testatablog
chi sonofotolibriinchiestecommentiscrivimi

Vita da Formula Uno

Le mirabolanti avventure di Flavio Briatore




«La Formula Uno non è uno sport. È soltanto un business» ripete uno che se ne intende, uno che ha vinto due campionati del mondo di Formula Uno: Flavio Briatore, uomo dalla vita spericolata.
Oggi si accontenta dei neopaparazzi che lo ritraggono con Naomi o senza Naomi, dei cronisti-invitati che raccontano le notti al Billionaire o nella sua principesca casa di Londra, dei nuovi nani e ballerine di regime che ne condividono le gesta. Ma per arrivare alla Costa Smeralda, allo yacht con i quadri d’autore, a non poterne più di Naomi, ce n’è voluta di fatica. Una vita intensa, da Formula Uno. Difficile da raccontare: perché sono due le storie di Flavio Briatore. Una è la favola di un giovane brillante e ambizioso che compie un salto dal bollito misto alla nouvelle cousine, che parte dalla campagna piemontese, dalla Provincia Granda, fa mille mestieri, dall’assicuratore al maestro di sci, fino ad approdare al successo: ai trofei di Formula Uno e, ancor più in alto, alle copertine patinate al fianco di Naomi Campbell. L’altra è la storia di affari non sempre limpidi, bische clandestine, polli da spennare al poker o allo chemin- de-fer, una latitanza in isole esotiche, bombe e autobombe, cattive compagnie, trafficanti d’armi e boss mafiosi.

Che playboy, il Tribüla

Le due storie hanno in comune il punto di partenza: Verzuolo, vicino a Saluzzo, provincia di Cuneo. Qui, il 12 aprile 1950, nasce Briatore Flavio, segno zodiacale Ariete, messo al mondo da due insegnanti elementari che sognano il figlio avvocato. Invece a Flavio basta e avanza il diploma di geometra, ottenuto («con il minimo dei voti» dice compiaciuto) all’istituto Fassino di Busca, con tesina dal titolo “Progetto di costruzione di una stalla”.
Giovanotto, a Cuneo lo ricordano già smanioso di fare strada. Frequenta il Country Club, allora luogo d’incontro della Cuneo bene. È un po’ playboy, un po’ gigolò. Il nomignolo che gli sibilano alle spalle, quando passa sotto i portici di corso Nizza, è Tribüla: in Piemonte si dice di uno che fa fatica, che si arrabatta. Ma il Tribüla ha fretta di arrivare. Va bene fare il maestro di sci a San Giacomo di Roburent, va bene tentare di vendere polizze d’assicurazione RAS, ma Flavio cerca il posto giusto, l’affare vincente, il colpo grosso. Gli sembra di aver fatto un bel salto quando diventa l’assistente, il factotum di un finanziere locale molto noto a Cuneo, Attilio Dutto, che tra l’altro aveva rilevato la Paramatti Vernici, una ex azienda di Michele Sindona. Ma alle otto di un mattino fine anni settanta, Dutto salta in aria insieme alla sua auto: gran finale libanese per un piccolo uomo d’affari cuneese. La verità su quel botto del 1979 non si è mai saputa; in compenso sono fiorite leggende di provincia, secondo cui a far saltare in aria il finanziere sarebbe stato il clan dei marsigliesi…
Di certo c’è solo che il Tribüla, dopo quel fuoco d’artificio, sparisce da Cuneo. Ricompare a Milano. Casa in piazza Tricolore, molta ricchezza esibita, cattivo gusto profuso a piene mani. Occupazione incerta. Frequenta agenti di cambio e remisiers, bazzica la Borsa, si dà arie da finanziere. Riesce a convincere il conte Achille Caproni (erede della famiglia che aveva fondato la Caproni Aeroplani) a rilevare la Paramatti. Diventa consulente della CGI, Compagnia generale industriale, la holding dei conti Caproni. Risultati disastrosi: la Paramatti naufraga nel crac; la CGI viene spolpata, il pacchetto azionario venduto all’EFIM (cioè allo Stato), le società del gruppo subiscono fallimenti a catena, gli operai sono messi in cassa integrazione, banche e creditori sono lasciati con un buco di 14 miliardi. Briatore, però, non se ne preoccupa: per un certo periodo si presenta in pubblico come discografico, gira per feste e salotti con una cantante al seguito: Iva Zanicchi.
Il Tribüla continua faticosamente a inseguire il colpo grosso, a sognare il grande affare. Nell’attesa, si impegna in un’attività divertente e remunerativa: trova una compagnia da Amici miei con cui tira scherzi birboni ai polli di turno. C’è un finto marchese, Cesare Azzaro, che si ritiene il miglior giocatore di carte del mondo. C’è un conte vero, Achille Caproni di Taliedo, rampollo della famiglia che ha fatto volare gli aerei italiani. C’è un avvocato dal nome altisonante, Adelio Ponce de Leon. E uomini dello spettacolo e della tv, Pupo (al secolo Enzo Ghinazzi), Loredana Berté, Emilio Fede, al tempo – erano i primi anni ottanta– al vertice della sua carriera in RAI, vicedirettore del Tg1 e conduttore del programma Test. L’ambiente è una sorta di laboratorio dell’“edonismo reaganiano” sbertucciato da Roberto D’Agostino: soldi, affari, gioco, belle donne, il tutto shakerato con una buona dose di cattivo gusto. Luoghi d’incontro, case e bische a Milano e Bergamo, le ville del conte Caproni a Vizzolo Ticino e a Venegono, hotel e casinò in Jugoslavia e in Kenya.

Dalle stalle alla stella

Le feste del contino Attilio, spalleggiato dal brillante Briatore, fanno rivivere alla villa di Vizzolo i fasti degli anni trenta, quando sulle rive del Ticino arrivava il Duce per pranzare con l’amico Giovanni, l’inventore della Caproni Aeroplani. Nella versione anni ottanta, invece, le feste, poi le battute di caccia, infine i safari in Africa sono occasioni per proporre grandi affari, allettanti business. Che restano però sempre progetti: di concreto c’è sempre e solo un mazzo di carte che spunta all’improvviso su un tavolo verde.
Cadono nella rete l’imprenditore Teofilo Sanson, quello dei gelati (su quel tappeto verde lascia 20 milioni dell’epoca), il cantante Pupo (60 milioni), l’armatore Sergio Leone (158 milioni in due serate all’hotel Intercontinental di Zagabria), l’ex vicepresidente della Confindustria Renato Buoncristiani (495 milioni), l’ex presidente della Confagricoltura Giandomenico Serra (un miliardo tondo tondo, in buona parte in assegni intestati a Emilio Fede). E tanti, tanti altri… A posteriori, il Tribüla la racconta così: «Mi piacevano scala quaranta, scopa, poker, chemin… No, il black jack non l’ho mai capito, la roulette non mi ha mai preso. Tra noi c’erano anche bari, io non c’entravo nulla, però, lo ha scritto anche Emilio Fede nel suo libro. Dall’83 non gioco più, qualche colpo a ramino, stop».
In verità la storia è più complessa: un gruppo di malavitosi di rango, eredi del boss Francis Turatello, dedito al traffico di droga e al riciclaggio, aveva pianificato (e realizzato per anni) una truffa alla grande, con carte truccate e tutti gli optional del caso; e i polli da spennare, chiamati gentilmente “clienti”, erano individuati con un’azione scientifica di studio e di ricerca, dopo aver comprato informazioni da impiegati compiacenti dentro le banche e dopo aver compilato accurate schede informative (complete di disponibilità finanziarie, interessi, relazioni, gusti: meglio agganciarli proponendo una battuta di caccia o portando un paio di ragazze molto disponibili?).
Briatore, a capo di quello che i giudici chiamano “il gruppo di Milano”, nel business aveva il delicato compito di agganciare i clienti di fascia alta, ingolosirli con qualche buon affare, farli sentire a loro agio con una adeguata vita notturna. E poi spennarli. Il gioco s’interrompe con una retata, una serie d’arresti, un’inchiesta giudiziaria e un paio di processi. Fede è assolto per insufficienza di prove, Briatore è condannato in primo grado a un anno e sei mesi a Bergamo, a tre anni a Milano. Ma non si fa un solo giorno di carcere, perché scappa per tempo a Saint Thomas, nelle isole Vergini, e poi una bella amnistia all’italiana cancella ogni peccato. Cancella anche dalla memoria un numero di telefono di New York (212-833337) segnato nell’agenda di Briatore accanto al nome “Genovese” e riportato negli atti giudiziari del processo alle bische: “È un numero intestato alla ditta G&G Concrete Corporation di John Gambino, con sede in 920, 72 Street, Brooklyn, New York. Tanto il Gambino quanto il Genovese sono schedati dagli uffici di polizia americana quali esponenti di rilievo nell’organizzazione mafiosa Cosa Nostra”.

Donne e motori

Il Tribüla di Cuneo ne ha fatta di strada. Malgrado la latitanza, Briatore ha finalmente conquistato, tra Saint Thomas e New York, la vita che ha sempre inseguito: soldi, affari e belle donne da esibire. Arie da playboy se l’è sempre date («A sei anni il mio primo bacio, a quattordici la prima donna vera, Marilena, credo di Saluzzo. Vera, in quel senso lì»). Allora le sue fidanzate si chiamavano Anna Zeta, Beba. Più tardi arrivano Cristina, Nina, Giovanna, Emma. Infine Naomi.
Un’amica di Giovanna racconta a chi scrive – dopo un giuramento e mille assicurazioni di anonimato e segretezza – una disperata telefonata notturna: Giovanna, in lacrime, le confidava di aver trovato Flavio in compagnia, a letto: ma – e ciò la faceva più soffrire – in compagnia di un uomo. Vita privata, fatti suoi. Figurarsi se qualcuno vuol mettersi a giudicare i suoi gusti. È la vita pubblica di Briatore, invece, che dopo l’“incidente” delle bische compie un salto: Flavio, ricercato, condannato e latitante, alle isole Vergini spicca il volo definitivo verso il successo. Prima della tempesta, ai bei tempi della casa di piazza Tricolore, aveva conosciuto Luciano Benetton. A presentarglielo era stato Romano Luzi, maestro di tennis di Silvio Berlusconi e poi suo fabbricante di fondi neri. Aveva poco o nulla in comune, Benetton, con Briatore: non approvava certo la sua casa, il suo stile di vita, la sua esibizione di donne e di ricchezza. Ma il Tribüla è un grande seduttore, conquista uomini e donne, è affascinante, sa farsi voler bene. In più, il rigoroso Benetton era rimasto affascinato dalla diversità del suo interlocutore, dal suo lato oscuro:«È un po’ teppista ma è tanto simpatico» rispondeva Luciano agli amici che gli chiedevano che cosa avesse mai in comune con quel tipo, dopo averlo messo in guardia per le brutte storie che giravano sul suo conto. Fatto sta che Briatore apre alle isole Vergini qualche negozio Benetton e fa rapidamente carriera nel ristretto gruppo di manager dell’azienda di Ponzano Veneto. Come venditore è bravo. Riuscirebbe a vendere anche il ghiaccio al Polo Nord, dice di lui chi lo conosce bene. Il successo e i soldi fanno archiviare nel dimenticatoio anche un’altra storia che sfiora Briatore nei primi anni ottanta. Una vicenda complicata di titoli di Borsa che passano di mano, di azioni Generali, mica noccioline: un pacchetto di oltre 330 miliardi. Protagonisti: Mazed Rashad Pharson, sceicco arabo e finanziere internazionale, e Florio Fiorini, padrone della finanziaria SASEA, ex manager ENI, esperto di mercato petrolifero. Il pacchetto di Generali passa di mano per sette anni, prima di tornare in Italia, perché diventa la garanzia di opache transazioni internazionali: di petrolio tra la Libia e l’ENI, di armi ed elicotteri da guerra (gli americani Cobra) che dopo qualche triangolazione (con il Venezuela, con il Sudafrica) finiscono a Gheddafi malgrado l’embargo. La vicenda, in verità, è rimasta oscura. Certo è che per recuperare le azioni si è mosso nientemeno che il presidente di Mediobanca Enrico Cuccia e che, nel suo giro del mondo, il superpacchetto di Generali è passato anche per una sconosciuta fiduciaria milanese, la Finclaus, sede in corso Venezia, capitale sociale soltanto venti milioni, fondata nel 1978 da Luigi Clausetti, ma per qualche tempo nelle mani di Flavio Briatore.

Stinchi di santo

I personaggi che Briatore frequenta, quelli con cui discute di affari, donne e motori, continuano a non essere proprio stinchi di santo. Tanto che il suo nome anche negli anni novanta finisce dritto in una megainchiesta antimafia condotta dai magistrati di Catania, accanto ai nomi di mafiosi dalla caratura internazionale. Niente di penalmente rilevante, intendiamoci: lui, Briatore, non è stato indagato; ma la sua voce resta registrata in conversazioni con boss di rango. Felice Cultrera, uomo d’affari catanese che fa riferimento al boss di Cosa Nostra Nitto Santapaola, è il centro dell’inchiesta antimafia. Stava imbastendo business di tutto rispetto: la costruzione di cinquemila appartamenti a Tenerife; l’acquisto di quote dei casinò di Marrakech, Istambul, Praga, Malta, Montecarlo, da usare per riciclare denaro sporco; la commercializzazione e la ricettazione di titoli al portatore; l’intermediazione di armi pesanti e l’acquisto di elicotteri (con la presenza nell’affare di una vecchia conoscenza delle inchieste sul traffico d’armi e droga, il miliardario arabo Adnan Khashoggi); l’avvio di attività finanziarie in Spagna, Arabia Saudita, Israele, Giordania, Egitto, Marocco, Turchia, Cecoslovacchia, Russia, Corea, Hong Kong, Montecarlo… Un vortice d’affari, di contatti, di relazioni. Ebbene, chi è uno degli interlocutori dell’attivissimo Cultrera? Proprio Flavio Briatore (del resto, il gruppo dei catanesi coltivava buoni rapporti anche con i fratelli Alberto e Marcello Dell’Utri e con il generale dei carabinieri Francesco Delfino). Nel maggio 1992, dunque, Cultrera e Briatore, intercettati dalla DIA (la Direzione investigativa antimafia), conversano amabilmente di affari e affaristi. Briatore chiede consigli: racconta che un certo Cipriani (è il rampollo della famiglia veneziana), spalleggiato da tal Angelo Bonanno, aveva cercato di intromettersi nella fornitura di motori di Formula Uno; per convincere l’uomo del team Benetton, Cipriani gli aveva squadernato
le sue referenze: «Sono amico di Tommaso Spadaro, sono amico di Tanino Corallo».
Nomi d’oro, nell’ambiente: Spadaro è il ricchissimo boss padrone dei casinò dell’isola caraibica di Saint Martin; Corallo è l’uomo che qualche anno prima aveva tentato, per conto della mafia, la scalata dei casinò italiani di Saint Vincent, di Sanremo, di Campione. Cultrera ascolta con interesse, poi conferma all’amico Briatore che sì, è tutto vero: Bonanno «è uno pesante, inserito in una famiglia pesante». Infatti: Bonanno è un narcotrafficante del clan mafioso catanese dei Cursoti, coinvolto anche nell’indagine sull’Autoparco di Milano. Dunque meglio non contrariarlo troppo.

La seconda bomba

Quando, il 10 febbraio 1993, una bomba esplode (è la seconda, nella vita di Briatore) davanti alla porta della sua splendida casa londinese in stile re Giorgio, in Cadogan Place, nell’elegante quartiere di Knightsbridge, distruggendo una colonna del porticato, sporcando di calcinacci i libri finti della libreria e facendo saltare i vetri tutt’attorno, qualche voce cattiva la mette in relazione con i traffici d’armi o altri commerci. Ma i giornali inglesi scrivono che si tratta di una “piccola bomba” dell’IRA e che i terroristi potrebbero averla abbandonata proprio lì per paura di essere scoperti. Intanto Briatore è giunto al culmine (per ora) del suo successo. Il Tribüla si è preso le sue rivincite. Esibisce i suoi soldi, le sue donne, le sue case. Appartamento a New York, villa a Londra, attico a Parigi, pied-à-terre ad Atene, tenuta in Kenya (Lion in the sun). Aereo privato. Yacht di 43 metri, Lady in blue, con un Fontana e un Giò Pomodoro nel salone. Ha amici importanti soprattutto in Inghilterra (il mago della Formula Uno Bernie Eccleston, ma anche David Mills, avvocato londinese di Berlusconi, specialista nella costruzione di sistemi finanziari internazionali “riservati”, tipo All Iberian). Briatore è “arrivato” e lo fa vedere, senza risparmio. All’inizio degli anni novanta aveva preso in mano la scuderia Benetton di Formula Uno, creata nel 1986 da Davide Paolini e Peter Collins sulle ceneri della Toleman. Nel 1994 e nel 1995, con Michael Schumacher come pilota, la porta alla vittoria mondiale.«Ma la Formula Uno non è uno sport, è un business» ripete. E lui da questo business (offshore per definizione, fuori da ogni regola e da ogni trasparenza) ha saputo spremere miliardi. A trovare sponsor è bravissimo. Per il team spendeva molto, è vero, ma i suoi bilanci non hanno mai chiuso con disavanzi superiori ai tre miliardi: la Benetton, dunque, ha ottenuto una copertura pubblicitaria planetaria, del valore di almeno 15 miliardi all’anno, con esborsi piccolissimi o addirittura, dopo il 1993, con un guadagno di alcune centinaia di milioni. Ma Briatore non sta fermo. Mentre macina soldi in Benetton, cura anche business in proprio: compra e rivende la Kicker’s (scarpe per bambini), acquista un’altra scuderia di Formula Uno, la Ligier (dopo qualche tempo la rivenderà ad Alain Prost), prende una quota della Minardi, poi diventa socio del team Bar.
Forse è troppo anche per Luciano Benetton, che nel 1996 divorzia dall’amico “un po’ teppista ma tanto simpatico”. Niente di male, Briatore incassa una buonuscita di 34 miliardi (ma nulla è sicuro in questo campo) e subito si ripresenta con una sua azienda, la Supertech, in società nientemeno che con Ecclestone, che sviluppa i motori Renault e li fornisce a tre team, Bar, Williams, Benetton. Poi compra la casa farmaceutica Pierrel. Infine torna a guidare il team Benetton di Formula Uno. Ma apparire gli piace almeno quanto possedere. Le due cose si sono ben sposate nel Billionaire, discoteca con piscina ottagonale infarcita di vip a Porto Cervo, in Sardegna: buon investimento, ma soprattutto ottimo palcoscenico per le sue apparizioni in pantofoline di velluto bordeaux al fianco della Campbell. Storia ora finita, quella con Naomi, tra interminabili litigi e buonuscite miliardarie, per uno schiaffo scappato dalle mani dell’impulsivo Flavio. Storia mai iniziata, dicono i bene informati, invenzione a tavolino della pierre Daniela Santanché da Cuneo, amica di gioventù di Briatore e oggi pasionaria di Alleanza nazionale, deputata della Repubblica e animatrice del nuovo circo di regime, con i suoi nani e ballerine.
Per Flavio Briatore la vita spericolata è diventata ormai vita dorata. Le brutte storie del passato nessuno le ricorda più. Il Tribüla di Cuneo è sparito: al suo posto, un uomo di successo, forse non raffinatissimo, ma ugualmente coccolato in salotti di ogni tipo, in cui si gioca al nuovo boom e si ripete il motto di Briatore: «Se vuoi, puoi».

(Da "Campioni d'Italia", Tropea Editore 2002)

 

shim shim shim
shim shim
Cerca nel sito o nel web


Sito Web

powered by FreeFind

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Diario milanese

Expo

Sicurezza

Anni ’70

Derivati

Madaffari

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Inchieste

Il superclan dei calabresi
Come nasce un furbetto

La più grande caccia al tesoro della storia italiana
La Cosa Nera

shimshim