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Bossi & Berlusconi, la pista dei soldi

La Lega ora contende potere al Pdl. Ma fino a che punto
si può spingere? Ci sono patti segreti tra i due leader?

“Io sono uno dei pochi che non ha mai chiesto né una lira né un aiuto a Berlusconi”. Le parole dette il 20 marzo da Umberto Bossi, sul palco della “festa dell’amore” in piazza San Giovanni a Roma, risaltano di più oggi, dopo che la Lega è diventata l’azionista più deciso del centrodestra: il Carroccio è ormai il 31 per cento dell’alleanza, un terzo dello schieramento. Adesso alza il prezzo, sa che può chiedere di più. È iniziata “la battaglia più insidiosa”, come la chiama Ignazio La Russa: quella interna al centrodestra. Ma fino a che punto Bossi può tirare la corda? Il patto tra Umberto e Silvio è destinato a durare? E che tipo di patto è?

Nasce nei primi mesi del 2000. Prima, la Padania, il quotidiano della Lega, chiamava Berlusconi “il mafioso di Arcore”. E pubblicava con grande evidenza (era l’agosto 1998) dieci domande sull’odore dei soldi e sulle imbarazzanti relazioni siciliane del fondatore di Forza Italia. Con il nuovo millennio, il clima cambia. Bossi e Berlusconi siglano un patto di ferro che li porterà al trionfo elettorale del 2001. “L’accordo potrebbe essere raggiunto in tempi brevi. Si può dire che è stato raggiunto, in parte è già scritto”, dichiara Bossi a Repubblica già il 27 gennaio 2000. “Ma lo avete depositato del notaio, come scrive qualcuno?”, gli chiede l’intervistatore. Il leader della Lega nega: “A che cosa serve il notaio in politica? Sono cose da matti, invenzioni fantasiose”.

Eppure la notizia dell’esistenza di un patto scritto, depositato da un notaio, circola da subito. E arriva dall’interno della Lega. Qualcuno favoleggia di un accordo con una parte anche finanziaria: debiti appianati, bilanci risanati. “Cose da matti, invenzioni fantasiose”, come dice Bossi. Qualche anno dopo, si saprà che all’esistenza di quel patto scritto credeva anche la security Telecom guidata da Giuliano Tavaroli, che lo ha cercato a lungo. Quando nel 2007 arrestano un collaboratore di Tavaroli, il giornalista di Famiglia cristiana Guglielmo Sasinini, tra i documenti che gli sequestrano ci sono anche appunti sul presunto patto Berlusconi-Bossi: “In quel periodo pignorata per debiti la casa di Bossi”. E poi: “70 miliardi dati da Berlusconi a Bossi in cambio della totale fedeltà”. “Debiti già ripianati con 70 mld”. E ancora: “Notaio milanese?”. Segue anche il nome “Tremonti”, senza però alcun dettaglio né legame con il presunto accordo. Bossi non si scompone: “Figurarsi! Una balla spaziale. Berlusconi è uno che non tira fuori un soldo nemmeno per pagare i manifesti elettorali... figurarsi se tira fuori dei soldi per la Lega!”.

Ma i soldi per la Lega qualcuno li ha tirati fuori. E ne è restata traccia. È Gianpiero Fiorani, il banchiere della Popolare di Lodi che nel 2005 guida gli assalti dei furbetti del quartierino. È lui che salva la Lega arrivata a un passo dalla bancarotta. Mai stati gran finanzieri, quelli del Carroccio. Nel 1998 una decina di leghisti di spicco, tra cui il tesoriere Maurizio Balocchi e l’ex sottosegretario Stefano Stefani, investono in un villaggio turistico in Croazia che si rivela un flop e finiscono diritti dentro un’inchiesta per bancarotta fraudolenta.

Fanno peggio quando cercano di diventare banchieri. S’inventano la Credieuronord, un piccolo istituto di credito messo su nel 2000. Primo nome: Credinord. “Ci hanno fatto cambiare nome, pazienza se ci è toccato mettere di mezzo l’euro, l’importante è che sarà una grande banca”, dichiara un Bossi pieno di speranza. Poi comincia una struggente campagna di proselitismo, che chiede ai militanti leghisti di mettere mano al portafoglio per contribuire al successo della nuova “banca padana”.

Vengono aperti un paio di sportelli a Milano e uno a Treviso, ma dura poco. Fidi importanti vengono concessi, senza troppe garanzie, a pochi clienti eccellenti, tra cui la moglie dell’ex calciatore Franco Baresi. Finanziamenti facili sono concessi alla Bingo.net del tesoriere della Lega Maurizio Balocchi. In breve: Credieuronord collassa. E conquista il record di essere l’unica banca al mondo che in soli tre anni riesce a perdere quasi per intero il capitale sociale. Le azioni pagate 25 euro l’una alla fine dell’avventura crollano a 2,16 euro. Bruciati oltre 10 milioni.

I capi leghisti rischiano, con la bancarotta, di rimetterci la faccia e magari anche i patrimoni. Ma arriva il salvatore: Gianpiero Fiorani. Dieci anni prima era stata la sua Banca popolare di Lodi a concedere alla Lega il mutuo che aveva permesso al partito di comprare la sede di via Bellerio a Milano. Nel 2004, con la regia del governatore di Bankitalia Antonio Fazio, compra Credieuronord e annega i debiti della banchetta leghista nell’accogliente pancia della Popolare di Lodi.

Erano clienti di Credieuronord, nonché leghisti convinti e sostenitori di Bossi, anche i fratelli Angelino e Caterino Borra, grandi collezionisti di armi, ritrovate in enormi e misteriosi capannoni in provincia di Pavia. I Borra sono i proprietari della storica Radio 101, l’ex Radio Milano International, one-o-one: la loro emittente precipita nel buco nero di un crac. Aggravato dal fatto che, per tentare di far quadrare i conti, Caterino Borra e la sua compagna Carmen Gocini, curatrice fallimentare per il Tribunale di Milano, sottraggono 35 milioni di euro alle aziende affidate dal Tribunale a Gocini e li riciclano in parte proprio attraverso la banca della Lega.

Brutte storie, le storie di soldi delle Lega. Del Carroccio sappiamo quasi tutto, storia, politica, ideologia, passioni, intemperanze... Le sue finanze restano però un oggetto in gran parte misterioso. Su questo sfondo opaco, non è dunque così strano che possano attecchire le leggende di patti segreti che legano per la vita il Silvio e l’Umberto. “Cose da matti, invenzioni fantasiose”: parola di Bossi.

(Il Fatto quotidiano, 1 aprile 2010)

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