiuso gli occhi sul suo razzismo. E dimenticato le ampolle del dio Po e i matrimoni celtici dei leader leghisti.

Angelino Alfano, per non farsi scavalcare dai leghisti, ha deciso di mandare i poveri ispettori del ministro della giustizia alla procura di Milano, perché un procuratore aggiunto, Pietro Forno, ha dato un'intervista al Giornale in cui ha detto quello che tutti sanno e che aveva già detto e scritto, e cioè che nella sua lunga carriera di cacciatore di reati sessuali non ha mai visto la Chiesa cattolica denunciare gli abusi commessi dai suoi ministri. Avevamo visto ispezioni ministeriali, abusive, nei confronti di atti giudiziari dei giudici. Adesso ci tocca vedere anche una curiosa ispezione contro un'intervista, contro una dichiarazione, anzi: contro un dato di fatto.

Meno male che, se questa è la politica, nel gran mondo dell'informazione c'è l'Augusto Minzolini, che dopo le elezioni fa un po' di pulizia etnica al Tg1. Caccia un po' di conduttori, tra cui Tiziana Ferrario, e sospende Maria Luisa Busi: guarda caso i puniti sono tutti giornalisti che non avevano firmato la lettera in suo sostegno. Ma chi ha vinto davvero le elezioni? Il primo partito italiano non è quello di B ma quello di chi si astiene. Il Pdl vince, ma in realtà perde, in percentuale e in voti assoluti: segno che Silvio non incanta più. In compenso c'è la Lega, che trionfa, aumenta percentuali e voti. Crescono anche Italia dei valori e il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo. Perde seccamente, ma fa finta di niente, il Pd. Tutto ciò a Milano si traduce in un avviso di sfratto per Letizia Moratti. Roberto Formigoni lancia il sasso e ritira la mano, Umberto Bossi si candida lui a sindaco. Ne vedremo delle belle. (3 aprile 2010)

Profumo di golpe

Quando un governo agita la piazza. Quando lo fa un presidente del Consiglio che ha un'ampia maggioranza parlamentare e un incredibile potere mediatico. Quando lo fa chiamando a manifestare non solo CONTRO l'opposizione. Non solo CONTRO la bocciatura della sua lista elettorale a Roma (esclusa soltanto a causa degli errori e dei litigi dei suoi uomini). Quando un capo del governo chiama a scendere in piazza i suoi soprattutto CONTRO un potere dello Stato, quello giudiziario, quindi contro la Costituzione e la divisione dei poteri. Allora la manifestazione appare rivolta contro la democrazia. Con profumo di golpe. (20 marzo 2010)

Tetris e l'informazione faziosa

Ieri sera sono stato ospite a Tetris, il programma di La 7 in cui Luca Telese riesce a innovare, in maniera brillante, la formula del talk-show. Tema: l'informazione italiana, faziosa (forse) e imbavagliata (di certo) dalle norme che da qui alle elezioni fanno tacere Santoro, Floris, Gabanelli, Vespa... Ho cercato di dire che la situazione italiana non è caratterizzata, come sostengono altri, dalla faziosità di alcuni (Santoro), né dallo scontro tra una doppia faziosità (quella di destra e quella di sinistra), ma è segnata da una diversa contrapposizione: tra chi racconta in tv i fatti e chi li oscura, li nasconde, li censura, sostituendoli (nel migliore dei casi) con una insipida giustapposizione di opinioni. Santoro racconta fatti, mostra una parte del paese. Vespa invece allestisce scrivanie di ciliegio per far firmare a Berlusconi ridicoli "contratti con gli italiani", o fa cucinare il risotto a D'Alema. Sempre "cucendo il vestito addosso" ai politici che invita (tranne Di Pietro: quello lo massacra). Un ex direttore dell'Economist, invece, diceva ai suoi giornalisti, prima di un'intervista a qualche personaggio: «Chiedete a voi stessi: chi è questo figlio di puttana che ho davanti e che mi vuole raccontare solo balle?».

Ieri sera ho fatto un errore: citando le vittime dell'editto bulgaro ho ricordato Enzo Biagi e Michele Santoro, ma non ho citato Daniele Luttazzi. Perché non è un giornalista: ma ha svolto, con Satyricon, un ruolo giornalistico più di mille Tg1. Grazie Daniele! E grazie anche ai telespettatori di Tetris che hanno votato così il loro gradimento agli ospiti in studio: - Gianni Barbacetto (39%) - Paolo Mieli (26%) - Giovanni Sartori (23%) - Maurizio Belpietro (12%) - Gian Arturo Ferrari (0%) - Claudio Velardi (0%) - Roberto Arditti (0%) (11 marzo 2010)

Par condicio

Roma, 11 marzo 2010. La direzione generale della Rai comunica che, poiché giovedì scorso è andato in onda, invece di Annozero, il film "La carica dei 101", questa sera sarà trasmessa su Raidue una puntata riparatrice: Crudelia De Mon potrà spiegare le sue ragioni, messe in ombra nel film. Conduce Bruno Vespa.

La sostanza e la forma

Roma, 21 marzo 2013. Le elezioni politiche si sono svolte con regolarità. In serata, un decreto interpretativo del governo Berlusconi ha risolto un problema di lettura dei risultati elettorali: poiché la sostanza deve trionfare sulla forma, il decreto stabilisce che, al di là dei voti raccolti, il vincitore delle elezioni è il Pdl, come previsto dai sondaggi e annunciato da Silvio Berlusconi già prima della chiusura delle urne.


Firme®ole, un nuovo strappo

Nella notte di venerdì 5 marzo 2010 si è consumato un nuovo strappo istituzionale, un ulteriore smottamento costituzionale. Il governo Berlusconi ha salvato per decreto le liste di centrodestra bocciate a Milano e Roma. E il capo dello Stato ha firmato. Un vulnus alla democrazia destinato a entrare nella storia. Perché in democrazia la forma è sostanza. Appellarsi alla sostanza (come faceva il giacobinismo, come faceva il comunismo), mortificando la forma, ottiene il risultato di negare la sostanza della democrazia, per cui le regole sono uguali per tutti. Dalla notte del 5 marzo 2010 sono "più uguali" per chi è al governo, per chi "ha ragione", per chi ha i voti...

Le liste bocciate sono state escluse non per un complotto (degli avversari politici? dei radicali? dei giudici?), ma perché irregolari. A Milano, partiti, correnti e gruppi del centrodestra hanno litigato ferocemente per i nomi da candidare fino a poche ore dalla consegna del listino Formigoni. Poi non hanno avuto più tempo per raccogliere le firme. Hanno messo insieme rapidamente fogli con timbri strani, firme raccolte su fogli in bianco... La Lega, indignata perché il loro uomo (Andrea Gibelli) era stato messo non al numero due, come promesso, ma al numero sette, hanno boicottato la raccolta firme.

A rivelarlo, sono le loro stesse dichiarazioni. Ignazio La Russa: «I leghisti ci avevano promesso 500 firme e all'ultimo momento, alle 2 di notte di venerdì, ce ne hanno portate 300, di cui solo 30 autenticate». Giancarlo Giorgetti: «Abbiamo ricevuto il listino solo all'ultimo momento. E con un ordine di candidature che non ci aspettavamo: il nostro Gibelli, per esempio, doveva essere al secondo posto, invece lo hanno messo al settimo».

Ma non ci sono solo i contrasti Lega-Pdl. Ci sono conflitti sordi anche dentro il Pdl, tra ex Forza Italia ed ex An, ma soprattutto tra "laici" e "ciellini": Massimo Buscemi (vicino a Cl) indica subito come "colpevole" Stefano Maullu, responsabile elettorale del Pdl in Lombardia ed esponente dell'area "laica" dell'ex Forza Italia. Quel Maullu che, a una richiesta d'aiuto per la presentazione delle firme proveniente dal vicecoordinatore regionale Massimo Corsaro (ex An), aveva risposto: «Ho altro da fare». È poi generale il malumore nei confronti dei candidati imposti da Silvio in persona, di quello che ormai è chiamato il "partito dei raccomandati": l'igienista dentale di Silvio Berlusconi (Nicole Minetti), il fisioterapista del Milan (Giorgio Puricelli), il geometra di Arcore (Francesco Magnano)...

«Oggi il Pdl è un partito fatto di bande», dice impietoso un ex assessore di Forza Italia, Guido Della Frera. «È un esercito dove tutti si sentono generali e nessuno vuole fare più il sergente». Ma ora, a pagare il conto degli errori politici di una federazione di bande in lotta tra loro, sarà la democrazia repubblicana. (6 marzo 2010)

Banda larga

È il momento della banda larga. Del furto cablato. Della truffa globale. Della ruberia planetaria. Protagonisti, secondo le ipotesi d'accusa dei magistrati, alcuni manager di Fastweb e di Telecom. Responsabili di una gigantesca frode Carosello: un giro del mondo dei soldi attraverso le frontiere, di qua con l'iva, di là senza iva, che alla fine provoca un furto allo Stato italiano di quasi 400 milioni (attraverso il mancato versamento dell'iva) e un utile a Fastweb e Telecom Sparkle di 96 milioni di euro. Tra gli accusati c'è anche Silvio Scaglia, il genio della fibra ottica, il mago della banda larga, che già di colpi ne aveva fatti, in vita sua (il colpo grosso della nascita di Fastweb, per esempio).

Ma lo scandalo di oggi è un'altra cosa, risultato di una banda larga di cui fanno parte finanzieri e manager, un simpatico nazista romano molto potente, ultimo erede della Bnada della Magliana, e perfino un senatore abusivo, eletto con i voti della 'ndrangheta. Si chiama Nicola Di Girolamo, già due anni fa doveva essere espulso dal Senato perché eletto illegalmente: è stato votato come senatore degli italiani all'estero, con residenza a Bruxelles, ma a Bruxelles aveva solo messo una residenza finta. Ma due anni fa la casta lo ha salvato, votando a sorpresa contro l'espulsione. Era abusivo, lo sapevano tutti, ma lo hanno lasciato lì a prendere per due anni un non modesto stipendio. E anche adesso, invece di cacciarlo, lo hanno accompagnato alla porta - incredibile - con un applauso.

Ma in fondo, perché stupirsi? Scandalizzarsi per il fatto che la mafia è penetrata fin dentro il Senato? Ma scusate, dentro il Senato non c'è già Totò Cuffaro, condannato già in secondo grado per favoreggiamento mafioso? Non c'è già Marcello Dell'Utri, condannato in primo grado per rapporti con Cosa nostra? E dentro il governo non c'è un sottosegretario, Nicola Cosentino, inseguito da mandato di cattura per associazione a delinquere di stampo mafioso per aver fatto affari con la cammora dei Casalesi, quelli di Gomorra?

Ma che volete, è il momento della banda larga. Rubano alla Protezione civile, rubano nelle aziende telefoniche, intascano mazzette dietro palazzo Marino e un mille altri posti d'Italia. Meno male che c'è Massimo D'Alema. Intervistato dal Corriere della sera dice che in Italia c'è una grande corruzione. Che non sa se sia o no una nuova Tangentopoli, ma che ha chiaro cosa fare per rispondere: le riforme. Ora, io quando sento dire "riforme" mi sento male. Una parola da abolire, perché abusata, usata quasi sempre a sproposito. Vorrei tanto che qualcuno mi spiegasse che cosa c'entra la corruzione con le "riforme", con il bicameralismo perfetto o imperfetto, con il presidenzialismo, con il sistema elettorale. E come se dopo un'ondata di rapine in banca, si chiedesse la riforma del sistema bancario. Se dopo una rapina a una gioielleria, si chiedesse la riforma delle licenze ai gioiellieri.

Questa è stata anche la settimana della condanna dell'avvocato David Mills, corrotto con 600 mila di dollari per non dire la verità in due processi a Milano con imputato Silvio Berlusconi. La Cassazione dice: è colpevole, ma è passato troppo tempo, dunque dobbiamo dargli la prescrizione. Se c'è un corrotto che ha preso i soldi, ci deve essere anche un corruttore che glieli ha dati. Ma proprio per questo, indovinate come da la notizia al Tg1 l'Augusto Minzolini? Dice che Mills è stato assolto. E Filippo Facci, su Libero, dice che siccome il reato si è prescritto, non bisognava neanche iniziare il processo. Come dire ai treni Frecciarossa: non fateli nemmeno partire, tanto arrivano in ritardo! (5 marzo 2009)


Festeggiamenti con effetti speciali
per l'anniversario di Mani pulite


Sono cominciati i festeggiamenti per il 18esimo anniversario di Mani pulite, che cade il 17 febbraio, mercoledì prossimo. Per celebrarlo degnamente, Milano non ha badato a spese e non ha risparmiato gli effetti speciali. Ha ricreato il clima con l'arresto in flagranza, davanti alla libreria Hoepli, a un passo da Palazzo Marino, di Camillo Milko Pennisi, consigliere comunale di Forza Italia, presidente della Commissione urbanistica. Milko per far passare una licenza edilizia alla Bovisa aveva chiesto 5 mila euro al costruttore Mario Basso. Questo paga, ma filma la consegna dei soldi, cacciati dentro un pacchetto di Marlboro. Poi Pennisi pretende altri 5 mila euro. Questa volta Basso si scoccia e lo denuncia. Lo beccano con i soldi addosso.

Festeggerà il compleanno di mani pulite in galera, come l'assessore regionale Pier Gianni Prosperini, quello del "ciapa camel, barcheta, e va a ca tua!" rivolto ai negri e simpaticamente ripetuto in tv, a spese della Regione, cioè nostre. Festeggerà a casa, invece, a Broni, Rosanna Gariboldi, lady Abelli, che è appena uscita di cella, restituendo più di un milione di euro che erano finiti non si sa come nel conto di Montecarlo suo e del marito, Giancarlo Abelli detto il Faraone, braccio destro di Formigoni. Erano soldi gentilmente forniti da Giuseppe Grossi, il re delle bonifiche, che festeggerà agli arresti domiciliari. Festeggerà a casa sua, a Desio, anche l'assessore regionale Massimo Ponzoni, in affari immobiliari con i coniugi Abelli.

In galera invece la combriccola degli amici di Guido Bertolaso, funzionari della Protezione civile e imprenditori a cui sono stati affidati i lavori del G8. Gioivano in diretta per il terremoto in Abruzzo, una grande occasione per far soldi. Lo abbiamo capito dalle intercettazioni telefoniche, che infatti Berlusconi vuole cancellare. Intercettata, l'allegra banda di farabutti si definiva: "combriccola", "cricca di banditi", "gente che ruba tutto il rubabile", "persone da carcerare", protagonisti di un "sistema gelatinoso": se le cantano tra di loro, nelle intercettazioni telefoniche, i collaboratori di Bertolaso e gli amici a cui vengono affidati gli appalti, i Balducci, i Calvi, gli Anemone... Guido Bertolaso, personaggio della settimana, è il supercommissario della Protezione civile, l'uomo della Provvidenza, una specie di santo che Berlusconi esibiva quando c'era un problema da risolvere. Adesso abbiamo capito come li risolveva, i problemi.

Poi ci sono le ragazze. Come in ogni fine regime, come in ogni crepuscolo dell'impero, ormai non c'è tangente in denaro che non venga accompagnata da una tangente in corpi di donna. Francesca, Angela, Giusy, Monica, Regina... Le "feste megagalattiche" al Salaria sport village, con non una, non due, ma tre ragazze pronte a rilassare Bertolaso, che del resto è "l'uomo del fare"; alla fine, mandano uno a "bonificare" la scena dopo l'incontro con Monica, a portar via i tappi e le bottiglie di champagne, a cercare i preservativi. Berlusconi difende il suo santo portatile, il Bertoliso compagno di affari e di festini. Dice che Francesca è una massaggiatrice seria, niente sesso, è di mezza età: infatti è coetanea di Patrizia D'Addario.

Ma qui viene il bello: chi se ne frega se c'era sesso o no? Fosse pure la fisioterapista, il dentista, l'urologo o qualunque altra cosa, qualcuno ci spiega perché a pagare dev'essere l'imprenditore a cui ha affidato gli appalti? Qualunque cosa sia, è una mazzetta, una mazzetta in natura. E poi - e questa è la vera domanda - qualcuno ci spiega che cosa c'entrano con la Protezione civile e con le emergenze eventi programmati da anni, come il G8, i Mondiali di nuoto, le celebrazioni di San Giuseppe da Copertino? Perché i lavori devono essere affidati in segreto, senza gara, senza regole, senza controlli? (14 febbraio 2010)

Complotti

A tutti i garantisti a corrente alternata, di manica larga per i loro amici, innocenti anche se condannati, ma inflessibili con i loro avversari, colpevoli anche se assolti non dico dalle sentenze, ma dal buonsenso... A coloro che hanno sempre sostenuto che Bruno Contrada è un patriota, un ottimo servitore dello Stato, un imputato ingiustamente condannato da giudici senza cuore e senza coscienza, chiedo: che male c'è, allora, andare a una cena in cui, tra tanti carabinieri, c'è anche un poliziotto ottimo servitore dello Stato? E poi: da quando andare a cena con i carabinieri è disdicevole, mentre è meritorio andarci con i mafiosi (Dell'Utri e il suo padrone)? Infine: a chi giustamente critica il complottismo d'accatto di chi vede sempre un Grande vecchio semplice dietro ogni grande fenomeno complesso, dico: ma credete davvero che una cosa come Mani pulite possa essere ordita a tavolino da un agente segreto italiano, un qualche fiduciario della Cia e un molisano scarpe grosse, cervello fino, grammatica incerta e inglese zero?

Non contano niente, nel 1992, la caduta del muro, la crisi che porta l'Italia a un passo da una situazione argentina, la fine dei soldi, gli imprenditori stufi di essere munti, la caduta della reputazione dei partiti, la nascita della Lega (e poi della Rete, che per attimo divenne il quarto partito italiano), la corruzione diventata insopportabile (ricordate le barzellette sui socialisti?). Niente. Ha fatto tutto Antony Of Stone. E fanno parte del complotto, dopo un corso intensivo a Langley, anche Colombo, Davigo, Borrelli e i cento magistrati in tutta Italia che per un paio d'anni furono lasciati liberi d'indagare su una politica che improvvisamente collassò, come il regime sovietico (anche quel crollo opera di un complotto papista?). Ora dico: vabbè dividersi sulle scelte politiche, ma è proprio necessario anche mortificare i neuroni, zittire il buonsenso, spegnere il cervello? (3 febbraio 2010)

Rosarno: la 'Ndrangheta ordina,
il ministro Maroni esegue

La rivolta di Rosarno è una svolta nella storia d'Italia. Per alcuni giorni una città è stata di fatto sottratta alla legalità e lasciata in balìa di bande che si sono scontrate, hanno compiuto danneggiamenti e distruzioni, hanno praticato la caccia all'uomo. Alla fine, le forze dello Stato sono intervenute per compiere una deportazione di massa. I neri (anzi: negri, come li chiama oramai senza vergogna Vittorio Feltri sul giornale di Berlusconi) dopo essere stati per anni sfruttati per la raccolta delle clementine, maltrattati, malpagati, costretti a vivere in condizioni indegne e inumane, hanno osato ribellarsi, protestare, rifiutare di stare zitti, questa volta, davanti al ferimento di alcuni di loro. La comunità bianca ha reagito con furia razzista: tutti via. E il ministro dell'Interno ha eseguito. Altro che ronde: questa volta le forze dello Stato hanno fatto loro il lavoro sporco, quello che le ronde più razziste sognano di fare.

In una situazione ambientale dominata dalla 'Ndrangheta. In Calabria la mafia è pervasiva (a differenza che in Sicilia, dove Cosa nostra è una èlite criminale). In una popolazione piccola, come quella calabrese, la 'Ndrangheta controlla, attraverso rapporti di parentela, comparaggio o affari, una percentuale altissima della popolazione. In Calabria la società civile è, in larga parte, 'Ndrangheta. Uomini della 'Ndrangheta sono all'origine dei primi attacchi ai neri di Rosarno. Uomini della 'Ndrangheta hanno influenzato le proteste e gli attacchi ai neri dopo la loro rivolta. Il ministro Roberto Maroni, che si vanta appena può di fare la lotta alla mafia, sappia che questa volta ha eseguito i suoi ordini. La 'Ndrangheta ha deciso l'espulsione dei neri da Rosarno, le forze dello Stato l'hanno realizzata.

Ps. Un altro ministro della Repubblica, Mariastella Gelmini, ha deciso che nessuna classe scolastica potrà avere più del 30 per cento di stranieri. Ma che cosa significa "stranieri"? I bambini nati in Italia da genitori non italiani sono "stranieri"? I bambini adottati da coppie italiane sono "stranieri"? Il figlio di una donna italiana sola che ha avuto un bambino da un uomo di pelle scura è "straniero"? I figli degli americani, o degli svizzeri, o dei francesi che vivono in Italia sono "stranieri"? I rom italiani sono "stranieri"? E chi ha una diversa religione è "straniero"? Non è che sono un po' "stranieri" anche i figli degli ebrei? (10 gennaio 2010)

MARONI, LEGHISTA BIFRONTE >>>


Fabrizio Cicchitto, l'ultrà di Silvio ferito
Indica i mandanti: Travaglio, Santoro, Di Pietro, Il Fatto, Repubblica...

Altro che "abbassare i toni". Fabrizio Cicchitto suona la carica: «A condurre la campagna d'odio contro Silvio Berlusconi è un network composto dal gruppo editoriale Repubblica-L'Espresso, da quel mattinale delle procure che è il Fatto, da una trasmissione di Santoro e da un terrorista mediatico di nome Travaglio, oltre che da alcuni pubblici ministeri che hanno nelle mani alcuni processi, tra i più delicati sul terreno del rapporto mafia-politica e che vanno in tv a demonizzare Berlusconi». Poi Cicchitto ha qualche parola buona anche per Antonio Di Pietro: «È un partito come l'Idv, con il suo leader Di Pietro, che in questi giorni sta evocando la violenza, come se volesse trasformare lo scontro politico in atto in guerra civile fredda, che coinvolge anche settori più giustizialisti del suo partito, caro onorevole Bersani». Dunque, conclude Cicchitto, «la mano di chi ha aggredito Berlusconi è stata armata da una spietata campagna di odio: ognuno si assuma la propria responsabilità. Ci auguriamo che questa aggressione e questo ferimento servano a qualcosa di più e che dal male venga qualcosa di bene». Come? «Da questa situazione si esce solo disinnescando con leggi funzionali quell'uso politico della giustizia, un cancro che ha distrutto la prima Repubblica e sta minando anche la seconda».

Ecco quindi il programma. Approfittare del gesto di uno squilibrato per attaccare la libera informazione (avete notato? Tutti i "mandanti" indicati da Cicchitto sono, se si esclude Di Pietro, non politici, ma giornali e giornalisti). E poi stravolgere la Costituzione, puntando diritto all'autonomia della magistratura da colpire a morte, per rendere la politica improcessabile.

Quanto tempo è passato da quando Cicchitto era un militante massimalista e movimentista del Partito socialista, lombardiano e antiamericano. Sentite che cosa scriveva negli anni Settanta, quando il "clima d'odio" c'era davvero e lo scontro politico era feroce. Nell'introduzione a un libro uscito nel 1975 ("Sid e partito americano". Sottotitolo: "Il ruolo della Cia, dei servizi segreti e dei corpi separati nella strategia dell'eversione", scritto da Marco Sassano ed edito da Marsilio), gli avversari politici li chiama, senza mezzi termini, "mostri": «I mostri sono i servizi segreti, una struttura sempre più corposa e dinamica che interviene in modo continuo, massiccio, oppressivo sulla realtà politica e sociale». E ancora: «Nel 68-69 la contestazione del sistema ha fatto tremare l'ordine costituto e esso, a sua volta, ha cercato di recuperare in diversi modi, uno dei quali è stata l'organica attività terroristica, provocatoria, violenta di precisi settori dei corpi separati dello Stato». Infine: «I mostri fabbricano gli opposti estremismi: la pupilla del regime, la Rai tv, si occupa di amplificare la distorsione, obiettivizzandola; Sid e Rai tv, due realtà molto lontane eppure così vicine quando si tratta di sorreggere, nelle scelte drammatiche, il regime Dc». In questo scenario, anche le Br sono manovrate dallo Stato: infatti, «puntuali all'appuntamento, le Brigate rosse ricompaiono in ogni vigilia elettorale».

Poi Cicchitto si ravvede. Fulminato da Licio Gelli sulla via di villa Wanda, nel dicembre 1980 s'iscrive alla P2. A presentarlo al Venerabile è Fabrizio Trifone Trecca, che della loggia segreta è capo del "gruppo 17", quello in cui sono inquadrati molti giornalisti (da Maurizio Costanzo a Gustavo Selva, da Roberto Ciuni a Giorgio Zicari) e che ha il controllo di fatto del Corriere della sera. Il "gruppo 17" ha il seguente organigramma: numero uno Trecca; numero due Franco Di Bella, che del Corriere è il direttore; numero tre un costruttore emergente, tal Silvio Berlusconi. L'anno prima, Bettino Craxi aveva proposto la sua "grande riforma" costituzionale: cioè il passaggio dalla Repubblica parlamentare alla Repubblica presidenziale. E aveva ottenuto così l'appoggio degli uomini della P2, che individuano nell' "anticomunista" Craxi l'uomo che può realizzare il Piano di rinascita democratica. Proprio nel 1979 Craxi incontra Gelli al Raphael. È l'autunno di quell'anno tumultuoso, e nel paese è in corso la tempesta dello scandalo Eni-Petromin (una complicata faccenda di petrolio arabo con annessa supertangente e connesso scontro feroce dentro il Psi tra Craxi e Claudio Signorile). Sullo scandalo si allungheranno prima le ombre della P2, poi il segreto di Stato.

Ma intanto anche Cicchitto capisce che, se non vuole restare ai margini di un processo ormai irreversibile, deve fare le sue scelte. Entra nella P2, tessera 2232. Quando le liste della loggia diventano pubbliche, lui ammette l'affiliazione e il vecchio Riccardo Lombardi lo schiaffeggia davanti a tutti. Poi fa qualche anno di purgatorio, finché Bettino lo recupera. Ma Mani pulite gli blocca la seconda carriera. La terza, la fa nelle schiere di Forza Italia. Alla grande. Il suo numero tre d'un tempo è diventato numero uno. (15 dicembre 2009)


È iniziata la battaglia finale. B si gioca tutto. Gianfranco lo contraddice, Veronica chiede il divorzio, i giudici lo processano per corruzione,
i mafiosi di Cosa nostra lo accusano di strage... Lui si appella al popolo.
Siamo alla scena finale del "Caimano"? >>>


Milano, Palermo. Il passato lo insegue
Arrestati Fidanzati e Nicchi. Davvero per merito del governo?

Arrestati Gaetano Fidanzati, vecchio boss di Cosa nostra impiantato a Milano già dagli anni Settanta, e Gianni Nicchi, giovane boss emergente di Cosa nostra palermitana. Sono stati entrambi catturati il 5 dicembre, il primo a Milano, il secondo a Palermo. E subito il ministro Roberto Maroni e tutta la corte berlusconiana tentano di usare questo successo per dire: vedete? il governo Berlusconi è il nemico numero uno della mafia, altro che dichiarazioni di Gaspare Spatuzza; nessun altro governo ha ottenuto così importanti risultati nel contrasto alla criminalità. È davvero così?

1. I latitanti non li prende Berlusconi, non li prende Maroni, non li prende il governo. Li individuano e catturano con il loro lavoro i poliziotti e con le loro indagini i magistrati, di solito tanto vituperati dal capo del governo.

2. I governi Berlusconi sono tutt'altro che benemeriti dell'antimafia, visto le leggi che hanno fatto e che fanno. Qualche esempio? Lo scudo fiscale favorisce il rientro in Italia di capitali neri, che possono essere anche mafiosi. Le nuove norme sui beni confiscati alla mafia li mettono all'asta, di fatto restituendoli alle cosche. La depenalizzazione del falso in bilancio rende più difficile individuare le imprese che usano capitali mafiosi. La futura legge che limita le intercettazioni, e poi il cosiddetto "processo breve" (che pure escludono i reati di mafia), renderanno però più difficile indagare, processare e condannare per reati considerati minori, ma che in alcuni casi sono proprio quelli da cui si parte per scoprire i gruppi mafiosi.

3. Curiose le reazioni di Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza. Questi ha testimoniato che i suoi boss, i fratelli Graviano, nel 1993-94, mentre realizzavano le stragi, gli avevano confidato che erano in contatto che Dell'Utri e Berlusconi. I due reagiscono sostenendo che il mafioso Spatuzza, che parla, è un assassino infame; il mafioso Vittorio Mangano, che ha taciuto, è un eroe. Del resto, quelli che fanno film come la Piovra o scrivono libri sulla mafia, Berlusconi "li strozzerebbe con le sue mani"...

4. L'arresto di Fidanzati e Nicchi dimostrano almeno tre cose. Uno, la mafia c'è anche a Milano, benché i politici, gli imprenditori e anche la cultura milanese non abbiano voglia di sentirselo dire. Due, a Milano non c'è solo la 'Ndrangheta, ma anche Cosa nostra. Tre, c'è continuità tra il passato e il presente. E questo è il punto più delicato. Fidanzati arriva a Milano negli anni Settanta, quando i boss trafficano droga, ma stringono anche rapporti con gli imprenditori locali. Allora arriva Mangano, a fare da mediatore tra Milano e Palermo. Quello stesso Mangano che poi nei primi anni Novanta è in contatto con il gruppo di Alessandro ed Enrico Di Grusa (che sposa sua figlia Loredana Mangano), Natale Sartori, Daniele Formisano, Giuseppe Porto... Gruppo in contatto con Dell'Utri e che lavora per Fininvest. Gruppo che poco tempo fa ha ospitato e protetto Gianni Nicchi...

Insomma: si torna sempre lì, ai rapporti pericolosi di B. Il suo passato, inesorabile, lo insegue. (6 dicembre 2009)


Silvio, l'ultima battaglia del Caimano
Le rivelazioni di Gaspare Spatuzza e il coinvolgimento nelle stragi del 92-93

Se in Francia, in Germania, negli Stati Uniti o in qualunque altro paese civile del mondo, emergessero testimoni, fatti, novità, sul coinvolgimento di un leader politico con la criminalità organizzata, in qualunque paese civile ci si fermerebbe ad ascoltare, a soppesare, a valutare. E se prevalessero gli elementi di dubbio, si chiederebbe al leader interessato di farsi immediatamente da parte. In Italia invece, se il leader tirato in ballo per i suoi rapporti con Cosa nostra si chiama Silvio Berlusconi, scatta immediatamente la manovra preventiva del grande apparto mediatico-politico di Berlusconi.

I suoi house organ lanciano l'allarme preventivo: strillano che è in arrivo un avviso di garanzia per mafia per il presidente del Consiglio, coinvolto nelle stragi del 92-93. Poi arriva la tv, i Vespa, i Minzolini, a dire: ma vedete? lo accusano di cose incredibili, assurde, impossibili. In pochi stanno ai fatti. E i fatti sono semplici: nel 92-93 i vecchi rapporti risalenti agli anni Settanta tra Berlusconi e Cosa nostra (con il boss Vittorio Mangano chiamato a "proteggere" la famiglia di Arcore) si rinnovano. Crolla la Prima Repubblica, Silvio perde i protettori politici, ha 6 mila miliardi di debiti e Mani pulite alle costole. Per salvarsi, si fa egli stesso politica, mentre il mediatore con Palermo, Marcello Dell'Utri, rinnova i contatti con i boss impegnati a sfidare lo Stato a colpi di bombe.

Sono fatti gravi, che andranno valutati da un potere indipendente, la magistratura, che dovrà appurarne la veridicità. Ma Silvio non ci sta. Non accetta il gioco democratico della divisione dei poteri. E lancia la sfida estrema. Così oggi siamo alla battaglia finale. Silvio ora si gioca tutto: Gianfranco Fini lo contraddice su ogni cosa, Giulio Tremonti dà segni di irrequietezza, Veronica chiede il divorzio e alimenti miliardari, Carlo De Benedetti ha diritto per lo scippo Mondadori a un risarcimento colossale, i giudici lo processano per corruzione, i mafiosi di Cosa nostra lo accusano di strage... Lui si appella al popolo. Dice di essere vittima di un complotto. E chiede ancora una volta di diventare improcessabile. Inattaccabile. Inindagabile. A ogni costo. Siamo alla scena finale del "Caimano". Al golpe freddo: il popolo contro la giustizia, i voti contro il controllo di legalità. Anche a costo di stravolgere la Costituzione repubblicana. (29 novembre 2009)

Due o tre cose a Bruno Vespa
Dopo "Otto e mezzo"

Due o tre cose che avrei voluto aggiungere a quelle dette a "Otto e mezzo". A Bruno Vespa che, per difendere il suo Silvio, diceva «così fan tutti», da Cesare a Napoleone, e che anche Mitterrand aveva un'amante: per Berlusconi non si è parlato di un'amante né di una scappatella, ma di frotte di escort, cioè prostitute a pagamento, che frequentavano le sue case, rendendo il presidente del Consiglio (nel frattempo sostenitore del Family day) bugiardo, incoerente, ricattabile, esposto alle richieste dell'imprenditore che gliele mandava per avere qualcosa in cambio. A Bruno Vespa che, per difendere il suo Silvio, diceva che sono tanti gli autori di Mondadori ed Einaudi: io parlavo non di scrittori in generale, ma di lui; un giornalista che parla e scrive del Berlusconi politico, non può essere pagato dal Berlusconi editore. E poi: il mestiere dell'arredatore (scrivania di ciliegio per firmare il contratto con gli italiani) e del sarto («Io ti cucio il programma addosso»: a Silvio, a Gianfranco, a Massimo, a tutti i potenti) sono incompatibili con il mestiere di giornalista. (19 novembre 2009)



L'imbroglio del processo breve
Per bloccare due processi in cui è imputato a Milano, B scassa il sistema penale

Politici e colletti bianchi, liberi tutti. La legge che nascerà dall'accordo raggiunto ieri tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini riuscirà a centrare l'obiettivo principale, e cioè liberare il presidente del Consiglio dai suoi processi. Ma otterrà, come effetto collaterale, la salvezza di tanti imputati eccellenti e, in prospettiva, l'impunità permanente di uomini dei partiti, amministratori pubblici, imprenditori, finanzieri, banchieri. Le nuove norme stabiliranno infatti che, per gli incensurati, il tempo massimo del processo dovrà essere di sei anni, due per ognuno dei tre gradi di giudizio. Saranno esclusi i reati di mafia, terrorismo e di grave allarme sociale, come rapina, omicidio ed estorsione. In compenso, un codicillo renderà la norma applicabile ai processi già iniziati, purché siano in primo grado. Così saranno azzerati i due processi in corso a Milano che hanno per imputato Berlusconi, sei volte prosciolto per prescrizione, ma ancora tecnicamente incensurato: quello sulla corruzione del testimone David Mills e quello sui diritti Mediaset.

Per il resto, il risultato sarà comunque che la mannaia della prescrizione si abbatterà sulla gran parte dei processi complessi con molti imputati. A partire da quello per il crac Parmalat, con Calisto Tanzi principale imputato, fino a quello Why not iniziato a Catanzaro da Luigi De Magistris. A rischio tutti i processi sulla pubblica amministrazione. E anche quelli, sempre più frequenti, per fatti che avvengono all'estero (con la possibilità per la difesa di chiedere rogatorie anche durante il dibattimento), come quello dell'imprenditore della Cogim Leopoldo Braghieri, accusato a Milano di aver ottenuto appalti corrompendo un funzionario dell'Onu. Vittorio Emanuele, recentemente rinviato a giudizio, può tranquillamente aspettare la prescrizione, visto che la sola udienza preliminare è durata un anno. Già fuori tempo massimo il dibattimento di primo grado sulle tangenti Eni-Agip, nato dalle indagini di Henry Woodcock, che è in corso a Potenza da ben quattro anni.  

«Dicono di volere, con questa norma, abbreviare i processi», spiega un magistrato in servizio a Roma, «ma in realtà abbreviano solo i tempi di prescrizione, mentre i processi saranno allungati a dismisura dalla norma del nuovo codice di procedura che impedirà al giudice di rifiutare prove e testimoni manifestamente superflui. Così la durata del dibattimento sarà consegnata nelle mani dell'imputato». Nel palazzo di giustizia di Milano, un procuratore aggiunto formula l'ipotesi di un colletto bianco che abbia organizzato truffe, come capita, in diverse parti d'Italia: processato in tre o quattro sedi giudiziarie diverse, avrebbe la garanzia dell'impunità, perché in ognuna di esse risulterebbe incensurato. «Nascerà la nuova figura dell'incensurato a vita», dice un altro giudice, «perché l'imputato, grazie alla prescrizione, uscirebbe pulito dal primo processo e poi, via via, dagli eventuali processi successivi: sempre incensurato, dunque sempre prescritto, dunque sempre incensurato e così via...».

Le nuove norme («incostituzionali», secondo un altro procuratore aggiunto di Milano) inaugureranno la giustizia a due velocità, con processi rapidi e a prescrizione garantita per gli eterni incensurati, e processi invece lunghi, con probabile condanna finale, per gli imputati dei reati di strada, per i cosiddetti recidivi e delinquenti professionali o abituali. In realtà, però, anche qualcuno di questi potrà sperare di farla franca. Racconta infatti un magistrato di Milano: «I casellari giudiziari dei tribunali vengono aggiornati in ritardo. E non esiste un sistema nazionale unificato per conoscere i carichi pendenti. Così già oggi concediamo la sospensione condizionale della pena a condannati che non la meriterebbero, perché già raggiunti da condanne non ancora registrate o registrate in sedi giudiziarie non prese in considerazione. Risultare incensurati, in Italia, non è poi così difficile». (Il Fatto quotidiano, 12 novembre 2009)

1. Santa Rita, liberi tutti

Lo scandalo della clinica Santa Rita di Milano ha colpito in maniera profonda l'opinione pubblica: coinvolte come parti lese decine di persone normali, pazienti che si affidavano con fiducia ai medici. E che hanno subìto interventi chirurgici inutili o addirittura dannosi, solo perché i medici volevano fare cassa. A Milano sono ora sotto processo nove imputati, per 88 imputazioni di lesioni gravi (a qualche paziente è stato asportato un pezzo di polmone, per esempio, senza che ce ne fosse bisogno), oltre a 40 truffe ai danni di Asl e Regione Lombardia e a decine di falsificazioni delle cartelle cliniche. È un esempio di processo "virtuoso", perché condotto finora in maniera molto rapida. I pm arrestano il chirurgo Pier Paolo Brega Massone nel giugno 2008. Il successivo 12 luglio chiedono per gli imputati il rito immediato (che equivale alla richiesta di rinvio a giudizio). Già il 17 luglio il giudice dell'indagine preliminare emette il relativo decreto e il dibattimento in aula comincia il 2 dicembre 2008. Ma le parti civili, che rappresentano i poveri pazienti, sono oltre 40, una cinquantina gli avvocati, 154 i testimoni. Il Tribunale ha già celebrato 43 udienze. Ma ora la nuova legge imporrà lo stop al processo il 12 luglio 2010. Il Tribunale deve sentire ancora i consulenti tecnici e i difensori hanno annunciato, data la delicatezza dei casi in esame, la richiesta di numerose perizie mediche e scientifiche. Sembra dunque già impossibile che in meno di sette mesi si possa riuscire a portare a termine il processo. I pazienti operati e mutilati e i loro famigliari sono avvisati: non avranno giustizia.

2. Antonveneta, i furbetti la fanno franca

È la più nota delle scalate dei "furbetti del quartierino" che nell'estate del 2005 si lanciarono all'assalto della Banca Antonveneta. Per quell'attacco sono oggi a Milano sotto processo 19 persone, tra cui il regista dell'operazione, l'amministratore delegato della Banca Popolare di Lodi Gianpiero Fiorani, insieme con chi, invece di fare l'arbitro, lo aiutò a battere la concorrenza degli olandesi di Abn Amro, e cioè il governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio e il capo della Vigilanza Francesco Frasca. Imputati anche il senatore di Forza Italia Luigi Grillo, gli immobiliaristi Luigi Zunino, Stefano Ricucci e Danilo Coppola, oltre agli ex vertici di Unipol, Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti. Reato contestato: l'aggiotaggio, che secondo l'accusa avrebbe tolto illegittimamente la banca padovana agli olandesi. Il dibattimento è cominciato il 23 ottobre 2008, il rinvio a giudizio è del 23 maggio 2008, ma i pubblici ministeri che hanno realizzato l'indagine, Francesco Greco, Giulia Perrotti ed Eugenio Fusco, hanno depositato le loro richieste di rinvio a giudizio già il 25 luglio 2007. Lo stop per il processo è dunque già scattato, il 25 luglio 2009. Tutto il lavoro fatto finora - due anni di indagini, una lunga e complessa udienza preliminare, un anno di dibattimento ­- è inutile: liberi tutti. Alcuni degli imputati in questo processo sono a giudizio anche in altri procedimenti, come quello per la scalata Bnl. Gianpiero Fiorani, poi, è già stato condannato a Lodi (a tre anni e sei mesi di carcere) in primo grado per falso in bilancio. Ma niente paura: sono a tutt'oggi incensurati e dunque godranno della prescrizione salva-colletti bianchi.

3. Bnl, nessuna giustizia

Sono 28 gli imputati nel processo che si aprirà a Milano per l'assalto del 2005 alla Bnl. Tra questi, l'ex presidente di Unipol Giovanni Consorte, «motore della scalata», i suoi collaboratori Ivano Sacchetti, Carlo Cimbri e Pierluigi Stefanini, l'ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio e il suo capo della Vigilanza Francesco Frasca, gli immobiliaristi Stefano Ricucci, Giuseppe Statuto, Danilo Coppola e Vito Bonsignore, il finanziere Emilio Gnutti, i banchieri Giovanni Zonin e Divo Gronchi (Bpv), Guido Leoni (Bper) e Giovanni Berneschi (Carige), oltre ai responsabili della Deutsche Bank. Ma saranno tutti miracolati dalla legge sulla prescrizione breve per gli incensurati. Era l'estate del 2005 quando i "furbetti del quartierino" si lanciarono all'assalto della Banca nazionale del lavoro, mentre negli stessi mesi erano sotto attacco anche Antonveneta e Corriere della sera . Il reato contestato nel processo è aggiotaggio, cioè divulgazione di notizie false per alterare il corso di un titolo in Borsa. L'obiettivo: scalare la banca romana, con la benedizione della Banca d'Italia, mettendo fuori gioco il Banco di Bilbao che aveva contemporaneamente avviato sul mercato l'iter previsto per acquisire le azioni. Il giudice per le indagini preliminari ha firmato i 28 rinvii a giudizio il 18 settembre scorso. La prima udienza del dibattimento è fissata per il primo febbraio 2010. Ma la mannaia della prescrizione calerà allo scadere dei due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio, avvenuta il 3 giugno 2008: dunque il 3 giugno 2010. Impensabile che il tribunale riesca a terminare in soli quattro mesi un processo su una materia così delicata e complessa.

4. Processi come lo yogurt, con data di scadenza

Come lo yogurt, i processi italiani avranno la data di scadenza: alla fine del secondo anno a partire dal giorno della richiesta di rinvio a giudizio. Così non avranno giustizia i 150 mila risparmiatori italiani rimasti coinvolti nei crac della Parmalat (imputato Calisto Tanzi e altre 22 persone) e della Cirio di Sergio Cragnotti. La richiesta di rinvio a giudizio per Cragnotti e altri imputati - tra cui il banchiere Cesare Geronzi - è del 25 settembre 2007. La scadenza è dunque già scattata: il 25 settembre 2009. Non avranno molto probabilmente giustizia neppure le famiglie dei sette operai morti nel   2007 nel rogo della ThyssenKrupp : alla sbarra sono, a Torino, i dirigenti della fabbrica che facevano lavorare gli operai senza rispettare le norme di sicurezza; il tempo sarà scaduto nel 2010. Non arriverà a sentenza neppure il processo per le morti causate dall'amianto (3 mila lavoratori) della Eternit : inizierà a Torino il 10 dicembre, avrà due imputati, ma uno stuolo di parti civili: ben 736 persone e 29 enti. In fumo il lavoro di Luigi De Magistris: finirà in nulla il processo nato dall'inchiesta Why not da lui avviata a Catanzaro. Inutili i processi sulla politica e sulla pubblica amministrazione : la corruzione non è stata inserita nelle eccezioni alla prescrizione breve, mentre lo è stata (per volontà della Lega) l'immigrazione clandestina. «Quasi tutti i nostri processi sono destinati a naufragare», racconta un sostituto procuratore che lavora a Roma, «poiché dalla richiesta di rinvio a giudizio alla prima udienza del dibattimento passa da noi in media un anno e quattro mesi. Impensabile di arrivare a sentenza in otto mesi».
(Il Fatto quotidiano, 13 novembre 2009)


Gasparri sbaglia strada, Silvio la consiglia a Marrazzo (ma è sbagliata)

Due uomini al posto sbagliato. Gasparri sulla strada dei trans (ma si era perso: gli succede spesso, quando parla in tv). Berlusconi, in ontologico conflitto d'interessi, invece di invitare Marrazzo a denunciare i suoi ricattatori, gli consiglia di comprare il video del ricatto (mettendosi così nelle mani del presidente del Consiglio-datore di lavoro di Feltri-padrone di "Chi"). Questa è l'Italia del fango, signore e signori. E i giochi sono appena cominciati...
(30 ottobre 2009)


Chi paga i giudici
Un lapsus (?) del satrapo anziano e due promemoria


«Sappiamo che è un giudice di estrema sinistra molto attivo. Abbiamo molte notizie, molto preoccupanti su questo giudice... Nel mese di gennaio, questo giudice era lontanissimo dall'aver scritto la sentenza. È stato trasferito ad altra sede e dunque tutti ritenevamo che non l'avrebbe più scritta... Invece ci siamo ritrovati come un fulmine a ciel sereno una sentenza di 143 pagine dove ci sono chiare le impronte digitali della Cir... È una sentenza fatta di numeri e tabelle che certamente non possono essere riferite alla cultura di questo giudice... quindi riteniamo che questo giudice sia stato profondamente influenzato esternamente. Riteniamo che non sia stato in grado di scrivere questa sentenza». (Silvio Berlusconi contro il giudice Raimondo Mesiano, 7 ottobre 2009)

«Meno male che mi sono potuto permettere di spendere 200 milioni di euro per pagare i consulenti e i giudici». (Silvio Berlusconi, 9 ottobre 2009)

1. Promemoria sulla sentenza Imi-Sir/Lodo Mondadori (che condanna Cesare Previti per aver comprato, con i soldi di Berlusconi, il giudice Vittorio Metta).

1. La sentenza Imi-Sir, depositata nel novembre 1990 dal giudice Metta, fu scritta da qualcun altro, dato che le bozze della motivazione furono sequestrate nello studio dell'avvocato Attilio Pacifico, collegato a Previti.
2. Gli avvocati Pacifico, Previti e Giovanni Acampora avevano ricevuto dai Rovelli 30 miliardi di lire, in parte trasferiti al Metta, per ottenere una sentenza a loro favorevole nella causa contro l'Imi - che nel 1990 venne infatti condannata a pagare alla Sir 1.000 miliardi di lire (denaro pubblico).
3. La sentenza Mondadori, di 120 pagine, fu depositata il 24 gennaio 1991 sempre dal giudice Metta. Ma fu scritta incredibilmente in tre giorni da Metta, che normalmente impiegava dai 60 ai 90 giorni per depositare le sue sentenze.
4. Il giudice Metta, mentre si occupa delle vertenze Mondadori e Imi-Sir, riceve, tramite Previti, Pacifico e Acampora, 600 milioni di lire provenienti dai conti esteri della Fininvest. Poi compra una casa, versando 150 milioni dai suoi conti e 400 in contanti, consegnati in una valigetta.

2. Promemoria sul processo David Mills (l'avvocato corrotto con 600 mila dollari nel 1999-2000 per addomesticare le sue testimonianze in tre processi a Berlusconi)

1. È lo stesso Mills che confessa, in una lettera nel 2004 al suo fiscalista Bob Drennan, di aver fatto, come testimone nei processi a Berlusconi, «fatto tricky corners, curve pericolose per tenere Mr. B. fuori da un sacco di guai che gli sarebbero ricaduti addosso se solo avessi detto tutto quello che sapevo».
2. Lo confermano gli appunti di Drennan su quanto gli aveva detto Mills.
3. È lo stesso Mills che confessa di aver ricevuto quei soldi, nei verbali stilati dai funzionari inglesi dell'Ufficio delle Dogane e dell' Ufficio delle Tasse.
4. È lo stesso Mills che confessa di aver ricevuto quei soldi, nelle bozze scritte sul suo personal computer a Londra e poi cancellate (ma invano: perché recuperate nella memoria del pc).
5. È lo stesso Mills che confessa di aver ricevuto quei soldi, nel suo interrogatorio davanti ai magistrati milanesi il 18 luglio 2004: «Nell' autunno 1999 Carlo Bernasconi (dirigente Fininvest poi scomparso) mi disse che Berlusconi, a titolo di riconoscenza per il modo in cui ero riuscito a proteggerlo nel corso delle indagini, aveva deciso di destinare a mio favore una somma di denaro».
6. Poi Mills il 7 novembre 2004 ha ritrattato, sostenendo che quei soldi non provenivano dalla Fininvest ma da altri clienti. È vero che che il tragitto Berlusconi-Mills non è tracciabile fino in fondo, poiché «restano tante domande e tanti buchi senza risposta» nella commistione operata da Mills a Gibilterra tra i soldi suoi, di Fininvest, e di altri suoi ignari clienti (Attanasio, Briatore, i Marcucci, la nipote di Gustav Mahler). Ma quelle commistioni servono proprio a mascherare la vera provenienza del denaro. Certo è che gli altri clienti non avevano motivi per pagare Mills e l'armatore Diego Attanasio, indicato a un certo punto da Mills come il pagatore, smentisce decisamente l'avvocato.
7. Sono vere invece le testimonianze reticenti di Mills: in due processi a Berlusconi, nel 1997 e 1998, «il teste Mills omise di riferire che Berlusconi era il beneficiario delle società offshore» della Fininvest, «create per proteggere Berlusconi dalla legge italiana» e cioè per «distanziarlo dalle società» usate in tre casi poi finiti sotto giudizio a Milano:
a. per mantenere il controllo di Telepiù (proibito dalla legge Mammì);
b. per pagare tangenti ai finanzieri della Guardia di Finanza, per ammorbidire verifiche fiscali nelle società di Berlusconi;
c. per violare la legge sul finanziamento pubblico ai partiti con i 10 miliardi di lire pagati a Bettino Craxi tramite la società offshore All Iberian. (12 ottobre 2009)



Chi di lodo ferisce...
I due imbrogli che diffondono il virus golpista

Due lodi in quattro giorni. Prima il giudice civile impone un risarcimento record (750 milioni di euro) alla Fininvest di Silvio Berlusconi, in conseguenza del fatto che la Mondadori fu strappata alla Cir di Carlo De Benedetti con una sentenza comprata e venduta, confezionata su misura dall'avvocato Cesare Previti e dal giudice Vittorio Metta per contraddire il Lodo Mondadori che nel 1990 l'aveva legittimamente assegnata alla Cir. Poi ieri, 7 ottobre 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale il Lodo Alfano che Berlusconi si era fatto costruire su misura per avere a disposizione uno scudo spaziale che lo mettesse al riparo da ogni accusa, da ogni processo. In questo povero paese in cui la politica, a destra e a sinistra, sembra aver perso la bussola democratica, le istituzioni di garanzia funzionano ancora. Funziona la magistratura, che indaga e processa, funziona la Corte costituzionale, che difende la Carta dagli attacchi. La legge è uguale per tutti, ha ribadito la Consulta, dunque anche per le quattro alte cariche dello Stato che erano state scudate dal Lodo Alfano (anche se l'unico che ne aveva bisogno era lui, il satrapo anziano). E se proprio la politica vuole rendere qualcuno più uguale degli altri, ha detto la Corte, allora deve intervenire non con una legge ordinaria, ma con una legge costituzionale.

Sono argomenti di buon senso, non occorre essere raffinati giuristi per capirli. Ma il satrapo anziano ha reagito con toni golpisti, attaccando tutto e tutti. Omai sono "nemici" e "comunisti" non solo le procure, non solo i tribunali, non solo la Cassazione, ma anche i giudici civili e, in un'escalation senza fine, anche la Corte costituzionale e il presidente della Repubblica. Cioè tutte le istituzioni (il Parlamento già era stato definito "inutile"), tranne il governo di cui è padrone il vecchio sultano. La sua furia verbale è già tecnicamente golpista: delegittima tutte le istituzioni che, con pesi e contrappesi, fanno democratica una democrazia; e salva solo se stesso, eletto dal popolo. Rompe il solenne giuramento di ogni presidente del Consiglio: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione». E poi semina nel paese un virus totalitario, il disprezzo delle istituzioni: i magistrati, i giudici della Consulta, il capo dello Stato sono "di sinistra" e dunque per definizione suoi nemici. Tant'è vero che nessuno è mai stato indagato, perquisito e processato come lui (e seguono numeri suggestivi, che ha fatto imparare a memoria ai suoi servi). Questo virus golpista diffonde il disprezzo per la democrazia, contrapponendole l'investitura del popolo (e la conseguente dittatura della maggioranza). Eppure sarebbe facile smontare i due imbrogli che diffondono il virus.

Primo imbroglio: i giudici (tutti i giudici, ormai perfino quelli della Corte costituzionale) sono "di sinistra" e quindi nemici politici del satrapo anziano. Ma il giudizio può essere giusto o ingiusto, non di sinistra o di destra. In una sentenza conta se davvero l'imputato ha compiuto o no il reato, non il colore del giudice che l'ha scritta (dice Piercamillo Davigo: la messa vale anche se il prete che la celebra ha la fidanzata). E in una sentenza della Consulta conta non la presunta appartenenza politica dei giudici, ma la coerenza con la Costituzione (e in questo caso non occorreva essere professoroni per constatare che il Lodo Alfano rendeva qualcuno più uguale degli altri, alla faccia dell'articolo 3 della Carta).

Secondo imbroglio: i numeri (delle inchieste, delle perquisizioni, dei processi) dimostrano la singolare persecuzione giudiziaria di cui l'uomo di Arcore sarebbe oggetto. Ma che strano argomento: anche qui, conta la verità dei fatti, non il presunto accanimento. In una democrazia in cui tutti sono uguali davanti alla legge e in cui vige l'obbligatorietà dell'azione penale, è automatico che chiunque sia indagabile e processabile per le sue azioni. Se poi è un uomo pubblico, e molto in vista, è normale che sia tenuto a una maggiore trasparenza e sia soggetto a maggiori controlli. Se uno ha tante inchieste e tanti processi, significa che ha (forse) commesso tanti reati, o almeno che è necessario stabilire se li ha commessi: questo si penserebbe in un paese normale. Nell'Italia della tv e della politica diventata ostaggio del vecchio sultano si grida invece al complotto. Attenzione: il virus è creato in laboratorio; ma poi è diffuso tra i cittadini (anzi: tra la "gente"). Dunque il golpe freddo, pensato nei palazzi romani e nelle ville sarde degli interessi, delle feste e delle escort, penetra nelle coscienze e nel paese. Prepariamoci. Nella speranza che la scena finale del Caimano non diventi realtà. (8 ottobre 2009)

Io ho i voti del popolo
(dunque non sono soggetto alla legge)


Ho avuto i voti dal popolo, dice il satrapo anziano. Ha avuto i voti dal popolo, ripete la servitù. Dunque non sarà un giudice, penale, civile o costituzionale, a fermarlo. Ma che strana concezione della democrazia: anche Nixon aveva avuto i voti dal popolo, e con investitura diretta e poteri presidenziali (altro che "primus super pares" e stravaganze del genere). Eppure se n'è andato, Nixon, quando l'hanno beccato con lo scandalo Watergate. Anche chi è eletto dal popolo deve sottostare, oltre che alla decenza, al controllo di legalità, dice l'abc della democrazia. Se infrange la legge, è un cittadino uguale agli altri, deve essere giudicato come gli altri, deve pagare come gli altri. No: in Italia, povero paese, si fa strada un'opinione costruita e malata secondo cui lui non può, non deve essere giudicato. Ha avuto i voti dal popolo, come l'imperatore nei regimi predemocratici aveva avuto l'investitura da Dio. La democrazia non è innanzitutto libertà d'elezioni (anche Hitler aveva i voti, anche Mussolini, anche Stalin, anche Putin...), ma è innanzitutto divisione dei poteri. Altrimenti si trasforma in regime, populismo mediatico, dittatura della maggioranza. Appunto. Il golpe freddo di Papi Silvio fa un altro passo avanti. (7 ottobre 2009)

Ecco perché in Italia c'è il regime
(ovvero l'«anomalia» Annozero)


Oggi ho capito perché siamo in un regime. Adesso cerco di spiegarlo a me stesso e a voi. Dunque. Domani ci sarà una grande manifestazione per la libertà d'informazione. Ieri c'è stata la puntata di Annozero con la partecipazione di Patrizia D'Addario. Da giorni il satrapo anziano e i suoi servitori continuano a ripetere che c'è ampia libertà d'espressione in un paese in cui tanti giornali criticano il presidente del consiglio e in cui la tv pubblica può fare quello che fa Santoro. Ecco il regime: tutti a discutere dell'anomalia Santoro, i berluschi per attaccare, gli oppositori per difendere. Ma ci rendiamo conto? Regime è capacità di bloccare la discussione su Annozero. Mentre Santoro è la normalità, l'informazione, il giornalismo (perfino in ritardo: l'Orf, la tv pubblica austriaca, ha intervistato D'Addario due mesi fa). L'anomalia è tutto il resto della tv pubblica e privata, occupata militarmente dai servi di Arcore. È il Tg1 di Minzolini che censura le notizie. È Porta a porta di Vespa che dà subito la parola al padrone senza domande (e con il Sansonetto di compagnia) per difendersi dalle accuse della moglie, poi allestisce una cerimonia di regime attorno a una insignificante consegna di casette ai terremotati, e ieri ha fatto il Dopofestival, o il Processo alla tappa, per cercare di rispondere e arginare il successo di Annozero. E anche noi a parlare di Santoro. Ma così non parliamo di tutto il resto della tv, cioè del problema: ecco il regime. (2 ottobre 2009)

Romani il Censore, che fallimento

È un uomo di televisione, Paolo Romani. Sempre stato. Oggi, nella sua seconda vita, fa il censore televisivo e dalla sua vicepoltrona al ministero dello Sviluppo economico apre, non si sa a che titolo, una simpatica inchiesta contro Annozero e fa le pulci a Serena Dandini. Nella prima vita faceva invece il gestore di antenne locali. Se la storia di Romani il Censore è ancora tutta da scrivere, quella del Romani Uomo Tv è già scritta: nelle carte processuali di un'altra inchiesta - vera, questa - sul brutto fallimento della sua vecchia emittente, Lombardia 7. Dopo aver fatto il pioniere della tv a partire dagli anni Settanta (Tele Livorno con Marco Taradash, Videolina con Nichi Grauso, Rete A di Alberto Peruzzo, la prima Telelombardia di Salvatore Ligresti), si era messo in proprio: con Lombardia 7. La rete ha subito successo. Non certo per il tg: il programma forte è «Vizi privati», strip molto espliciti e molto caserecci governati da una ingovernabile Maurizia Paradiso. Con la scatenata Maurizia, dopo un lungo sodalizio, Romani finisce per litigare e la leggenda dice che lo scontro sia stato fisico e molto doloroso.

Poi Romani, che era stato un giovane liberale, resta folgorato sulla via di Arcore e nel 1994 segue Silvio Berlusconi in Forza Italia. Eletto deputato, si trasferisce a Roma, abbandona la tv al suo destino e, almeno formalmente, la vende: giusto in tempo per evitare l'onta del fallimento. Sì, perché i nuovi proprietari comprano Lombardia 7 già piena di debiti e poi la lasciano naufragare. Non si occupano di programmi e palinsesti. Hanno a cuore solo due cose: le frequenze, bene prezioso che prima o poi sperano di vendere bene (e avevano ragione: alla fine è arrivata la legge Gasparri); e la pubblicità, attraverso cui, con un giro di "cartiere" e di fatture false, ricavano parecchi soldini. Razziano molti miliardi di lire (almeno 81 tra il 1997 e il 2001) che mettono al sicuro in Svizzera. Poi fanno sparire i documenti contabili e portano al fallimento prima Lombardia 7, che "salta" nel 1999 lasciando debiti per oltre 12 miliardi di lire, poi anche Rtv Produzioni di Padova, che s'inabissa nel luglio 2000. Risultato: intervengono tre procure della Repubblica, quella di Bergamo, quella di Monza, quella di Bologna. Nel 2003, zitti zitti, tentano il colpo finale: vendere le frequenze alla Rai, che le vuole utilizzare per il digitale terrestre.

Permettere ai concessionari di vendere le frequenze tv è come permettere ai posteggiatori abusivi di vendere le piazze dei loro parcheggi, ma in Italia funziona così. E l'allora direttore generale della Rai Flavio Cattaneo incontra gli emissari del gruppo, che gli offrono le frequenze a prezzi d'amatore: 7,5 milioni di euro per quelle di TvSet e addirittura 24 milioni per quelle di Lombardia 7. «Ma scontabili», si giustifica poi Cattaneo. A rovinare tutto è Paolo Biondani, che sul Corriere della sera («Nasce indagata la tv del futuro») racconta che dietro TvSet c'è un'allegra compagnia inseguita da tre procure d'Italia per bancarotta, associazione a delinquere, false fatture, riciclaggio, falso in bilancio. E Romani? Zitto. Formalmente ha venduto Lombardia 7 nel 1996. Ma della società che conta, Lombardia Pubblicità, resta legale rappresentante almeno fino al 1998 e azionista e proprietario del 5 per cento almeno fino al 2003. E poi: ha venduto davvero? Nel mondo delle private c'è chi ne dubita, chi sussurra di accordi sottobanco. Tra qualche settimana si aprirà il processo per i protagonisti del crac. Romani invece, a lungo loro coindagato per bancarotta, fa il viceministro addetto alla censura. Il pm per lui ha chiesto l'archiviazione, il gip l'ha rifiutata ordinando l'imputazione coatta, il pm ha eseguito l'ordine, poi un secondo gip ha definitivamente archiviato: la nuova berlusconiana legge sul falso in bilancio lo ha messo al sicuro. Certo, in un paese normale non lo riterrebbero comunque degno di fare il viceministro. Ma soprattutto riderebbero di gusto se uno come lui pretendesse di dare lezioni, proprio lui, su come si deve fare tv. (Il Fatto quotidiano, 1 ottobre 2009)

Il sito Dagospia ha pubblicato la seguente lettera di risposta.
A BARBACETTO NON BASTA IL PULITZER, CI VORREBBE IL MANIPULITZER


Egregio Dago, l'articolo del Fatto Quotidiano sulle vicende di Lombardia 7 è, a modo suo, una perla. Su Romani non dice niente. Invece dice moltissimo, per la verità non ce n'era bisogno, sull'autore. Dice che Barbacetto disprezza Berlusconi e i suoi; dice che siccome lui, che è uno dei cinque o sei normali in un paese anormale, disprezza Romani, costui non è degno di occuparsi in veste istituzionale di televisione e che per dargli torto non c'è nemmeno bisogno di sentire le sue opinioni. Dice che i sospetti delle procure, anche se infondati, contano più delle sentenze dei giudici. E che le sentenze dei giudici sono giuste sono se inchiodano quelli che Barbacetto disprezza, mentre se li scagionano non valgono nulla. Dice che, per sputtanare a mezzo stampa qualcuno che disprezzi, puoi citare le leggende, senza nessun obbligo di precisare e offrire riscontri, mescolandole in un guazzabuglio incomprensibile e grottesco con spezzoni di notizie dove date, nomi, cifre vengono sparati a casaccio. Dice che, se il disprezzato non replica a questi sproloqui da demente, è evidente che è colpevole. Che cosa deve dire di più? Per Barbacetto non basta il pulitzer, ci vorrebbe il manipulitzer.
Manuele Paleologo


Lo scontro mortale
Silvio annuncia: una cospirazione contro di me, dentro le indagini sulle stragi

E pensare che c'era qualcuno, anche a sinistra, convinto che Silvio, questa volta, si sarebbe comportato da "statista". Era solo ieri. Oggi è difficile per tutti non ammettere che il satrapo anziano, l'utilizzatore finale, il padrone dell'informazione che attacca l'informazione non ancora sua, il mandante dei direttori killer, sia pervaso da una irrefrenabile mania. Qualcuno dei suoi amici gli consigliava di usare toni concilianti, chiedere scusa per la sua vita disordinata, rispondere alla domande, vendere Villa Certosa. Col cavolo. Ha invece, come sempre, alzato il tiro, "elevato il livello dello scontro", come dicevano altri in altre situazioni. Non è solo il suo stile, il marchio di fabbrica dell'uomo, la lucida follia che lo porta a superare i momenti di crisi rilanciando, infilandosi in avventure apparentemente impossibili (Crollano i miei padrini politici, rischio il fallimento economico e la galera per corruzione? E io fondo un partito!). Oggi alzare ulteriormente il tiro è anche una necessità. Lui sa di essere arrivato alla partita finale, allo scontro mortale.

Sul piano politico, dove si è avviata una crisi che si annuncia lenta, ma potrebbe essere irreversibile, e che certo non può essere combattuta con fiori e sorrisi. E sul piano storico-giudiziario. È stato lui - uno dei pochi che sanno come sono andate davvero le cose - a dare il primo annuncio: «So che ci sono fermenti in procura, a Palermo e a Milano, si ricominciano a guardare i fatti del '93, del '94, del '92. Mi fa male che queste persone, con i soldi di tutti, facciano cose cospirando contro di noi, che lavoriamo per il bene del Paese». Era l'8 settembre, data storica per l'Italia, ma non è da questi particolari che si giudica uno statista (presunto). D'altra parte, anche il contesto non aiutava: come al solito, non c'entrava nulla (era all'inaugurazione della fiera del tessile a Milano). Eppure ha voluto toccare l'argomento, mandare il segnale. «Ci attaccano come tori inferociti, ma qui c'è un torero che non ha paura di nessuno». Attenti, annuncia B., so che cosa state tentando di fare.

I «fatti del '93, del '94, del '92»: sono la stagione in cui sono stati uccisi, con le loro scorte, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in cui sono state compiute le stragi a Firenze, Roma e Milano, in cui è morto il vecchio sistema politico e sono nati Forza Italia e la cosiddetta "seconda Repubblica". È il triennio fondativo dell'attuale sistema politico. Sono le radici del nostro presente. E sono radici che affondano in un terreno oscuro, in convulse e ciniche trattative tra poteri criminali, pezzi dello Stato, personaggi della politica, imprenditori. Per quella drammatica e ancora misteriosa transizione bagnata nel sangue delle stragi, Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri (Autore 1 e Autore 2, Alfa e Beta) sono già stati indagati a Firenze, a Caltanissetta, a Palermo. C'erano collaboratori di giustizia che hanno raccontato che Cosa nostra negli anni delle stragi ha trattato anche con Alfa e Beta, per poi puntare sui circoli della nascente Forza Italia. Le inchieste si sono chiuse con archiviazioni perché le dichiarazioni dei collaboratori non hanno trovato sufficienti riscontri.

A leggerle, quelle archiviazioni, vengono comunque i brividi: in un paese normale sarebbero state più che sufficienti per tenere lontani dalla politica i loro protagonisti. Sono passati molti anni. Oggi nuovi elementi e nuovi testimoni, tra cui il figlio del sindaco mafioso Vito Ciancimino, hanno fatto riaprire le indagini sul 92-93, su stragi e trattative. A Palermo, Caltanissetta, Firenze, Milano. Finora nessuno, né a Palermo, né a Caltanissetta, né a Firenze, né a Milano ha accennato a un nuovo coinvolgimento di Berlusconi nelle indagini. Lui però reagisce, come la gallina che ha fatto l'uovo. Gioca d'anticipo. Protesta. Annuncia che è in corso una cospirazione contro di lui. La risposta migliore gliel'ha data Gianfranco Fini: «Mai, mai, mai si deve dare l'impressione di non avere a cuore la legalità e la verità». Aggiungendo sornione: «Soprattutto se non si ha nulla da temere, come è per Forza Italia e certamente per Berlusconi». Aggiunta di Fini, il giorno dopo: «A differenza di altri, io non mi diletto con grembiulini e compassi». (12 settembre 2009)

«Poi certo, mi è capitato di andare
a qualche festa a villa Certosa, ma chi non c'è stato?»

(Carolina Marconi, nella foto)



La campagna d'autunno


B. ha già dato il via alla campagna d'autunno. Ha perso la pazienza: altro che rispondere alle domande e chiedere scusa: sferra un attacco forsennato all'informazione
, dalla Rai a Repubblica, dall'Unità all'Avvenire. Dopo i risultati elettorali non brillantissimi per lui alle europee e dopo le polemiche sulle escort, non gli bastano più i Mentana, i Giordano, i Riotta. Arrivano i Minzolini, i Feltri, i Signorini. Non gli è più sufficiente avere il controllo di cinque grandi reti su sei, non tollera più neppure la riserva indiana di Raitre, con quel Fabio Fazio, quella Luciana Littizzetto, quell'Enrico Bertolino. E soprattutto quella Milena Gabanelli... E poi basta lasciare inspiegabilmente mano libera, su Raidue, a Michele Santoro e soprattutto a Marco Travaglio. Gli uomini Rai hanno già annusato l'aria e hanno rifiutato persino un trailer, quello del documentario Videocracy. Intanto gli avvocati di Papi Silvio querelano le domande di Repubblica e i servizi dell'Unità.

Ma la furia censoria di B. esce dai confini nazionali e vorrebbe incredibilmente mettere a tacere anche i commissari europei e i loro portavoce, colpevoli di criticare talvolta le scelte del governo italiano: «Se le critiche continueranno», ha minacciato B. a Danzica (dove gli uomini di Stato pensavano alla guerra che ha fermato il nazismo, lui invece alla guerra personale che ha dichiarato alla libera informazione), «bloccheremo i lavori della Commissione europea, e chiederemo le dimissioni dei commissari». Gli risponde il presidente della Commissione José Manuel Barroso, che si dice «molto fiero» del servizio dei portavoce dell'esecutivo europeo, che «gode di tutta la mia fiducia e del mio appoggio». Augusto Minzolini, che aveva già dato ottima prova di sé oscurando le notizie sul caso Noemi e sulle escort, al Tg1 (3 settembre) riesce a riferire le dichiarazioni di Barroso senza spiegare che erano la risposta al suo padrone. È il suo metodo: raccontare le reazioni senza spiegare a che cosa reagiscono, così gli ascoltatori non capiscono niente.

Intanto Vittorio Feltri ha cominciato a sparare dalle pagine del Giornale di famiglia contro i "nemici" di Silvio, confondendo il giornalismo con il killeraggio per il padrone. Con la finezza che lo contraddistingue, ha messo in azione il ventilatore in cui inserisce lettere anonime e strane informative, per punire (colpirne uno per educarne cento) il direttore dell'Avvenire Dino Boffo, colpevole di aver riportato sul suo giornale, pur in modo prudentissimo, le critiche del mondo cattolico allo stile di vita del premier e alla politica anti-immigrati del suo governo. Per non restare troppo indietro, Libero diretto da Maurizio Belpietro se la prende a puntate con gli Agnelli (che oggi non fanno paura più a nessuno) per non parlare di altri imprenditori con storie meno archeologiche e più vicine a noi, da Berlusconi ad Angelucci (il padrone di Libero e del Riformista). Poi, per la serie "giornalismo punitivo", si va a sindacare sulla doppia cittadinanza di Carlo De Benedetti, colpevole di essere l'editore di Repubblica, e sull'acquisto della casa di Ezio Mauro, colpevole di esserne il direttore e di osare porre perfino delle domande - pensate! - a Berlusconi.

E adesso c'è chi chiede il "disarmo dei due fronti": come se raccontare notizie vere sul presente del presidente del Consiglio (che continua a mentire, usando alla grande anche il giornale più di regime che c'è: Chi, diretto da Alfonso Signorini) fosse la stessa cosa di far girare il ventilatore per vendetta sul passato dei "nemici" di Papi Silvio. Qualcuno anche a sinistra è disposto ad accettare questo strano "disarmo" che in realtà sarebbe resa e autocensura (Filippo Penati, per esempio, ha già detto: basta parlare della vita privata di B: come se le sue menzogne a proposito non fossero una questione squisitamente politica!). E Travaglio? La Rai berlusconizzata vuole contrapporgli, ad Annozero, un «commentatore di destra». Ma Travaglio è un "commentatore di sinistra"? Oppure è uno che racconta fatti che riguardano destra e sinistra e che in tv nessuno dice? E soprattutto: che follia è quella che, non curandosi di raccontare i fatti, riduce il pluralismo dell'informazione alla contrapposizione tra le opinioni? (3 settembre 2009)


Videocracy, la censura
Chi in Rai ha detto no al trailer ha ammesso che in Italia...

La visione di Videocracy, il film di Erik Gandini che sarà presentato al festival di Venezia, è sconvolgente perché tutto ciò che dice, tutto ciò che fa vedere è già ben conosciuto dagli italiani. Potrà stupire (o indignare, o inorridire, o far ridere) gli stranieri, ma non noi italiani: è la nostra vita, la nostra storia. Certo, fa impressione sentir cantare l'inno "Meno male che Silvio c'è", in un clima da regime al tempo stesso preoccupante e ridicolo. E fa impressione vedere il telefonino di Lele Mora che suona "Faccetta nera" con video di svastiche e croci celtiche. Il resto però lo conosciamo bene, lo abbiamo visto svilupparsi giorno per giorno, anno dopo anno. Ma proprio per questo è sconvolgente: poiché siamo dentro questa storia, essa non ci stupisce più, non c'indigna, non ci sconvolge; ma ecco arrivare un film made in Sweden che ci mette davanti a uno specchio e ci fa risvegliare dall'incanto, ci fa tornare a vedere in che situazione viviamo.

E meno male che ci sono gli uomini della Rai e di Mediaset a mettere nero su bianco la verità: sì, le motivazioni con cui i dirigenti della tv pubblica e privata hanno rifiutato il trailer di Videocracy sono da scolpire sulla pietra. Perché dicono, paradossalmente, la verità e accentuano la scossa provocata da questo film. Mediaset boccia il trailer sostenendo che è un attacco alla tv commerciale (dando per scontato dunque che la tv commerciale sia direttamente uno strumento politico, anzi partitico). La Rai fa di più. Per la Rai il trailer è da censurare perché è un «inequivocabile messaggio politico di critica al governo», dato che alterna immagini del film con dati statistici tipo «l'Italia è al 67mo posto nelle pari opportunità»; oppure: «l'80 per cento degli italiani utilizza la tv come principale fonte di informazione». È da censurare perché collega «la titolarità del capo del governo alla principale società radiotelevisiva privata» e dunque ripropone - pensate un po'! - la questione del conflitto di interessi. È da censurare perché il film potrebbe far pensare che «attraverso la tv il governo potrebbe orientare subliminalmente le convinzioni dei cittadini influenzandole a proprio favore ed assicurandosene il consenso».

È da censurare infine anche perché non accenna al caso Noemi e alle escort (per forza, il film è stato finito prima che scoppiasse lo scandalo), ma mostra programmi «caratterizzati da immagini di donne prive di abiti e dal contenuto latamente voyeuristico delle medesime» e dunque «determina un inequivocabile richiamo alle problematiche attualmente all'ordine del giorno riguardo alle attitudini morali» di Berlusconi «e al suo rapporto con il sesso femminile, formulando illazioni sul fatto che tali caratteristiche personali sarebbero emerse già in passato nel corso dell'attività di imprenditore televisivo». Non è straordinario? Il solerte funzionario Rai, più realista del suo re, imputa al film di essere profetico e di far pensare gli spettatori. Certo che, mentre il tempo passa, la situazione peggiora: un tempo il regime censurava i film e i programmi (da quello di Daniele Luttazzi a "Raiot" di Sabina Guzzanti, dal "Caimano" a "Viva Zapatero"). Oggi non sopporta neppure i trailer.

E intanto succedono altre cose: il capo del governo querela un giornale, Repubblica, solo perché si permette di fargli domande; il suo giornalista di fiducia per i momenti di difficoltà (Vittorio Feltri) lo vendica attaccando in maniera ignobile il direttore di Avvenire che si era permesso di riportare le critiche del mondo cattolico allo stile di vita del presidente del Consiglio; e Berlusconi, per non avere critiche in Europa, si spinge perfino a chiedere il silenzio dei commissari europei, pena il loro licenziamento. All'inizio c'erano i lustrini luccicanti delle tv mostrati da Videocracy. Oggi sotto quei lustrini si intravede sempre più chiaramente la vocazione irresistibilmente autoritaria di Berlusconi. (29 agosto/1 settembre 2009)

Lega, campagna d'estate
Sulla pelle dei naufraghi. Ma rivendicando una laicità che a sinistra si sognano

La campagna d'estate della Lega, contro gli sbarchi e per i "respingimenti" dei disperati che arrivano per mare sulle coste italiane, si sta dispiegando con almeno due risultati.

1. Il primo è quello di far assumere alla Lega la leadership di fatto, dentro il centrodestra e dentro il governo Berlusconi, delle politiche sull'immigrazione e sulla sicurezza, parte importante ed elettoralmente determinante della politica tout-court del centrodestra. Ma direi di più: le posizioni su clandestini e sbarchi fanno assumere alla Lega, più in generale, la leadership "culturale" del centrodestra. Sono Bossi, Calderoli e soci a dare il tono alla destra italiana, a connotarla con spietata precisione. Creando quello che l'ex ministro Giuseppe Fioroni chiama "cinismo di popolo", diffondendo cioè l'idea che gli immigrati si meritino tutto ciò che subiscono, compresi i processi dopo i naufragi e i naufragi senza salvataggio (mai in mare si era vista una cosa simile).
Il gioco estivo di Bossi jr, Renzo (detto dal padre la Trota: Delfino sembra troppo anche a papà), e cioè "Rimbalza il clandestino", lanciato su Facebook, non è soltanto una ragazzata: è coerente con la politica della Lega e più potente di cento editoriali.

2. Il secondo risultato ha a che fare con la laicità e i rapporti con la Chiesa cattolica. «I vescovi fanno il loro mestiere e noi facciamo il nostro», ha detto Bossi. Una frase che a sinistra si sognano. Sì, perché la Lega, sulla battaglia (sbagliata e razzista) dei respingimenti, coglie l'occasione per fare una battaglia (giusta) sulla laicità dello Stato e della politica. Ha ragione quando rivendica (seppur rozzamente) la libertà di dire e di fare ciò che ritiene politicamente più opportuno, senza interferenze del Vaticano e dei vescovi italiani. Semmai mostra tutta la strumentalità del suo agire quando invece alza la croce come vessillo politico della sua crociata anti-islam, o dice che a Milano non si devono costruire moschee perché in periferia mancano tante chiese. Ma è il mondo cattolico (o meglio: una parte di esso) a cadere nella trappola: quando accetta tutto della destra (dal razzismo di Bossi alle escort di Papi Silvio) pur di avere una legislazione in linea con la dottrina cattolica su famiglia, bioetica, finevita, scuola... Un baratto cinico come chi lo concede.
Così i ragazzi di Cl hanno applaudito al Meeting di Rimini le dichiarazioni "moderate" (in quel caso) di Roberto Calderoli. È la dimostrazione di un pregiudizio positivo nei confronti della Lega che tra i cattolici (o meglio: tra una parte di essi) fa valorizzare le aperture "ragionevoli" e dimenticare la sostanza: quel "cinismo di popolo" che la Lega diffonde ogni giorno con scelte e dichiarazioni, parole e fatti, oltre che giochini su Facebook, imbellettandolo appena con qualche furba dichiarazione d'occasione davanti a una platea cattolica, per rivendicare subito dopo una autonomia e una laicità che la sinistra si sogna. (26 agosto 2009)


I padroni della sanità
In Lombardia Formigoni e soci si spartiscono gli ospedali     

Giancarlo Cesana, ex leader di Cl, presidente della Fondazione Policlinico. Alessandro Moneta, Forza Italia ora Pdl, presidente del San Matteo di Pavia. Carlo Borsani, An ora Pdl, presidente dell'istituto Besta. Antonio Colombo, Lega nord, presidente Fondazione Istituto dei tumori. Ciliegina sulla torta: Paolo Cirino Pomicino proposto nel cda del San Matteo. Un premio al plurinquisito di Tangentopoli che in quell'ospedale ha ricevuto il trapianto di cuore e ora ci potrebbe tornare come consigliere d'amministrazione. (15 luglio 2009)    

Scherzi da prete

Roberto Balducci, vaticanista del Tg3, fa una battuta sul papa, dicendo che in Val d'Aosta lo aspettano anche due gatti, «che gli strapperanno un sorriso almeno almeno quanto i proverbiali quattro gatti , forse un po' di più, che hanno il coraggio e la pazienza di ascoltare ancora le sue parole». Una battuta per niente irriguardosa. Ma sufficiente, nel regime vatican-talebano, a far cacciare Balducci. «Volgare deriva anticlericale», la definisce Giorgio Merlo del Pd, che deve aver sentito un altro servizio (o forse aveva fumato). Colta la palla al balzo per cacciare anche l'incolpevole direttore del Tg3, Antonio Di Bella, che ha ben altre colpe: ha raccontato nel suo tg le escort di papi Silvio e l'inchiesta di Bari, ha fatto le pulci alla ricostruzione in Abruzzo. Intollerabile che un po' di giornalismo resista nella tv italiana! (15 luglio 2009)  

Craxi l'innovatore (secondo Veltroni)

Ennesimo incontro su Bettino Craxi, il 14 luglio 2009 a Roma. Walter Veltroni non perde l'occasione e si lancia in elogi sperticati del leader socialista: per la sua politica estera (sempre Sigonella, la difesa di un terrorista ogni volta esibita con orgoglio, senza mai ricordare che poco dopo Craxi, in segreto, concesse agli Usa la stessa base per bombardare la Libia). E per la sua capacità d'innovazione: «solo lui capì davvero la società». Gongolono i socialisti presenti e anche i piduisti (tra cui Gustavo Selva). Amnesia di Veltroni sui processi del pregiudicato Craxi e sulla sua latitanza: e va be', ormai le condanne son medaglie; ma anche sul suo sostegno totale a Berlusconi imprenditore che ha posto le premesse per il trionfo di Berlusconi politico; e sulla mutazione genetica del Psi craxiano che dopo la fase libertaria dei meriti e dei bisogni, quando si è accorto che non riusciva a vincere la sana gara a sinistra con il Pci di Berlinguer, si è arroccato nell'alleanza-competizione con il peggio della Dc, spartendo-contendendo il potere dentro il Caf e la P2. Ad ogni costo, oltre ogni soglia di legalità e di decenza. Valeva tutto: dall'alleanza con la P2 al segreto di Stato sulle stragi, dal conto Protezione alla tolleranza per qualche amicizia mafiosa, fino alla costituzione di un sistema scientifico di tangenti sui lavori pubblici e sulle aziende di Stato. Innovazioni radicali, certamente, per la tradizione socialista. Mentre quella vecchia mummia di Berlinguer parlava, figuratevi, di mani pulite e di questione morale... (15 luglio 2009)

Le figlie di Papi

«Non stupisce che tutte le grazioline e le certosine usassero chiamare il sultano Papi. Perché è vero che le puttane sono sempre esistite, ma quel genere preciso di zoccolette tutte uguali da tv locale smaniose di finire in un programma della De Filippi le ha create lui, sono tutte figlie sue, e loro lo sanno. Come possono chiamarlo se non Papi ? Da un punto di vista estetico e psicologico si tratta di un incesto». Gaddamer, lettera a Dagospia (15 luglio 2009)


Basso impero



A seguito di un bonario accordo intervenuto con l’europarlamentare On. Licia Ronzulli, che ha deciso di rimettere la querela già presentata nei miei confronti innanzi la Procura di Milano, in questo articolo è stata oscurata una sua foto e sono state cancellate alcune righe di testo da lei ritenute diffamatorie. Per mio conto, voglio precisare che mai, nel mio articolo intitolato “Basso Impero”, qui riportato, ho inteso affermare che l’On. Ronzulli abbia svolto il ruolo di maitresse con riferimento ad alcune feste tenutesi presso la villa dell’allora Presidente del Consiglio, ovvero che la stessa sia stata, in alcun modo, coinvolta in attività non lecite connesse a tali eventi. Se l’on. Ronzulli ha ritenuto il mio articolo offensivo della sua persona, mi spiace, perché non era assolutamente nelle mie intenzioni dare ad alcune dichiarazioni, apparse sulla stampa, un tale significato. Per evitare ulteriori equivoci ho provveduto ad eliminare tali dichiarazioni dall’articolo. (Gianni Barbacetto)

Il satrapo anziano, l'utilizzatore finale, l'uomo col cerone in faccia s'incammina tristemente verso il declino. Non sappiamo quanto durerà questa agonia, ma sappiamo che è già iniziata e che è irrevesibile. Per quanto si sforzerà di dimostrarsi un uomo di Stato, chi lo guarda avrà sempre in mente le immagini delle feste a Palazzo Grazioli o a Villa Certosa, la ragazzina minorenne che viene da Casoria, l'harem delle squillo di lusso che lo chiamano "papi", le farfalline in regalo per tutte, il ballo stretto con la escort "Alessia", il lettone dove lei lo ha aspettato e dove ha passato la notte con lui.

Fatti privati? Gossip? Complotto internazionale? I suoi dipendenti e i suoi servi, politici e giornalisti, ripetono il ritornello. Ma restano i fatti. Certo: il Tg1 di Augusto Minzolini, lo Squalo diventato acciuga, non li racconta. Certo: Alfonso Signorini, sugli house organ di famiglia (scusate la parola), "Chi" e "Il Giornale", tenta di mostrare un nonno affettuoso dall'immagine irreprensibile. Ma i fatti resistono perfino alla poderosa propaganda di regime.

C'è uno strano imprenditore barese, Gianpiero Tarantini, che procura appalti per sé e affari per altri con una intensa attività di lobbing a suon di sesso e droga, prostitute e cocaina. Riesce a diventare amico del presidente del Consiglio, inviandogli frotte di ragazze disponibili a fare da cornice alla sua vecchiaia di uomo potente e solo. Fatti privati, come dicono i servi? No, per molti motivi, che elenchiamo in ordine di peso crescente.

1. Il presidente del Consiglio non è un privato cittadino, che può fare nel suo letto ciò che vuole: è un uomo pubblico, deve avere uno stile di vita sobrio, adeguato al suo ruolo.

2. Deve mostrarsi anche coerente con i principi che professa: se si proclama cattolico e vuole i voti dei cattolici, non può contraddire troppo palesemente la morale cattolica.

3. Tarantini è un imprenditore il cui fine è realizzare affari, fare soldi: se il presidente del Consiglio accetta, come "utilizzatore finale", le ragazze che lui gli manda, poi per "ringraziarlo" dovrà dare in cambio qualcosa. Contatti? Appalti? Entrature? Ma questo scambio, se c'è, ha un nome: corruzione.

4. I comportamenti sessuali di una persona restano privati solo finché non interferiscono con il suo ruolo pubblico e istituzionale. Nel caso di "papi", le interferenze sono molteplici: ha chiesto assunzioni in Rai (tramite Saccà) per compensare le sue amichette; ha promesso candidature elettorali e carriere politiche a ragazze che lo avevano compiaciuto (alcune candidature sono state confermate, altre bloccate solo dopo le critiche di Fini e la denuncia di Veronica; del resto, anche la escort Patrizia D'Addario, in arte "Alessia", è stata candidata alle elezioni a Bari nella lista "La Puglia prima di tutto"; stesso onore a Barbara Monteleone); l'interferenza degli affari privati (di letto) su quelli pubblici è provata anche da episodi come quello accaduto la notte del 4 novembre 2008: "papi" ha preferito trattenersi con le squillo piuttosto che andare, come programmato, all'ambasciata americana nella notte in cui Obama è diventato presidente degli Stati Uniti.

5. Un uomo che ha incarichi istituzionali non deve mai mettersi in condizione di essere ricattabile. Perché ne andrebbero di mezzo non gli affari suoi, ma gli affari di Stato. Un uomo di Stato ricattabile è un pericolo per le istituzioni. E quanta ricattabilità si incontra nelle vicende di "papi", dalle telefonate dell'inchiesta Saccà (per esempio quelle tra Evelina Manna e Elena Russo) fino alle escort baresi.

In questo clima da basso impero, tra una festa e l'altra in stile brianzolo-briatoresco, la crisi economica continua, la disoccupazione sale, il pil scende. Per evitare il ridicolo, oltre che l'ingorgo in Parlamento, la maggioranza di governo ha fatto slittare a settembre la discussione della nuova legge sulla prostituzione, che punisce anche il cliente delle prostitute (l'«utilizzatore finale»). Va avanti invece sulle intercettazioni, con la tentazione di utilizzare la nuova legge-bavaglio per bloccare anche l'indagine di Bari.

Questo è gossip o politica? (25 giugno 2009)


SILVIO CHE CASINO
IMPRESENTABILE. Recita la parte dell'uomo di Stato. Ma scivola continuamente. Corrompe il testimone David Mills. Candida le veline. Porta nani e ballerine di flamenco sugli aerei di Stato. Mente sulla minorenne Noemi. Subisce la "scossa" dei festini con squillo di lusso a Palazzo Grazioli e a villa Certosa. Blatera sul "golpe", ma qualunque indagine su qualunque reato - a Milano, a Roma, a Napoli o a Bari - finisce per arrivare a lui, in un clima di crollo dell'impero. È l'uomo più sfortunato del mondo, o il più impresentabile d'Italia?

Oil for food, la condanna. Formigoni,
dove sono finiti i soldi di Saddam?

C'è una sentenza a cui sono stati dedicati solo brevi trafiletti sui giornali. Eppure coinvolge un politico di prima grandezza, che punta addirittura alla successione di Silvio Berlusconi. La sentenza è quella del processo "Oil for food", il politico è Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia. Ricordate la vicenda? È lo scandalo scoppiato nel 2004, quando sono emersi i fiumi carsici di tangenti pagate all'ombra del programma delle Nazioni Unite "Oil for food", nato per addolcire l'embargo all'Iraq di Saddam Hussein permettendo di scambiare oil, cioè petrolio, con food, cibo e medicine. Un'indagine americana ha certificato che, sotto l'ombrello protettivo di quel programma Onu, Saddam assegnava contratti petroliferi a prezzi di favore in cambio di robuste mazzette impiegate per sostenere il regime. Poi, dopo l'invasione Usa, quei soldi sono finiti a finanziare la guerriglia e il terrorismo. Coinvolti nel gioco, grandi compagnie e piccoli trader petroliferi, ma anche singole persone ed esponenti politici di una cinquantina di Paesi del mondo.

Tra questi, Roberto Formigoni che, in nome della sua amicizia con il cristiano Tareq Aziz, braccio destro di Saddam, ha ricevuto contratti per 24,5 milioni di barili: la più massiccia tra le assegnazioni fatte a soggetti italiani. Poiché Formigoni non fa il petroliere, i contratti sono stati gestiti da aziende suggerite dal governatore: la Cogep della famiglia Catanese e la Nrg Oils di Alberto Olivi. Così una piccola impresa come la Cogep si è trovata di colpo a passare dalle autobotti alle petroliere. In cambio, secondo l'inchiesta sviluppata a Milano dal pm Alfredo Robledo, avrebbe pagato tangenti per 942 mila dollari in Iraq e 700 mila a mediatori italiani. La Nrg Oils avrebbe pagato invece almeno 262 mila dollari. I Catanese (benché la loro Cogep fosse già stata coinvolta nello scandalo dei petroli e i suoi titolari fossero già stati condannati nel 1982 per contrabbando internazionale) sono tra i fondatori della Compagnia delle Opere, l'associazione d'imprese promossa da uomini di Cl, e questo è bastato, evidentemente, per far scattare la segnalazione di Formigoni a Saddam. A partire dal 1997, Saddam e Aziz concedono succulenti contratti alla piccola Cogep, che "ringrazia" Formigoni versando dal 1998 al 2003 oltre 700 mila dollari sui conti di una società estera, la Candonly, controllata da Marco Mazarino De Petro, il fiduciario di Formigoni per i rapporti con l'Iraq di Saddam. Come giustifica De Petro tutti quei soldi? «Sono il compenso per la mia consulenza». Ma è difficile capire in che cosa sia consistita quella consulenza, visto che De Petro può esibire soltanto una relazione stilata nel 1996, tre paginette dalla sintassi difficile, in cui strologa di un «accordo petroil for food».

Ora è arrivata la sentenza. La prima condanna europea per quello scandalo: due anni di carcere a De Petro, in primo grado, per corruzione internazionale di funzionari dello Stato; condannati anche Andrea Catanese e Paolo Lucarno, uomini della Cogep. E Formigoni? Era già da tempo uscito dall'inchiesta. Ma a prescindere dal piano giudiziario, le responsabilità morali e politiche delle azioni di Mazarino De Petro ricadono su di lui. Come Berlusconi per il caso David Mills: lì, se Mills è il corrotto, Berlusconi è il corruttore; in Oil for food, se Mazarino De Petro è il corruttore, la responsabilità morale e politica del suo operato è del politico per conto del quale De Petro operava, cioè Formigoni. È semplice e chiaro. Qualcuno l'ha detto? Qualcuno l'ha scritto? E ancora: Candonly era una società riferibile di fatto ai Memores Domini, il "gruppo adulto" di Comunione e liberazione di cui Formigoni è l'esponente più in vista. Dove sono andati a finire i soldi di Candonly? Chi li ha utilizzati? Perché Formigoni non lo spiega? E perché nessuno glielo chiede? (12 giugno 2009)

Per saperne di più: Il codice De Petro >>>

Il Piano di Rinascita Democratica
(da "Drive In") di Velardi e Rondolino

Quando qualcuno, nei secoli venturi, vorrà cercare di capire perché la sinistra italiana nei primi anni del terzo millennio era conciata così male, dovrà occuparsi delle gesta di Bibì e Bibò. Ossia «fr&cv», ovvero Fabrizio Rondolino e Claudio Velardi. E di un documento che sarà, per gli studiosi della sinistra tra duemila anni, come i rotoli del Mar Morto per gli studiosi della Bibbia. >>>

La cantante, l'attore, il pianista,
l'onorevole e il maggiordomo


Comico involontario l'avvocato on. Ghedini sulla Repubblica di domenica 7 giugno, parlando degli ospiti di Papi sui voli di Stato: «Oltre alla scorta c'era Mariano Apicella, la cantante Maria Adelina, l'attore Antonio Murro, il pianista Danilo Mariani e l'onorevole Valentini. Nello staff del presidente c'era anche uno dei due maggiordomi di Berlusconi a Palazzo Chigi. E naturalmente non sono costati un soldo in più al contribuente". La cantante, l'attore, il pianista, l'onorevole e il maggiordomo. Fotografia perfetta dell'attuale Repubblica Italiana. Roberto da Rifredi, lettera a Dagospia (8 giugno 2009)

Se questo è gossip

«Basta con una campagna elettorale fatta sulle veline e non sui problemi della gente»: con parole quasi identiche, Paolo Ferrero (Rifondazione comunista) e Pierferdinando Casini (Udc) ribadiscono lo stesso concetto, che è poi quello ripetuto in questi giorni da Silvio Berlusconi: mi attaccano per mie vicende private perché non hanno argomenti politici. Sono fatti privati. Gossip. Privati? Sono private le vicissitudini di un satrapo anziano che frequenta minorenni, organizza festini ingaggiando decine di ragazze, impiega l'aereo di Stato per portare alle feste in Sardegna il suo giullare di corte e ballerine di flamenco, usa gli agenti dei servizi segreti della sua scorta come accompagnatori di veline, pretende posti nella tv pubblica per le sue amiche, premia veline e amichette con un posto - a scelta - in televisione o in politica? E soprattutto: è un fatto privato che il sultano menta, menta, menta ripetutamente per non far conoscere ai cittadini i suoi comportamenti "privati"? Che siano comportamenti di rilevanza politica è chiaro: è politico e non privato il criterio con cui si scelgono le candidate alle elezioni; è politico e non privato usare la tv pubblica come premio per le favorite; è politico e non privato usare per i propri comodi aerei di Stato e agenti segreti; è politico e non privato - soprattutto - mentire ripetutamente al paese.

Un paese normale avrebbe già deciso: uno così non può governare l'Italia e non la può rappresentare all'estero. E i commenti dei quotidiani stranieri ci ricordano la normalità perduta. In un paese normale, a crollare sarebbero stati la sua credibilità, il sostegno della sua stessa classe politica, il consenso dei cittadini. Ma lui non ha attorno a sé una classe dirigente, bensì una corte: sa la verità, in privato magari ritiene almeno discutibili i suoi comportamenti, ma in pubblico li deve difendere, per non essere epurata. E di fronte non ha cittadini: elettori sì, e ancora tanti; sostenitori, fan. Amano il sultano che spergiura sulla testa dei suoi figli, che fa le smorfie alla parata del 2 giugno e continuano ad amarlo ad ogni prova. Processi, leggi ad personam, gaffe in Italia e all'estero, condanne dei suoi dipendenti per comportamenti suoi, menzogne: ciò che gli elettori non hanno sopportato in Craxi (le tangenti, i nani e le ballerine) piace se fatto da Berlusconi; ciò che non hanno perdonato a Mastella (il volo sull'aereo di Stato) lo accettano da Silvio. Certo: è poderosa la controffensiva mediatica per far accettare al pubblico ogni cosa, per inquinare, confondere, ribaltare, oscurare, trasformare, imbellettare... In un paese normale (vedi Times, Libération, Financial Times, Bild e via elencando), i giornalisti racconterebbero la verità, ripeterebbero all'infinito le domande sulle storie "private", non troverebbero niente da ridere, o da ammiccare, in una vicenda che è politica e non gossip.

In Italia, invece, le contestazioni e i fischi al satrapo anziano - che ormai si ripetono a ogni sua uscita pubblica - vengono accuratamente nascosti. In Italia un giornalista di Panorama corre a portare al suo padrone le foto che non piacciono al suo padrone, perché possa sporgere denuncia e renderle impubblicabili. In Italia il direttore di quel settimanale rifiuta le immagini del padrone a Villa Certosa, proprio lui che aveva irriso un collega (Pino Belleri, direttore di Oggi) per non aver pubblicato le foto di Silvio Sircana («Io invece le ho messe in prima pagina perché faccio solo il giornalista», aveva detto allora Maurizio Belpietro). Del resto, anche una parte dell'opposizione è cieca davanti al satrapo, non coglie la portata politica dei suoi comportamenti privati, oppure addirittura invidia la capacità del sultano di stare con il popolo (vedi Ritanna Armeni: «La sinistra esca dai salotti e frequenti di più i compleanni delle ragazze del popolo»), non cogliendo che la qualità di quello stare trasforma un popolo di cittadini in pletora di sudditi. (3 giugno 2009)

Conflitto d'interessi?

Sentite questa. Il sindaco di Rho, Roberto Zucchetti, Pdl, è stato intervistato sul conflitto d'interessi di Diana Bracco, che è presidente dell'Expo ma anche proprietaria della Bracco, che controlla un'area attigua all'Expo 2015 di Milano dove dovranno sorgere alberghi, uffici e residenze. «Ma perché lei mi dice che c'è un conflitto d'interessi e non una convergenza d'interessi? Il conflitto c'è quando vogliamo due cose diverse. Se vogliamo la stessa cosa, non c'è conflitto!». Chiaro? (26 maggio 2009)

Complottisti quotidiani

1. Attenti! C'è un complotto in corso contro Berlusconi. Ve lo dice Libero , che da giorni batte e ribatte sull'argomento. Chi sono i protagonisti del complotto: i magistrati, Di Pietro, i comunisti, Repubblica, il fidanzato di Noemi? Ma no! È il presidente degli Stati Uniti Barak Obama, in combutta con Gorbaciov. Non mettetevi a ridere. Libero lo sta scrivendo da giorni. In prima pagina, giovedì, titolava: «Obama come Giuda». Ecco la trama del complotto: il presidente degli Stati Uniti ha ricevuto Gorbaciov (è vero, lo ha incontrato due mesi fa alla Casa Bianca), sapete perché? per convincerlo a far saltare l'asse su cui si regge la politica estera dell'Italia, e cioè l'asse Putin-Berlusconi.
Non è divertente? Peccato che Libero lo scriva seriamente. Nella paranoica ricostruzione del quotidiano di Feltri ci sono solo due cose vere: la prima è che effettivamente Obama snobba Silvio; la seconda è che un asse Berlusconi-Putin c'è davvero, dato che Silvio apprezza «l'amico Putin», il suo stile di comando e gli affari privati che spera di ricavare dal rapporto con lui - alla faccia di Anna Politkovskaya e dei diritti umani in Russia.

2. C'è un complotto anche contro il Pd. Protagonista non Giuda, ma Nicodemo. Lo racconta oggi Andrea Romano su un giornale che se ne intende, il Riformista : nel Pd si sta affermando il Nicodemismo, cioè la tendenza a non votare Pd di alcuni dirigenti del Pd che pure fanno campagna elettorale per il Pd. Nicodemo era il fariseo che di notte andava di nascosto ad ascoltare Gesù, mentre di giorno esibiva un rigoroso rispetto dei precetti ebraici. Il "Nicodemismo democratico" segnalato da Andrea Romano è di quelli che di giorno fanno campagna elettorale per il Pd e di notte invece lo boicottano, sperando in un disastro elettorale da cui arrivi uno scossone che permetta finalmente la rifondazione e il rilancio del Pd. Certo che se non ci credono nemmeno loro... Più che Nicodemismo, comunque, è tafazzismo strategico, combinato con il cinismo di casta. È, a essere ancora più chiari, guerra per bande: di chi spera che la caduta di un leader apra la via a un altro leader. Da anni si fanno i dispetti a vicenda, non hanno ancora capito di essere tutti sul Titanic. (23 maggio 2009)

Tre asterischi

Asterisco 1. «Berlusconi-magistrati, sale lo scontro»: è il titolo in prima pagina del Messaggero di oggi, ma di «scontro» tra magistrati e Berlusconi parlano anche molti altri giornali e tv. Scontro? Per fare uno scontro (come anche una «rissa», o una «guerra»...) bisogna essere in due. Qui invece ci sono giudici che hanno emesso una sentenza in nome del popolo italiano e un presidente del Consiglio che attacca, inveisce, aggredisce, offende, non riconosce e delegittima l'ordine giudiziario: una mossa eversiva.

Asterisco 2. Lo scrive anche Carlo Federico Grosso sulla Stampa («L'arbitro non va mai fischiato»), nel miglior commento di oggi sulla sentenza Mills-Berlusconi: «Non è consentito a nessuno reagire con il vituperio e l'aggressione se un arbitro decide in modo contrario ai suoi auspici o ai suoi interessi». Peccato che Grosso scivoli su un altro imputato eccellente, quando scrive che «Andreotti è stato in passato, ingiustamente, accusato di attività mafiosa». C'è un «ingiustamente» di troppo: infatti ad Andreotti, processato per mafia, è stato prescritto il reato «commesso» (dice la sentenza) «fino alla primavera 1980». Dunque non assolto, ma prescritto.

Asterisco 3. Ricordate il magistrato Henry Woodcock, quello che fa indagini che si «sgonfiano come bolle di sapone»? Quando le sentenze gli danno ragione, confermando le sue inchieste (altro che bolle di sapone) nessuno lo scrive. È successo di nuovo pochi giorni fa: condannato in primo grado (a due anni e otto mesi, con interdizione ai pubblici uffici) l'ex segretario generale della Farnesina, Umberto Vattani, oggi presidente dell'Istituto per il commercio estero. Woodcock lo aveva beccato a fare ore e ore di telefonate erotiche con i cellulari di servizio, per migliaia di euro, quando era a Bruxelles come capo della rappresentanza italiana presso l'Ue. Adesso arriva la condanna per peculato. Ma non la sospensione dal suo incarico pubblico (da cui gestisce 17 rappresentanze in Italia e 115 in 87 paesi del mondo): salvato dal ministro Claudio Scajola che non lo ha rimosso; e dalla commissione Industria del Senato, in cui il centrodestra ha votato a suo favore e l'opposizione si è astenuta (!). (21 maggio 2009)

Chi ha paura della commissione antimafia?
Bocciata come "inutile", nella Milano «capitale della 'Ndrangheta»

Quando, fra dieci o vent'anni, si racconterà la storia di questi strani tempi nella Milano che aspettava l'Expo, si dovrà spiegare che il consiglio comunale nel 2009 votò all'unanimità la costituzione di una commissione antimafia, poi la maggioranza ci ripensò, ne impedì il funzionamento e infine votò di nuovo, decretandone a maggioranza l'eutanasia. Questa commissione non s'ha da fare. >>>

Una sentenza che vale tre (anzi quattro)
David Mills e i mantra di Silvio

19 maggio 2009

Una sentenza che vale tre Uno dei mantra che Berlusconi ripete è: non sono mai stato condannato, sono sempre stato assolto. È falso, perché molte "assoluzioni" sono in realtà proscioglimenti per prescrizione o per amnistia o per leggi ad personam. Ma ora le motivazioni della condanna al suo avvocato britannico David Mills ci fanno capire il Metodo Silvio per conquistare le "assoluzioni". Dice la sentenza: «Emerge con chiarezza che le deposizioni di Mills nei procedimenti n. 1612/96 e 3510+3511/96 erano state quanto meno reticenti».

1. «Nel primo procedimento, "Guardia di Finanza", è stato accertato, in maniera definitiva, il fatto storico di cui lì si trattava: che cioè la Guardia di Finanza era stata corrotta e che le somme erano state pagate affinché non venissero svolte approfondite indagini in ordine alle società del Gruppo Fininvest e non ne emergesse la reale proprietà (...). In esito a tre gradi di giudizio, non sono stati ritenuti sufficienti gli indizi del collegamento diretto fra i funzionari corrotti e Silvio Berlusconi, collegamento invece definitivamente provato rispetto ad altro dirigente di Fininvest, Salvatore Sciascia, responsabile del servizio centrale fiscale della società, condannato con sentenza irrevocabile». Dunque: le tangenti alla Guardia di Finanza sono state pagate. Ma Berlusconi non è stato condannato perché il testimone Mills è stato pagato per dire il falso o tacere il vero.

2. «Nel secondo procedimento, "All Iberian", i fatti relativi all'illecito finanziamento a Bettino Craxi da parte di Fininvest tramite All Iberian sono definitivamente provati, visto che la sentenza di primo grado, di condanna dei vertici della società e fra essi di Silvio Berlusconi, non è stata riformata nel merito, ma per intervenuta prescrizione. All Iberian e le società offshore collegate erano state costituite su iniziativa del Gruppo Fininvest; All Iberian era stata utilizzata quale tesoreria delle altre offshore inglesi costituite per conto del medesimo Gruppo e dallo stesso finanziate tramite Principal Finance. La massa di prove poste alla base del giudizio era imponente, ed esse erano state offerte anche da Mills, che però aveva eluso le domande relative alla proprietà delle società offshore, in particolare Century One e Universal One, né aveva prodotto documentazione specifica sul punto». Dunque: la tangentona miliardaria All Iberian a Craxi è stata pagata. Ma Mills (il costruttore dell'architettura societaria offshore della Fininvest, da All Iberian a Century One), pagato anche qui per dire il falso o tacere il vero, ha coperto Berlusconi non dicendo che quelle società, da cui la tangentona è partita, erano parte integrante della Fininvest di Silvio Berlusconi.

La sentenza Mills, insomma, pesa su Berlusconi tre volte: afferma che ha corrotto il testimone David Mills (uno); ricorda che ha imbrogliato le carte nel processo "Guardia di Finanza" (due) e nel processo "All Iberian" (tre). C'è anche un'ulteriore ricaduta: la sentenza ricorda che nel processo "Guardia di Finanza" le tangenti «erano state pagate affinché non venissero svolte approfondite indagini in ordine alle società del Gruppo Fininvest e non ne emergesse la reale proprietà, e che l'azione era stata commessa al fine di eludere le disposizioni della legge Mammì in tema di concentrazione di mezzi di diffusione di massa». Ossia: le mazzette servivano a non far scoprire alla Guardia di Finanza che Telepiù era di Berlusconi, anche se apparentemente controllato da prestanome messi lì per aggirare la legge Mammì (che proibiva il controllo di una pay tv a chi già possedeva ben tre reti). Dunque (quattro) Berlusconi ha aggirato la legge Mammì e controllato illegalmente tre reti terrestri più le tre reti Telepiù. Ma niente paura: Silvio è salvato dal Lodo Alfano che lo rende improcessabile e da un altro mantra: è giustizia a orologeria, tutto un attacco dei giudici politicizzati.

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