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IL RITORNO DEL CAIMANO
Il blog di Gianni Barbacetto sull'incredibile Italia del 2008
Giustizia, soluzione finale
26 agosto 2008
Berlusconi vuole la "grande riforma" della giustizia. Gli annunci d'agosto ripartono dalla "bozza Boato", quella della Bicamerale di Massimo D'Alema (che riprendeva proposte del programma della P2 di Licio Gelli):
- netta distinzione delle funzioni tra magistrati dell'accusa e giudici,
- due distinte sezioni del Csm,
- un organismo disciplinare per i magistrati diverso dal Csm,
- aumento dei membri laici (cioè politici) del Csm,
- azione penale non più obbligatoria, con la politica che decide quali reati perseguire e quali no...
L'obiettivo di Berlusconi è semplice: ridurre l'autonomia della magistratura e i controlli di legalità sulla politica. Per impedire le inchieste su di lui e sulla politica. Così i politici saranno liberi di rubare, senza che qualche pm si metta in mezzo.
Una parte del centrosinistra apprezza. È il "riformismo sadomaso": se Berlusconi ti vuole fare male, tu precedilo e fatti male da solo. Ma è anche, per alcuni, la scelta precisa e condivisa di ridurre i controlli della magistratura sulla politica, controlli che hanno colpito a destra e a sinistra...
Ecco gli argomenti della propaganda sulla necessità della "grande riforma".
1. La giustizia non funziona, dunque è necessaria la riforma. La riforma che sarebbe utile è quella che rende i processi più veloci, le cause civili più rapide, i poveri cristi più garantiti, la corruzione più attaccabile. Per ottenere questi risultati si potrebbe ridurre a due i gradi di processo, riformare il processo civile, attuare una semplificazione dei riti, ridisegnare le circoscrizioni giudiziarie con la soppressione degli uffici giudiziari minori, depenalizzare i reati minori con introduzione di pene alternative al carcere, introdurre la posta elettronica certificata nel processo penale e civile, eliminare tutti quei formalismi che impediscono di arrivare a una sentenza in tempi ragionevoli... Che cosa c'entra la divisione delle carriere e tutto il resto della bozza Boato-Gelli?
2. Riequilibrare i pesi magistratura-politica. Non c'è niente da riequilibrare. Non c'è stata alcuna invasione della magistratura nel campo della politica: i magistrati sono costretti a intervenire spesso perché la politica è molto corrotta. Smettano di rubare, e la magistratura si occuperà d'altro. Del resto, in democrazia non basta avere i voti: chi ha i voti non diventa intoccabile, deve comunque sottostare al controllo di legalità.
3. Dividere le carriere. Non serve a dare più autonomia ai giudici, che già ce l'hanno, ma solo a ridurre l'autonomia dei pm. Sbocco finale: sottoporre il pm al controllo dell'esecutivo. In attesa di questo traguardo, ecco i pasticci dei due Csm. A proposito: oggi si dice che il Csm è dominato dalle correnti politiche dei magistrati, ma poi lo si vuole riformare aumentando i membri di nomina politica. In verità si vuole accrescere il peso dei partiti nel Csm.
4. Discrezionalità dell'azione penale. Si vorrebbe impedire che qualunque pm possa aprire un'indagine su un politico, si vorrebbe che fosse invece la politica a indicare quali reati perseguire e quali no. Con buona pace dell'uguaglianza di tutti davanti alla legge.
5. Pm eletti dal popolo. Una bizzarria che piace tanto alla Lega. Oltre a essere incostituzionale, avrebbe come effetto la radicale politicizzazione della giustizia: per essere rieletti i pm dovrebbero cercare il consenso, non la giustizia.
Nel nome di Giovanni Falcone. I fautori di questa "riforma" hanno fatto il nome di Falcone come sostenitore della divisione delle carriere e della discrezionalitą dell'azione penale. Dopo averlo combattuto in vita, lo usano - a sproposito - in morte. Per la serie: l'unico magistrato buono č il magistrato morto.
La satira e la politica
14 luglio 2008
Le polemiche seguite alla manifestazione di piazza Navona ci dicono che oggi tutto è più difficile, rispetto al movimento dei girotondi del 2002. Più difficile perché il paese è nel frattempo diventato più simile a Berlusconi. Incattivito, impaurito e frastornato, non si stupisce più che la Costituzione venga piegata alle esigenze di un imputato diventato presidente del Consiglio; non s'indigna più per la contrapposizione tra legittimità (ho avuto i voti, dunque devo governare) e legalità (la legge è uguale per tutti, anche per chi ha avuto i voti); ritiene ormai normale che il padrone del governo sia anche padrone della tv; e non sente un brivido neppure se l'Europa ci dice ciò che è evidente: prendere le impronte digitali ai rom è schedatura su base etnica. Intanto cambia la Costituzione materiale del paese. La divisione dei poteri - cioè la democrazia - è in pericolo: un Parlamento nominato in maggioranza da Berlusconi (e non eletto dai cittadini) è convocato a ratificare in fretta e furia un lodo emanato dall'esecutivo, per vanificare l'azione del potere giudiziario, bloccando un processo ormai vicino alla sentenza. Un processo in cui Berlusconi è imputato di aver corrotto un testimone affinché inquinasse le sue deposizioni in altri, precedenti processi, da cui Berlusconi, eterno imputato, è riuscito a uscire senza condanne: grazie a prescrizioni e amnistie, o grazie ad assoluzioni ora capiamo come ottenute...
Ma questo momento appare più difficile anche per un altro, simmetrico motivo. Nel 2002 le critiche e lo scherno al movimento dei girotondi arrivavano dal fronte berlusconiano, mentre la sinistra stava a guardare; certo, esibiva la sua diversità da quel movimento; una parte - quella dalemiana - lo criticava apertamente accusandolo di «delegittimare i partiti». M a finiva comunque per subirne l'influsso: pungolata , spinta a diventare più decisa, costretta a fare un'opposizione più decisa. Emblematica la frase di Anna Finocchiaro colta al volo da un giornalista dell'Espresso. A Niccolò Ghedini che le chiedeva un atteggiamento morbido e senza ostruzionismi sulla legge Cirami allora in discussione al Parlamento, Finocchiaro rispondeva: «Cercate di capire i nostri problemi... dopo i girotondi...». Alla fine, la sinistra parlamentare dai movimenti era rafforzata, anche suo malgrado: uscita sconfitta e umiliata dalle elezioni del 2001, dopo i girotondi riprende vigore e non perde più un'elezione, fino alla vittoria alle politiche del 2006.
Oggi tira un'altra aria. Le divisioni, le critiche, i distinguo dilaniano dall'interno anche il fronte dell'opposizione a Berlusconi. Ai toni di piazza Navona sono arrivati attacchi da Furio Colombo, Umberto Eco, Nanni Moretti... Che cosa è successo, dunque? La crisi della politica si è aggravata. Se a destra il Caimano è diventato più aggressivo, sicuro di poter alzare sempre più l'asticella nella sua sfida alla costituzione materiale del paese, a sinistra è ormai babele. La sinistra cosiddetta "radicale" è dispersa e smarrita, senza più rappresentanza in Parlamento. Poco male per il digiuno imposto ai supponenti e litigiosi gruppetti dirigenti di quella sinistra, piccola casta a cui quel digiuno non potrà che far bene. Più grave per il popolo di quella sinistra, che fatica a capire come coniugare la sua tradizione e le sue radici con il caos presente; che a volte, in nome della centralità dei temi sociali ed economici, sottovaluta lo stravolgimento, che è in corso, delle basi della democrazia, riducendolo a "questione giustizia", al cosiddetto "scontro tra politica e magistratura".
Smarrita anche la sinistra che si definisce "riformista". Il Partito democratico pareva la grande occasione per riformare la politica e dare una nuova casa al grande popolo della sinistra italiana. Molti ritengono ormai che quella occasione sia perduta. Il Pd è nato, sì, ma come federazione - provvisoria e incerta - di gruppi e gruppetti, accordi tra capicorrente e capibastone. Curioso che nel partito che si dice democratico non si voti mai, ma si spartiscano posti e candidature con una versione appena aggiornata del manuale Cencelli. Anche la parte di sinistra dell'emiciclo parlamentare è "nominata" da un gruppetto di leader e non eletta dai cittadini. Anche qui, c'è un grande popolo che spera e soffre, che vorrebbe avere voce e sconfiggere Berlusconi. Ma anche qui, è il ceto politico che decide. Sconfitto nelle urne e nel paese, continua a detenere il monopolio della politica a sinistra. Ha deciso la via del "dialogo" con il Caimano, malgrado il Caimano forzi all'estremo i confini della democrazia. E malgrado la crescente insoddisfazione del suo popolo. Non ha voluto fare riforme liberali (su tv e conflitto d'interessi, per esempio) quando era al governo, figurarsi ora che è minoranza. Ma questa volta anche la sinistra, come il Caimano, è più insensibile agli stimoli esterni, non si lascia "migliorare" dai movimenti.
Infine, il momento attuale è più difficile perché siamo cambiati anche noi, che nei movimenti abbiamo visto la possibilità di cambiare il sistema dei partiti. Il linguaggio si è fatto più rozzo anche in questo settore della società. Ai ragionamenti di Nanni Moretti si sono sostituite le invettive di Beppe Grillo, le tirate di Sabina Guzzanti. Intendiamoci: è largamente strumentale la sopravvalutazione del ruolo di Grillo e Guzzanti l'8 luglio, la riduzione della manifestazione di piazza Navona ai loro interventi. L'8 luglio 2008 è stata una grande, bella giornata in cui migliaia di persone sono finalmente uscite dalla rassegnazione per riprendere il protagonismo dei cittadini che difendono la Costituzione e la legge uguale per tutti, che sperano di bloccare la deriva populista e proprietaria di Berlusconi e dei suoi alleati. Quel giorno è nato un grande movimento plurale. Nutrito dalle parole di Furio Colombo, Pancho Pardi, Paolo Flores d'Arcais, Marco Travaglio, Rita Borsellino, Moni Ovadia, Lidia Ravera, Santino Spinelli...
Poi ci sono stati anche gli interventi di Beppe Grillo e di Sabina Guzzanti, utilizzati (a destra, ma forse ancor più a sinistra) per non parlare del resto e per ghettizzare il movimento. Eppure erano interventi legittimi: non si può mettere le braghe alla satira, pretendere compostezze o imporre censure. Del resto, è legittimo criticare il papa (semmai è fuori tema). È legittimo porre il problema di quali siano per Berlusconi i criteri di selezione delle ministre (perché è una questione squisitamente politica e nient'affatto sessuale e privata). È legittimo perfino avanzare critiche al capo dello Stato (perché in democrazia non esistono autorità intoccabili). Insomma, le provocazioni di Grillo e Sabina possono non piacere (il vaffa, per esempio, non ci piace), ma in una grande, bella piazza plurale, ci stavano anche loro. E comunque nessuno in piazza è obbligato a sottoscrivere ogni parola che viene pronunciata dal palco.
La satira è sempre politica. Ed è sempre stata in rapporto dialettico - e duramente conflittuale - con la politica ufficiale, quella con la patente. È successo a Dario Fo, al Male , anche a Cuore . Sempre la satira è eccessiva, unilaterale, esagerata. Il problema è che Dario Fo, il Male , Cuore costruivano linguaggi avendo di fronte (o contro) un linguaggio altrettanto forte, quello della politica. Oggi Grillo, Guzzanti e gli altri parlano nel deserto dell'afasia, nella babele di una sinistra dove tante voci non fanno un linguaggio. Lo scandalo vero, allora, non lo hanno fatto Grillo o Guzzanti. Lo fanno Travaglio e Flores, quando segnalano le assenze della politica, quando dicono che Veltroni non nomina neppure il suo avversario, non fa opposizione, apre dialoghi con Berlusconi che si chiudono immancabilmente con un ulteriore arretramento della linea della decenza.
Per tutto ciò, oggi, rispetto agli anni dei girotondi, è più difficile fare un movimento per contrastare il deperimento della politica. È più difficile, ma ancor più necessario
Piazza Navona, il ritorno dei cittadini
10 luglio 2008
Un grande successo, la manifestazione dell'8 luglio in piazza Navona. Un grande successo dei cittadini che protestano contro le leggi canaglia di Berlusconi e che vogliono difendere la Costituzione e la legge uguale per tutti. È stata una bella giornata, ricca di idee e intensa d'emozioni. Gran parte dei giornali ha messo in grande evidenza le divisioni emerse sul palco e ha raccontato la manifestazione come dominata dalle "volgarità" e dagli attacchi al capo dello Stato: chi c'era e chi ha visto la diretta tv sa che la manifestazione è stata un'altra cosa. Un bell'inizio di movimento contro il ritorno del Caimano, la legge bloccaprocessi, il lodo dell'impunità a Silvio, la censura alla stampa imposta dalla legge sulle intercettazioni...
Le "volgarità": non si può pretendere di mettere regole alla satira; le provocazioni "esagerate" di Beppe Grillo e Sabina Guzzanti possono piacere oppure no, ma non possono essere censurate.
Il capo dello Stato: è bene non trascinare nella polemica il garante della democrazia; ma in democrazia nessuno è intoccabile, tutti possono essere criticati per le loro scelte.
Le divisioni: sì, il movimento nato l'8 luglio è un grande movimento plurale, unito nella difesa della Costituzione e nell'opposione a Berlusconi, in cui però ci sono diversi atteggiamenti nei confronti di Veltroni e del Pd: c'è chi ritiene che non si debba calcare la mano nelle critiche nei loro confronti; e chi invece sostiene che se Berlusconi può permettersi di fare le cose che fa, è perché l'attuale opposizione in Parlamento gliele lascia fare. Del resto, se l'opposizione avesse fatto bene il suo mestiere, non ci sarebbe stato bisogno della manifestazione di piazza Navona...
Noi ripetiamo, sull'opposizione, le parole di UMBERTO ECO:
«Cari amici, mentre esprimo la mia solidarietà per la vostra manifestazione, vorrei che essa servisse a ricordare a tutti due punti che si è sovente tentati di dimenticare:
1) Democrazia non significa che la maggioranza ha ragione. Significa che la maggioranza ha il diritto di governare;
2) Democrazia non significa pertanto che la minoranza ha torto. Significa che, mentre rispetta il governo della maggioranza, essa si esprime a voce altra ogni volta che pensa che la maggioranza abbia torto (o addirittura faccia cose contrarie alla legge, alla morale e ai principi stessi della democrazia), e deve farlo sempre e con la massima energia perché questo è il mandato che ha ricevuto dai cittadini. Quando la maggioranza sostiene di aver sempre ragione e la minoranza non osa reagire, allora è in pericolo la democrazia».
Le sexy-telefonate di Silvio:
questione politica, non personale
2 luglio 2008
«Censurate quelle telefonate», scrive Europa, precedendo come al solito Berlusconi. Sono conversazioni private, che documentano tutt'al più le fantasie erotiche di Silvio. Niente a che fare con la politica. Dunque, giusto impedire le intercettazioni e giustissimo punirne la pubblicazione. Invece no, cari amici di Europa. Lo spiega bene Michele Serra: dei mille casi italiani, quello delle telefonate di Agostino Saccà spiega forse più d'ogni altro quanto il paese abbia scaricato sulle spalle della magistratura scelte (Serra dice: scelte etiche) che dovrebbero essere fatte da altri. Prima che -- extrema ratio - la magistratura sia costretta a intervenire. I dirigenti Rai avrebbero dovuto dire, semplicemente: «Mi scusi, ma di queste cose non posso parlare con lei». Così non è andata. E allora ecco che la magistratura ha dovuto intervenire. Anche perché in quelle telefonate ci sono reati pesantissimi in campo, altro che semplici chiacchiere private, o innocue fantasie erotiche...
Il reato ipotizzato è la corruzione: Saccà avrebbe messo in vendita un bene pubblico (la Rai), favorendo attrici raccomandate da Berlusconi, in cambio dei sostegni promessi da Berlusconi ai suoi business privati. I giudici stabiliranno se reato c'è stato. Ma già fin d'ora la faccenda appare di una gravità sconvolgente. Perché le telefonate dimostrano quattro fatti uno più grave dell'altro:
1. La Rai, cioè la più grande azienda d'informazione e d'intrattenimento del paese, nelle mani dei partiti è diventata un indecente mercato delle vacche, in cui i dirigenti, ma anche i programmi, sono decisi dai politici; in cui protagoniste e comprimarie delle produzioni sono scelte da questo o quel deputato, spinte da questo o quel senatore o sottosegretario... Le finalità sono di volta in volta diverse: far realizzare la fiction gradita alla propria parte politica (come il Barbarossa per la Lega); aiutare l'attore o l'attrice della propria area; trovare un posto per la moglie (Willer Bordon), la compagna (Giuliano Urbani), l'amica di famiglia (Clemente Mastella), l'amante...
2. La Rai, cioè la tv pubblica, è monitorata e controllata dall'interno e dall'esterno dagli uomini e (dalle donne) dal suo principale concorrente, e cioè il gruppo Mediaset (vedi le telefonate di Deborah Bergamini).
3. Silvio Berlusconi, da presidente del Consiglio, continua a occuparsi di Mediaset, alla faccia di chi sostiene che il superamento del conflitto d'interessi. E contemporaneamente si occupa della Rai, delle nomine, dei programmi, perfino delle attrici da far lavorare.
4. Alcune attrici sono da far lavorare in Rai perché servono a uno scambio, a un grande progetto segreto: portare dalla propria parte qualche senatore del centrosinistra, amico o amante delle attrici medesime, così da far cadere il governo Prodi.
Le telefonate intercettate mostrano la volgarità di un mondo e della vita privata dei loro protagonisti. Ma questi sono affari loro. Il problema è che in questo caso il personale è politico, in senso letterale: è tutta politica la vicenda che ne emerge. È politico che la tv pubblica sia dominata dai partiti. È politico che la tv pubblica sia controllata dagli uomini Mediaset, alla faccia della concorrenza. È politico che il presidente del Consiglio continui a comandare nelle sue tv private e nella tv pubblica. È politico che il presidente del Consiglio tenti di rovesciare un governo comprando un senatore attraverso la sua amante piazzata in Rai. È politico, infine, che i criteri di scelta delle donne piazzate dal capo dentro il governo siano sessuali e non politici. E allora: siano benedette le intercettazioni che ancora ci rivelano questi pezzi di realtà, ancora ci mostrano il volto della politica di Berlusconi. Un volto osceno - e non per motivi sessuali. Quando saranno proibite, la faccia oscena della politica resterà davvero o-scena: cioè fuori scena, inconoscibile, nascosta, segreta.
Scriverò tutto, anche a costo della galera
1 luglio 2008
La legge Berlusconi-Ghedini-Alfano, che proibisce le intercettazioni per i reati dei politici, vieta anche la pubblicazione di tutte le notizie sulle indagini giudiziarie fino al processo: impedisce così la formazione della pubblica opinione e dunque il controllo del potere (quello politico, ma anche quello economico e finanziario) da parte dei cittadini. I giornalisti devono reagire continuando a scrivere tutto e a informare i loro lettori. Anche a costo del carcere. A una legge-bavaglio non possiamo che rispondere con la disobbedienza civile. Diventiamo tutti obiettori di coscienza. Questo sito pubblicherà tutte le notizie. Basterà che siano vere, anche se saranno proibite
Berlusconi, tra le leggi-canaglia che sta facendo approvare, ha inserito una legge sulle intercettazioni che ridurrà le possibilità per i magistrati di ordinare e utilizzare le intercettazioni telefoniche e ambientali (e dunque di provare reati). Niente intercettazioni per reati punibili con pene sotto i 10 anni: quindi la corruzione, la bancarotta fraudolenta, neppure il sequestro di persona... In più, i giornalisti non avranno alcuna possibilità di pubblicarle, le intercettazioni (e dunque di farle conoscere ai cittadini). Ma la legge non riguarda solo le intercettazioni: sarà proibito pubblicare qualsiasi notizia che riguardi indagini in corso, fino all'inizio del processo, fino all'udienza preliminare. Se questa legge fosse già stata in vigore, non avremmo potuto sapere nulla della truffa di Calciopoli, dei Furbetti del quartierino, del crac Parmalat, della Clinica degli orrori di Milano...
Una legge-vergogna che è anche una legge-vendetta: contro i magistrati che hanno sentito più volte la voce di Berlusconi, che non era intercettato, ma parlava con amici suoi intercettati (Saccà, per esempio). Una legge preventiva: così Berlusconi evita di cadere di nuovo nella rete nelle indagini in futuro. Una legge ad personam, anzi la più clamorosa delle leggi ad personam, perché fatta su misura non di una persona sola, ma dell'intera casta dei politici, che potranno continuare a delinquere senza il fastidio di veder poi pubblicate sui giornali le loro conversazioni.
Non è una legge contro i magistrati o contro i giornalisti: è una legge contro i cittadini, che impedirà di sapere che cosa succede nei retrobottega del potere. È una legge anticostituzionale, perché impedisce la libertà di espressione e di stampa. L'opposizione in Parlamento ha puntato al "dialogo" con Berlusconi e resta timida contro le leggi-canaglia. I giornalisti che vogliono continuare a fare i giornalisti preparino l'obiezione di coscienza: pubblicare le intercettazioni e le notizie "proibite" sulle indagini, contro la censura di regime, anche a costo di andare in galera. Questo sito è pronto.
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Non ci siamo persi di vista
23 giugno 2008
1. Siamo di nuovo qui. Ne avremmo fatto volentieri a meno. Avremmo anche tante altre cose importanti e divertenti da fare. Ma invece siamo di nuovo qui. Dobbiamo essere di nuovo qui. Perché Berlusconi ha ricominciato i suoi (eterni) attacchi alla legaltà e noi non possiamo accettare in silenzio.
Lo sapevamo. Non siamo stupiti. La avevamo detto e scritto (anche su societacivile.it) subito dopo le elezioni. È il ritorno del Caimano. È sempre lui, reso semmai più cattivo dal paese diventato sempre più simile a lui. A lui interessano, lo sappiamo, due cose: la roba (cioè le sue tv) e la giustizia. È bastato poco per avere la conferma dei fatti, contro quelli che lo credevano - chissà perché - miracolosamente trasformato in statista.
2. Appena arrivato a Palazzo Chigi, ha cominciato subito cercando di inserire di soppiatto una norma salvaretequattro. La Lega lo ha fermato, questa volta. Ma il tentativo è solo rimandato. Poi ha lanciato la legge contro le intercettazioni. Che toglie uno strumento formidabile d'indagine ai magistrati per garantire l'impunità di casta. È una legge ad personam, ma collettiva, questa volta. Salva Berlusconi insieme a tutta l'élite politica che vuole essere certa di poter restare impunita. Ma non impedisce solo le intercettazioni. Impedisce la pubblicazione di TUTTE le notizie su qualunque indagine fino all'inizio del processo. Vuol dire che non avremmo potuto né scrivere né leggere una riga sulla clinica degli orrori di Milano. Nulla su Calciopoli. Che solo oggi, tre anni dopo i fatti, potremmo cominciare a sapere qualcosa sui Furbetti del quartierino (nel frattempo Antonio Fazio sarebbe ancora governatore della banca d'Italia e Stefano Ricucci sarebbe il padrone del Corriere della sera). Solo oggi potremmo sapere qualcosa sul rapimento Cia-Sismi di Abu Omar e sui dossier di Pio Pompa. Negli Stati uniti vengono arrestati i banchieri coinvolti nella crisi dei subprime. In Italia non sarà possibile non dico arrestare, ma neanche intercettare i sospettati di bancarotta. E comunque, non si potrà raccontare le eventuali indagini a loro carico. Questa non è una legge contro i giornalisti, ma contro i lettori, contro i cittadini. Una legge che impedisce la formazione della pubblica opinione. Questo è bavaglio. Questa è censura. Questo è regime.
Poi è arrivata la legge bloccaprocessi, nascosta dentro il decreto sicurezza, che così diventa il decreto Sicurezza per Silvio. Bloccare tutta la macchina giudiziaria, con danni enormi per la giustizia e per la sicurezza, creare il caos e l'intasamento futuro nei tribunali, per fermare il processo Mills in cui Berlusconi è imputato di aver corrotto un testimone.
E poi ancora gli attacchi ai magistrati, quelli d'accusa e quelli giudicanti. Attacchi all'autonomia del Csm. E infine (per ora!) varo di un nuovo lodo Schifani, che renda improcessabile Berlusconi. Anche qui: non sono leggi contro i magistrati, ma contro i cittadini, che non avranno più leggi uguali per tutti.
Quando si attaccano i due sistemi di controllo del potere, la giustizia e l'informazione, la magistratura e la stampa, la democrazia cambia natura e diventa regime.
3. Era così difficile prevedere che il caimano non avrebbe smentito se stesso? Era così difficile capire che Berlusconi non vuole il dialogo, ma la resa degli oppositori? Era così difficile constatare che Berlusconi vuole usare questa legislatura per cambiare i connotati alla nostra democrazia? Era così difficile vedere quello che Silvio è ed è sempre stato, interessato a salvare le sue tv e ossessionato dai giudici perché non riesce neppure a pensare che lui, una volta avuti i voti, possa essere soggetto alla legge come qualunque cittadino. Questa è la democrazia. E questa è la ragione per cui a Berlusconi la democrazia va stretta. Ma era così difficile vedere quello che da 15 anni è sotto gli occhi di tutti?
Non era difficile. Eppure i nostri rappresentanti in Parlamento (almeno la maggioranza di essi) non hanno previsto e non vogliono vedere. Veltroni insiste con il dialogo e convoca manifestazioni a giochi già fatti, per quando la partita sarà già persa. Fassino dichiara che in fondo il lodo Schifani non fa così schifo, se poi Berlusconi non si ripresenta alle elezioni. Ma infatti lui non vuole più ripresentarsi alle elezioni, vuole diventare presidente della Repubblica.
E Anna Finocchiaro proclama in Parlamento: «Berlusconi avrebbe potuto comportarsi da statista e da una persona attenta alle sorti del Paese. Non lo ha voluto fare. Trovo che sia un fatto grave». Sì, è grave. È grave scambiare Berlusconi per statista. Inseguire un Berlusconi inesistente. L'opposizione ha deciso di convivere con lui, di vivere nei comodi interstizi che Berlusconi sa garantire a chi non fa l'opposizione sul serio. «Con questi non vinceremo mai», disse tanto tempo fa Nanni Moretti. Aveva ragione.
Eppure la maggioranza è già qui con noi. La maggioranza degli elettori di centrosinistra è insoddisfatta della non opposizione di Veltroni (sondaggio di Renato Mannheimer sul Corriere). Il 65% degli elettori di centrosinistra si schiera con nettezza contro il cosiddetto dialogo con Berlusconi (piace "poco" al 20%, "per nulla" al 45%). Due elettori su tre del dialogo col Caimano non vogliono proprio sentir parlare (sondaggio di Pagnoncelli). E allora costringiamo il ceto politico a seguire la maggioranza dei suoi elettori. Perché il Caimano è tornato. Ma il Caimano di può fermare.
Il primo passo
19 giugno 2008
Rompiamo gli indugi. Il nuovo assalto di Silvio Berlusconi ai principi di legalità e alla giustizia non può vederci testimoni immobili e dunque complici. Ancora una volta il potere politico viene usato per tutelare posizioni processuali personali, senza alcuno scrupolo né verso i principi costituzionali né verso gli effetti che si producono a cascata sull'amministrazione della giustizia, sulla sicurezza e sulla libertà d'informazione. Le scelte accomodanti dell'opposizione si stanno rivelando semplicemente sciagurate. L'idea che l'acquiescenza verso Berlusconi sia segno di maggiore consapevolezza e maturità politica sta portando il Paese alla deriva, privandolo di una voce coerentemente risoluta nella difesa della Costituzione e della decenza repubblicana in parlamento.
Noi crediamo che la logica alla quale Berlusconi sta assoggettando l'azione del suo nuovo governo e della sua maggioranza meriti una forte risposta democratica, libera dai complessi di colpa che la politica e l'informazione hanno cercato di gettare su chi negli anni passati si è mobilitato contro le leggi-vergogna e contro la manomissione della Costituzione. Non è stata la difesa dei principi di legalità costituzionale a fare perdere il centrosinistra, il quale anzi dal 2002 ha sempre vinto tutte le prove amministrative, fino alle politiche del 2006. Non è la nettezza dei principi che fa perdere, come ha dimostrato il divario tra i risultati di Rita Borsellino in Sicilia e i disastrosi risultati successivi. A far perdere voti è l'incapacità di governare emersa tra rivalità, ambizioni, narcisismi e rendite ideologiche ai danni del governo Prodi. Ed è, oggi, l'incapacità di rappresentare i propri elettori, sempre più inclini a non partecipare al voto.
Per questo invitiamo i cittadini milanesi a una prima mobilitazione in difesa della Costituzione e della giustizia per lunedì 23 giugno alle 18 davanti al Palazzo di giustizia, luogo simbolico per l'opinione pubblica legalitaria della città. Del tutto consapevoli che non siamo noi il "già visto". Il "già visto", la ripetizione infinita della storia, una storia di arroganze istituzionali, è Silvio Berlusconi. Davanti a noi c'è solo una scelta: se tacere per stanchezza o mettere una volta ancora le nostre energie al servizio della democrazia repubblicana e dello spirito delle leggi.
Comitato milanese per la legalità
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