«Italiani? Uno ci spara, laltro ci cura».
Questa è la frase che ha fulminato Giuseppe De Santis,
il capo della Croce rossa italiana a Baghdad, e gli ha cambiato
la vita. Racconta: "Ho deciso io la missione a Najaf
del 19 agosto, per portare acqua e medicine nella città
santa degli sciiti". La missione maledetta in cui scompare
Enzo Baldoni. "Sa che cosa dice la Convenzione di Ginevra,
che proprio il 22 agosto ha compiuto 140 anni? Dice che
la Croce rossa deve prestare soccorso ai malati e ai feriti
di guerra. Noi, la Croce rossa, questo dobbiamo fare. E
noi questo abbiamo fatto a Najaf, il 19 agosto". Per
dimostrare con i fatti che la Croce rossa italiana è
la Croce rossa, non è la stessa cosa degli altri
italiani che come tanti iracheni dicevano a De Santis
fiancheggiano in armi loccupazione americana.
"Ero da poco arrivato in Iraq", racconta De Santis,
"quando, il 21 luglio, un colpo di Rpg colpisce il
settimo piano dellospe Õdale. Quattro morti,
molti danni. La Croce rossa è al sesto piano. Subito
cerco di darmi da fare per capire che cosa è successo,
come mai qualcuno ha sparato su un ospedale. Prendo contatti
con gli iracheni, sia sciiti, sia sunniti. Vengo invitato
a Sadr City, il quartiere povero di Baghdad, controllato
di fatto dalla guerriglia. Ci vado con il nostro interprete,
Oday, portando in dono kit di primo soccorso. Qui incontro
lo sceicco Mohammed. Dico: noi siamo qua per aiutare il
popolo iracheno. Chiedo: perché il tiro sullospedale?
Mi rispondono: non siamo stati noi, sono stati i terroristi.
E poi: Italiani? Uno ci spara, laltro ci cura. Grazie
per i kit, ma noi abbiamo bisogno di generatori delettricità,
di pompe per lacqua. Poi vado anche in visita agli
Ulema sunniti, e più o meno è la stessa storia.
Faccio avere allo sceicco Mohammed un generatore e due pompe.
Ma capisco che la partita si gioca a Najaf, dove è
in corso lassedio. Me lo dicono esplicitamente".
De Santis, tornato in Italia, è scosso. Non tanto
per le sette ore dinterrogatorio davanti a un ufficiale
dei carabinieri del Ros. No, è per Enzo. De Santis
Baldoni lo conosceva: se lo ricordava, tanti anni fa, quando
faceva il volontario della Cri a Milano. E conosceva anche
la moglie di Enzo, Giusy, a cui aveva fatto lesame
di guida per condurre le autoambulanze. "Quando me
lo sono visto davanti, grande e grosso, a Baghdad, ventanni
dopo, sono rimasto sorpreso. Mi ha spiegato che era venuto
in Iraq per scrivere. Gli ho fatto fare il giro dellospedale,
lho invitato a pranzo. Con lui cera il suo autista
e interprete". Ghareeb, bloccato dalla nausea, non
tocca cibo.
Ghareeb,
autista, interprete e amico di Enzo Baldoni
Lincontro fra i tre De Santis, Baldoni, Ghareeb
innesca una reazione chimica potente. Perché
Ghareeb (vedi a pagina 28) è qualcosa di più
di un interprete-autista: è un uomo attivissimo nelle
organizzazioni umanitarie di Baghdad e, soprattutto, con
ottimi contatti politici e militari in Iraq. E perché
Enzo è qualcosa di più che un pubblicitario
con lhobby del giornalismo: è una forza della
natura, uno a cui piace vedere, raccontare, ma anche fare.
Insieme, i tre fanno scattare un vero e proprio corto circuito.
Stravolgono il clima tranquillo della Croce rossa di Baghdad.
Burocratica, seduta, posapiano, senza il coraggio di uscire
dalle mura dellospedale la giudica Baldoni.
Incapace di fare il suo mestiere, cioè portare aiuto
là dove cè bisogno: per esempio nellassediata
Najaf. In realtà pensa Baldoni il personale
presente a Baghdad, i medici, gli infermieri, i tecnici,
sarebbero pronti, non vedono lora di darsi da fare.
Ma è Roma che blocca: il commissario straordinario
Maurizio Scelli li tiene inchiodati dentro la loro sede.
Scelli non ha paura di confermarlo: "Non cerano
le condizioni minime di sicurezza per svolgere missioni
fuori Baghdad. E i fatti, purtroppo, mi hanno dato ragione".
Ma il sospetto di Baldoni è che i motivi siano inv
Åece politici, o politico-militari: non dispiacere al governo
italiano, per esempio, andando a portare aiuti in zone doperazione
degli alleati americani, che stanno proprio assediando Najaf.
Leco di questo sospetto arriva fino a Roma: un senatore
del centrosinistra, Antonello Falomi, subito dopo Ferragosto,
il 18 (a Parlamento chiuso) annuncia uninterrogazione
parlamentare al ministro degli Esteri Franco Frattini che
chiede se è vero che a una spedizione daiuti
umanitari promossa dalla Croce rossa italiana a Baghdad,
già pronta a partire, sia stato negato luso
delle insegne della Cri, "esponendo gli automezzi ad
attacchi aerei e di terra". Linterrogazione chiede
inoltre "di sapere se tra le ragioni che hanno contraddistinto
il comportamento dellufficio di presidenza della Cri
non vi sia anche la decisione di posporre linvio di
aiuti urgenti alla città di Najaf, per consentire
al commissario straordinario Maurizio Scelli, attualmente
in ferie, di essere presente di perso na allavvio
della spedizione".
Ad attivare Falomi era stata Dacia Valent, ex poliziotta
ed ex parlamentare europea, in contatto con Baldoni attraverso
la sua rete elettronica di e-mail e blog. Davvero, il giorno
prima di Ferragosto, a Baghdad era stato imposto uno stop
a un convoglio della Croce rossa. Ma non erano state "negate
le insegne": semplicemente erano stati i mezzi della
Mezzaluna rossa a partire, invece che quelli della Croce
rossa. Alla fine Baldoni si era arrabbiato con Dacia Valent,
perché la sua iniziativa romana rischiava di bruciare
De Santis, che ormai aveva deciso di voltar pagina e di
forzare lassedio di Najaf per portare aiuti umanitari
agli assediati.
LA
PRIMA MISSIONE
Venerdì 13 agosto era tutto pronto, i camion erano
già stati caricati di acqua e medicinali, il convoglio
era pronto a partire. Poi, come Baldoni racconta nel suo
blog (http://bloghdad.splinder.com), Roma aveva proibito
la missione. Scelli lo spiega chiaramente: "Sì,
io b ölocco il convoglio del 15 perché il nostro
punto di riferimento iracheno, Abu Karrar, mi telefona dicendo
che Ghareeb aveva esautorato i nostri contatti in loco".
Solo la caparbietà di Baldoni e i buoni rapporti
di Ghareeb erano riusciti a far partire comunque il convoglio:
trasportando il carico, sabato 14 agosto, dai camion della
Cri a quelli della Red Crescent, cioè la Mezzaluna
rossa. Così domenica 15 la missione si era svolta,
ma con i mezzi e le insegne della Mezzaluna. De Santis vi
aveva mandato un interprete fidato della Croce rossa, Salah,
per controllare che il materiale andasse a buon fine. Tutto
aveva funzionato alla perfezione: il convoglio, scortato
dallo sceicco Mohammed, era arrivato a Najaf, dove Baldoni,
secondo quanto racconta a Radio popolare, aveva incontrato
nella moschea di Ali il capo militare dellesercito
del Mahdi ed era giunto "a cinque metri lineari dal
capo dei ribelli, Moqtada al Sadr".
"Ma no", puntualizza Scelli, "Baldoni quel
giorno non è entrato nella moschea di Ali".
La sera di Ferragosto, il convoglio torna nella capitale.
Baldoni a Najaf era scivolato e, per salvare la sua macchina
fotografica digitale, si era lussato una spalla. Viene ricoverato
nellospedale, dove è curato da un medico milanese,
il dottor Luigi Sibilio. A Ghareeb, omone grosso e fragile,
vengono somministrati calmanti per fargli passare un attacco
di tachicardia. Poi a De Santis arrivano, dal Sadr Office
di Baghdad, i ringraziamenti di rito. "Ma a Najaf non
erano arrivati i medici e gli infermieri della Croce rossa,
non era giunta léquipe medica per i civili.
Era questo che dovevamo fare, era questo che la Croce rossa
doveva dimostrare di saper fare, era questo che ci chiedevano",
dice De Santis a Diario. In meno di una settimana, la nuova
missione è pronta: questa volta, con i mezzi e l
je insegne della Croce rossa. Per non avere blocchi da Scelli,
De Santis decide di partire senza comunicarlo a Roma.
Enzo
Baldoni a Najaf, con la missione della Croce rossa
LA
SECONDA MISSIONE
Così De Santis racconta nella sua relazione ufficiale,
poi consegnata ai superiori e alla magistratura: "Il
18 agosto, confortato anche dalle notizie che giungevano
dai tg attraverso le quali venivamo a conoscenza della resa
di al Sadr e della consegna delle armi, disponevo che si
organizzasse un convoglio di aiuti e lo stesso, formato
da cinque automezzi targati Cri, partiva per Najaf la mattina
del 19 agosto. Alla colonna si aggregavano due macchine
civili sulle quali viaggiavano i nostri contatti con lufficio
di al Sadr. Con uno degli autisti delle auto civili che
ci erano state inviate dallUfficio di al Sadr, Mr.
Ghareeb che, oltre a essere un coordinatore con al Sadr
in Najaf, era conosciuto da tutte le organizzazioni umanitarie
in Baghdad, viaggiava con al seguito il free lancer Enzo
Baldoni. Due persone della Red Crescent venivano fatte salire
sullambulanza".
Dunque la Croce rossa conferma che Ghareeb era qualcosa
di più che lautista di Baldoni: lui, "un
coordinatore con al Sadr in Najaf", era diventato il
garante politico dei rapporti con la guerriglia, la chiave
per arrivare sicuri a Najaf; e lo era diventato scalzando
il precedente contatto sul campo di Scelli, lex ufficiale
di Saddam Abu Karrar, alias Sajaf al Jidi (come si racconta
a pagina 38). Anche Baldoni appare subito qualcosa di più
che un ingenuo freelance del giornalismo: era colui che
aveva contribuito a determinare la svolta nella Croce rossa
di Baghdad stile di lavoro più attivo, autonomia
decisionale, ripresa dei convogli e colui che aveva
portato alla Cri nuovi contatti politici Ghareeb,
appunto, e gli sceicchi da lui introdotti, che avevano del
tutto esautorato Abu Karrar.
Non la pensa così Maurizio Scelli: per lui Ghareeb
è, senza mezzi termini, "un millantatore".
E Baldoni? Aveva plagiato De Santis, si era di fatto impossessato
della Croce rossa di Baghdad, dove aveva, dopo il ricovero
per la lussazione, trasferito anche la sua abitazione e
trasportato tutto il suo bagaglio. Tra i medici e i tecnici
della Croce rossa di Baghdad le opinioni sono diverse. Alcuni
sono critici: "Ghareeb era sempre in disordine, era
uno straccione", ricorda lautista Francesco Bruno,
"veniva allospedale con le ciabatte e la maglietta
sporca. Niente a che fare con gli sceicchi che avevano contatti
con Scelli, puliti, autorevoli, con la veste lunga bianca,
con due telefonini...". Altri invece sono entusiasti
di Enzo e Ghareeb: "A me piacevano, erano due persone
eccezionali. Credevano in quello che facevano. Enzo era
molto consapevole, per niente uno sprovveduto", ricorda
il dottor Roberto Briatore.
Giovedì 19 agosto è il gran giorno. Allalba,
si forma il convoglio. È composto da cinque mezzi
della Croce rossa e due auto civili ("i nostri contatti
con lufficio di al Sadr"). I mezzi Cri sono due
jeep (un Galloper targato Cri A1744 e un Defender Land Rover
Cri A2125), unambulanza (Cri 14146) e due camion (Iveco
Cri A1102 e Om 110 Cri A2005). Le due auto civili sono la
Nissan bianca di Baldoni e Ghareeb e una Toyota grigia su
cui viaggiano gli uomini di al Sadr, lo sceicco Mohammed
e un suo accompagnatore.
Alla missione partecipano undici italiani, tutti uomini
della Croce rossa: quattro medici, due infermieri e quattro
tecnici, guidati da De Santis, capocolonna. Poi vi sono
quattro iracheni: due medici e due interpreti fidati che
lavorano da tempo per la Croce rossa. Tra i "civili",
ci sono il giornalista Rai Pino Scaccia con il cameraman
Norberto Sanna; e Baldoni con Ghareeb. Nel foglio della
Croce rossa che riporta lelenco dei partecipanti si
legge: "Guida la colonna con auto propria: Baldoni
Enzo, free lancer, e Ghareeb, contatto ufficio al Sadr".
Poi vi sono partecipanti non registrati: lo sceicco Mohammed
e il suo accompagnatore; e due persone, una donna e un uomo,
che Ghareeb fa accreditare come rappresentanti della Mezzaluna
rossa. In realtà sono Helen Williams, una volontaria
gallese con i dreadlocks amica di Ghareeb e Baldoni, e il
suo interprete iracheno Wejdy. Entrambi sono fatti salire
sullambulanza.
La relazione ufficiale firmata dai dieci italiani della
Croce rossa racconta: "Alle 7,05 lautocolonna
lascia lospedale, destinazione Najaf. Percorsi pochi
metri, lautocolonna si ferma in prossimità
della clinica universitaria delle malattie cardiovascolari
dove si aggregavano, con auto propria, il fotografo free
lancer Enzo Baldoni e il suo accompagnatore-interprete Ghareeb.
Si aggrega infine una seconda auto con targa 26885 con a
bordo persone locali", cioè i due uomini di
al Sadr. AllHotel Palestine si uniscono Pino Scaccia
e il suo operatore. Poi si parte.
IL
PRIMO ASSALTO
Questo è lordine del convoglio. Apre la Nissan
di Baldoni, segue il Galloper di De Santis, poi il camion
Iveco, lambulanza, laltro camion, infine il
Defender con a bordo Cosimo Prete, medico comasco e direttore
sanitario. Chiude la colonna la Toyota degli sceicchi. Il
convoglio, grazie ai contatti di Ghareeb e agli iracheni
che ne fanno parte, pare ben accreditato con la guerriglia.
Ma nessuno, neanche Moqtada al Sadr in persona, può
controllare le bande degli irregolari che flagellano la
strada che da Baghdad scende verso Najaf.
Il convoglio è in viaggio da circa unora, avrà
percorso sì e no 50 chilometri. Sono più o
meno le 9 di quel giovedì 19, quando londa
durto di una violenta esplosione colpisce i mezzi
della Croce rossa. La relazione De Santis la racconta così:
"In località Latefia, improvvisamente una detonazione
ai lati dell £a strada causava dei danni a un camion
(cabina di guida), allambulanza (parabrezza e vetro
laterale) e al fuoristrada (parabrezza scheggiato) che componevano
il convoglio oltre che alla macchina civile condotta da
Mr. Ghareeb che segnava la strada. La frantumazione dei
parabrezza degli autoveicoli coinvolti causava alcune ferite
da taglio a un nostro collaboratore iracheno, Oday. Con
i nostri medici ci accertavamo delle condizioni di salute
di ciascuno di noi e, ritenendo estremamente pericoloso
invertire immediatamente la marcia (saremmo dovuti ripassare
nello stesso punto, era lunica strada), con il consenso
di tutti si decideva di procedere verso Najaf".
Più drammatica la descrizione dei dieci della Cri:
"Tanta terra nera tutto intorno e visibilità
nulla; a seguito della deflagrazione gli autisti dei mezzi,
con grande professionalità e prontezza di reazione,
riuscivano a mantenere i mezzi in carreggiata evitando tcollisioni
fra loro ed altri, inoltre, nonostante le fasi concitate
del momento, mantenevano la marcia per allontanarsi velocemente
dal luogo dellesplosione. Percorso circa un chilometro,
lautocolonna si fermava per laccertamento delle
condizioni del personale e la ricognizione dei mezzi".
È stato, secondo tutte le fonti, un attacco pesantissimo.
"La cabina del mio camion è stata sollevata
un metro da terra e poi è riprecipitata giù",
racconta a Diario Francesco Bruno, romano, maresciallo capo
della Croce rossa e muscoloso autista dellIveco. "Unesplosione
fortissima. Lorecchio destro mi faceva male, non ci
sentivo più, ero frastornato. E ancora adesso sono
sotto choc. Un incubo. Al mio fianco era seduto Oday, che
è stato ferito dalle schegge. Io, seduto al posto
di guida, a piedi uniti ho abbattuto il parabrezza, che
si era tutto incrinato allinterno della cabina. ÆPoi
via. Io obbedisco agli ordini. Il capocolonna, alla radio,
mi ha detto di andare avanti e io sono andato avanti".
Latefia è una delle punte del cosiddetto triangolo
della paura, una terra di nessuno allestrema periferia
di Baghdad dove, evidentemente, neppure gli uomini di al
Sadr presenti nel convoglio possono garantire lincolumità.
Malgrado i danni e le leggere ferite, il convoglio procede
e verso le 11 arriva a Najaf.
Enzo Baldoni e linviato Rai Pino Scaccia
SOTTO
IL PIOMBO A NAJAF
Fin qui la ricostruzione dei fatti è condivisa da
tutti gli interessati. Sullarrivo a Najaf, invece,
cè la prima discrepanza: "Non ci sono
mai arrivati", dice Scelli, "si sono fermati a
Kufa, a una quindicina di chilometri dal mausoleo di Ali".
Contraddetto da Pino Scaccia, da Helen Williams e anche
dalle due relazioni dei presenti. Quella di De Santis racconta
così lingresso a Najaf e lattività
svolta: "Al nostro arrivo a Najaf, contrariamente alle
notizie di resa riport ›ate fino alla sera precedente, era
in corso un combattimento che, a un certo punto, ci ha reso
impossibile avanzare".
Sparano da una parte gli americani, dallaltra i miliziani
di al Sadr. Per qualche centinaio di metri, racconta De
Santis a Diario, il convoglio avanza lentissimamente, con
davanti Salah che, a piedi, a ogni incrocio, sventola la
bandiera della Croce rossa. Dietro di lui, Enzo Baldoni
con la sua macchina fotografica. "Gli ho gridato: è
pericoloso, indossa almeno un pettorale della Croce rossa".
Il convoglio, dunque, non riesce ad arrivare al Mausoleo
di Ali perché gli americani non lo fanno passare.
Ma "alcuni civili del posto ci hanno messo a disposizione
unabitazione nella quale abbiamo approntato un posto
medico avanzato", scrive De Santis. Qui medici e infermieri
prestano soccorso prima ai feriti del convoglio, Oday e
Bruno, colpiti da trauma acustico e ferite, poi alla popolazione.
Helen Williams la racconta così: "C erano
segni di combattimenti ovunque. E a un certo punto è
calato un inquietante silenzio nelle strade. Silenzio relativo,
in verità, perché rotto continuamente dai
rumori della battaglia: laria risuonava dei colpi
darma da fuoco e dellavanzare dei tank. Due
dei nostri" uno di loro è Enzo Baldoni
"correvano a piedi davanti al convoglio, con
indosso le pettorine della Croce rossa e sventolando una
enorme bandiera con lemblema dellorganizzazione.
Ci precedevano a ogni incrocio che avremmo dovuto attraversare,
facendosi vedere e mostrando la bandiera. Man mano che passavamo
gli incroci, potevamo vedere i tank americani allimbocco
di ciascuna strada, circa 150 metri più in là.
A uno di questi incroci i tank erano tre. Proseguivamo molto
lentamente. E a un certo punto, siamo giunti a un incrocio
dove il rumore della battaglia era tale da farci pensare
che la battaglia fosse proprio di fronte a noi, sbarrandoci
la strada. I colpi darma da fuoco erano assordanti.
Di nuovo, i nostri due compagni sono andati avanti a piedi
con la bandiera per far presente che eravamo della Croce
rossa e portavamo aiuti medici. Ma questa volta non ci hanno
fatti passare. Una famiglia in una casa vicina ci ha invitati
a entrare. E dopo abbiamo cominciato a scaricare alcune
attrezzature mediche. Gli uomini della Croce rossa italiana
hanno cominciato a montare un ospedale da campo improvvisato,
lì nel salotto".
Ma intanto Roma aveva saputo del convoglio. "Da un
contatto telefonico con il commissario", annota De
Santis, "mi veniva ordinato di rientrare immediatamente
a Baghdad". Sì. Scelli era stato avvertito della
missione in corso, forse dallospedale di Baghdad durante
una telefonata di routine. "Tornate subito indietro",
ordina, "o farete la fine dei topi". A Diario
conferma: "Era una missione non autorizzata. Erano
partiti senza dirmi niente. Non cerano le condizioni
di sicurezza minime per proseguire".
Il rientr ·o, però, non avviene: "Il
convoglio ripartiva subito, ma i nostri accompagnatori",
scrive De Santis, "mi sconsigliavano fortemente di
viaggiare in quelle ore per motivi di sicurezza e mi segnalavano
la moschea di Kufa quale riparo sicuro". I nostri accompagnatori:
cioè Mohammed e Ghareeb (e quindi Baldoni). "Come
potevamo rischiare di ripassare di sera nel punto dove già
eravamo stati attaccati allandata?", dice De
Santis a Diario.
Ormai sono circa le 11 a Roma e le 13 in Iraq. "Durante
il viaggio di ritorno", si legge nella relazione dei
dieci, "il direttore ordina, obbligato dalle circostanze,
una sosta presso la moschea di Kufa". Qui il clima
torna sereno, i combattimenti sono lontani.
A
KUFA, A FARE LA CROCE ROSSA
"Tornate indietro", ordina Scelli, che oltretutto
viene informato dei danni subiti nellattacco a Latefia.
De Santis resiste. Risponde: "Va bene, cercheremo di
farlo". Poi Baldoni chiede allamico Pino Scaccia
di telefonare a Scelli, che conosce bene, per convi •ncerlo
a far continuare la missione. Scaccia chiama, ma non è
certo che sia bene restare a Kufa. Comunque ha i collegamenti
Rai da fare, così decide di tornare subito a Baghdad,
insieme alloperatore. Li accompagna, con la Toyota
grigia, lo sceicco Mohammed. Con loro torna anche Oday,
che era stato leggermente ferito.
Scelli insiste: "Mettetevi in viaggio tutti, la missione
è finita". Oggi dice a Diario: "Oltretutto
temevo che gli americani bombardassero Kufa. Non consideravo
affatto sicuro il rifugio del convoglio". Ma De Santis,
daccordo con Baldoni e Ghareeb, decide che sia meglio
passare la notte a Kufa, per poi ripartire la mattina seguente.
Troppo pericoloso arrivare la sera nel "triangolo della
paura". Intanto le agenzie in Italia, dove sono le
16, battono la notizia che il convoglio Cri è stato
attaccato: "Una mina esplode vicino a un convoglio
della Croce rossa italiana. La missione, dice il commissario
Scelli, non era autorizzata".
"Nella moschea abbiamo fatto unesperienza umana
e professionale unica. Una cosa straordinaria, la più
forte della mia vita", racconta il dottor Roberto Briatore.
"Abbiamo assistito più di cento civili, uomini,
donne, bambini. Ci hanno accolto, hanno riparato i nostri
mezzi dentro il perimetro della moschea, ci hanno dato del
cibo. Poi, nel pomeriggio, a partire dalle 18, abbiamo lavorato
nel posto medicazione della moschea. Noi non ci faremmo
neppure un magazzino, ma lì era la medicheria. Poi,
la sera dopo le 21, ci siamo trasferiti in un vasto cortile
dove abbiamo fatto un ambulatorio. Il muezzin ha annunciato
con gli altoparlanti che erano presenti dei medici e la
gente è arrivata. Una lunga coda. Abbiamo operato
almeno fino alle 23. Enzo era con noi, era galvanizzato.
Guardava, fotografava. Poi ha cominciato ad aiutarci, ci
passava i farmaci, ci preparava le siringhe. Allora gli
ho detto: visto che tu fai il medico, io faccio il giornalista.
E lho fotografato, usando la sua macchina digitale.
Foto perdute, insieme a lui".
Il volontario Umberto Sallustio ricorda un bambino di otto
anni, orfano, che viveva nella moschea: "Diceva di
essere il più giovane guerrigliero di Najaf. È
stato tutto il tempo con noi, si dava da fare per aiutarci.
Era commovente. Poi ci hanno dato dei tappeti per dormire
qualche ora".
Helen Williams aveva indossato una lunga veste nera con
il velo islamico e mediava tra i medici e le donne: "Era
la prima volta che mi era permesso di entrare in una moschea
in Iraq. A differenza di Siria, Tunisia e Turchia, i non
musulmani non hanno accesso alla moschea, ma questa volta
hanno fatto uneccezione per noi. In più, questa
moschea è la prima in cui ha predicato lImam
Alì, genero e cugino del profeta Maometto. Mi sono
sentita così fortunata e onorata, mentre entravo
nella sala delle preghiere... In una piccola stanza a éccanto
ci siamo seduti a pranzo". A tutti vengono serviti
kebab su un piatto di pane con cipolle e pomodori. A Helen,
che è rigorosamente vegetariana, viene portato "un
piatto enorme, più di 40 centimentri di diametro,
con riso giallo e verdure al forno, melanzane, pomodori,
patate, cipolle...". Poi anche Helen descrive la preparazione
dellospedale da campo e il lavoro dei medici italiani,
fino a notte fonda.
"Abbiamo scaricato lacqua, 10 mila litri, e un
camion di medicinali", continua De Santis, "fino
alle 2 di notte. Insomma: abbiamo fatto la Croce rossa".
"Ma la missione non era autorizzata", ribadisce
Scelli, "la Croce rossa italiana non aveva dato lautorizzazione
alla missione". E De Santis: "In quel momento,
lì in Iraq, la Croce rossa ero io".
Ecco come racconta quella serata la relazione De Santis:
"Da un contatto telefonico con il commissario, mi veniva
ordinato di rientrare immediatamente a Baghdad. Il convoglio
ripar †tiva subito da Najaf, ma i nostri accompagnatori
mi sconsigliavano fortemente di viaggiare in quelle ore
per motivi di sicurezza e mi segnalavano la moschea di Kufa
quale riparo sicuro. Arrivati alla moschea, ho preteso che
venisse autorizzato il ricovero anche dei mezzi. Allinterno
della moschea era funzionante un ospedale per il trattamento
dei feriti e i nostri medici hanno collaborato con i medici
locali, organizzando inoltre un ambulatorio dove sono stati
visitati più di cento civili, in maggioranza anziani
o giovanissimi (in accordo con lo sceicco, attraverso gli
altoparlanti è stata data comunicazione alla popolazione
affinché giungesse allambulatorio per le visite).
Nel frattempo comunicavo al commissario di essere in attesa
di ricevere la lettera indirizzata a lui il cui contenuto
reputavo essere assolutamente importante e decidevo, definitivamente,
che saremmo ripartiti il mattino presto del giorno seguente".
Le lettere ufficiali di ringraziamento vengono consegnate:
"Sono il riconoscimento del ruolo autonomo della Croce
rossa italiana, sono la garanzia che non succederà
più che un colpo venga sparato contro il nostro ospedale
di Baghdad", dice De Santis a Diario.
Restano poche ore di sonno. Poi, allalba, di nuovo
in viaggio.
IL
RITORNO, LATTACCO
Il giorno dopo è venerdì 20 agosto. Partenza
alle 6,30. Lordine del convoglio è il seguente:
apre come sempre la Nissan bianca di Baldoni e Ghareeb;
segue il Galloper di De Santis; poi il camion Om, che ripara
lIveco guidato da Bruno, rimasto senza parabrezza;
dietro cè lambulanza (su cui viaggia
anche Helen); e infine il Defender. Non cè
più la Toyota dello sceicco Mohammad: non
come è stato scritto perché sia misteriosamente
scomparsa o perché abbia abbandonato il convoglio,
ma semplicemente perché era tornata a Baghdad la
sera prima, con a bordo Scaccia, loperatore e Oday
ferito.
Il viaggio è lento, non si può correre troppo,
al massimo 70-80 chilometri allora, perché
ci sono mezzi danneggiati, con il parabrezza incrinato o
divelto. Tutto tranquillo fin quasi a Baghdad. Ma a Latefia,
nella stessa zona dellattacco subìto allandata,
l"incidente" si ripete. De Santis nella
sua relazione lo racconta così: "Dopo aver sentito
un botto e aver visto del fumo che si alzava ai lati della
strada, ci accorgevamo che la macchina di Mr. Ghareeb (sulla
quale viaggiava Baldoni), visibile davanti a noi fino a
qualche istante prima, dopo aver cominciato a ruotare su
se stessa in senso longitudinale, passava sulla corsia opposta
fino a fermarsi in unarea sterrata che funge da spartitraffico,
mentre i nostri mezzi non subivano danni in quanto distanziati".
Nessuno si ferma a raccogliere Baldoni e Ghareeb. "Ordinavo
alla colonna di proseguire assolutamente la marcia senza
fermarsi". Nessuno del convoglio ha visto uomini nella
zona.
"Alla stessa altezza del punto dellesplosione
subìta il giorno prima", riporta la relazione
dei dieci, "lautocolonna era nuovamente fatta
oggetto di un attacco volontario che colpiva le immediate
vicinanze del mezzo su cui viaggiavano il signor Ghareeb
e il signor Enzo Baldoni. Una nuova bomba quindi provocava
panico e sbandamento dellautocolonna".
"Io ho visto ancora una grande nuvola di polvere",
racconta Francesco Bruno, "ho sentito puzza di polvere
da sparo. Cosimo Prete, il direttore sanitario, che era
seduto accanto a me, ripeteva: dobbiamo andare, dobbiamo
andare! Ma dove cazzo vado se non vedo niente, ho gridato".
Il dottor Briatore e Umberto Sallustio, lelettricista
che per i suoi lineamenti arabi tutti chiamavano Habbas,
erano sul Defender, in fondo al convoglio: "Abbiamo
sentito un gran botto, i mezzi hanno rallentato, poi abbiamo
visto la Nissan di Ghareeb e Baldoni fare uno spettacolare
testacoda. Girando su se stessa ha invaso la corsia opposta.
Quando si è fermata, mentre noi schizzavamo via,
abbiamo visto la portiera anteriore destra aprirsi lentamente".
Poi via. "Lultima immagine che ho negli occhi",
sussurra Briatore, "è la portiera dalla parte
di Baldoni che si apre lentamente".
Il racconto di Helen Williams è drammatico e aggiunge
un particolare che forse, chissà, non centra
con questa storia (unauto con a bordo un uomo ferito
che sorpassa il convoglio): "Siamo stati attaccati
ancora. Questa volta ho visto. Una forte esplosione davanti
a noi ha sollevato macerie e detriti e la strada è
scomparsa in una nube di fumo. Siamo andati avanti in fretta.
Non cera modo di fermarsi, dovevamo continuare ad
andare. Fermarsi avrebbe significato essere uccisi. Una
macchina bianca ci ha superati, lautista, un uomo
con uno yashmak rosso, si teneva la testa sanguinante mentre
guidava la sua macchina era distrutta, ma andava
avanti, non ti devi ferm are".
Comunque nessuno, fin dallinizio, ha dubbi: a essere
attaccato è il convoglio della Croce rossa, non Baldoni.
Ma ci vorranno parecchi giorni prima che ciò si sappia
in Italia. Nessuno ha dubbi: Baldoni fa parte del convoglio,
anzi ne è, con Ghareeb, lapripista. Eppure
per giorni in Italia si ripete che poteva essere chissà
dove, da solo, a caccia di chissà quali scoop. Ancora
il lunedì 23 agosto, tre giorni dopo, quando già
si era trovato allobitorio di Iskandariya il corpo
senza vita di Ghareeb, Scelli dal Meeting di Rimini dichiara:
"Il fatto che non ci fosse il corpo di Baldoni, induce
a pensare che Baldoni sia da unaltra parte. Auguriamoci
che sia in giro a fare quegli scoop che tanto ama"
(Ansa, 23 agosto, ore 17,37).
LALLARME,
LA FINE
Dopo lattacco, il convoglio corre via per circa un
chilometro, fino a un posto di blocco dellesercito
iracheno. "Lì abbiamo spiegato che cosa è
successo", dice De Santis a Diario, "e abbiamo
chiesto di andare a vedere, di inviare soccorsi e
poi di riferire al più presto allospedale italiano".
E il dottor Briatore: "Io e Sallustio, dal Defender,
avevamo visto che la macchina era integra, che non era stata
colpita. Era senza il vetro del lunotto posteriore, ma questo
era un effetto dello scoppio allandata. In fondo,
il nuovo attacco era stato meno violento di quello subìto
allandata".
Il racconto di Helen: "Circa un chilometro più
a nord, cera un checkpoint dellIraqi Civil Defence
Corps. Ci hanno fermati e Wejdy gli ha detto cosa era successo.
Sapete cosa hanno detto questi codardi? Cosa volete
che facciamo noi?. Bene, intanto bisognerebbe pattugliare
la strada per evitare che questo avvenga. Dovrebbero difendere
i civili in Iraq e invece eccoli qua, un chilometro più
su rispetto al punto in cui i civili vengono attaccati,
senza far niente. Poi non ci siamo più fermati fino
a Baghdad".
"Purtroppo non potevamo neppure provare a chiamare
Ghareeb e Baldoni con i telefoni", spiega De Santis,
"perché quellarea non è coperta
dalla rete irachena. Ma poi, ripartiti verso Baghdad, non
appena i cellulari hanno cominciato a funzionare, dalla
macchina ho chiamato immediatamente lo sceicco Mohammed
e gli ho dato appuntamento al più presto in ospedale.
Poi ho avvertito la Mezzaluna rossa, chiedendo di controllare
se Ghareeb e Baldoni fossero arrivati negli ospedali di
Baghdad. Io speravo che fossero riusciti a ripartire, o
che li avesse raccolti la pattuglia del check point iracheno.
Sì, speravo ancora che li avremmo rivisti presto".
Arrivati allospedale, fanno scendere in maniera sbrigativa
Helen e il suo interprete. Poi De Santis incontra Mohammed:
gli spiega, gli chiede di darsi da fare per capire dove
sono finiti i due scomparsi. Il Sadr Office di Baghdad,
il quartier generale dei ribelli di Moqtada, in fondo è
lunica autorità con un certo controllo del
territorio. Lo sceicco comunque gli sconsiglia di tornare
sul luogo dellagguato: troppo pericoloso.
Sono le 16, o forse le 17 ora di Baghdad, quando De Santis
chiama Scelli. "Per tutto il venerdì 20 non
riesco a mettermi in contatto con De Santis", riferisce
il commissario Cri. "Riesco a parlargli al telefono
soltanto nel pomeriggio. E mi dice: Tutto bene.
Non mi fa alcun cenno a Baldoni". De Santis: "Rientrato
in ospedale chiamo Scelli. Gli dico che siamo tornati alla
base. Gli accenno che una macchina è andata fuori
strada, che sto cercando di capire di più. Ma cerco
di rassicurarlo: tutto il personale Cri è a posto".
Arriva in ospedale anche un funzionario dellambasciata
italiana, il secondo segretario Roberto Storaci, e De Santis
gli racconta laccaduto. Lambasciatore italiano
in Iraq, Gianludovico de Martino, in seguito confermerà:
"Nello stesso pomeriggio di venerdì 20 agosto
lambasciata informava il ministero degli Esteri delle
indicazioni ottenute dalla Croce rossa italiana e dei passi
intrapresi. A sua volta lUnità di crisi della
Farnesina informava, sempre nel pomeriggio di venerdì
20 agosto, la famiglia Baldoni circa la segnalazione ricevuta".
In Italia la notizia arriva alle 19,19, con un lancio dellagenzia
AdnKronos: "Iraq: perso contatto con italiano che scrive
per Diario. Ambasciata non è riuscita a contattare
oggi milanese Enzo Baldoni". Il testo: "Baghdad,
20 agosto. Non si avrebbero più notizie, da circa
24 ore, di un italiano che si trovava in Iraq e scriveva
corrispondenze per Diario. Luomo, che non darebbe
più notizie di sè da ieri, sarebbe il milanese
Enzo Baldoni, di professione pubblicitario. A quanto apprende
lAdnKronos lambasciata italiana a Baghdad, nel
fare le consuete verifiche sulla presenza dei nostri connazionali
in Iraq, non è riuscita a mettersi in contatto con
Baldoni, che tuttavia sarebbe sprovvisto di telefono satellitare".
In realtà lambasciata non ha mai fatto "verifiche
sulla presenza dei nostri connazionali in Iraq", ma
ha ricevuto un allarme della Croce rossa. Non da 24, ma
da poche ore sono stati persi i contatti con Enzo, durante
il rientro a Baghdad. Ma la notizia viene fatta filtrare
subito: evidentemente gli ambienti governativi non vogliono
ripetere la brutta figura fatta dopo il rapimento di Fabrizio
Quattrocchi e dei suoi tre compagni, non comunicato per
molti giorni.
Anche il comunicato AdnKronos, però, contribuirà
a diffondere la leggenda del freelance in giro a caccia
di scoop. Chi sa non smentisce: né la Croce rossa,
né la Farnesina. Era già successo: anche del
reporter Raffaele Ciriello, ucciso a Ramallah il 13 marzo
2002, era stato fatto passare che era stato avventato, che
se lera cercata, come racconta un bel libro appena
uscito, La guerra in diretta di Amedeo Ricucci.
"Quando poi i giornalisti, i corrispondenti a Baghdad
dei giornali italiani, sono venuti da me", riferisce
De Santis, "invece di chiedermi come stavo dopo aver
subìto due attacchi, come stavano i feriti, che ne
era di Ghareeb e di Baldoni, hanno solo protestato perché
non li avevo avvertiti della missione, perché avevo
aggregato soltanto la Rai e Baldoni".
È sera, forse sono le 21, quando Oday a Baghdad riceve
una telefonata da un poliziotto di Latifia a cui aveva chiesto
di fargli avere notizie: è stato trovato un morto,
un arabo. "Il giorno dopo, sabato 21, a Oday arriva
una telefonata più precisa: nellobitorio dellospedale
di Iskandariya cè il corpo di un uomo che forse
è Ghareeb, ucciso con un colpo alla testa. Lo mando
là con una macchina fotografica", dice De Santis
a Diario. "E Oday torna con le foto dellauto,
che trova bruciata nel luogo dellagguato, e quelle
di Ghareeb morto: sì, è proprio lui. Eppure
io continuo a sperare che Enzo possa essere vivo e libero
e che stesse cercando di tornare a Baghdad".
La Croce rossa italiana deve comunicare i fatti anche al
Cicr, cioè al Comitato internazionale della Croce
rossa di Ginevra. Con qualche imbarazzo e una formula un
po ambigua: il 24 agosto Scelli precisa a Ginevra,
via fax, che "il rapimento non è legato a operazioni
sul terreno della Croce rossa italiana". Evidentemente
perché Baldoni non è un uomo della Cri, e
perché la missione non era autorizzata.
La speranza che Enzo fosse libero muore martedì 24,
quando Al Jazeera trasmette il video che annuncia il rapimento
e lancia lultimatum. E che fosse vivo tramonta definitivamente
la sera di giovedì 26, quando si diffonde la notizia
che i rapitori hanno eseguito la condanna a morte