Expo a Milano, rischio legalità
Impariamo dall'Europa. Ma anche dal passato italiano. Fatto di corruzione e tangenti
La grande avventura è cominciata. Milano si è lanciata verso il traguardo dell’Expo. Formidabile occasione per migliorare la qualità urbana: lo dimostrano le esperienze di Siviglia, Lisbona, Hannover... Aree riqualificate, vivibilità migliorata, potenziato appeal internazionale. Basta approfittare di un volo low cost per constatarlo, per vedere nel corpo di quelle città i (buoni) segni lasciati dall’evento. Bene, dunque, anche per Milano, nel caso vinca la sua gara con Smirne.
Però in Italia abbiamo anche altre esperienze di cui fare tesoro: le Olimpiadi invernali 2006 a Torino, le Colombiadi 1992 a Genova e, più indietro, Italia 90... Grandi iniziative, grandi investimenti, grandi corruzioni. Le manifestazioni internazionali lasciano di solito sul terreno coriandoli colorati: da noi, lasciano anche una scia di polemiche e inchieste penali per sprechi e per cattivi incroci tra affari e politica. Opacità, indagini, processi, condanne. Torino 2006 – con i suoi impianti abbandonati, le gare truccate, i sospetti di tangenti – è l’ultima stazione (per ora) di una dolorosa via crucis: alcune inchieste in corso stanno cercando di spiegare che cosa è successo dietro le quinte della festa.
Dunque anche l’Expo milanese è a rischio: rischio legalità. Inutile far finta di non saperlo. Ci saranno tanti soldi da spendere, tanti interessi da mediare, tanti appetiti da soddisfare. Le grandi manovre sono già cominciate, le cordate imprenditoriali e politiche sono già pronte, si stanno scaldando i muscoli. I meccanismi degli appalti, poi, non aiutano. Anzi. Ormai prevale il modello Tav, il meccanismo del “contraente generale” (general contractor): i soldi (pubblici) sono affidati a soggetti (privati) che realizzano le opere necessarie senza poter essere sottoposti a controllo. Al pubblico tutti gli oneri, ai privati tutti i poteri.
Del resto, nelle vene della città ormai non circola nemmeno più l’indignazione, e neppure lo stupore: davanti alla possibilità di infrangere le regole, prevale la cinica assuefazione di chi ne ha viste tante, da Mani pulite a oggi, e sa che così va il mondo. Nella versione migliore, il cinismo prende la forma del fatalismo: per “fare” è necessario sporcarsele, le mani. Per far girare i soldi e realizzare qualcosa in città, vale la pena di pagare lo scotto di una certa quota d’illegalità.
Ma è proprio così? L’esperienza, gli studi indipendenti e le agenzie internazionali dicono il contrario: la corruzione rende le opere più costose, ne abbassa la qualità, allunga i tempi di realizzazione; e ne sottrae il controllo e la guida agli interessi collettivi, per affidarli agli appetiti privati, di gruppo o di lobby. Allora una città che voglia davvero puntare all’Expo come a un’opportunità di sviluppo deve garantire fin da subito, oltre agli apparati progettuali e pubblicitari per vincere la gara con Smirne, anche trasparenza e controlli.
Occorre assicurare massima chiarezza sulle alternative possibili, condivisione delle scelte, controllo delle procedure. Occorre che ogni decisione sia via via raccontata, con trasparenza assoluta, ai cittadini. E bisogna rendere tutto ciò visibile, concreto: non si può darlo per scontato, non può restare un richiamo sottinteso, generico, rituale e in definitiva inefficace. La “garanzia legalità” deve avere una faccia, un’attività indipendente, poteri reali. Almeno così Milano potrà dire di averci provato: tra una decina di anni farà il bilancio e verificherà i risultati. L’Expo 2015 può essere un ulteriore capitolo del libro infinito della corruzione in Italia. Oppure l’occasione di una svolta, la dimostrazione che Milano può tornare capitale: anche morale.
La Repubblica, 3 novembre 2007
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