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Avvocati miei, carissimi

«Bel risultato, e pensare che ho speso 500 miliardi in legali». Così Berlusconi ha commentato la sconfitta in Cassazione. Ecco cinque ipotesi per spiegare come sia possibile spendere così tanto nelle aule di giustizia

di Gianni Barbacetto e Beppe Cremagnani

Problema: può un uomo che dichiara un reddito di 10,6 miliardi (nel 2001) spendere 500 miliardi – di vecchie lire, naturalmente – in parcelle di avvocati, elargire cioè ai suoi legali ogni anno, per una decina d’anni, qualcosa come tre o quattro volte l’ammontare dei propri guadagni? La risposta è sì, almeno a dar retta allo sfogo del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, raccolto e pubblicato dal Corriere della sera: all’indomani della sentenza della Corte di cassazione che respingeva la richiesta di spostare i processi per corruzione dei giudici in corso davanti al tribunale di Milano, il presidente del Consiglio, molto seccato, si sarebbe rivolto ai suoi più stretti collaboratori con queste parole: «Bel risultato, e pensare che ho speso 500 miliardi in avvocati».
Il Corriere non è stato raggiunto da alcuna smentita. Allora abbiamo provato a fare un po’ di conti, abbiamo scartabellato fra i tariffari dell’ordine, ci siamo rivolti a grandi studi legali: per capire com’è possibile spendere in avvocati una cifra che basterebbe a comprare la Fiat di Termini Imerese. Alla fine della ricerca ci siamo fatti un’opinione e abbiamo formulato cinque ipotesi di soluzione. Se avrete la pazienza di seguirci, capirete che questa volta probabilmente il premier non ha bluffato.

IPOTESI UNO.

Berlusconi ha detto la verità, i conti sono quelli. Ma naturalmente il presidente del Consiglio si riferisce non solo ai suoi guai giudiziari, pure numerosi, bensì a tutte le inchieste che hanno coinvolto uomini della galassia di imprese che fanno riferimento alla sua persona o alla sua famiglia: Fininvest, Mediaset, Publitalia, Mondadori, Milan calcio, Medusa, il Giornale, Edilnord, Simec (la società delle discariche)...
Un indiretto sostegno a questa ipotesi arriva da uno dei suoi attuali difensori di fiducia, l’avvocato Gaetano Pecorella: «Perché chiedete a me delle spese di giustizia di Berlusconi? Io non so neanche quanti sono, in tutto, i suoi legali. Fate voi il conto: provate a vedere quante volte le imprese di Berlusconi sono state chiamate in giudizio, quanti manager sono stati coinvolti in inchieste, quanti processi sono stati celebrati, e i conti sono fatti».

Un aiuto a fare i calcoli lo offre
lo stesso Berlusconi: «Dal momento della mia discesa in campo nell’attività politica», ha sostenuto il presidente del Consiglio nel teleproclama registrato ad Arcore subito dopo la sentenza della Cassazione, «contro di me e contro i dirigenti del gruppo sono stati avviati 87 procedimenti penali». Non solo: «Sono state effettuate», ha aggiunto, «470 visite della Polizia giudiziaria». Tutte occasioni di lavoro per gli avvocati. Un legale deve correre per assistere alle perquisizioni, stuoli di difensori sono coinvolti nei processi intentati non solo contro il fondatore, ma anche contro decine di manager delle aziende del suo gruppo, contro il fratello Paolo, contro parenti (il cugino Giancarlo Foscale), amici (Adriano Galliani, Fedele Confalonieri, Romano Comincioli, Marcello Dell’Utri...) e fedeli manager che avrebbero sempre agito nell’interesse del gruppo. In Italia e anche all’estero, dove schiere di avvocati si sono opposte strenuamente alle rogatorie chieste dai magistrati italiani: dalla Svizzera alla Gran Bretagna, dal Lussemburgo al Liechtenstein, dai paradisi fiscali alla Spagna (dove il giudice Baltasar Garzon ha ora congelato l’inchiesta su Berlusconi e i suoi manager per la gestione di Telecinco).

A dar retta all’avvocato Pecorella,
dunque, Berlusconi si sarebbe svenato per garantire a sé e ai suoi la migliore assistenza legale. I tariffari dell’ordine degli avvocati (se volete farvi un’idea, sono disponibili all’indirizzo www.avvocati.it) non aiutano molto a fare i calcoli: indicano un minimo e un massimo, «ma servono tuttalpiù ai tribunali per liquidare le spese legali a chi vince una causa», spiega l’avvocato Vittorio Dotti, ex civilista di Berlusconi, ripudiato da Silvio dopo il «tradimento» di Stefania Ariosto, allora compagna di Dotti. In realtà, le tariffe sono decise dalla libera contrattazione tra avvocato e cliente. E non hanno limiti.

Difficile ottenere, in Italia,
un’informazione che negli Stati Uniti sarebbe normale pretendere di sapere: e cioè quanto Berlusconi, che è l’uomo più ricco d’Italia (e anche questo conta), paga i suoi avvocati. Gli unici dati disponibili sono le dichiarazioni dei redditi dei legali, che però non hanno Berlusconi come unico cliente. Comunque, Gaetano Pecorella nel 2001 ha dichiarato un reddito complessivo di 2 miliardi e 81 milioni di lire. Niccolò Ghedini 1 miliardo e 877 milioni. Con queste cifre, sostanziose ma non proprio imponenti, risulta difficile arrivare ai 500 miliardi ipotizzati dal presidente del Consiglio. Anche se la botta arriverà nel 2002, anno delle udienze (evidentemente costosissime) dei processi «toghe sporche»...

Certo le società sono tante,
le cause penali e civili innumerevoli, gli avvocati una schiera. E poi ci sono i risarcimenti: come quello pagato dal fratello del capo, cioè da Paolo Berlusconi (difeso da Oreste Dominioni e Guido Viola), per uscire con un patteggiamento, senza rischi di carcerazione, dal processo per tangenti sulle discariche lombarde in cui è imputato anche il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Un record assoluto nella storia giudiziaria: 55 milioni di euro (pari a oltre 107 miliardi di lire) che si sono aggiunti a ulteriori 76 miliardi di lire pagati al fisco per chiudere il contenzioso tributario.

Ma, in questi casi, chi paga?
Le spese legali sono di norma caricate sui bilanci delle società di volta in volta coinvolte (Fininvest, Publitalia, Edilnord, Milan, Mediolanum, Videotime, Mondadori, Telepiù...). Il gruppo Fininvest, che fattura poco più di 4 miliardi di euro, mette a bilancio per spese legali 32 milioni, pari allo 0,8 per cento del fatturato. Un’enormità, se si pensa che per esempio il gruppo Fiat, che fattura 57 miliardi di euro, indica a bilancio spese legali per 60 milioni di euro, cioè soltanto lo 0,1 per cento. Di eventuali pagamenti tratti dalle tasche personali di Berlusconi non si sa nulla. Ma Silvio ha sempre mostrato di non distinguere bene tra patrimonio personale e patrimonio aziendale. Tanto che a chi ha provato a chiedergli spiegazioni sull’inestricabile gioco di holding dietro cui si cela la proprietà della Fininvest ha sempre ribattuto: «Non c’è niente da spiegare, l’intera proprietà è riconducibile a me e ai miei familiari». E quando i giudici hanno contestato a Fininvest il falso in bilancio ha risposto stupito: «Se anche fosse, non c’è nessun reato, perché nessuno è stato imbrogliato essendo Finivest cosa della mia famiglia». Strano modo di concepire l’impresa e la finanza. Una filosofia che però, guarda caso, ha ispirato la recente legge che depenalizza il reato di falso in bilancio, approvata dal Parlamento mentre il resto del mondo – a cominciare dagli Stati Uniti, traumatizzati dagli scandali Enron e Worldcom – è corso ai ripari inasprendo (e di molto) le pene per chi trucca la propria contabilità.

Gli avvocati, comunque,
se per Berlusconi sono una grande spesa, sono anche una grande risorsa. Ci sono, da una parte, i penalisti (capitanati prima da Ennio Amodio e Giuseppe De Luca, oggi da Gaetano Pecorella e Niccolò Ghedini) che da un decennio lo difendono dalle accuse di Mani pulite. Prima ancora era stato Domenico Contestabile (allora avvocato di area socialista, oggi parlamentare di Forza Italia) ad avere l’incarico di partire lancia in resta contro due giornalisti, Giovanni Ruggeri e Mario Guarino, colpevoli di aver segnalato fin dagli anni Ottanta, in un libro intitolato Berlusconi: inchiesta sul signor tv, i lati oscuri di un imprenditore in ascesa.

Ma, dall’altra parte, ci sono i civilisti.
Innanzitutto Cesare Previti, nel cui studio di famiglia nasce, a metà degli anni Settanta, la Fininvest (a Roma, dunque, non a Milano). E che poi ha fatto realizzare a Berlusconi il suo primo affare: l’acquisto di villa San Martino, ad Arcore, per solo mezzo miliardo. C’è poi Vittorio Dotti, che ha condotto dal suo studio di Milano la battaglia legale per la conquista della Mondadori (mentre Previti, da Roma, secondo i magistrati d’accusa squadernava altri, più convincenti metodi). Infine c’è Massimo Maria Berruti, l’avvocato di Berlusconi con la storia più intensa.
Giovane ufficiale della Guardia di finanza, ebbe la ventura nel 1979 di interrogare un altrettanto giovane imprenditore emergente di nome Silvio Berlusconi, a proposito della confusa situazione proprietaria e finanziaria della società Edilnord. Berlusconi rispose, a verbale, che della Edilnord era soltanto un «semplice consulente». Berruti, nel suo rapporto conclusivo, prese per buona la versione di Berlusconi e permise l’archiviazione dell’accertamento valutario che ipotizzava la dipendenza della Edilnord da società estere. Poi si dimise dalla Guardia di finanza e andò a lavorare per Berlusconi. Prima delle dimissioni, però, fece in tempo a essere arrestato con l’accusa di corruzione nell’ambito dell’inchiesta per lo scandalo Icomec, una storia di tangenti che scoppiò prima di Mani pulite (al processo fu assolto). Da consulente Fininvest fu di nuovo arrestato nel 1994 (e poi condannato) per favoreggiamento a Berlusconi nell’inchiesta sulle tangenti alla Guardia di finanza. Come avvocato del gruppo Fininvest ha trattato, fra l’altro, l’acquisto del calciatore Gigi Lentini (poi oggetto di un processo).

Da qualche anno Berruti,
che intanto è diventato parlamentare di Forza Italia, è oggetto di attenzioni da parte dei magistrati siciliani per via di certi suoi rapporti con boss dell’Agrigentino. Ma la specialità dell’ex fiamma gialla Berruti è la finanza estera: nel gruppo Fininvest era considerato l’esperto del settore offshore. Era lui ad avere rapporti con l’avvocato londinese David Mills, considerato l’architetto del sistema di società estere di Berlusconi, la Fininvest-ombra, il «Group B-very discreet», poi diventato oggetto di accurate indagini ancora in corso. Mills è da qualche settimana ufficialmente indagato dalla Procura di Milano. Una notizia, almeno per la stampa inglese: perché Mills, consulente di Berlusconi per la finanza offshore, è marito di Tessa Jowell, ministro della Cultura di Tony Blair. Quanto sarà stato pagato Mills, per la sua superconsulenza segreta per la Fininvest? E da quale società dei Caraibi saranno usciti i suoi compensi?

IPOTESI DUE.

500 miliardi? Berlusconi ha esagerato,
ha fatto il bauscia, come dicono a Milano. Ha sparato una cifra esagerata, forse anche per far sentire in colpa il suo collegio di difesa, del quale ultimamente non sembra essere proprio soddisfatto, visto che subito dopo la sentenza della Cassazione ha dichiarato senza mezzi termini: «Ci fossi stato io, probabilmente mi sarei difeso meglio». Oggi i «nuovi leoni», Pecorella e Ghedini, hanno inaugurato un nuovo stile nei rapporti con la magistratura: più aggressivo, e soprattutto capace di giocare a tutto campo, su più tavoli, dentro le aule di giustizia e fuori, sui giornali e anche in Parlamento.

Prima di loro, i principi del Foro
a cui Berlusconi aveva affidato le sue sorti nei tribunali penali erano i professori Amodio e De Luca. Sono stati loro a parare i colpi della prima grande offensiva giudiziaria contro Berlusconi. Hanno impostato la difesa nei processi per le quattro tangenti pagate alla Guardia di finanza; per la maximazzetta record da 21 miliardi passata dalla società offshore All Iberian (della Fininvest Group B-very discreet) a Bettino Craxi; per le irregolarità nella compravendita di Medusa cinematografica, dei terreni attorno alla villa di Macherio, del calciatore Gianluigi Lentini. Una «guerra dei cinque anni». Vittoriosa, a giudicare dai risultati: l’imputato Silvio Berlusconi è riuscito a uscirne sostanzialmente indenne, anche se con una buona dose di prescrizioni, un pizzico di insufficienza probatoria e una spruzzata di depenalizzazioni procurate dalla nuova legge sul falso in bilancio.

Oggi la nuova strategia d’attacco
della coppia Pecorella-Ghedini, invece, applicata ai processi «toghe sporche», ha portato Berlusconi alla sconfitta secca in Cassazione. Chissà se Silvio, ora, rimpiange il più signorile stile Amodio, che spiega il cambio di cavalli molto diplomaticamente: «È stata una scelta comune. Quando si è trottato a lungo, e con buoni risultati, è meglio lasciare spazio ad altri. Abbiamo lavorato molto, abbiamo ottenuto buoni risultati e ora lasciamo spazio ad altri avvocati, che hanno affrontato una fase nuova, diversa dalla nostra. Noi», conclude pacatamente Amodio, «abbiamo avvertito l’esigenza di dedicarci anche all’altra parte della nostra attività professionale, che del resto non abbiamo mai abbandonato».

E i 500 miliardi? Fautore dell’ipotesi
che si tratti di una cifra iperbolica è l’onorevole Filippo Mancuso, ex ministro della Giustizia che oggi ama definirsi anima critica di Forza Italia: «Berlusconi esagera in tutto, nel modo di far politica e nel comunicare, e se non sta attento finirà per pagare tutto questo. Forse avrà esagerato anche nelle parcelle». Come dar torto a Mancuso? Lo sanno tutti che il presidente del Consiglio è una persona esuberante, che anche nelle occasioni ufficiali fa fatica a trattenere la battuttaccia, che cerca sempre di stupire l’ospite. Un uomo che a volte le racconta grosse. Come quando riuscì a convincere una platea di agricoltori che anche lui era stato contadino per tre anni di fila durante la Seconda guerra mondiale, mentre era sfollato con la famiglia in montagna. Ma poi venne fuori che all’epoca era solo un bambino delle elementari a cui piaceva passare il tempo osservando il lavoro nei campi. Anche i 500 miliardi agli avvocati farebbero parte dei suoi eccessi nella comunicazione. Ma dopo aver sollevato la questione, l’onorevole Mancuso avverte: «Alla fin fine la cifra non è così campata per aria, non è così lontana dalla realtà come potrebbe sembrare. Berlusconi è un uomo molto ricco e molto potente. Ma non sa nulla di legge, non sa nulla di intermediazioni fra avvocati, per cui è una grande mammella da succhiare».

IPOTESI TRE.

Per raggiungere l’astronomica cifra
di 500 miliardi, Berlusconi potrebbe aver messo in bilancio alla sua personalissima voce «avvocati» anche i soldi spesi per risarcire i danni a chi si è sentito diffamato dalle campagne condotte dal giornale e dalle tv di famiglia. Per esempio gli insulti ai magistrati del pool Mani pulite lanciati da Vittorio Sgarbi durante la trasmissione Sgarbi quotidiani gli devono essere costati una fortuna. A Milano s’è molto occupato della faccenda lo studio legale Brambilla Pisoni, Borasi, Casella: a ogni invettiva, una querela; nei periodi più caldi delle inchieste Fininvest, quasi una causa al giorno. Alla fine, le intemperanze di Sgarbi e degli altri conduttori di punta delle reti Fininvest (difesi di norma dall’avvocato Guglielmo Gullotta) sono costate piuttosto care: 5 miliardi in risarcimenti vari più le spese legali. A un certo punto, i dirigenti delle tv di Berlusconi, chiamati a rispondere in solido delle intemperanze di Sgarbi, hanno cercato di separare le loro responsabilità da quelle dell’onorevole conduttore: «Noi non possiamo farci niente», fu la tesi processuale dei dirigenti tv, «Sgarbi va in diretta e non possiamo censurarlo». Ma l’azienda venne condannata ugualmente: perché era vero che il programma andava in diretta a mezzogiorno, ma, come ricorda il giudice Piercamillo Davigo, «veniva replicato a mezzanotte e perciò la rete avrebbe potuto tranquillamente ripulirlo prima di rimandarlo in onda».

Si sono dissanguate anche le testate
berlusconiane della carta stampata, dal settimanale Panorama (assistito, durante la direzione di Giuliano Ferrara, dall’avvocato Grazia Volo) al quotidiano Il Foglio, chiamati a risarcire i danni provocati dalle ingiurie o dalle false accuse rivolte ai magistrati. Antonio Di Pietro, da solo, ha portato a casa 400 milioni pagati dal Giornale, direzione Vittorio Feltri, che ha preferito accordarsi per un maxi-risarcimento piuttosto che rischiare una raffica di condanne. Un altro che ha beneficiato di consistenti risarcimenti è l’avvocato Giuseppe Lucibello: per anni è stato uno dei bersagli preferiti delle testate di Berlusconi (e, in verità, non solo di quelle) che lo accusavano di oscuri accordi sottobanco con l’amico Di Pietro; dopo aver intentato decine e decine di cause, ha portato a casa oltre 1 miliardo di lire.

Altri civilisti sono invece al lavoro
per cercare di monetizzare le presunte diffamazioni nei confronti diBerlusconi e della Fininvest. Tra questi Francesco Vassalli, che ha chiesto un megarisarcimento a Diario per il numero speciale Berlusconeide. E Romano Vaccarella, che dopo essere stato l’avvocato della miliardaria richiesta di danni nei confronti di Marco Travaglio, Daniele Luttazzi e Carlo Freccero, è diventato giudice della Corte costituzionale.

Fra tanti processi per diffamazione
persi, ce n’era uno che Berlusconi avrebbe potuto vincere a mani basse: è quello contro La Padania e contro Umberto Bossi, che per anni lo hanno chiamato «il mafioso di Arcore» e lo hanno rudemente accusato di aver finanziato le sue attività con i soldi di Cosa nostra. Un adeguato risarcimento a favore di Berlusconi avrebbe messo la Lega in ginocchio dal punto di vista finanziario: ma Berlusconi, assistito dal suo collaboratore Aldo Brancher, tra il 2000 e il 2001 ha trovato il modo di ritirare le sue querele. In questo caso gli avvocati non c’entrano. Brancher, ieri prete di Famiglia cristiana, oggi deputato di Forza Italia e sottosegretario di Bossi alla Devolution, è un manager della pubblicità, non un legale: stracciare le querele è stato per Berlusconi un gesto politico, il primo passo per stringere quell’alleanza con Bossi che l’ha poi portato a vincere le elezioni del 2001.

IPOTESI QUATTRO.

I 500 miliardi evocati da Berlusconi
comprendono i compensi non solo per i suoi avvocati e quelli delle persone coinvolte nelle inchieste riguardanti le sue aziende, ma anche le cause dei suoi amici più cari. Per esempio Cesare Previti. È Filippo Mancuso a suggerire anche questa ipotesi: «Lo sanno tutti che le spese legali di Previti le paga Berlusconi, è lo stesso Previti che se ne vanta». Ma perché mai Berlusconi dovrebbe pagare la difesa all’amico? «Difendendo Previti, Berlusconi difende se stesso», spiega Mancuso. Traducendo: Previti conosce tutto delle cose private e degli affari di Berlusconi, dunque è indispensabile trattarlo bene perché nella vita non si sa mai. Previti è l’uomo che l’ha seguito fin dalla nascita della Fininvest e oggi sono in molti a dire che sia lui il vero suggeritore della linea di difesa nei processi di Milano, nonché il vero stratega della politica di Forza Italia in materia di giustizia. Viene dallo studio Previti Jole Santelli, la giovane sottosegretaria del ministro Roberto Castelli, ingegnere acustico, che nella vita si è occupato non di giustizia, ma di abbattimento dei rumori. E nel 2001, in piena campagna elettorale, in un grande ristorante del collegio Tomba di Nerone, a Roma, Previti aveva proclamato con molto orgoglio che i suoi processi erano gli stessi di Berlusconi e che insieme avrebbero vinto o insieme avrebbero perso. Tutti i presenti avevano applaudito entusiasti.

Ci sono amicizie che il tempo
e le circostanze della vita non scalfiscono. Quella tra Berlusconi e Previti. E quella tra Berlusconi e Marcello Dell’Utri. A proposito: chissà se anche le parcelle di Dell’Utri (indagato a Torino per reati societari, a Milano per tangenti, a Palermo per mafia, a Madrid per la gestione di Telecinco) finiscono in conto a Berlusconi, abituato – come risulta dai processi – a pagare anche i lavori di ristrutturazione della casa al lago di Dell’Utri, a Sala Comacina.

Costano anche le consulenze e le perizie. Dell’Utri, per esempio, ha assoldato un esimio professore della Bocconi, Paolo Iovenitti, incaricato di redigere una complessa perizia finanziaria sulla Fininvest degli anni ruggenti, per cercare di dimostrare che, malgrado casalinghe prestanome, pensionati teste di legno e miliardi arrivati non si sa da dove, tutto è chiaro e misteri non ce n’è. Se Iovenitti avrà convinto i giudici lo sapremo soltanto tra qualche mese, quando arriverà la sentenza palermitana. Comunque vada, però, la perizia intanto è stata pagata.

IPOTESI CINQUE.

Qui la faccenda si fa delicata:
non è che Berlusconi contabilizza, nei 500 miliardi, anche spesucce extra, ma molto extra? La battuta viene facile: confonde le spese per gli avvocati con quelle per i giudici. Ma di questo si potrà riparlare soltanto dopo la sentenza per le presunte corruzioni delle «toghe sporche». E chissà se tra gli extra ci sono anche le spese dei processi per Felice Corticchia e Giovanni Strazzeri, i due carabinieri che si inventarono un complotto del pool contro Berlusconi, che nel 1996 fu preannunciato per settimane («So di notizie agghiaccianti!»), mentre era solo una agghiacciante bufala?
Per ora ci si deve limitare a considerare, tuttalpiù, la possibilità che Silvio metta nel conto anche le spese per far eleggere i suoi avvocati, che poi tornano utili quando ripropongono in Parlamento leggi che sono ricalcate su eccezioni già presentate nelle aule del tribunale. Lo abbiamo sentito con le nostre orecchie: in una pausa del processo Sme-Ariosto, a un giornalista che gli chiedeva come avrebbe reagito se non si fosse risolto un problema posto in aula, l’avvocato Pecorella ha risposto ridendo: «Sennò faremo una leggina». Nei mesi seguenti, quella innocente battuta si è trasformata in realtà. E altro che leggine: la nuova disciplina sul falso in bilancio ha salvato Berlusconi da quattro o cinque processi; e quella sulle rogatorie, come la legge Cirami sul legittimo sospetto, avrebbe dovuto bloccare i processi milanesi.

Forza Italia ha portato in Parlamento
44 avvocati: 34 deputati e 10 senatori. Tutti sono tenuti a dichiarare le loro spese elettorali. Pecorella, per esempio, ha dichiarato 76,5 milioni di lire, Ghedini 104,9, Previti 93. Berruti zero, non ha speso una lira per la sua campagna. La «valanga azzurra» dei legali, insieme ai colleghi di altre professioni, ha lavorato duramente, con ritmi mai visti in Parlamento, per varare falso in bilancio, rogatorie, Cirami. È andata male, e lo si è visto anche dal malumore espresso dal presidente del Consiglio: «Con quello che spendo in avvocati...». Nei prossimi mesi vedremo se riusciranno a recuperare, se sapranno inventare qualcosa per bloccare le sentenze ormai incipienti.

Diceva un notissimo avvocato,
Francesco Carnelutti: «La legge è uguale per tutti. Anche la pioggia bagna tutti, ma chi ha l’ombrello si ripara». Berlusconi di ombrelli ne ha tanti.

Diario, 21 febbraio 2003
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