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La guerra segreta del Supersismi

Marco Mancini si era impossessato del servizio di sicurezza militare, imponendo i suoi uomini. Disponibili anche a “operazioni non ortodosse”, come il rapimento Cia di Abu Omar. E costruendo una grande macchina di potere. Con un fiume di intercettazioni abusive e una rete di giornalisti

di Gianni Barbacetto e Mario Portanova

“Servizi segreti deviati”. L’espressione fa parte ormai del repertorio con cui Elio e le storie tese raccontano - con più intelligenza dei sociologi e dei politici, e con più ironia - l’Italia e i suoi luoghi comuni. Eppure, eccoci ancora qua. Eccoci ancora ai “servizi segreti deviati”. La parola magica, “deviazione”, la pronuncia il 9 luglio uno che se ne intende, Luciano Violante. Nel 1974 li ha incontrati sulla sua strada, i “servizi segreti deviati”, quando era magistrato e indagava sul golpe bianco di Edgardo Sogno e sui sogni neri di quella parte del Paese che, in nome della guerra contro il comunismo, aveva messo in conto di non curarsi troppo della legge, dei diritti dei cittadini e delle regole della democrazia. Era la stagione delle stragi, dei colpi di Stato progettati e minacciati, dei depistaggi. Allora l’indagine gli fu strappata, come succedeva quasi sempre, e finì insabbiata. Oggi tira tutta un’altra aria. È caduto quel muro, là a Berlino, più forte perfino della maledizione che teneva lontana l’Italia dalla Coppa del mondo. E i servizi segreti italiani, cambiato il nome per l’ennesima volta, sono democratici e godono della fiducia di uomini di destra e di sinistra, perfino di estrema sinistra.

Eppure, quella parola maledetta, “deviazione”, torna a farsi sentire. Mercoledì 5 luglio 2006  stato arrestato il numero due del Sismi, il servizio segreto militare. Marco Mancini sapeva da tempo di avere il fiato della giustizia sul collo: per lo strano rapimento di un egiziano, Nasr Osama Mustafa Hassan, detto Abu Omar, portato via da una strada di Milano in pieno giorno, il 17 febbraio 2003; ma anche per altre, più complicate faccende, “deviazioni” su cui i magistrati di Milano stanno ancora indagando.

E allora, siamo ancora alla “guerra non ortodossa”: ieri contro il comunismo, oggi contro il terrorismo islamico. Siamo ancora alle strutture segrete multinazionali costruite in giro per il mondo dalla Cia: ieri l’Aginter Press di Lisbona, oggi i Ctic (Counter Terrorism Intelligence Centers) come l’Alliance Base di Parigi. Siamo ancora alle “azioni coperte” progettate e realizzate dagli americani e dai loro alleati, incuranti delle leggi, dei diritti, delle regole della democrazia. Siamo ancora alle catene di comando alternative e segrete, in cui un ex maresciallo come Marco Mancini conta più dei suoi generali.

E siamo ancora all’intossicazione informativa, con giornali e giornalisti pronti a mettersi al servizio dei creativi burattinai del servizio, per denaro o per ambizione o per leggerezza o per viltà: ieri c’era l’agenzia Repubblica di Lando Dell’Amico o Op di Mino Pecorelli, oggi c’è Libero del volonteroso agente “Betulla” e una assortita pattuglia di cronisti pronti a seguire uno spiritoso pifferaio di nome Pio Pompa, abruzzese, analista del Sismi, già cultore della materia all’università di Teramo, che ironizzava sul proprio accento dicendo: “A noi del servizio ci chiamano: Cristo s’ fermato a Eboli”. In verità Pecorelli aveva più autonomia giornalistica dei suoi successori, tanto che lui, poveretto, l’hanno messo fuori dal gioco in modo brusco. L’agente “Betulla” e il suo fido pardo di Libero Claudio Antonelli, invece, si attenevano fedelmente alle istruzioni ricevute, accettavano di “ripetere la lezione” come volevano i loro maestri e infine stilavano diligenti rapportini.

Del resto, l’Italia della memoria corta ha dimenticato il lungo elenco di giornalisti venduti ai servizi, da Giorgio Zicari, capocronista del Corriere della sera, a Guido Giannettini, da Mario Tedeschi a Giorgio Torchia, dagli uomini del Borghese a quelli del Secolo d’Italia, fino a Guido Paglia, oggi alto dirigente Rai, ieri autore di scoop impossibili (riuscì a scrivere del ritrovamento di un arsenale di armi dei “rossi” a Camerino il giorno prima che fosse “scoperto” dai carabinieri). Sempre uguali, ieri come allora, certi personaggi alla Francesco Cossiga, immutabili nella loro ossessione, forse oggi solo resi un po’ più caricaturali dall’età. Tutto uguale, dunque, sotto il sole italiano che non ha mai illuminato con troppa convinzione l’amore per la legalità? No. Qualche differenza c’è. Per esempio, ieri lo schema della “guerra non ortodossa” contro il comunismo era destra contro sinistra.

C’erano delle eccezioni, giudici e poliziotti che si sentivano prima servitori dello Stato e poi del governo, che coltivavano la balzana idea che la legge e le istituzioni non si potessero piegare ai comodi dei potenti di turno. Ma erano eccezioni, appunto, come quel Giancarlo Stiz, magistrato, che nel 1973 osò aprire la “pista nera” per la strage di piazza Fontana, o quel Giorgio Ambrosoli, avvocato monarchico, che alla faccia di Giulio Andreotti impedì il salvataggio del bancarottiere Michele Sindona a spese dei cittadini e nel luglio 1979 per questo fu ucciso. Oggi l’aria  diversa. Più rilassata. Una bella parte della sinistra , insieme alla destra, a fianco dei vertici di un servizio che da tempo mostra la corda, a chi vuol vedere. Il direttore del Sismi, il generale Nicolò Pollari, era tutt’uno con Gianni Letta, l’uomo che Silvio Berlusconi aveva messo a presidiare i rapporti con l’intelligence. È amato e difeso da An e Lega.

Ma ha ammiratori e difensori anche a sinistra: Enzo Bianco della Margherita, i dalemiani Nicola Latorre e Peppino Caldarola, perfino il trotzkista Luigi Malabarba, che ha rappresentato Rifondazione comunista dentro il Copaco, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi di sicurezza. Dopo la liberazione di Giuliana Sgrena e la morte di Nicola Calipari, anche il Manifesto ha un debito di riconoscenza nei confronti del Sismi di Nicolò Pollari. E ora, per tentare di salvarlo, Luciano Violante tira fuori dalla valigia, trent’anni dopo, il vecchio cappello sgualcito delle “deviazioni”.

“Deviazioni”? No, i servizi segreti non erano “deviati”. Erano fedeli, negli anni della “guerra non ortodossa”, al compito d’istituto, stabilito da precisi e segretissimi accordi internazionali: combattere il comunismo, esterno e interno, a ogni costo, anche a quello d’infrangere le leggi e contraddire la Costituzione. Anche a costo di “esfiltrare” testimoni di stragi e depistare le indagini sull’eversione. I suoi uomini sapevano di avere gerarchie segrete, obbedienze occulte, uno Stato parallelo a cui rendere conto, nell’“interesse superiore” della lotta al comunismo.

Nella confusione, visto che nelle guerre girano anche tanti soldi, qualcuno ne approfittava, confondendo gli “ideali” con gli affari e riempiendo le casse della P2 di turno. E oggi? Chi sognava che quel lavorio sotterraneo non si ripetesse più  smentito: si  presentata un’altra emergenza, l’ombra nera di Osama bin Laden, che legittima nuove cordate, nuove azioni coperte, nuove illegalità, nuovi profittatori di guerra. E dunque: un’operazione congiunta Cia-Sismi il 17 febbraio 2003 ha prelevato un cittadino straniero ospite dell’Italia e lo ha precipitato nel buco nero delle torture e della detenzione illegale. Strappandolo alla legge, che lo stava tenendo d’occhio per presentargli il conto: Abu Omar era indagato dalla Digos per conto della procura di Milano che stava raccogliendo prove contro di lui e che lo avrebbe presto arrestato e processato. Non ha potuto: “Sono stati usati metodi non solo illegali e dunque inaccettabili in uno Stato di diritto”, commenta un magistrato milanese, “ma anche inefficaci, perché non ottengono risultati investigativi; e addirittura criminogeni, perché finiscono con il trasformare molti islamici radicali in terroristi”.

Marco Mancini, il maresciallo ambizioso che ha scalato tutti i gradini della carriera fino a diventare il vero padrone del servizio, ha garantito l’operazione in nome dello Stato. Si  sostituito allo Stato e ha siglato con gli alleati americani un patto segreto e inconfessabile. Per non avere noie, ha rimosso gli uomini che continuavano a servire lo Stato, sostituendoli con i suoi fedeli. Così, prima del rapimento di Abu Omar, perdono il posto i capicentro di Milano (Stefano D’Ambrosio), di Padova, di Trieste (Sergio Fedrico).

Il capo di Mancini sapeva? Lo diranno le indagini. Ma da subito  chiaro che il direttore del Sismi Pollari o era complice e sapeva tutto, oppure non sapeva niente: il che per un capo spione  perfino più grave. Incauta, dunque, la difesa immediata di Pollari da parte del governo Prodi che immediatamente, mercoledì 5 luglio, diffonde il seguente comunicato stampa: “Il governo ha assunto le dovute informazioni sul cosiddetto caso Abu Omar da parte delle strutture di intelligence nazionali che hanno ribadito la propria totale estraneità alla vicenda. Nel garantire, nel rispetto delle reciproche prerogative, la massima collaborazione alla magistratura per lo svolgersi dell’inchiesta in corso, il governo ribadisce la propria fiducia nella lealtà istituzionale delle strutture preposte alla garanzia della sicurezza nazionale”. Curiosa anche la difesa di Violante su Repubblica del 10 luglio che, nascondendosi dietro le attività giudiziarie, si rifiuta di compiere scelte politiche: “Non c’è stata nessuna incriminazione per il capo del servizio segreto militare, né un coinvolgimento del vertice politico. Allo stato, ripeto allo stato,  così”.

Certo Pollari sapeva delle attività di Pio Pompa che rispondeva a lui, non a Mancini. E Pio Pompa diffondeva notizie false e dossierava magistrati come il pm che indaga sul rapimento, Armando Spataro, e l’ex segretario dell’Associazione nazionale magistrati Edmondo Bruti Liberati. Aveva allevato una squadretta di giornalisti, Pio Pompa, primo fra tutti Renato Farina, agente “Betulla”, remunerato con pagamenti in contanti per 30 mila euro. Incastrato dalle intercettazioni e dalle ricevute di pagamento, “Betulla” non può far altro che ammettere le sue colpe davanti ai magistrati, ma ai suoi lettori rivolge una lettera dai toni dannunziani e un po’ frignoni, in cui si giustifica e, in fondo, autoassolve: dice di aver accettato di lavorare per il Sismi perché  iniziata la Quarta guerra mondiale e lui vuole combattere e morire in combattimento come papa Wojtyla voleva morire in viaggio... Ma non si può servire due padroni, dice il Vangelo, e Farina dovrebbe saperlo: un giornalista deve servire solo i suoi lettori, non la banda di Marco Mancini che si era impossessata del Sismi. Che cosa c’entrano con la voglia di martirio, poi, i rapporti che “Betulla” faceva a proposito di altre indagini della procura di Milano, come quella sulle intercettazioni abusive di Telecom? O la pubblicazione su Libero di un falso rapporto su Romano Prodi?

In questa storia, la Quarta guerra mondiale c’entra davvero poco: il terrorismo islamico, la Grande Paura,  la scusa con la quale un gruppo di marescialli senza scrupoli si  impossessato del potere nel servizio, scippando allo Stato l’istituzione preposta alla sicurezza e mettendola al proprio servizio. Giuliano Ferrara ha subito difeso “Betulla”, dicendo che  normale, che i servizi devono fare i lavori sporchi e che importante  il risultato. Certo Ferrara, altro neodannunziano,  felice di dare il benvenuto a Farina nel club dei giornalisti spioni, ricordando l’emozione dei dollari fruscianti ricevuti in una grande busta gialla dalla Cia quando spiava per gli americani l’amico Bettino Craxi. Lui e “Betulla” sono molto garantisti con gli amici politici. Con gli islamici, invece: un commando, un pulmino e via, in una cella egiziana senza processo. Al lupo al lupo. Falsi allarmi attentato alle Olimpiadi di Torino e in piazza San Pietro, false bombe nel metrò, false scuole di kamikaze a Milano, falsi attentati contro gli italiani a Beirut: la Grande Paura, l’ombra dell’11 settembre,  stata tenuta viva in Italia con manovre truffaldine.

Chissà se i nostri maestri spioni hanno letto Zygmunt Bauman (Vite di scarto, Laterza), che spiega come l’opinione pubblica, sottoposta a continui annunci di attentati, seppure sventati o solo progettati,  poi disposta ad accettare come normali non solo gli attentati che malauguratamente non si riuscisse a sventare, ma anche le limitazioni della libertà e dei diritti introdotte in nome della sicurezza. In questa storia di falsi e patacche - e il peggio deve ancora venire alla luce - di vero c’è che il gruppo di Mancini conquista il potere nel servizio. C’è il più ricco dei business nei tempi della Grande Paura: quello della security. E c’è una lunga serie di episodi ancora tutti da chiarire: l’intossicazione di Telekom Serbija che per mesi ha sparso fango su Romano Prodi (“Mortadella”), Piero Fassino (“Cicogna”), Lamberto Dini (“Ranocchio”); i documenti falsi sull’uranio del Nigergate confezionati a Roma, che hanno servito sul piatto a George Bush una scusa per attaccare l’Iraq; le inspiegabili fughe di notizie da alcune indagini milanesi (da quelle su Mediaset e Berlusconi fino alle intercettazioni tra Piero Fassino e Giovanni Consorte); i fiumi d’intercettazioni abusive Telecom quando direttore della sicurezza dell’azienda era Giuliano Tavaroli, “fratello” di Marco Mancini e con Emanuele Cipriani ai vertici di un triangolo le cui gesta sono ancora tutte da scoprire. Quello che si intravede  un superservizio segreto misto, pubblico-privato, che sarà forse la vera rivelazione di questa indagine.

In tutto ciò, c’è una squadra che riesce a battere sul campo i più blasonati cugini: gli uomini della Digos di Milano riescono a compiere il miracolo di indagare, intercettare, seguire, senza essere scoperti, i maestri spioni del Sismi. Prendendosi la rivincita, dopo che il Sismi aveva loro scippato l’ex imam su cui stavano indagando. E l’Italia, l’Italia dell’illegalità diffusa, oggi manda un messaggio al mondo: qui non si possono infrangere le regole, non si può fare scorrerie a proprio piacimento. Neppure in nome della Quarta guerra mondiale. Neppure se si  il Paese più potente del mondo.

Diario, 14 luglio 2006

Enzo Baldoni, ucciso due volte

Le gesta dell'agente “Betulla” impegnato nella Quarta guerra mondiale. Per difendere i suoi principali del Sismi, dà del “pirlacchione” al giornalista di “Diario” rapito in Iraq e diffonde la notizia di un video inesistente

Quali sono le eroiche gesta al fronte dell’agente “Betulla”, impegnato nella Quarta guerra mondiale a fianco dell’agente “Cedro” (Imad El Atrache, il corrispondente a Roma della tv araba Al Jazeera)? C’è una storia che a Diario, purtroppo, non riusciamo a dimenticare: quella del presunto video sulla morte di Enzo Baldoni, il nostro collaboratore rapito e ucciso dall’Esercito islamico in Iraq. Una bufala che durò lo spazio di una notte, ma che trovò proprio in Renato Farina il suo più convinto e “informato” assertore. Fin dal giorno del rapimento, Libero si era distinto nella denigrazione di Enzo, giornalista scrupoloso che non si era mai allontanato dal convoglio della Croce rossa, ma era stato definito dal foglio di Vittorio Feltri “un pirlacchione” e dipinto come un perdigiorno a caccia d’emozioni, sotto l’incredibile titolo di prima pagina “Vacanze intelligenti”. Poi, nella tarda serata di giovedì 26 agosto 2004, arrivò la notizia della morte di Baldoni. Intorno alle 23,30 italiane, Al Jazeera affermò di aver ricevuto un video sull’esecuzione del giornalista, ma di non volerlo mostrare per non urtare la sensibilità degli spettatori.

Nelle redazioni dei quotidiani si vissero momenti concitati: bisognava scrivere in fretta per rispettare i tempi di chiusura. Intorno a mezzanotte e mezzo le agenzie di stampa cominciarono a mettere in circolazione alcune informazioni. Nel video di Al Jazeera “vi sarebbero immagini confuse di una colluttazione conclusasi con l’uccisione dell’ostaggio mediante colpo di arma di fuoco”, recita un dispaccio dell’Ansa delle 00,30. All’una e 32 la stessa agenzia precisa, sempre al condizionale, che la colluttazione sarebbe una “probabile conseguenza di una reazione estrema dell’ostaggio qualche attimo prima dell’esecuzione”.

Diario ha accertato che, nello stesso momento, fonti del Sismi accreditavano la stessa tesi attraverso i loro abituali canali di comunicazione con i maggiori quotidiani. Il giorno dopo, venerdì 27, soltanto il Corriere della sera, in virtω delle informazioni filtrate e difficili da verificare in tempi così stretti, diede risalto alla tesi del video in cui Enzo si ribella ai suoi rapitori e soccombe. Quel giorno circolarono altre notizie: “Un’autorevole fonte dei servizi segreti” dice all’Ansa che la liberazione di Enzo sembrava cosa fatta, ma poi “tutto θ precipato per un fatto imprevedibile avvenuto in loco”.

Bufala di “Betulla”.
Nel pomeriggio, l’allora ministro degli Esteri Franco Frattini rende noto in Parlamento il reale contenuto di ciò che il nostro ambasciatore in Qatar Giuseppe Buccino aveva potuto vedere negli studi di Al Jazeera: non un video, ma un singolo fotogramma in cui il corpo di Enzo emerge da una fossa poco profonda (un fotogramma perfettamente corrispondente alla descrizione sarà pubblicato su un sito dell’Esercito islamico in Iraq il 7 settembre). Nessuna drammatica colluttazione, dunque, nessun tentativo di fuga.

Sabato 28 settembre, su Repubblica, Carlo Bonini accusa esplicitamente i servizi di aver diffuso la notizia del video per accreditare la tesi dell’evento imprevisto che fa saltare le proficue trattative in corso. La bufala ormai si θ sgonfiata, gli altri quotidiani neanche ne parlano. Tranne uno, che continua: Libero. Il vicedirettore Renato Farina descrive il video della colluttazione con dovizia di particolari: “Verso le 18 di giovedì, alla scadenza dell’ultimatum, Enzo viene bendato... Baldoni si strappa la benda, getta la kefiah palestinese che gli avevano messo indosso. E si batte... mentre Enzo si contorce e grida, gli sparano alla schiena, alla testa”. “Betulla” spiega poi che, a questo punto, “il filmato non va più bene alla propaganda”, quindi i rapitori mandano ad Al Jazeera soltanto “un fotogramma”.

L’articolo lascia insoddisfatta una curiosità non da poco: se i rapitori non hanno mandato il video ad Al Jazeera, chi  riuscito a vederlo per raccontarlo a Farina? E come ci θ riuscito? La curiosità resterà tale. Ma Farina ha fatto il suo lavoro, ha seminato la sua merce avariata: il Sismi era a un passo dalla liberazione dell’ostaggio, ma Baldoni ha rovinato tutto a causa della sua irruenza e dabbenaggine. Così Enzo θ ucciso due volte: una dai terroristi, la seconda dai suoi denigratori. Il pio Farina, compiuta la sua missione, non ne parlerà più e riprenderà a scrivere corrispondenze dal Meeting di Comunione e liberazione in corso a Rimini. Proprio al Meeting il 27 agosto θ in programma un intervento pubblico di Nicolò Pollari, il direttore del Sismi.

Annunci, bombe e dossier

Strani allarmi attentato. Pubblicazione di intercettazioni riservate. Scontri tra gli apparati dello Stato. Ma anche un’agenzia d’intelligence parallela. Sotto accusa, il Sismi di Nicolò Pollari e Marco Mancini

di Gianni Barbacetto


Ora, dopo il cerino acceso buttato sulla benzina da Roberto Calderoli, le antenne dei servizi di sicurezza tornano a drizzarsi sulla possibilità d’attentati in Italia. E si complica ulteriormente una campagna elettorale che  già la più chiassosa del dopoguerra. I servizi segreti tirano fuori dai cassetti vecchi rapporti, riprendono antichi allarmi: come quello di un possibile attentato islamico pianificato a Milano entro la prima metà di marzo “per condizionare il voto”. Silvio Berlusconi, dopo il venerdì nero di Bengasi, si  mostrato preoccupato: “Ora, se dovesse esserci un attentato in Italia, daranno la colpa al governo”.

Ma anche nel centrosinistra c’è chi, a proposito di servizi ed elezioni, si pone domande imbarazzanti: c’è una campagna elettorale sotterranea, una politica segreta che, mentre la politica visibile strepita, tesse silenziosamente la sua tela nell’ombra? Ha cominciato a chiederselo non un “dietrologo”, ma un uomo solitamente cauto come il senatore Massimo Brutti, membro Ds del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti (Copaco), che pure non ha mai nascosto la sua apertura di credito nei confronti dei nuovi servizi segreti italiani, diretti da Nicolò Pollari (Sismi), Mario Mori (Sisde) ed Emilio Del Mese (Cesis).

Intercettazioni, l’arma segreta.

La svolta  avvenuta il 19 gennaio, quando Brutti ha rotto l’incanto bipartisan e dal Copaco ha chiesto agli uomini dell’intelligence di “tenersi fuori dalla campagna d’aggressione contro il centrosinistra”. Al termine dell’audizione del segretario generale del Cesis, Del Mese, Brutti ha preso la parola per denunciare “un possibile uso di ufficiali infedeli nell’aggressione politica contro l’opposizione”. Poi, fuori dal Copaco,  toccato a Gavino Angius, capogruppo Ds al Senato, spiegare che “non c’è alcuna accusa verso i nostri servizi segreti, ma solo una sollecitazione ai responsabili perché si attengano ai loro doveri funzionali”. Nel Paese delle trame, delle “deviazioni” e dei dossieraggi, non  poco. Poi Brutti, uscito dal Comitato, ha rincarato la dose: “Berlusconi sta elaborando dossier contenenti veleni. Non so chi collabori con lui: certo per far arrivare l’intercettazione fra Piero Fassino e Giovanni Consorte vi  stata un’attività illecita di pubblici ufficiali. Io sento il dovere di inviare un messaggio a tutti i funzionari dello Stato: siate leali e tenetevi lontani da queste manovre”.

Ecco il primo punto di rottura: l’utilizzo come arma politica dell’intercettazione tra il segretario Ds e il “furbetto rosso” di Unipol, mai trascritta e che non avevano neppure i magistrati. Ed ecco il monito per il futuro: non ripetete il gioco, magari nel bel mezzo della campagna elettorale, tirando fuori dal cappello altre intercettazioni, per esempio quelle a Massimo D’Alema e al suo fedelissimo, il senatore pugliese Nicola Latorre. Viene in mente una vecchia intervista del Corriere della sera al magistrato milanese Gherardo Colombo, il quale diceva che la Bicamerale era figlia del ricatto. Ma oggi, dieci anni dopo, a chi  rivolto l’avvertimento di Brutti e Angius? Non sono argomenti né ambienti in cui valga il motto evangelico “Il vostro parlare sia sì sì, no no”. In questo campo trionfa semmai la metafora, il giro di parole, l’astuzia del serpente più che la mitezza della colomba.

Di sicuro vi  solo che un certo numero di persone, impegnate nella sicurezza di Silvio Berlusconi, sono state per decreto inquadrate nel Cesis, il servizio che dovrebbe coordinare e fare da ponte tra l’intelligence militare (il Sismi) e quella civile (il Sisde). Non  solo una questione “sindacale”: stipendi più alti e trattamento migliore per i body guard del presidente. La faccenda  politica: si inietta nelle vene delle istituzioni una dose di pretoriani abituati a rispondere e obbedire al padrone della Fininvest, non allo Stato.

Ma  solo il Cesis oggetto di discussione sulla comunità dell’intelligence? No. Pi in generale, c’è il problema Pollari. Nessuno lo confermerà in maniera chiara, eppure  attorno al Sismi, il più grande e potente servizio d’informazione e sicurezza italiano (2 mila addetti), erede del Sifar e del Sid, che ruotano le domande più imbarazzanti. Domande che rischiano d’incrinare il clima di unità nazionale che si  da tempo creato attorno a Pollari e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, a cui Berlusconi ha affidato la delega sui servizi di sicurezza. Pollari gode di un sostegno trasversale: all’appoggio di Forza Italia, An e Udc, che può apparire scontato, si  aggiunta la fiducia della Margherita (Enzo Bianco  l’attuale presidente del Copaco) e dei Ds (rappresentati dal senatore Brutti), e perfino quello di Luigi Malabarba, senatore di Rifondazione comunista, ala trotzkista.

Il momento più alto della concordia bipartisan  arrivato con le trattative per la liberazione di Giuliana Sgrena, che Letta e Pollari hanno condotto “in cogestione” con la direzione del Manifesto. Poi il sacrificio di Nicola Calipari, che  morto proteggendo con il suo corpo l’inviata del giornale comunista, ha richiamato attorno al servizio segreto militare, per la prima volta nella sua lunga e travagliata storia, la commozione popolare e il consenso di massa, resi tangibili dagli applausi rivolti a Pollari dopo la morte di Calipari: per la prima volta un direttore del servizio compare e parla in pubblico, riscuotendo il plauso generale. Il catalogo  questo. E oggi? Dopo l’avvertimento del senatore Brutti, nessuno a sinistra sembra aver voglia di spingere fino in fondo, di rompere definitivamente l’incanto, tanto più alla vigilia di elezioni incerte e cruciali. Eppure gli argomenti su cui porre domande e manifestare dubbi certo non mancano. Negli ultimi anni, infatti, si sono moltiplicate in Italia strane operazioni da cui si  levata puzza di dossier e agenti segreti:

- Telekom Serbjia. Un pasticcio a base di carte false confezionate da una banda di pataccari per infangare Romano Prodi (“Mortadella”), Piero Fassino (“Cigogna”), Lamberto Dini (“Ranocchio”).

- Nigergate. Una grande manovra internazionale per mettere in circolo documenti contraffatti sull’uranio che dal Niger sarebbe arrivato a Saddam Hussein; documenti falsi, ma molto utili per sostenere la necessità della guerra in Iraq.

- Siriagate. La strana storia di un attentato all’ambasciata italiana a Beirut, sventato all’ultimo momento. I responsabili sarebbero stati arrestati e avrebbero confessato. Uno di loro, Ismail Mohammad al Khatib, muore tra le (energiche) mani dei suoi carcerieri, dei servizi segreti libanesi e siriani.

- Extraordinary Rendition. L’incredibile rapimento, in pieno giorno a Milano, dell’imam Abu Omar. A portarlo via il 17 febbraio 2003, come ha scoperto l’indagine condotta dal procuratore aggiunto Armando Spataro, una squadra di agenti Cia.

- Furbettopoli. Infine, la comparsa sul Giornale, il 2 gennaio 2006, dell’intercettazione Fassino-Consorte, su cui Berlusconi ha imbastito una lunga campagna contro i Ds.

Scontro Pollari-De Gennaro?
Certo, sono storie molto diverse tra loro. Non  detto, naturalmente, che tutte abbiano un unico padre. Non  detto neppure che il Sismi ci abbia davvero messo lo zampino. A guardar bene, nell’azione d’intossicazione informativa di Telekom Serbjia spunta una fonte del Sismi, ma ormai da tempo chiusa, dice il servizio. Nel Nigergate, gli uomini del Sismi che circolano (in attività o ex) sono almeno un paio, ma il servizio assicura di essersi comportato correttamente. Sull’ambasciata a Beirut, Pollari ha rivendicato davanti al Copaco di aver salvato l’Italia “da un 11 settembre nostrano”, con 300 chili d’esplosivo caricati su un camion guidato da un kamikaze e pronti a esplodere davanti alla rappresentanza italiana in Libano. Un’azione preparata da una cellula salafita forse coinvolta anche nell’attentato a Nassiriya del 12 novembre 2003, in cui persero la vita 19 italiani.

Altre ricostruzioni della vicenda raccontano tutta un’altra storia, con spiegazioni e protagonisti diversi da quelli accreditati da Pollari e dai siriani. Sul rapimento Cia a Milano, poi, sono alcuni funzionari americani ad affermare, ma solo dietro la garanzia dell’anonimato, che gli italiani erano stati informati. Sarà vero? E se sì, chi sapeva a Roma dell’operazione in corso? I vertici del Sismi avevano avuto notizie dai loro omologhi della Cia? Quanto infine alle intercettazioni sul caso Unipol, gli ambienti coinvolti sembrano essere diversi da quelli dei casi precedenti, anche se  impossibile non rilevare che Pollari viene dalla Guardia di finanza, il corpo che ha realizzato le intercettazioni telefoniche nel corso delle indagini dell’estate 2005 sulle scalate bancarie, e ha mantenuto ottimi rapporti con tanti ufficiali delle Fiamme gialle, tra cui il generale Walter Cretella Lombardi, direttore del Secondo reparto della Guardia di finanza, quello che si occupa dell’intelligence.

I sostenitori di Pollari, di destra e di sinistra, hanno una spiegazione semplice per tutto ciò:  una campagna dei veleni attivata dai nemici di Pollari, che sono tanti e che stanno anche ai vertici della polizia. Un asse che parte da Gianni De Gennaro, che della polizia  il capo, si innerva nelle squadre della Digos (come quella di Milano, attiva nelle indagini sul terrorismo islamico) e si esprime attraverso giornali e giornalisti amici. Con un esito, secondo il fronte pro-Pollari: salvare gli americani da ogni responsabilità. Nigergate? L’accento sulle colpe del Sismi lava gli Usa da ogni macchia e finisce per giustificare l’intervento americano in Iraq. Beirut? I dubbi sparsi a piene mani su quell’operazione sono la vendetta per i contatti che il Sismi ha aperto con i servizi segreti siriani, visti malissimo dall’intelligence Usa. Abu Omar? Ma  la Digos che sospende il pedinamento dell’imam proprio nei giorni del rapimento Cia, quella Digos che da anni lavora principalmente su input delle informative americane.

Naturalmente non tutto  coerente e convincente, in queste spiegazioni, ma le vicende delle barbe finte sono complesse e intricate per loro natura. È un mondo abituato più alle ombre che agli specchi. Chi ha ragione, dei due fronti? A complicare ulteriormente il quadro ci sono altre due storie che animano il conflitto fin qui tratteggiato: la serie degli allarmi attentato lanciati negli ultimi mesi in Italia; e un’indagine in corso a Milano chiamata, convenzionalmente, “SuperAmanda”.

Allarmi attentato.
Un doppio attentato alla stazione centrale di Milano, da realizzare entro la prima metà di marzo, “per colpire il governo italiano e condizionare l’esito delle elezioni”. Un commando di tre persone pronto a entrare in azione durante i Giochi olimpici di Torino. Una scuola di kamikaze attiva a Milano. Un missile pronto a colpire San Pietro. Sono tutti allarmi lanciati dal Sismi negli ultimi mesi. Chi ha letto Zygmunt Bauman (Vite di scarto, Laterza) potrebbe obiettare che l’opinione pubblica sottoposta a continui annunci di attentati, seppur sventati o solo progettati,  poi disposta ad accettare come normali non solo gli attentati che non si riuscisse malauguratamente a sventare, ma anche le limitazioni della libertà e dei diritti introdotte in nome della sicurezza. Chi si picca di sapere come funziona la comunità internazionale dell’intelligence potrebbe invece obiettare che un buon servizio segreto lavora per sventare eventuali attentati, ma non corre subito a raccontare quali e quanti ne ha sventati. In più, a guardare dentro agli episodi concreti venuti alla luce negli ultimi mesi, nasce più di un dubbio.

La scuola di kamikaze a Milano, per esempio. Il Sismi la segnala nel clima di tensione che segue la strage del 7 luglio 2005 a Londra. Indica persone attive “nell’indottrinamento per attentatori suicidi di matrice islamica”. La notizia  oggetto di un’informativa che Pollari illustra al Copaco il 14 luglio e conferma in una successiva riunione del Comitato due settimane più tardi. Tra il primo e il secondo allarme, però, il Ros (Reparto operativo speciale) dei carabinieri era andato a verificare, per conto dei magistrati milanesi. E aveva scoperto che si trattava di una “patacca”. I carabinieri erano piombati a sorpresa nelle case di due cittadini stranieri, il marocchino Hassan Belosan, in via Clitumno 11, indicato come “aspirante jiadista”, e l’egiziano Mohamed el Bakatoushi, in viale Certosa 121, presunto “indottrinatore”: non solo non avevano trovato alcun elemento che indicasse la loro militanza islamica, ma avevano accertato che il secondo  affetto da “forti disturbi della personalità”. Viene trovato addirittura nudo sul pavimento, in preda agli effetti di alcol e droghe. Insomma: la storia della scuola di kamikaze, conclude il Ros, “ destituita di ogni fondamento”.

Ancor più inquietante la storia del doppio attentato alla stazione centrale di Milano. Pollari lo racconta in una ennesima audizione del Copaco e il 27 gennaio la notizia finisce su Repubblica. Con tanto d’indicazione dell’esistenza di un informatore, un cittadino mediorientale che sta collaborando con l’antiterrorismo. Questi avrebbe partecipato nel gennaio 2006 a un incontro a Milano con quattro cittadini stranieri. Uno di questi, A.M., avrebbe parlato del progetto di attentato alla stazione di Milano, da realizzare con due bombe da far esplodere a distanza di mezz’ora l’una dall’altra, e di tre aspiranti kamikaze pronti a immolarsi durante le Olimpiadi invernali di Torino. La notizia questa volta  vera. Ma proprio per questo  pazzesca la sua divulgazione: non solo azzera le indagini in corso, ma brucia una fonte importante interna al mondo dell’estremismo islamico che era preziosa per il pool antiterrorismo dalla procura di Milano.

Restano poi aperti altri dubbi, per fatti precedenti che riguardano la gestione dei sequestri degli italiani in Iraq. Nell’estate 2004, per esempio, fu fatta circolare nella notte del 26 agosto una strana spiegazione della morte del collaboratore di Diario Enzo Baldoni: stava per essere rilasciato grazie all’intervento del Sismi, ma tentò di liberarsi da solo e per questo venne massacrato dai suoi carcerieri, quando era a un passo dalla libertà. Addirittura si disse che esisteva un video in cui si vedeva Enzo lottare con i suoi rapitori, prima di essere ucciso. Video inesistente, colluttazione immaginaria, storia senza capo né coda; che confermava però l’immagine (assolutamente falsa) di un Baldoni irruente e pasticcione e di un Sismi attivo ed efficiente. Ma perché fu messa in circolazione da ambienti dei servizi, tanto che fu subito ripresa dall’Ansa e dal Corriere del sera?

Un servizio segreto parallelo?

Tornando al presente, c’è  una vicenda aperta che riguarda comportamenti di uomini del Sismi e che ha a che fare con le intercettazioni telefoniche. È stata chiamata giornalisticamente “SuperAmanda” ed  oggetto di un’indagine iniziata da tempo dalla procura di Milano e assegnata a Fabio Napoleone, Stefano Civardi e Maria Letizia Mannella, gli stessi sostituti procuratori che oggi stanno indagando sulla fuga di notizie delle intercettazioni Fassino-Consorte. Riguarda una sorta di servizio segreto parallelo che ruotava attorno al Cnag di Milano, il Centro nazionale autorità giudiziaria, una struttura che memorizza le indagini di tutte le procure d’Italia e archivia tutte le inchieste, i numeri intercettati, le persone sotto controllo, le microspie piazzate...

Responsabile del Cnag era Giuliano Tavaroli, un brillante quarantenne, ex sottufficiale dei carabinieri, che in una folgorante carriera  diventato vicepresidente e responsabile sicurezza di Telecom. Una scalata parallela a quella di altri due personaggi di successo: Emanuele Cipriani, esperto di security, manager del controspionaggio industriale, titolare della società d’investigazioni Polis d’Istinto; e Marco Mancini, collega di Tavaroli ai vecchi tempi in cui i due erano giovani marescialli dell’antiterrorismo e diventato il braccio destro operativo di Pollari al Sismi.

Oggi i tre sono oggetto delle curiosità dei magistrati che indagano sulle strane operazioni di Cnag e Polis d’Istinto. Poliziotti e militi della Guardia di finanza inviati (fuori servizio) a fare indagini, pedinamenti e verifiche fiscali all’insaputa dei loro superiori. Fughe di notizie riservate provenienti da indagini giudiziarie (come quella sui diritti tv Mediaset e sul ruolo dell’avvocato inglese David Mills). Casi di spionaggio industriale che hanno coinvolto decine di aziende tra cui Pirelli e Coca-Cola. Microspie (o meglio, “cimicioni”) piazzate non per spiare, ma per intimidire e spingere chi le scopre a ricorrere ai costosi servizi di bonifica e controllo (successo a Enrico Bondi quand’era amministratore delegato di Telecom, ma anche al presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni e a Carlo Salvatori quand’era direttore generale della Cariplo). Minacce telefoniche (a Marco Tronchetti Provera, per esempio). Trasferimenti all’estero di capitali per milioni di euro.

Nelle indagini milanesi, di cui si  occupato anche il sostituto procuratore Alberto Nobili,  entrata un’ingarbugliatissima matassa di fatti con protagonisti disparati. Difficile, per ora, distinguere, discernere, capire. Resta una raffica di domande aperte a cui il direttore del Sismi, solitamente così loquace davanti al Copaco, dovrebbe forse sforzarsi di rispondere. Tanto più in una campagna elettorale così tesa, dove perfino i ministri della Repubblica scherzano col fuoco.

Diario, 24 febbraio 2006




 
 
 

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