La Cosa nera
Stanno ribollendo le (piccole) legioni del neofascismo italiano. Divise tra la Fiamma di Francesco Storace e le schiere di Berlusconi.
Nelle legioni del neofascismo italiano sta cambiando tutto. Non perché “l’invasione” degli extracomunitari stia facendo aumentare il tasso di razzismo militante: questo è già vero da tempo. Non perché le curve degli stadi stiano diventando l’allevamento in cui si formano nuovi camerati: anche questa è una storia vecchia. No, la novità si chiama Silvio Berlusconi. La ristrutturazione del polo belusconiano – con l’arrivo del Popolo della libertà, la quasi-rottura con Gianfranco Fini, la nascita della Destra di Francesco Storace – sta facendo ribollire le falangi nere d’Italia. Gruppi e gruppetti dell’ultradestra in queste settimane stanno discutendo animatamente su quale tattica adottare. Con chi schierarsi? Da che parte stare? Quali iniziative assumere?
Sta vincendo (per ora) Storace, che attira i camerati più duri e puri, strappandoli dalle file di An. Dunque vince Berlusconi, che a Storace strizza l’occhio, in funzione anti-Fini. Intanto però i caporioni locali di Alleanza nazionale, anche se perdono terreno, si danno da fare per non tagliare del tutto i contatti con la galassia neofascista. In teoria l’hanno già messa alla porta da anni, ma in pratica resta una componente del “loro” mondo. Quando parlano in tv, i colonnelli di Fini sembrano lontani mille miglia dai saluti romani; ma nei quartieri, nelle periferie, in provincia, i collegamenti tra i nostalgici di Mussolini e il partito che viene dall’Msi restano, sotterranei e tenaci. E adesso? Tutto è rimesso in discussione. Le ricorrenti accuse di “tradimento” agli ex camerati di An e soprattutto a Gianfranco Fini diventano più insistenti. E più accoglienti diventano invece le braccia (politiche) di Storace e di Berlusconi. Ma per capire che cosa sta succedendo davvero, bisogna fare un giro dentro il “Cuore nero” di Milano, o la Fiamma tricolore di Roma.
LA COSA NERA. “Cuore nero” è un progetto: aprire un centro sociale di estrema destra a Milano. Creare un luogo d’aggregazione culturale e politico. Dare un tetto comune a tutti i camerati ora dispersi in tanti gruppi e gruppetti. Far nascere una zona off-limits per la sinistra, come ce ne sono a Roma. A Milano, finora, non ci era mai riuscito nessuno. “Cuore nero” dovrebbe riuscire a realizzare questo sogno. Già individuato il luogo: un ex negozio di lapidi mortuarie in viale Certosa, non lontano dal cimitero di Musocco. Certo, la location non è allegrissima, ma è a un passo dal mitico Campo X (il Campo Dieci), dove sono sepolte le spoglie di un certo numero di Ss, del fondatore della Legione Muti Francesco Colombo, del comandante delle Brigate nere Alessandro Pavolini, di alcuni torturatori della banda Koch... Così un gruppo di camerati si è messo al lavoro per far diventare quel magazzino ingombro di marmi la casa comune della destra milanese. Tra questi camerati c’è Roberto Jonghi Lavarini, candidato di An (non eletto) al Comune di Milano, nonché esponente della Fondazione Augusto Pinochet, che per vivere ha fatto per anni l’investigatore privato nell’agenzia Tom Ponzi. Nei suoi siti web si presenta, in foto, con moglie e figli ripresi sotto una gigantesca bandiera della Repubblica di Salò. C’è poi Alessandro Todisco, ex Azione skinheads, condannato a un anno e un mese per istigazione all’odio razziale e partecipazione a struttura clandestina. Molto attivo in “Cuore nero” anche il fratello di Todisco, Franco, meglio conosciuto come Lothar, capo degli “Irriducibili” dell’Inter e buttafuori nei locali notturni: anch’egli è stato condannato a un anno e due mesi per Azione skinheads, ma ha in curriculum condanne anche per droga, furto, lesioni volontarie, rissa.
Per aprire “Cuore nero” a Milano, si sono mossi anche i camerati romani: è venuto più volte in visita Gabriele Adinolfi, negli anni Settanta fondatore del gruppo eversivo Terza Posizione e oggi testa pensante di Casa Pound, il più importante centro sociale della destra romana. Quando viene a Milano, accompagnato dal figlio Carlomanno, Adinolfi non va in albergo, ma è ospitato da un vecchio amico: Maurizio Murelli, già condannato con Vittorio Loi per aver tirato, durante un corteo a Milano nel 1973, la bomba a mano che uccise il poliziotto Antonio Marino.
A che punto è il progetto “Cuore nero”? L’11 aprile scorso un incendio (doloso) ha distrutto i locali prescelti. Sono seguite rabbiose promesse di vendetta, tenute a bada (a stento) da autorevoli esponenti di An, accorsi a offrire la loro solidarietà. Parola d’ordine: «Camerati, state fermi. Abbiate pazienza. Prima o poi gliela faremo pagare». C’è anche chi, dopo il rogo, ha promesso una nuova sede per “Cuore nero”, magari in locali offerti in affitto dal Comune di Milano. Lo ha fatto uno degli uomini più rappresentativi di Alleanza nazionale a Milano: Carlo Fidanza, capogruppo di An in Consiglio comunale. Esponente delle istituzioni, Fidanza è anche una cerniera tra il partito di Fini e i camerati più irriducibili. Tanto che ha partecipato al corteo di domenica 11 novembre 2007, per protestare contro l’uccisione da parte di un poliziotto, in un autogrill vicino ad Arezzo, del tifoso della Lazio Gabriele Sandri. Quel giorno il corteo, inneggiando a Mussolini, ha prima dato l’assalto al commissariato di polizia più vicino allo stadio di San Siro, in via Novara, poi si è diretto alla sede della Rai di corso Sempione, per terminare le scorribande a tarda sera in piazza Duomo. Lungo il percorso, lancio di sassi, di bottiglie e di fumogeni, oltre ad aggressioni a giornalisti, cameraman, dipendenti dell’Atm e vigili urbani. «Io me ne sono andato dal corteo quando è partito il primo sasso», ha assicurato Fidanza. «Allo stadio, in Curva, io Faccetta nera non la canto mai», ci tiene a precisare.
Al corteo “antisbirri” non c’era solo Fidanza. C’erano anche altri uomini-cerniera tra An e il neofascismo. Come Alessandro Pozzoli detto “Peso”, leader dell’organizzazione giovanile di An Azione giovani, ma anche capo dei Guerrieri ultras del Milan. Insomma la rottura con il passato fascista, nettissima a parole, è più problematica nei fatti. Sono tanti i capi di An che flirtano con i nostalgici del Ventennio o con i fascisti irriducibili. Il 1 novembre 2007 erano in tanti sull’attenti, al Cimitero maggiore, per rendere omaggio ai caduti della Repubblica di Salò, tra fasci littori e saluti romani. C’era il passato (Franco Maria Servello, già federale milanese dell’Msi negli anni Settanta, poi senatore del partito). E c’era il presente (Umberto Maerna, segretario cittadino di An, anch’egli con il suo bel braccio teso a salutare romanamente).
Il vero leader del partito a Milano, però, è Ignazio La Russa: quel giorno a Musocco non c’era. Ma pochi mesi prima, il 25 aprile 2007, aveva dichiarato che lui il giorno della Liberazione lo celebra con una visita al Campo X di Musocco, a rendere omaggio ai caduti di Salò. Del tutto dimenticata è la leggenda nera di casa La Russa: Ignazio abita, a Milano, in un palazzo che sembra uscito dalla Gotham City di Batman, con le luci che di notte si proiettano dritte sulla geometrica facciata anni Trenta; ma in quell’edificio aveva sede il Popolo d’Italia, il giornale diretto da Benito Mussolini, e la leggenda dice che La Russa viva proprio nell’appartamento che fu del capo del fascismo. E che abbia recuperato, in gran segreto, la testa del Duce che un tempo troneggiava nell’atrio del palazzo. Se è tutto vero, si tratta di nostalgie private che convivono con un ostentato senso pratico della “nuova” politica. C’era una volta l’Msi del doppiopetto che conviveva con quello del manganello. Oggi c’è l’An dell’ordine, della tolleranza zero, delle svolte di Gianfranco Fini, che convive con gli ultrà da stadio e i neonazisti di “Cuore nero”.
Come Lino Guaglianone, negli anni Settanta tesoriere dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari), condannato per banda armata, diventato poi gestore di palestre di Savate, la boxe francese, ma soprattutto rappresentante di An in importanti consigli d’amministrazione di società pubbliche, come le Ferrovie nord.
LA FIAMMA CHE BRUCIA. Squadrismo: sembra una parola degli anni Settanta, senza più alcuna connessione con la realtà d’oggi. Invece le aggressioni e i raid dei gruppi di ultradestra sono tornati a crescere, benché siano quasi invisibili, confinati dalla stampa nelle brevi o nelle pagine locali. Sono stati 61 nel 2005, 97 nel 2006, un centinaio nel 2007, catalogati pazientemente dall’Osservatorio democratico sulle nuove destre animato da Saverio Ferrari. Obiettivi preferiti: giovani di sinistra, immigrati, omosessuali; oppure sedi di partito, simboli della Resistenza, centri sociali. La città con più obiettivi colpiti è Roma. Seguono l’Emilia Romagna, la Lombardia, il Veneto e la Toscana. Ma in quasi tutte le regioni d’Italia, dall’Alto Adige alla Sicilia, sono accaduti episodi del rinascente squadrismo.
Ci sono accoltellamenti, come quello che il 27 agosto 2006 porta alla morte di Renato Biagetti, un giovane del centro sociale Acrobax di Roma. O quello del 9 giugno 2007 a Melzo, vicino a Milano, quando il naziskin Fabio Conato pianta una lama nell’addome di Davide Orlandini, un giovane impegnato nel volontariato. Il 28 giugno 2007, invece, una cinquantina di fascisti, armati di spranghe e con il volto coperto, al grido di «Duce-Duce» aggrediscono a Villa Ada il pubblico di un concerto della Banda Bassotti (gruppo considerato di rock antifascista): due i feriti, di cui uno raggiunto da due coltellate alla schiena all’altezza dei polmoni.
Ci sono attentati agli ambienti islamici, come l’incendio del 13 aprile 2007 a Milano della sede dell’associazione Islamic Relief, con rivendicazione firmata dal Fronte cristiano combattente. E ci sono raid più classicamente antisemiti, come la profanazione di un ex cimitero ebraico nei pressi di Arezzo alla vigilia del giorno della Memoria.
Il neofascismo italiano, pesante nelle strade, è più debole nelle urne. È una realtà che pesa elettoralmente attorno all’1,5 per cento: più o meno 500 mila voti. Non una gran falange, e oltretutto litigiosa e frazionata in decine di gruppi e gruppetti. Eppure sempre corteggiata dal centrodestra. Da più d’uno dentro An, perché risveglia i ricordi delle radici e della gioventù. Ma anche da Berlusconi, che ha sempre favorito accordi elettorali con i partitini dell’ultradestra: perché quei pochi voti potevano essere comunque determinanti per vincere qualche collegio in bilico (con il vecchio sistema elettorale) e perché è meglio non buttare via niente (con il nuovo sistema elettorale del cosiddetto “Porcellum”).
Il gruppo più forte della frammentata galassia nera è la Fiamma tricolore di Luca Romagnoli (parlamentare europeo), che resta il movimento più presente e organizzato, specialmente a Roma, anche dopo aver rotto con il fondatore, quel grande vecchio del neofascismo italiano che è Pino Rauti. Tra i dirigenti della Fiamma ci sono il fondatore del Veneto fronte skinhead Piero Puschiavo e l’ex leader del movimento naziskin Maurizio Boccacci (entrambi sono stati appena condannati a otto mesi per «manifestazioni usuali del disciolto partito fascista» in relazione a un corteo dell’11 marzo 2006 a Milano). Poi c’è Forza nuova, il gruppo di Roberto Fiore (erede di Terza posizione), che ha costituito il cartello elettorale di Alternativa sociale, insieme ad Alessandra Mussolini (eletta parlamentare europea) e al Fronte sociale nazionale di Adriano Tilgher (dietro cui c’è un altro protagonista dell’eversione degli anni Sessanta e Settanta, Stefano Delle Chiaie).
Ora La Destra di Storace tenta di creare un cartello forte e visibile alla destra di An, con l’obiettivo di riuscire a superare le percentuali da prefisso telefonico dei gruppi finora in campo. Le trattative sono in corso. Qualche esponente locale di An ha già ceduto alle sirene di Storace e ora il progetto è quello di offrire un ombrello anche ai gruppi dell’ultradestra. La sola del tutto contraria è Alessandra Mussolini, per la sua invincibile inimicizia nei confronti di Storace (il suo staff tentò, con un’intrusione nei computer elettorali, di far escludere la lista Mussolini dalle elezioni regionali del 2005 in Lazio). Forza nuova è cauta. Fiamma tricolore è possibilista. La fusione è impensabile, perché ciascun leader è gelosissimo del proprio spazio. Ma i militanti potrebbero essere calamitati dal sogno di diventare più visibili sulla scena politica italiana e più “pesanti” anche elettoralmente. Nelle prossime settimane sapremo se gli irriducibili del fascismo diventeranno più lontani da Fini e paradossalmente, attraverso Storace, più vicini a Berlusconi.
(versione arricchita di un'inchiesta uscita sul Venerdì di Repubblica, 25 gennaio 2008)
Dopo l'uscita di questa inchiesta, Berlusconi ha riallacciato i rapporti con Fini, con il quale ha dato vita al Popolo delle libertà, e ha rotto con Storace, che ha inglobato la Fiamma tricolore nelle sue liste elettorali.
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