In un giorno solo, Giulio Tremonti porta a casa due risultati. A Roma, il Senato vara la sua manovra correttiva da 25 miliardi di euro. A Bruxelles, l'Ecofin (il consiglio dei ministri europei delle Finanze) promuove l'Italia, sottolineando che le misure prese sono "conformi alle raccomandazioni" formulate dalla Commissione e dal Consiglio dell'Unione. Certo, al Senato ci vuole la fiducia, per far passare il maxiemendamento che ha blindato la manovra: anche (o soprattutto) per stroncare i tanti malumori cresciuti dentro la maggioranza, dalle quote latte ai tagli alle Regioni. Comunque è fatta, Tremonti incassa un successo. E si presenta come l'unico punto fermo in un centrodestra scosso da tempeste che sollevano onde da tsunami. Non solo in campo economico: tra cricche palesi e logge segrete, ministri che si dimettono e braccidestri condannati per mafia, lo tsunami coinvolge ormai il Pdl, il governo e lo stesso presidente del Consiglio, mai così in basso nei sondaggi.
Lui, Giulio "il Genio", si gode lo spettacolo. Si sta costruendo un futuro da successore del Capo senza grandi sforzi e senza esibire la conflittualità evidente che logora invece l'altro aspirante alla successione, Gianfranco Fini. Tremonti può ora permettersi perfino qualche battuta: "Non era un refuso", ha detto ieri a Bruxelles, l'emendamento alla manovra che avrebbe fatto saltare il limite dei 40 anni di contributi per andare in pensione. Come a dire: io ho la forza anche di mettere mano a riforme pesanti. E "senza alcuna protesta, nella pace sociale, senza un giorno di sciopero".
Sembra dire: io faccio, mentre gli "uomini del fare" del mio schieramento chiacchierano. Ma poi, soprattutto, Giulio ha in mano i cordoni della borsa. È lui che dice quanto i suoi colleghi ministri possono (o meglio: non possono) spendere. Tant'è vero che Silvio Berlusconi e Gianni Letta si erano inventati il modo per aggirare Tremonti, creando centri di spesa sottratti al suo controllo: erano la Protezione civile spa e la Difesa spa (con dentro anche la Finmeccanica di Pier Francesco Guarguaglini). È crollato tutto sotto i colpi degli scandali che hanno rivelato le manovre della "cricca" di Angelo Balducci e della "banda larga" di Gennaro Mokbel e soci. È fallito così il progetto di costruire attorno a Guido Bertolaso una sorta di ministero parallelo, un Tesoro 2. Ecco perché Giulio "il Genio", a differenza di tanti suoi colleghi di partito, non si dev'essere dispiaciuto poi troppo per lo scoppio di quegli scandali.
Ha saputo costruire una rete di relazioni e un sistema di potere che si stanno dimostrando impermeabili alla crisi del berlusconismo. Il suo punto di forza, è evidente, è il rapporto con la Lega di Umberto Bossi. È Tremonti che ha teorizzato, subito dopo la sconfitta elettorale del centrodestra nel 1996, che in Italia non possono convivere due destre divise e che Berlusconi e Bossi per vincere devono restare uniti. Li ha messi insieme, e l'"asse del Nord" dura ancora oggi. Ma Giulio il Federatore ha avuto l'accortezza di sbilanciarsi dalla parte di Bossi. Quando arriva ad Arcore, sempre accompagnato da Umberto Bossi e Roberto Calderoli, si fatica a capire se è il politico berlusconiano più vicino alla Lega o il leghista più vicino a Berlusconi.
Eppure la sua gamma di colori è più vasta, non si ferma al verde Carroccio. Vira a volte verso il rosso. Sì, perché a Giulio piace stupire e di tanto in tanto sfodera qualche effetto speciale. Citazioni di Karl Marx. Sparate contro il liberismo. Attacchi ai signori delle banche. Elogi del posto fisso, "base della stabilità sociale"... Del resto, usa l'Aspen institute, di cui ha mantenuto la presidenza anche da ministro, come luogo per coltivare rapporti. Da una parte, con il mondo degli Stati Uniti, in cui non si muove ancora con piena dimestichezza. Dall'altra, proprio con una parte della sinistra italiana: da Enrico Letta, vicepresidente di Aspen ed esponente del Pd, a Marta Dassù, che dirige la rivista del club, "Aspenia", ed è vicina all'ambiente dalemiano. Lo stesso Massimo D'Alema è in ottimi rapporti con Giulietto.
Ma gli osservatori più attenti (e smaliziati) delle vicende bancarie aggiungono un altro elemento alla oculata collezione di rapporti costruita da Tremonti: l'avvicinamento alla galassia bazoliana. Lo studio Vitali (cioè lo studio professionale dove operava il tributarista Tremonti) si è fuso nel 2009 con lo studio di Gregorio Gitti (che è il marito della figlia di Giovanni Bazoli, presidente di Intesa San Paolo). A questo indizio, che potrebbe apparire un po' fragile, quegli smaliziati ne aggiungono un altro paio. La nomina di Franco Bassanini, ex politico di sinistra e uomo vicino alle Fondazioni bancarie, a presidente della Cassa depositi e prestiti, ossia il bancomat del Tesoro, presidiato da Tremonti. A cui recentemente è arrivato, come amministratore delegato, Giovanni Gorno Tempini, direttamente da Brescia, dove era il numero uno operativo di Mittel, la finanziaria di Bazoli.
I suoi nemici aggiungono un ultimo punto di forza alla collezione di Giulio "il Genio", assistito dal suo braccio destro, Marco Milanese: la Guardia di finanza. Dipende dal suo ministero. E questo aiuta, dicono i malevoli, in un periodo di grandi scandali e di grandi indagini in cui tutto, intorno a lui, sembra crollare.
Il Fatto quotidiano, 14 luglio 2010