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Il circolo Società civile

Esclusi i politici
Le reazioni
Mani pulite
Oggi. Eccoci di nuovo

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Il circolo Società civile

È un circolo nato a Milano nel 1985 e attivo fino alla fine degli anni Novanta. Fu ideato da Nando dalla Chiesa e da altri cento soci fondatori, tra cui Giorgio Bocca, Ilda Boccassini, Cini Boeri, Renato Boeri, Alberto Cavallari, Camilla Cederna, Gherardo Colombo, Mario Cuminetti, Piercamillo Davigo, Francesco Di Maggio, Stefano Draghi, Giorgio Galli, Gianfranco Introzzi, Mariuccia Mandelli Krizia, Alberto Martinelli, Guido Martinotti, Paolo Murialdi, Silvio Novembre, Giampaolo Pansa, Franco Parenti, Livia Pomodoro, Armando Spataro, Corrado Stajano, David Maria Turoldo, Giuliano Turone, Giuliano Urbani...

Esclusi i politici
Nel suo statuto si stabiliva che al circolo Società civile potessero aderire tutti i cittadini, tranne quelli che avevano incarichi politici e di partito. Un’esclusione che suonò scandalosa, nel pieno degli anni Ottanta, momento di massima invadenza dei partiti in tutte le espressioni della vita istituzionale, sociale, economica. I partiti avevano letteralmente occupato le istituzioni democratiche, se ne servivano invece che servirle. Avevano stretto con il mondo delle imprese quei patti illegali di scambio sotterraneo tra politica e affari che poi passerà alla storia come Tangentopoli. Il nuovo circolo ruppe il silenzio: costituiamo uno spazio autonomo - disse - in cui la società civile possa esprimersi, senza l’invadenza dei partiti, che hanno tanti altri spazi dove far pesare il loro potere; affermiamo che esiste un ambito - quello delle istituzioni - che non deve essere occupato dagli interessi di partito; ribadiamo che esiste un livello - quello dei valori, quello della legalità - che non può essere sottoposto alla legge (dilagante in ogni ambito della vita italiana) dello scambio politico.

Le reazioni
Furono durissime, in quel 1985, in quel 1986... Tutti, a destra e a sinistra, partirono all’attacco di quell’oggetto misterioso, quello strano circolo milanese che escudeva i politici. Tutti a difendere i partiti dai nuovi «qualunquisti», «moralisti», «sfascisti», «giacobini», «salottieri»... Bollati come «comunisti» dalla destra, «anticomunisti» dalla sinistra. Per entrambi, «manichei»: sostenitori dell’opposizione netta tra «politica cattiva» e «società civile buona».
Non era vero. Sapevamo (e scrivevamo) che la politica non è sempre «cattiva», che la società civile non è tutta «buona» (è società civile anche la folla degli evasori fiscali, è società civile anche la mafia). Semplicemente, volevamo offrire ai cittadini uno spazio autonomo fuori dai partiti, che di spazi ne avevano occupati tanti, molti legittimi, alcuni illegittimi. Per poter dire con libertà cose che non si riescono a dire, se si è costretti a seguire le regole dello scambio politico e della ragion di partito.

Silvio Berlusconi con la moglie e la famiglia Craxi, ai bei tempi di Tangentopoli

Mani pulite
Poi è arrivata Mani pulite. Attenzione: Mani pulite non è stata soltanto un’insieme di inchieste giudiziarie, nate a Milano nel 1992. È stata soprattutto una stagione di speranze, il diffondersi di nuovo clima nel vivere collettivo, l’embrione di una nuova cultura politica. È stata la speranza, coltivata da milioni di persone, che la politica potesse essere riformata, che i partiti potessero abbandonare il potere improprio che avevano accumulato, che il vivere collettivo potesse essere regolato dalla Costituzione repubblicana finalmente attuata, che la legalità potesse diventare orizzonte comune di tutti gli schieramenti politici.
Che la storia d’Italia riuscisse ad avere una svolta: basta con quel groviglio di corruzione, eversione, criminalità che ha incredibilmente segnato la vita istituzionale degli ultimi decenni.
Quando Mani pulite era al suo culmine, il circolo Società civile fu indicato come uno dei «suggeritori occulti» dell’operazione. Nulla di occulto: Mani pulite riuscì a realizzare, per uno straordinario concatenarsi di cause, quello che Società civile (ma accanto a moltissimi altri cittadini) desiderava, cioè iniziare un cammino verso una politica più pulita.

Oggi. Eccoci di nuovo
Dopo Mani pulite, il vecchio sistema dei partiti è imploso. Ma la legalità non è diventata l’orizzonte comune di tutto il vivere civile. La politica non ha saputo realizzare quel rinnovamento di uomini, metodi, sistemi, leggi che avrebbe reso possibile la svolta. Le inchieste giudiziarie possono colpire una patologia, ma poi della salute si deve occupare la politica. Invece: nuovi partiti sono nati, molti uomini di quelli vecchi si sono riciclati, e la politica è rimasta malata. Oggi siamo in piena controriforma: la legalità è derisa, i magistrati attaccati, i vecchi affari sporchi sono ripresi. Si vuole riscrivere la storia, passata e recente, del nostro Paese. Siamo tornati alla situazione del 1985, anzi, forse con ancor meno strumenti di allora e con una disillusione in più.
Per questo, un gruppo di persone ha deciso di ridare vita, attraverso la rete di internet, a Società civile: una rete di contributi, fuori dai partiti, per raccontare le malefatte della politica, a destra e a sinistra, e diffondere la cultura della legalità.
Alcuni dei promotori di questo sito web vengono dall’esperienza del mensile «Società civile», che per dieci anni è uscito a Milano.
Ci rimettiamo in cammino, con nuovi amici e un nuovo mezzo di comunicazione.

Ci ha lasciato Saveria Antiochia

Fu tra i fondatori, nel 1985, del circolo Società civile. Ci ha lasciato, dopo una vita intensa e dolce, il 12 marzo 2001. Lo stesso giorno, a Riina è stato revocato il carcere duro e ai magistrati palermitani sono state tolte le scorte.

L’Italia la conobbe nell’estate del 1985, leggendo la sua lettera aperta al ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro, che il quotidiano La Repubblica decise di pubblicare in prima pagina. A Saveria Antiochia, pochi giorni prima, la mafia aveva ucciso il figlio. Sotto il titolo “Li avete abbandonati”, scrisse: “Che tragedia, signor ministro, e quanto grande e terribile è la sua responsabilità. Ho vissuto vicino a mio figlio in questi anni, ho soggiornato spesso a Palermo, ho conosciuto funzionari e colleghi. Ho visto che non avevano le macchine chieste da più di un anno, ho visto le alfette da inseguimento della Squadra Mobile rattoppate, malridotte e riconoscibili anche dai bambini. Ho visto gli agenti usare le macchine personali o farsele prestare dagli amici. Ho visto disputarsi l’intera Squadra l’unico binocolo a disposizione. Ho visto i funzionari pagare gli informatori di tasca loro. Sono solo esempi, piccoli esempi di una grande sordità”.

Come risposta al suo grido
, alcuni dissero che era stata usata per un attacco politico, che la sua lettera era troppo ben scritta per essere di una madre di poliziotto. Saveria, colta e sensibile, amante dell’arte e pittrice, dopo la morte del figlio dovette incassare anche questo. Roberto Antiochia era stato ucciso a Palermo il 6 agosto 1985, insieme al capo della Squadra Mobile Ninni Cassarà. Non avrebbe neppure dovuto essere a Palermo, quel giorno: era in ferie, ma le interruppe e tornò volontariamente in Sicilia dopo l’assassinio del commissario Montana, avvenuto una settimana prima, per stare accanto al suo capo. Morì con lui. Da quel giorno la madre intraprese una lunga battaglia per la verità su quel delitto. Denunciò le complicità tra mafia e istituzioni. E decise di far vivere Roberto nelle sue parole, nella sua testimonianza. Girò instancabilmente le scuole, le parrocchie, le biblioteche, i circoli di tutta Italia. Parlava sempre dolcemente, anche quando diceva cose dure e terribili. Ti guardava negli occhi e ragionava, spiegava. Senza mai una parola retorica. Aveva la pazienza di chi ha subito il più tremendo degli affronti ma non è stata piegata e ha ancora fiducia che le nostre povere parole disarmate possano servire.

Quando, nel dicembre 1985, Nando dalla Chiesa
fondò a Milano il circolo Società civile, Saveria venne a spiegare, a ragionare di legalità e illegalità. Fu l’unico non milanese tra i soci fondatori: per lei il circolo fece un’eccezione alle regole del suo statuto. Dieci anni dopo, nel 1995, aiutò a nascere Libera, la rete di associazioni contro le mafie. Prima, aveva dato il suo contributo al Coordinamento antimafia e alla “primaveraª di Palermo, dove fu eletta come indipendente nel consiglio comunale. Ai processi contro gli assassini di suo figlio fu sempre presente, anche a costo di viaggi faticosi e costosi. Quando testimoniò, guardando negli occhi esecutori e mandanti della strage, le sue parole furono secche, decise. Uno degli ergastoli che pesano sulle spalle di Totò Riina, gli è stato inflitto per quella strage. Negli ultimi tempi era malata. Diceva: “Roberto è sempre con me. Ci parliamo, facciamo le cose insieme. È per questo che sono riuscita a fare tutto quello che ho fatto, a parlare in pubblico, a lavorare. Una parte di me, anche oggi, continua a disperarsi come allora. Un’altra parte, invece, vive, fa, lavora, è molto lucida”. Saveria si è spenta a Roma, a 79 anni, il 12 marzo 2001. Lo stesso giorno, a Riina è stato revocato il carcere duro e ai magistrati palermitani sono state tolte le scorte.

(gianni barbacetto, 13 marzo 2001)
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