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Lo chiamavano Er Cash.
Come nasce un furbetto

Danilo Coppola, fenomenologia di un illusionista. Dalla borgata Finocchio al consiglio d’amministrazione di Mediobanca. La moltiplicazione delle sigle societarie, la “miracolosa” capacità di attrarre finanziamenti dalle banche, i prestanome, i giochi di prestigio per far sparire i capitali. E la politica che non ha visto.

Dalle fascinazioni felliniane del Grand Hotel di Rimini alla sacralità operaia del Lingotto. Dalla vecchia Ipi degli Agnelli all’eterno salotto buono della Mediobanca. Danilo Coppola aveva occupato anche simbolicamente un posto in prima fila nel capitalismo italiano. Lui, borgataro di Finocchio, periferia sudest di Roma, era salito fino a Milano, fino a Torino, dove guardavano magari con sufficienza “quei capelli lunghi à revers sulle spalle”, ma poi gli stringevano la mano con calore e firmavano, firmavano, firmavano acquisti e cessioni, contratti e fidi bancari. Al culmine del suo successo, nel 2005, Danilo Coppola, partito dal niente, aveva messo insieme, a 38 anni, un impero che – secondo le sue dichiarazioni – valeva 3.500 milioni di euro, 2.380 in immobili e 1.120 in azioni. Non aveva dimenticato via Bolognetta 91, dove era cresciuto, ma ormai era accolto a piazzetta Cuccia 1, sede della Mediobanca di cui era arrivato a controllare una robustissima quota del 4,66 per cento. 
Ora, dopo la caduta, dopo l’arresto del 1 marzo, sembra incredibile che tutto ciò sia avvenuto. Eppure Danilo Coppola detto Er Cash si era saldamente insediato nel cuore della finanza italiana. Come è potuta avvenire la sua ascesa? Com’è possibile che l’Italia, Paese con un lunghissimo e ricchissimo catalogo di finanzieri d’avventura, abbia potuto ancora una volta permettere il ripetersi del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei soldi? Per capirlo è necessario viaggiare tra Roma, Milano, Torino e il Lussemburgo.

Girandola di società. Lo spettacolo d’arte varia dell’illusionista Danilo Coppola comincia nella capitale, dove nasce la prima moltiplicazione: quella delle società, che subito s’espande in tutta Italia e all’estero. Una società A compra un immobile a prezzo di mercato. Lo rivende alla società B, ma a un prezzo sei o sette volte maggiore. Poi B rivende alla società C, questa volta però a un prezzo di nuovo vicino a quello iniziale. Sia A, sia B, sia C sono società di Coppola. Ma il mondo è pieno di professionisti pronti a schermare il vero proprietario. Per variare, i professionisti possono essere a volte sostituiti con prestanome: un cast di personaggi in cerca d’autore, domestici cingalesi, faccendieri congolesi, camerieri d’hotel, baristi. Sia A, sia B, sia C non hanno una lira, ma ottengono finanziamenti dalle banche.
Ecco infatti il secondo miracolo: Coppola riesce a ottenere imponenti finanziamenti. Dalla Popolare di Lodi, la banca di Gianpiero Fiorani, porta a casa fino a 300 milioni di euro. Dalla Popolare dell’Emilia-Romagna di Guido Leoni (altro grande amico dell’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio) almeno 45 milioni. Ma Coppola è bravo, riesce a spillare soldi anche alla più celebrata banca italiana, Unicredit. E alla Deutsche Bank di Vincenzo De Bustis – sempre generosa, in verità, con i furbetti. E perfino a una boutique della finanza torinese come lo studio Segre e a Banca Intermobiliare (già finanziatori di Stefano Ricucci e Giuseppe Statuto), che ora si ritrovano con una clamorosa esposizione di 117 milioni di euro. Anche la Unipol di Giovanni Consorte ha fatto la sua parte, facendo guadagnare a Coppola 230 milioni di euro di plusvalenze per il suo pacchetto di azioni Bnl rastrellate insieme a Fiorani, Ricucci e furbetti vari nella cruciale estate del 2005.
Ma dove vanno a finire i soldi messi in cassa da A, B e C? B ha pagato ad A sei o sette volte il valore dell’immobile. B resta con un pesante debito e senza l’immobile, rivenduto a C. Fallirà: ma è intestata a qualche extracomunitario o cameriere d’albergo, che non ne avrà gran danno. In più, vendendo in perdita, ha comunque creato un credito Iva e una minusvalenza da portare a detrazione d’imposta. Le casse di A, invece, piene di soldi dopo la vendita, sono svuotate e i denari trasferiti all’estero.
Insomma: palazzi e alberghi, in tempi già propizi ai giochetti per via della bolla immobiliare, sono usati come figurine da scambiare, passano da una società a un’altra, sempre dello stesso gruppo; attirano grandi crediti bancari; e a un certo punto i soldi spariscono all’estero. Con questo giochetto, ripetuto all’infinito, Coppola – secondo la Guardia di finanza – ha realizzato una distrazione di 130 milioni di euro e un’evasione fiscale di 72 milioni. Da qui i capi d’imputazione di bancarotta e frode fiscale.
All’estero, soprattutto in Lussemburgo, le società di Coppola hanno nomi che sono tutto un programma: Sfinge, Cheope, Tikal. Da lì i soldi raccolti in Italia ricompaiono come per miracolo (è il terzo) e rientrano nel circuito ufficiale, impiegati per comprare immobili di pregio, azioni di società quotate, come la Ipi, o pacchetti di prestigio, come il 4,66 di Mediobanca.
Stefano Ricucci, che a un certo punto rompe con il collega furbetto, di Coppola ha detto: “Quello copia tutto quello che faccio io”. Simili, in effetti, gli scambi di figurine con gl’immobili. Simile la “miracolosa” capacità di farsi dare soldi dalle banche. Identica la voglia di avere una stampa “amica”, che per Ricucci è sfociata nei rapporti con alcuni giornalisti e perfino nella mission impossible della scalata al Corriere, e per Coppola si è realizzata nella più realistica, ma ugualmente contrastata, conquista del gruppo di Finanza e mercati.
Ma, a ben guardare, che cosa hanno inventato di davvero nuovo Coppola e Ricucci? Non è forse in corso a Milano un processo a un noto imprenditore con villa ad Arcore accusato di aver moltiplicato i valori dei diritti televisivi rivendendoli, a prezzi crescenti, a società estere riconducibili sempre allo stesso gruppo, che così accumulava fondi neri da gestire per operazioni riservate? E non è cosparsa di prestanomi, casalinghe emiliane e pensionati in carrozzella, anche l’ascesa di quel noto imprenditore? C’è anche un personaggio in comune: si chiama Jean Bodoni, è un professionista belga che vive in Lussemburgo ed ha un cognome che tradisce lontane origini italiane. Fa parte del consiglio d’amministrazione della Tikal Plaza, una società lussemburghese di Coppola il cui bilancio nel 2006 è passato dai 60 ai 517 milioni di euro: il salto è spiegato dall’investimento in Mediobanca.

Sfingi e piramidi in Lussemburgo. A chi scrive è capitato d’incontrare Jean Bodoni al terzo piano della Bil, la Banque Internationale a Luxembourg, dove erano aperti i conti di Bettino Craxi, Sergio Cusani, Mauro Giallombardo... Era il 1994 e l’Italia si chiedeva chi fosse il vero padrone di una misteriosa società, la Cit, che controllava Telepiù, la nascente pay tv italiana. Jean Bodoni sedeva anche in quel consiglio d’amministrazione: “Ma che c’è di strano?”, spiegò. “Il settore della Bil che io dirigo ha il compito di attirare investimenti, fondare società che possano attirare denaro. In Lussemburgo è la regola: la maggioranza delle società che noi fondiamo qui hanno le azioni al portatore. Noti sono solamente gli amministratori, professionisti che mettono a disposizione il loro nome”.
Monsieur Bodoni, gentile e freddo, spiegò che la Cit era stata una bella idea della sua banca e che poi era stata venduta a un’altra società, la Bergerac: “Une carcasse”, secondo il francese di Bodoni, cioè una scatola vuota. Non mi disse, naturalmente, quello che già sapevo e cioè che i giri di società lussemburghesi mascheravano il vero proprietario di Telepiù, un signore italiano che in Italia possedeva già tre reti televisive in chiaro e dunque a causa della legge Mammì non poteva controllarne altre tre a pagamento. Oggi Coppola non ha più bisogno di mascherare la sua presenza in Tikal Plaza, ma accanto a lui, nel consiglio d’amministrazione, c’è lo stesso Jean Bodoni, solo con 13 anni in più e solo un po’ più attento alla dieta: il piatto tipico lussemburghese – Judd mat Gaardebounen, grossi tranci di prosciutto cotti al forno con le fave – è gustoso, ma piuttosto pesante. 
Se dall’estero si torna in Italia, s’incontrano altri personaggi che hanno contribuito a far crescere Coppola. I colleghi-concorrenti della rude razza romana, Ricucci e Statuto, innanzitutto. Ma anche il piemontese Luigi Zunino, ex proprietario dell’Ipi, che gode di migliore stampa ma ha fatto anche lui intensi scambi di figurine dentro la meravigliosa bolla immobiliare che ha spinto in alto i furbetti del quartierino. Da Zunino, Coppola ha comprato anche immobili ex Enel: la vicenda potrebbe essere un capitolo di una storia delle privatizzazioni che è ancora tutta da scrivere.
Dalla politica è arrivato l’aiuto più inaspettato. Perché nel bel mezzo dell’assalto dell’estate 2005, con i furbetti impegnati a geometria variabile ad attaccare due banche, Antonveneta e Bnl, e il principale quotidiano italiano, il Corriere della sera (con un pensierino anche per Capitalia, Mediobanca, Fiat e Generali), la difesa dei new comers, i nuovi capitani coraggiosi, è stata fatta da una parte della sinistra italiana, impegnata ad affermare che i furbetti “non c’hanno la rogna”. Che “è incomprensibile la puzza sotto il naso” che circonda i palazzinari (Piero Fassino, Sky Tg24, 23 giugno 2005). E che “non c’è un’attività imprenditoriale che sia pregiudizialmente migliore o peggiore di un’altra. È tanto nobile costruire automobili o essere concessionario di telefonia, quanto operare nel settore finanziario o immobiliare” (Piero Fassino, Sole 24 ore, 7 luglio 2005).
Anche Massimo D’Alema si sbilancia: “Non conosco nessuno di quei personaggi che si citano. Io questo Ricucci non so neanche chi sia. Ma certe campagne si concludono perché, immagino, si vogliono tutelare degli interessi specifici, di persone che ritengono che i loro interessi personali sono una nobile battaglia in difesa degli interessi del mercato, mentre gli interessi degli altri sono un ignobile complotto dietro cui si cela un qualche Belzebù” (L’Unità, 10 giugno 2005). E ancora: “Gli speculatori fanno plusvalenze. Se rispettano le leggi perché criminalizzarli?”. Era così difficile capire che cosa stava davvero succedendo?  
In odio ai vecchi salotti dell’anemico ed esangue capitalismo italiano, è la sinistra “riformista”, a sorpresa, a sdoganare Coppola, Ricucci e compagnia scalante. Il Riformista di Antonio Polito lo dice chiaro: “Gli outsider, i lanzichenecchi, gli immobiliaristi, i redditieri” non sono un problema per il capitalismo italiano; anzi, ce ne vorrebbero di più. “Il problema italiano è proprio quello di una certa carestia di outsider; sì, proprio di gente che viene dal nulla e si fa da sola, e mentre si fa da sola produce sviluppo, pil e benessere” (Il Riformista, 7 giugno 2005).
Come Michele Sindona? Come Roberto Calvi? Come Giancarlo Parretti? Come i fratelli Canavesio, Florio Fiorini, Orazio Bagnasco, Paolo Federici, Vincenzo Cultrera, Luciano Sgarlata, Gianmario Borsano, Giorgio Mendella, Virgilio De Giovanni, Gianluigi Facchini, Sergio Cragnotti, Calisto Tanzi e, infine, Stefano Ricucci e Danilo Coppola?

Profumo di mafia. In più, Danilo Coppola è finito sotto osservazione anche per qualche contatto pericoloso con esponenti della criminalità organizzata. Nel 2003, come ha documentato Claudio Gatti sul Sole 24 ore, il suo braccio destro, Andrea Raccis (sfuggito agli arresti del 1 marzo), acquisisce il 15 per cento della società Assa, una srl controllata da Giampaolo Lucarelli, personaggio in affari con la Banda della Magliana e il suo cassiere Enrico Nicoletti, detto “Asso di denari”.
Non solo. Per qualche tempo, Coppola risulta anche socio di Roberto Repaci, il commercialista della famiglia di Gioacchino Piromalli, boss della ’Ndrangheta. Repaci – racconta Gatti – il 19 luglio 2001 costituisce Immobilbi, società che nel maggio 2002 passa a Silvia Necci, moglie di Coppola, e poi a Giancarlo Tumino, uno dei più stretti collaboratori di Er Cash. Il commercialista di Piromalli si tiene comunque un 3 per cento della società. “Ma è solo il 3 per cento”, ha replicato Coppola al Sole 24 ore.
Il giorno in cui nasce Immobilbi, Repaci fonda anche Safimmobiliare, che come la società gemella ha un 3 per cento controllato dallo stesso Repaci e finisce, dopo qualche passaggio, al gruppo Coppola: almeno secondo quanto sostiene un rapporto della Guardia di finanza.
Le due gemelle d’origine calabrese, Immobilbi e Safimmobiliare, passano entrambe attraverso la gestione fiduciaria di Servizio Italia (la stessa società della Bnl a cui erano intestate le quote della prima Fininvest, negli anni Settanta, quando ancora il nome di Berlusconi non era comparso nelle carte societarie).
  
Chi ha visto, chi no. Nella corsa di Er Cash, dunque, dalla borgata Finocchio a Mediobanca, ci sono soggetti che non hanno visto – o voluto vedere – la sua resistibile ascesa: le banche, i professionisti della finanza, una parte della politica... E ci sono soggetti che hanno invece fatto bene il loro lavoro: i giornalisti (e non soltanto Claudio Gatti) e alcuni organismi di controllo. Non certo i vertici della Banca d’Italia di Antonio Fazio, impegnati a tifare per i furbetti, ma l’Ufficio italiano cambi: sì, l’organo di Bankitalia che vigila sulle transazioni e sulle operazioni bancarie sospette, già il 6 maggio 2005 aveva inviato alla Vigilanza della Banca d’Italia, su richiesta della Consob, una Nota informativa che spiegava il sistema Coppola: individuava una ventina di società con “sede in indirizzi ricorrenti” e concludeva che è “fortemente probabile che siano riconducibili a Danilo Coppola”.
“È ragionevole pensare”, scrivevano gli estensori, “che il Coppola abbia inteso costruire un’ampia rete di società, gestite da soggetti di sua fiducia, allo scopo di raccogliere ingenti risorse finanziarie sul mercato bancario a titolo di finanziamento. Tali risorse sarebbero fatte circolare su un ampio numero di conti correnti, gestiti da un limitato numero di collaboratori molto stretti, e successivamente inviate a una o più società di raccolta”. Una mole di denaro “tale da poter sostenere scalate bancarie”.

Questa volta è andata male. Er Cash, nuovo capitano coraggioso, aspirante padre della finanza, non ce l’ha fatta – a differenza di altri come lui nel capitalismo italiano – a raggiungere il traguardo dopo il quale si diventa intoccabili.
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