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La
P2 ieri. La sua vittoria oggi
Oggi Licio Gelli torna in tv a rivendicare il suo trionfo. Il suo Piano di rinascita nazionale è stato in gran parte realizzato dal più brillante dei suoi affiliati, oggi presidente del Consiglio. Ecco la storia della loggia segreta e le «pagine gialle»
odierne della Propaganda 2
di Gianni Barbacetto
da Diario, maggio 2001
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In alto
Licio Gelli
Gustavo Selva
Vito Napoli
Massimo De Carolis
Publio Fiori
Roberto Gervaso
Antonio Martino
Vittorio Emanuele
Roberto Calvi
Silvio Berlusconi
Luigi Bisignani
Maurizio Costanzo |
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La notizia la dà il telegiornale della notte:
la presidenza del Consiglio dei ministri ha deciso di rendere
pubblici gli elenchi della loggia massonica P2, lassociazione
segreta che il Maestro venerabile Licio Gelli chiama «lIstituzione».
È il 20 maggio 1981, ventanni fa. LItalia
è scossa: di quella loggia misteriosa si parla ormai
da molto tempo, ma ora i suoi componenti prendono un nome
e un volto. E gli italiani scoprono che esiste un potere sotterraneo,
un governo parallelo, uno Stato nello Stato. Negli elenchi
della loggia sono iscritti i nomi di quattro ministri o ex
ministri, 44 parlamentari, tutti i vertici dei servizi segreti,
il comandante della Guardia di finanza, alti ufficiali dei
Carabinieri, militari, prefetti, funzionari, magistrati, banchieri,
imprenditori, direttori di giornali, giornalisti...
Una settimana dopo, il governo presieduto da Arnaldo Forlani
dà le dimissioni. Nasce il primo governo laico della
storia dItalia, guidato da Giovanni Spadolini. è
varata una commissione parlamentare dinchiesta sulla
loggia di Gelli, sotto la presidenza di Tina Anselmi. è
approvata una legge dello Stato che vieta le associazioni
segrete e scioglie la P2. I capi dei servizi di sicurezza
sono tutti licenziati. Qualche piduista ha la carriera bloccata,
qualcuno subisce procedimenti disciplinari, una ventina di
affiliati finisce sotto processo. I magistrati aprono indagini
sulla loggia, con lipotesi che abbia realizzato una
cospirazione politica contro le istituzioni della Repubblica.
Ma oggi, ventanni dopo, che cosa è restato di
quel terremoto? Dove sono, che cosa fanno i membri del club
P2? Il più noto di essi, che ventanni fa era
soltanto un giovane, brillante palazzinaro, ora spera di diventare
nientemeno che presidente del Consiglio. Ecco dunque la storia
dimenticata dell«Istituzione» che ha segnato
alcuni decenni della storia italiana.
Da Sindona alla P2. Nella seconda metà degli
anni Settanta qualche articolo di giornale aveva accennato
allesistenza di una loggia massonica potentissima e
misteriosissima. Ombre, sospetti, dicerie? Nel 1980 il consigliere
istruttore di Milano Antonio Amati deve aprire due inchieste
giudiziarie: una sullassassinio dellavvocato milanese
commissario liquidatore delle banche di Michele
Sindona, Giorgio Ambrosoli, ucciso a Milano l11
luglio 1979; laltra sullo strano rapimento di Sindona,
scomparso da New York il 2 agosto 1979 e poi ricomparso il
16 ottobre. Nessuno allora avrebbe pensato che quelle inchieste
avrebbero portato alla P2.
Amati assegna i due fascicoli, insieme, a due giovani
magistrati. Il primo, più esperto, si chiama Giuliano
Turone, baffi curati e dita sottili, irrequieto e rigorosissimo.
Dopo il liceo Manzoni di Milano, dopo un anno negli Stati
Uniti, dopo la laurea in legge, era stato tentato dalla carriera
diplomatica. Ma aveva scelto la magistratura: perché
il diplomatico deve limitarsi a eseguire la politica estera
del suo governo, mentre il magistrato decide e giudica, con
il solo aiuto della legge e della sua coscienza. Affascinato
dalla geometria dellindagine, aveva voluto diventare
giudice istruttore, figura mista (oggi cancellata dal nuovo
codice) di giudice e investigatore. Poco più che trentenne,
era entrato di persona nel covo-prigione di uno dei primi
sequestrati italiani, limprenditore Luigi Rossi di Montelera;
e nel 1974 aveva fatto arrestare il responsabile, un ometto
siciliano che abitava in via Ripamonti 84, a Milano, e che
sulla carta didentità aveva scritto Luciano Leggio,
anche se era già noto come boss di Cosa nostra con
il nome di Luciano Liggio.
Gherardo Colombo, il secondo magistrato, era invece un
giovanotto che arrivava a palazzo di giustizia con i jeans
e la camicia senza cravatta, e sopra gli occhiali aveva una
gran corona di capelli refrattari al pettine. Era cresciuto
in una grande casa sui colli della Brianza, padre medico e
un po poeta, nonno e bisnonno avvocati. Amava i giochi
di logica e il bridge. Parlava con aria apparentemente svagata,
accompagnando le parole con brevi gesti secchi della mano,
che poi spesso lasciava così, sospesa a mezzaria.
Per nove mesi, Turone e Colombo lavorano sodo. Macinano insieme
decine e decine di interrogatori, perquisizioni, indagini
bancarie. Sono letteralmente risucchiati da uninchiesta
che è un giallo appassionante, pieno di misteri e di
colpi di scena. «Era un tessuto dai cento fili intrecciati»,
secondo Turone, «così abbiamo cominciato col
tirare i fili che sporgevano dalla trama».
Il sequestro di Sindona: strano, con quella improbabile
rivendicazione del «Gruppo proletario di eversione per
una giustizia migliore». Strani anche gli affidavit
(dichiarazioni giurate) che una decina di persone invia negli
Stati Uniti, ai magistrati americani, per testimoniare che
il povero Sindona, che ha fatto bancarotta e ha lasciato sul
lastrico centinaia di clienti, è perseguitato dai magistrati
italiani soltanto per la sua fede anticomunista. Uno degli
affidavit è firmato da un certo
Licio Gelli. Dice: «Nella mia qualità
di uomo daffari sono conosciuto come anticomunista e
sono al corrente degli attacchi dei comunisti contro Michele
Sindona. è un bersaglio per loro e viene costantemente
attaccato dalla stampa comunista. Lodio dei comunisti
per Michele Sindona trova la sua origine nel fatto che egli
è anticomunista e perché ha sempre appoggiato
la libera impresa in unItalia democratica». La
prosa non è un granché, ma lossessione
anticomunista è ben presente (e allora, almeno, i comunisti
cerano davvero...).
Licio Gelli, fascista e massone. Chi è questo
Gelli? - si chiedono Turone e Colombo. Quasi sconosciuto,
allora, dal grande pubblico, era il Maestro Venerabile della
loggia massonica Propaganda 2, che riuniva la crema del potere
italiano. Cera la fila, per ottenere udienza da Gelli
nella sua suite allhotel Excelsior, in via Veneto, a
Roma. La loggia era segreta, per non mettere in imbarazzo
i suoi potenti iscritti, dispensati anche dalle ritualità
massoniche. Bastava la sostanza.
Gelli era arrivato al vertice della P2 dopo una onorata carriera
come fascista, simpatizzante della Repubblica di Salò,
doppiogiochista con la Resistenza, collaboratore dei servizi
segreti inglesi e americani, infine agente segreto della Repubblica
italiana. Volonteroso funzionario del Doppio Stato: soldato,
come tanti altri fascisti e nazisti, arruolato nellesercito
invisibile che gli Alleati avevano approntato, dopo la vittoria
contro Hitler e Missolini, per combattere la «guerra
non ortodossa» contro il comunismo. Entrato nella massoneria,
aveva contribuito a selezionare, dentro lesercito, gli
ufficiali anticomunisti disposti ad avventure golpiste. Nel
colpo di Stato (tentato) del 1970 aveva avuto un ruolo di
tutto rispetto: suo era lincarico di entrare al Quirinale
e trarre in arresto il presidente della Repubblica Giuseppe
Saragat, quello che mandava telegrammi a raffica che finivano
sempre con un bel «viva la Resistenza, viva lItalia».
Poi il golpe non ci fu, sospeso forse dagli americani, ma
la «guerra non ortodossa» continuò, con
una serie di stragi che insanguinarono lItalia. Fino
al 1974, anno di svolta. Allora la strategia della guerra
segreta contro il comunismo cambiò: basta con la contrapposizione
diretta, con i progetti apertamente golpisti, sostituiti da
una più flessibile occupazione, attraverso uomini fidati,
di tutti gli ambiti della società, di tutti i centri
di potere. La massoneria (o almeno una parte di essa) fornisce
le strutture e le coperture necessarie a organizzare questo
club del Doppio Stato, questo circolo delloltranzismo
atlantico. Nasce la P2 di Licio Gelli. In cui poi, allitaliana,
entrano anche (e per alcuni soprattutto) le protezioni, le
carriere, gli affari e gli affarucci. Ma tutto ciò,
tra il 1980 e il 1981, Turone e Colombo ancora non lo sapevano,
non lo immaginavano neanche. I due andavano avanti per la
loro strada, a districare i misteri del caso Sindona.
La perquisizione fatale. Scoprono che Sindona non
è stato rapito, ma ha organizzato una messa in scena
per sparire dagli Stati Uniti e arrivare in Italia, in Sicilia.
Scoprono che è lui a trattare il salvataggio delle
sue banche con Giulio Andreotti, a minacciare il presidente
della Mediobanca Enrico Cuccia (che si oppone al piano di
risanamento), è lui a far uccidere Giorgio Ambrosoli,
nella notte dell11 luglio 1979, con tre colpi di 357
magnum sparati al petto da un sicario che viene dagli Stati
Uniti. A ospitare Sindona a Palermo, in quellestate
di scirocco e di sangue, è un medico italoamericano:
Joseph Miceli Crimi, massone, esperto di riti esoterici e
di chirurgie plastiche. è lui che spara alla gamba
del banchiere, con sapienza clinica, per cercare di rendere
credibile il rapimento. I due giudici istruttori gli sequestrano
alcune carte e, tra queste, uno stupido biglietto ferroviario
Palermo-Arezzo, usato da Miceli Crimi nellestate del
1979. Domanda: perché un viaggio dalla Sicilia ad Arezzo?
Risposta: «Per andare dal dentista presso cui ero in
cura». Fantasiosa, ma i due milanesi non abboccano.
Miceli Crimi, messo alle strette, ammette: ma sì, sono
andato da un certo Licio Gelli, per discutere con lui la situazione
di Sindona. Questo Gelli comincia proprio a incuriosire i
due giudici istruttori. I personaggi che si muovono attorno
a Sindona e si danno da fare per salvarlo, scoprono Turone
e Colombo, finiscono tutti per arrivare a Gelli: Rodolfo Guzzi,
lavvocato del bancarottiere; Pier Sandro Magnoni, suo
genero; Philip Guarino e Paul Rao, due massoni che incontrano
il Venerabile poche ore dopo essere stati ricevuti da Giulio
Andreotti. Ecco perché, nel marzo 1981, i giudici milanesi
ordinano una perquisizione di tutti gli indirizzi del Venerabile.
«Cautela assoluta», ricorda Colombo, «avevamo
intuito che per ottenere risultati dovevamo procedere con
la massima segretezza». La sera di lunedì 16
marzo 1981 una sessantina di agenti della Guardia di finanza
si muove da Milano verso i quattro indirizzi di Gelli annotati
su una agenda di Sindona sequestrata al banchiere dalla polizia
di New York: villa Wanda di Arezzo, labitazione privata;
la suite allExcelsior dove riceveva autorità,
politici, postulanti; unazienda di Frosinone; e gli
uffici di una fabbrica dabbigliamento, la Giole di Castiglion
Fibocchi.
Lincarico delle perquisizioni è affidato
a un uomo di cui Turone e Colombo conoscono la lealtà
istituzionale, il colonnello della Guardia di finanza Vincenzo
Bianchi. Ha lordine di agire senza informare nessuno
e senza avere alcun contatto con le autorità locali,
i carabinieri, la polizia, la magistratura del posto, neppure
i comandi della Guardia di finanza. I suoi finanzieri, arrivati
in Toscana, non passano la notte nella caserma di Arezzo,
ma si disperdono in diverse località lì attorno.
Per tutti, lappuntamento è allalba del
17 marzo.
Scatta la perquisizione. Nessun risultato a Roma. Niente a
villa Wanda. Lazienda di Frosinone è un vecchio
indirizzo. Alla Giole, invece, cè una montagna
di carte. Gelli non si trova, è a Montevideo. Ma la
sua segretaria, Carla, protegge con vigore i documenti stipati
nella scrivania, nei cassetti, nella cassaforte, in una valigia...
Nella cassaforte ci sono gli elenchi della loggia segreta.
«Sequestrate tutto», ordinano, per telefono, i
giudici istruttori. La perquisizione è ancora in corso
quando a Bianchi arriva via radio una chiamata del generale
Orazio Giannini, comandante della Guardia di finanza:
cè anche il suo nome, in quegli elenchi, come
quello del suo predecessore, il generale
Raffaele Giudice, come quello del capo di stato maggiore
della Finanza, il generale Donato Lo
Prete. E il comandante delle Fiamme gialle di Arezzo,
e una folla di generali, colonnelli, maggiori...
Verso il porto delle nebbie. Tutte le carte sono portate
a Milano. Turone e Colombo le catalogano, personalmente, pagina
per pagina. Ne fanno due copie. Loriginale entra nel
fascicolo dellinchiesta; la prima copia è affidata
ai finanzieri, con lincarico di conservarla in un luogo
sconosciuto agli stessi giudici; la seconda è nascosta,
sotto una falsa intestazione («Formazioni comuniste
combattenti») tra i fascicoli di un collega di cui i
due si fidano, il giudice Pietro Forno. Non si sa mai.
Fuori dal palazzo di giustizia di Milano, intanto, nessuno
sa delle carte sequestrate a Gelli. Eppure qualcuno sta lavorando
febbrilmente per parare il colpo. La notizia comincia a trapelare.
La dà, per primo, il telegiornale Rai la sera del 20
marzo. Ma non è chiaro quali documenti siano stati
trovati dai giudici. Il giorno dopo, sabato 21 marzo, il Giornale
(allora diretto da Indro Montanelli) scrive: «Nellambito
delle indagini per laffare Sindona, stasera si è
appresa una doppia operazione compiuta dalla magistratura
di Milano e da quella di Roma, nella villa aretina di Licio
Gelli, Venerabile Maestro della loggia massonica P2. Per conto
dei giudici milanesi lintervento sarebbe stato operato
dalla Guardia di finanza, mentre Roma avrebbe partecipato
agli accertamenti attraverso il sostituto procuratore della
Repubblica Sica». Strana notizia: il ritrovamento non
è avvenuto a villa Wanda ma alla Giole di Castiglion
Fibocchi; e soprattutto Domenico Sica, detto «Rubamazzo»,
per ora non centra nulla. Ma basteranno poche settimane
e Roma arriverà ad avverare la profezia del Giornale
e a strappare lindagine ai magistrati milanesi.
Turone e Colombo, consci del peso istituzionale della
loro scoperta, decidono che è loro dovere informare
il capo dello Stato: ma il presidente Sandro Pertini è
allestero, così ripiegano sul capo del governo,
Arnaldo Forlani. Si recano a Roma il 25 marzo, lappuntamento
è fissato alle ore 16 a Palazzo Madama. Aspettano per
due ore. Poi la segreteria di Forlani comunica che cè
stato un equivoco, che il presidente li aspetta a Palazzo
Chigi. I due giudici si spostano lì. Ad accoglierli
è il capo di gabinetto di Forlani. «Ci siamo
guardati negli occhi in silenzio», ricorda Colombo,
«il funzionario davanti a noi era il prefetto
Mario Semprini, tessera P2 1637». Forlani è
cortese, chiede se le carte trovate possono essere non autentiche.
I due giudici gli mostrano una firma autografa del ministro
della Giustizia Adolfo Sarti
sulla domanda discrizione alla loggia. Chiedono: «Signor
presidente, avrà certamente un documento controfirmato
dal suo ministro Guardasigilli...». Forlani ne prende
uno, confronta i due fogli, si convince. «Datemi tempo
di riflettere», conclude Forlani. «Di solito offro
agli ospiti di riguardo un aereo dei servizi per tornare a
casa. Mi pare che questa volta non sia il caso».
Forlani tira in lungo. Non vuole prendersi la responsabilità
di rendere pubblici gli elenchi. Cerca di scaricarla sui giudici
milanesi. Sui giornali del 20 maggio i titoli confermano quella
sensazione: «Forlani: spetta ai giudici togliere il
segreto sulla P2». Turone, Colombo e il capo dellufficio
Amati inviano immediatamente una lettera al presidente del
Consiglio, in cui sostengono che sono coperti dal segreto
istruttorio i verbali delle deposizioni dei testimoni che
stanno sfilando davanti a loro, ma non «il restante
materiale trasmesso». Forlani capisce che non può
più aspettare. Le liste di Gelli sono rese pubbliche.
Oltre agli elenchi degli affiliati e alla documentazione
sulla loggia, tra le carte sequestrate vi sono 33 buste sigillate
con intestazioni diverse: «Accordo Eni-Petromin»,
«Calvi Roberto vertenza con Banca dItalia»,
«Documentazione per la definizione del gruppo Rizzoli»,
«On. Claudio Martelli»...
Cerano già, in quelle carte, i segreti di Tangentopoli,
del Conto Protezione e di tanto altro ancora. Ma i tempi non
erano maturi. Da Roma si muovono il giudice istruttore Domenico
Sica (detto «Rubamazzo») e il procuratore della
Repubblica Achille Gallucci. Sollevano il conflitto di competenza
e la Cassazione, il 2 settembre 1981, strappa linchiesta
a Milano per affidarla a Roma. Non sviluppata, lindagine
si spegne. «Mi è arrivata sulla scrivania già
morta», dice Elisabetta Cesqui, il pubblico ministero
che eredita lindagine. Laccusa di cospirazione
politica contro le istituzioni della Repubblica mediante associazione
cade: tutti i rinviati a giudizio (pochi: qualche capo dei
17 gruppi in cui la P2 era divisa, più Gelli e i responsabili
dei servizi segreti) sono prosciolti, e comunque il processo
arriva in Cassazione quando ormai è troppo tardi e
per tutti scatta la prescrizione.
Più utile il lavoro della Commissione parlamentare
presieduta da Tina Anselmi, che dichiara le liste della P2,
con 972 nomi, «autentiche» e «attendibili»,
ma incomplete. E con anni di lavoro produce un materiale immenso
e prezioso, la documentazione di come funzionava una potentissima
macchina di eversione e di potere. Ma nel 1981 le speranze
- o le paure - erano altre: una parte del Paese sperava che
lo scandalo P2 avviasse il rinnovamento della vita politica
e istituzionale; unaltra temeva che il proprio potere
si incrinasse per sempre. Sbagliavano gli uni e gli altri.
Tessera numero 1816. Oggi il più noto degli
iscritti alla P2 è Silvio Berlusconi,
tessera numero 1816. Per la P2 Berlusconi ha subito la sua
prima condanna, ormai definitiva: per falsa testimonianza.
Nel 1990, a Venezia, viene infatti giudicato colpevole di
aver giurato il falso davanti ai giudici, a proposito della
sua iscrizione alla loggia. Lanno prima, però,
cera stata una provvidenziale amnistia.
Quando parla della P2, Berlusconi se la cava, di solito, con
qualche battuta. Eppure liscrizione alla loggia è
stata determinante per i suoi primi affari immobiliari. Per
esempio per ottenere credito dalla Banca nazionale del lavoro
(controllata dalla P2, con ben otto alti dirigenti affiliati)
e dal Monte dei Paschi di Siena (era piduista il direttore
generale Giovanni Cresti). Conclude
la Commissione Anselmi: gli imprenditori Silvio Berlusconi
e Giovanni Fabbri (il re della carta) «trovarono appoggi
e finanziamenti al di là di ogni merito creditizio».
Ma poi, fatte le case, bisogna venderle. E non fu facile,
per Berlusconi. Lo soccorse, agli inizi della sua carriera
di immobiliarista, un «fratello» della loggia
segreta, il napoletano Ferruccio De
Lorenzo, già sottosegretario liberale in un
governo Andreotti e padre di Francesco, futuro ministro della
Sanità e imputato di Mani pulite: Ferruccio De Lorenzo
acquistò, come presidente dellEnpam (lEnte
nazionale previdenza e assistenza dei medici italiani) prima
due hotel a Segrate, poi decine di appartamenti di Milano
2. LEnpam decise poi di affidare a Berlusconi anche
la gestione del teatro Manzoni di Milano, controllato dallente.
Quando Gelli parla di Berlusconi, è lapidario:
«Ha preso il nostro Piano di rinascita e lo ha copiato
quasi tutto», dichiara allIndipendente nel febbraio
1996. Il Piano di rinascita democratica era il programma politico
della P2. Fu sequestrato il 4 luglio 1981 allaeroporto
di Fiumicino, nel doppiofondo di una valigia di Maria Grazia
Gelli, figlia del Venerabile. Riletto oggi, risulta profetico.
Prevede, infatti, di «usare gli strumenti finanziari
per limmediata nascita di due movimenti luno sulla
sinistra e laltro sulla destra». Tali movimenti
«dovrebbero essere fondati da altrettanti club promotori».
Nellattesa, il Piano suggerisce che con circa 10 miliardi
è possibile «inserirsi nellattuale sistema
di tesseramento della Dc per acquistare il partito».
Con «un costo aggiuntivo dai 5 ai 10 miliardi»
si potrebbe poi «provocare la scissione e la nascita
di una libera confederazione sindacale». Per quanto
riguarda la stampa, «occorrerà redigere un elenco
di almeno due o tre elementi per ciascun quotidiano e periodico
in modo tale che nessuno sappia dellaltro»; «ai
giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito
di simpatizzare per gli esponenti politici come sopra».
Poi bisognerà: «acquisire alcuni settimanali
di battaglia», «coordinare tutta la stampa provinciale
e locale attraverso unagenzia centralizzata»,
«coordinare molte tv via cavo con lagenzia per
la stampa locale», «dissolvere la Rai in nome
della libertà dantenna»; «punto chiave
è limmediata costituzione della tv via cavo da
impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione
media nel vivo del Paese». Tecnologia a parte: preveggente,
no?
La giustizia va ricondotta «alla sua tradizionale
funzione di equilibrio della società e non già
di eversione». Per questo, è necessaria la separazione
delle carriere del pubblico ministero e dei giudici, «listruzione
pubblica dei processi nella dialettica fra pubblica accusa
e difesa di fronte ai giudici giudicanti», la «riforma
del Consiglio superiore della magistratura che deve essere
responsabile verso il Parlamento». Molto è già
stato realizzato. Per il resto si vedrà.
Che fine hanno fatto gli altri «fratelli» di loggia?
Alcuni hanno fatto proprio una brutta fine. Sindona, dopo
essere stato condannato per lomicidio di Giorgio Ambrosoli,
è morto in carcere, per una tazzina di caffè
al veleno. Il suo successore nella finanza davventura,
Roberto Calvi, tessera numero 1624, ha gettato la più
grande banca italiana, il Banco Ambrosiano, nelle braccia
della P2 che gli ha sottratto un fiume di miliardi e lha
fatto finire in bancarotta; alla fine, il 18 giugno 1982,
è stato trovato penzolante sutto il ponte dei Frati
neri, a Londra. Mino Pecorelli,
tessera 1750, giornalista in contatto con i servizi segreti,
direttore di Op e piduista anomalo che voleva giocare in proprio,
è stato crivellato di colpi nella sua automobile, il
20 marzo 1979.
La loggia multinazionale. Gelli è agli arresti
domiciliari a villa Wanda, condannato per il crac del Banco
Ambrosiano. Molti degli affiliati, il nocciolo duro del club
delloltranzismo atlantico, sono stati coinvolti in vicende
di eversione, stragi, tentati colpi di Stato, depistaggi.
Così Vito Miceli, Gian Adelio
Maletti, Antonio Labruna, Giuseppe Santovito, Giovanni Fanelli,
Antonio Viezzer, Umberto Federico DAmato, Giovanbattista
Palumbo, Pietro Musumeci, Elio Cioppa, Manlio Del Gaudio,
Giovanni Allavena, Giovanni Alliata di Montereale, Giulio
Caradonna, Edgardo Sogno... Ci vorrebbe almeno un libro
per ciascuno, per raccontare la multiforme attività
di questi fedeli servitori del Doppio Stato.
Organizzazione multinazionale, la P2 aveva affiliati che operavano
in Sudamerica: Uruguay, Brasile e soprattutto Argentina. In
Argentina, dove Gelli aveva rapporti molto stretti con i servizi
segreti, aveva arruolato nella loggia lammiraglio
Emilio Massera, capo di Stato maggiore della Marina,
Josè Lopez Rega, ministro
del Benessere sociale di Juan Domingo Peron, Alberto
Vignes, ministro degli Esteri, lammiraglio
Carlos Alberto Corti e altri militari.
Pochi del club P2 sono stati messi davvero fuori gioco
dallo scandalo che seguì la pubblicazione degli elenchi.
I magistrati (unica categoria che reagì con decisione)
furono giudicati e sanzionati dal Consiglio superiore della
magistratura. Ma ciò non toglie che uno dei magistrati
iscritti alla P2, Giuseppe Renato Croce,
tessera numero 2071, oggi giudice per le indagini preliminari
a Roma, con arzigogoli procedurali stia dando ragione a Marcello
DellUtri in una delle tante contese giudiziarie che
il braccio destro di Berlusconi ha aperte.
Molti dei piduisti sono stati messi da parte dagli anni e
dalletà. Ma chi resiste allazione del ciclo
biologico non se la cava poi tanto male. Tra i giornalisti
(di allora), Gustavo Selva è
parlamentare di An; Maurizio Costanzo
è direttore di Canale 5 e uomo politicamente trasversale,
anche se sempre dalla parte di Berlusconi nei momenti cruciali;
Massimo Donelli è direttore
della nuova tv del Sole 24 ore. Roberto
Gervaso continua a scrivere un fiume di articoli e
di libri e nessuno si ricorda più di una simpatica
lettera che inviò, tanto tempo fa, a Gelli: «Caro
Licio, ho chiesto a Di Bella
(direttore del Corriere della sera quando era nelle mani della
P2, ndr) di farmi collaborare. è bene che tutti capiscano
che bisogna premiare gli amici. Oggi Di Bella parlerà
della mia collaborazione con Tassan
Din (direttore generale del Corriere, piduista come
leditore del Corriere, Angelo Rizzoli, ndr). Vedi di
fare, se puoi, una telefonata a Tassan Din, affinchè
non mi metta i bastoni tra le ruote». Più defilato
Paolo Mosca,
ex direttore della Domenica del Corriere.
Gino Nebiolo, allepoca direttore del Tg1, è
stato mandato da Letizia Moratti a dirigere la sede Rai di
Montevideo (una capitale della P2) e oggi scrive sul Foglio
di Giuliano Ferrara. Franco Colombo,
ex corrispondente della Rai a Parigi e aspirante piduista,
oggi ha cambiato mestiere: è vicepresidente della società
del Traforo del Monte Bianco e si sta dando molto da fare
per gli appalti che devono riaprire il tunnel. Alberto
Sensini (aspirante piduista, come Colombo) scrive di
politica sui giornali.
Tra i politici, Pietro Longo,
segretario del Partito socialdemocratico, divenne il simbolo
negativo del piduista con cappuccio. Ma a tanti altri è
andata meglio. Publio Fiori (tessera
1878), ex deputato democristiano, è trasmigrato in
An e nel 1994 è diventato ministro di Berlusconi. Una
poltrona di ministro è già capitata, durante
il governo Berlusconi, anche ad Antonio
Martino (anchegli a Gelli aveva solo presentato
la domanda discrizione). Invece Duilio
Poggiolini (tessera 2247), ex ministro democristiano
della Sanità, ha avuto la carriera stroncata non dalla
P2, ma dai lingotti doro di Tangentopoli trovati nel
pouf del salotto. Massimo De Carolis
(tessera P2 1815, solo un numero in meno di quella di Berlusconi),
negli anni Settanta era democristiano e leader della «Maggioranza
silenziosa», oggi è tornato alla politica sotto
le bandiere di Forza Italia e grazie al rapporto diretto con
Berlusconi ha ottenuto la presidenza del Consiglio comunale
di Milano e la promessa di una candidatura in Parlamento.
Le ha dovuto abbandonare entrambe, dietro la ferma insistenza
del sindaco Gabriele Albertini, dopo essere stato coinvolto
in alcuni scandali. è accusato, tra laltro, di
aver chiesto 200 milioni per rivelare notizie riservate a
una azienda partecipante a una gara per un appalto a Milano.
Ma il fatto curioso è che, insieme a De Carolis, nel
processo in corso a Milano sia coinvolta unaltra vecchia
conoscenza della P2: Luigi Franconi
(tessera P2 numero 1778). I rapporti solidi resistono nel
tempo.
Politica & affari. Un banchiere iscritto alla
P2, certo meno noto di Sindona e Calvi, era
Antonio DAlì,
proprietario della Banca Sicula e datore di lavoro di boss
di mafia come i Messina Denaro. Oggi ha passato la mano al
figlio, Antonio DAlì jr, eletto senatore a Trapani
nelle liste di Forza Italia. Angelo
Rizzoli, che si fece sfilare di mano il Corriere dalla
compagnia della P2, oggi fa il produttore cinematografico.
Roberto Memmo (tessera 1651),
finanziere che tanto si diede da fare per salvare Sindona,
oggi è buon amico di Marcello DellUtri, di Cesare
Previti e del giudice Renato Squillante, che incontrava insieme,
e dirige la Fondazione Memmo per larte e la cultura,
con sede a Roma nel Palazzo Ruspoli.
Rolando Picchioni (tessera 2095),
torinese, ex deputato dc, coinvolto (ma assolto) nello scandalo
petroli, oggi è in area Udeur ed è segretario
generale del Salone del libro di Torino.
Giancarlo Elia Valori, unico caso di piduista espulso
dalla loggia perché faceva troppa concorrenza al Venerabile
Maestro, oggi è presidente dellAssociazione industriali
di Roma, infaticabile scrittore di libri e instancabile tessitore
di rapporti e di alleanze. Vittorio
Emanuele di Savoia (tessera 1621) è un curioso
caso di uomo off-shore: non può rientrare in Italia,
ma in Italia fa business, seppure attraverso società
estere. Ora vorrebbe poter rientrare definitivamente, anche
se nei fatti non ne è mai stato fuori, a giudicare
dai suoi affari e traffici (darmi): nei decenni scorsi
è stato, anche grazie alla sua integrazione nel club
P2, mediatore daffari allestero per conto di aziende
italiane (Agusta) e addirittura di Stato (Italimpianti, Condotte...),
quello stesso Stato sul cui territorio non poteva mettere
piede. Di Berlusconi ha detto (era il 1994): «è
un buon manager, può rimettere ordine nelleconomia
italiana». Come? Per esempio «cancellando quel
disastro» che è «lo Statuto dei lavoratori,
con il divieto di licenziamento». Apprezzamenti naturali,
tra compagni di loggia. Ma con un finale obbligato per il
principe: «Io? Non faccio politica». Vittorio
Emanuele non vota, ma cè da scommetterci che
tifa per Berlusconi, che potrà farlo finalmente rientrare
in Italia, questa volta anche fisicamente.
Ventanni dopo, in Italia è tempo di revisioni.
Anche sulla P2. è stato un legittimo club di amiconi,
magari con qualcuno che ne approfittava un po per fare
affari. Gelli? Un abile traffichino che millantava poteri
che in realtà non aveva. Ma era proprio questo, la
P2? Vista con distacco, appare invece il luogo più
attivo per lelaborazione di strategie di potere del
grande partito atlantico in Italia, almeno tra il 1974 e il
1981. Centro dincontro tra politica, affari, ambienti
militari. Nella loggia segreta è confluito il partito
del golpe, reduce della stagione delle stragi 1969-74, ma
con una nuova strategia, più flessibile, più
attenta alla politica. E ai soldi, che possono comprarla:
come suggerisce, appunto, il Piano di rinascita.
E oggi? La fase, naturalmente, è nuova. La società
è cambiata. Anche gli uomini alla ribalta sono, in
buona parte, diversi. Ma nella storia italiana non si butta
via niente, cè una continuità di fondo
con il peggio delle nostre vicende, fatte di un anticomunismo
eversivo, bancarotte e spoliazioni di denaro pubblico, politica
corrotta, stragi, morti ammazzati, rapporti inconfessabili
con le organizzazioni criminali. Il passato, il tremendo passato
italiano, deve sempre restare non del tutto chiarito, perché
i dossier, gli uomini, i segreti, i ricatti che da quel passato
provengono possano essere riciclati nel futuro. Da questo
punto di vista, la parabola di Silvio Berlusconi, uomo «nuovissimo»
che viene dal passato vecchissimo di Gelli e affiliati, è
la parabola dellItalia.
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