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Sulla cattiva strada
Storia di Marcellino Gavio, signore delle autostrade.
Da "Compagni che sbagliano", Il Saggiatore, 2007
di Gianni Barbacetto
Marcellino Gavio è oggi uno dei grandi signori
degli appalti. Forse quello che con maggior abilità si destreggia
tra il rosso e il nero, tra destra e sinistra. Ai rapporti con
Ugo Martinat di An, o con Luigi Grillo di Forza Italia, unisce senza
imbarazzo quelli con Fabrizio Palenzona della Margherita, o
con Pierluigi Bersani dei Ds. Ha alle spalle una lunga storia, in cui
ha imparato non solo quanto è importante la politica per gli affari,
ma anche ad avere una visione ecumenica della politica.
Nasce l'11 aprile 1932 a Castelnuovo Scrivia, in provincia d'Alessandria.
Figlio di cavatori di ghiaia abituati a scavare profondo,
arriverà in alto, molto in alto. Fino a battere la Madonnina: è stato
infatti il primo a costruire a Milano una struttura che supera in altezza
la più alta delle guglie del Duomo. I milanesi, per lo più, non
lo sanno, ma dai primi anni novanta la torre delle telecomunicazioni
Italposte, a Rozzano, con i suoi centosessanta metri guarda
dall'alto anche il simbolo tradizionale della città.
Lui, Marcellino,
non ha mai fatto niente per farlo sapere in giro. La riservatezza è la
sua religione, gli piace restare nell'ombra. Non ha cariche neppure
nelle sue società, che pure controlla da padre padrone.
Invece di scavare ghiaia, ha cominciato a mettere mattoni uno
sull'altro, a innalzare piloni di cemento armato, a stendere sulla
ghiaia chilometri e chilometri d'asfalto. Le sue imprese di costruzioni
- Itinera, Italvie, Codelfa, Marcora... - lo portano negli
anni ottanta a scalare la classifica delle società del settore, fino ai
primi posti della hit parade. Poi sono venute le autostrade, di cui
è diventato, nell'era della privatizzazione, un vero collezionista:
la Milano-Torino, l'autostrada della Valle d'Aosta, la Torino-Piacenza,
la Savona-Ventimiglia, la Cisa, le autostrade liguri-toscane,
l'Autobrennero... Oggi controlla un sistema di undici concessionarie
ed è il secondo operatore autostradale in Italia, dopo
i Benetton.
Ne ha fatte di strade, Marcellino. Sì, perché il suo è un business
integrato: conquista le concessioni e poi, per le manutenzioni
e gli ampliamenti, fa scendere in campo le aziende di casa. Tutto
in famiglia. I primi passi fuori dalla valle dello Scrivia e da Tortona
- dove resta, appartato come si conviene al personaggio, il
suo quartier generale - li aveva compiuti al fianco di certi politici
di un piccolissimo partito che nella Prima Repubblica aveva però
il dono di contare tantissimo nel campo degli appalti: il Psdi del
sole nascente. È di Tortona la dinastia dei Romita, che mandò Pier
Luigi, sotto la bandiera socialdemocratica, fino al ministero dei
Lavori pubblici. Di un altro socialdemocratico asceso allo stesso
ministero, Franco Nicolazzi, Gavio era poi come l'ombra: i due
erano inseparabili.
Discreto, riservato, suadente, Marcellino costruisce relazioni
molteplici e ad ampio spettro politico. Soprattutto con democristiani
(dal ministro Gianni Prandini al sottosegretario andreottiano
Vito Bonsignore, con il quale poi romperà). Ma anche con
socialisti e perfino comunisti: come quel Primo Greganti, il «compagno
G», che proprio Gavio renderà famoso.
Il capolavoro di
Marcellino è la rete di rapporti intessuta negli anni ottanta negli
ambienti dell'Anas, del ministero dei Lavori pubblici, di quello
dei Trasporti. Risultato: appalti, appalti, appalti. Appalti a trattativa
privata per centinaia di miliardi, per progetti speciali come
le Colombiadi, per lavori d'emergenza come in Valtellina. E poi
strade e autostrade, viadotti e gallerie. Fino ai ricchi banchetti dell'Alta
velocità e delle Grandi opere.
Il 18 agosto 1992 il primo serio incidente di percorso. I magistrati
di Mani pulite lo vorrebbero interrogare su una serie piuttosto
lunga di mazzette, ma i carabinieri non lo trovano a casa. Diventa
ufficialmente «irreperibile», ricercato per corruzione. Inizia
una delle latitanze più lunghe di Tangentopoli. Soltanto il 15 settembre
1993, quando ormai era impossibile resistere all'effetto valanga
di Mani pulite, il suo uomo-ombra, Bruno Binasco, si presenta davanti ad Antonio Di Pietro e ammette le accuse. Racconta
di tangenti per miliardi. Pagate a Bettino Craxi, al democristiano
Gianstefano Frigerio, al comunista Greganti. Quattro giorni
dopo, anche Gavio plana nell'ufficio di Di Pietro, conferma le dichiarazioni
del suo braccio destro e ottiene la scarcerazione.
Binasco subisce sei arresti, record assoluto di Mani pulite. È lui
a inguaiare il compagno G, raccontando a Di Pietro di avergli dato
un miliardo di lire per il Pci-Pds. Poi sono arrivati i processi.
Per il finanziamento a Greganti, Binasco è stato condannato, insieme
al compagno G. In altri casi, l'esito è paradossale, come capita
spesso in Italia. Per le tangenti pagate a Craxi e confessate da
Binasco, per esempio, è stata condannata con rito abbreviato a più
di due anni Enza Tomaselli, la mitica segretaria di Bettino: per aver
aperto la porta e ritirato le buste di cartone marroncino con dentro
250 milioni alla volta. Chi portava quelle buste, Binasco e Gavio,
no: loro hanno tirato in lungo il processo, hanno risarcito con
quattro soldi la società Serravalle, a proposito della quale erano
state pagate le mazzette, così che nel 2003 la Serravalle (presidente
Ombretta Colli) ha ritirato la sua costituzione a parte civile, agevolando
la concessione delle attenuanti generiche e dunque della
prescrizione. Gavio è salvo.
Ma si sa, sul luogo del delitto si torna. Dieci anni dopo, la Serravalle
è diventata teatro dell'ultima, grande contesa tra i poteri a
Milano. I milanesi l'hanno sempre chiamata così, «la Serravalle»,
anche se per un periodo il nome ufficiale è stato Milano Mare: è
l'autostrada che porta da Milano a Genova, quella delle vacanze
in Liguria dei lombardi, dei weekend in riviera. Gavio, nella sua
collezione d'autostrade, aveva anche un pacchetto d'azioni della
Serravalle, che restava però saldamente in mano agli enti pubblici,
primi fra tutti il Comune di Milano e la Provincia.
A un certo punto Marcellino, unico azionista privato, comincia
a rastrellare azioni. Va avanti in silenzio. Nel 2000 aveva in tasca
solo il 7,5 per cento. Quattro anni dopo arriva al 26,98. E punta
dritto al 33,34 per cento, l'agognato traguardo dell'un terzo più
uno che gli sarebbe servito per cominciare a comandare, sostituendosi
al sindaco di Milano e al presidente della Provincia.
Aveva cominciato nel 1999, comprando a 1,6 euro l'una le azioni
della Provincia di Genova, ben contenta di fare cassa. Poi aveva
corteggiato gli enti (Comuni, Province, Camere di commercio...) che possedevano quote, per convincerli a vendere offrendo
cifre attorno ai 2,8 euro per azione.
In tanti avevano abboccato.
Per capire che i prezzi accettati senza fiatare fossero stracciati
bastava guardare il cash flow - 75 milioni di euro l'anno - o gli
utili: 16 miliardi di lire nel 2000, diventati 24 nel 2001, 48 nel
2002, 54 nel 2003. E basta guardare le offerte che Gavio fa al culmine
della contesa: nel febbraio 2003 offre 103 milioni di euro al
Comune di Milano per il suo pacchetto del 18,6 per cento; nel luglio
2004 per lo stesso pacchetto rilancia fino a 180 milioni di euro
(cioè 160 miliardi di lire più dell'anno prima!). È dunque disposto
a sganciare 4,8 euro ad azione.
Vuole conquistare il controllo della Serravalle. Non soltanto
perché è un gioiellino capace di fare ottimi utili e un succulento
cash flow con i pedaggi, ma anche per i nuovi business che sta per
innescare, come quel collegamento tra Milano e la nuova Fiera di
Pero che vale una vincita alla lotteria (almeno 70 milioni di euro):
le concessionarie autostradali possono far eseguire i lavori a imprese
collegate, senza sottostare ad alcuna gara; e per Pero, Gavio
mette in campo la Valdata.
A questo punto però incontra sulla sua strada un amico e un
nemico: l'amico è il presidente della Provincia di Milano, che in
quegli anni si chiama Ombretta Colli, ex cantante, ex attrice (in tv
nel 1988 con «Una donna tutta sbagliata»), ex femminista, moglie
di Giorgio Gaber, approdata alla politica sotto le bandiere di Forza
Italia; il nemico è il sindaco di Milano Gabriele Albertini, anch'egli
di Forza Italia ma deciso a opporsi a un'operazione che non
condivide.
La benzina di Ombretta Colli
Ombretta Colli in effetti si fa in quattro per favorire Gavio. Cambia
perfino lo statuto della società per facilitargli lo shopping. Fa
pulizia etnica dei manager che avevano garantito alla Serravalle
una crescita prodigiosa (il direttore generale Bruno Rota, il direttore
operativo Corrado Cagnola). Impone per Pero la Valdata, società
nell'orbita di Gavio priva dei requisiti richiesti. E poi si autoinsedia
al vertice della Milano Mare, come presidente.
Albertini trasecola, e con lui metà dei milanesi, che non aveva-
no mai visto un presidente della Provincia nominare se stessa presidente
di una società controllata dalla Provincia. Avevano già assistito,
è vero, allo sbocciare d'irresistibili amori tra un amministratore
pubblico e un imprenditore, ma di solito erano amori che
cercavano di restare più defilati, per salvare almeno le apparenze.
Albertini fa la voce grossa. Denuncia quella che sembra - e non
solo a lui - un'indecenza. Dopo un furibondo litigio, e dopo un
teso vertice ad Arcore davanti a un esperto in conflitti d'interessi,
Ombretta Colli cede la presidenza. La passa però al migliore amico
di Marcellino Gavio, Giancarlo Elia Valori, l'unico «fratello»
espulso dalla loggia P2 perché faceva paura perfino a Licio Gelli.
A questo punto tutti a Milano, a destra e a sinistra, si chiedono:
ma come mai l'Ombretta è così sdraiata su Gavio? Una possibile
risposta arriva da palazzo di Giustizia, sotto forma di avviso
di garanzia per Colli e il suo assessore più fedele, Luigi Cocchiaro
(Forza Italia): Gavio, secondo i sostituti procuratori milanesi
Stefano Civardi e Alfredo Robledo, finanzia la «signora Provincia», aveva promesso di sostenere economicamente la sua campagna
elettorale.
Il direttore generale Rota, che non sta al gioco, riceve minacce
e intimidazioni. L'assessore Cocchiaro gli annuncia che lo avrebbero
fatto saltare, perché «in questa vicenda ci sono persone precise
e decise». Rota rifiuta di favorire anche un imprenditore, Aslan
Pignatelli, il quale gli viene indicato come il predestinato che deve
vincere l'appalto per la manutenzione del verde sulla Serravalle.
È un appalto minore, ma diventa importante perché Rota, quando
Cocchiaro va a trovarlo per fornirgli le istruzioni necessarie, è
preparato: è appena andato da Marcucci, un grande negozio milanese
di elettrodomestici e hi-fi, a comprare un piccolo registratore
che mette in funzione non appena l'interlocutore comincia a parlare.
Così documenta la sua violenza verbale e ottiene la prova che
l'appalto è stato combinato. «Pensa» dice Cocchiaro «se ci stessero
ascoltando i carabinieri ci metterebbero in galera tutti e due!»
La cosa finisce davanti al giudice. Pignatelli accetterà nove mesi
di pena patteggiata per violenza privata e tentata turbativa d'asta:
è l'ammissione che le intimidazioni e la combine per il verde
ci furono davvero. Per il piccolo appalto anche l'assessore Cocchiaro
viene processato e, nell'ottobre 2006, condannato in primo
grado a un anno e mezzo per turbativa d'asta, tentata estorsione e
minacce.
Aslan Pignatelli, per gli amici Gimmi, è un personaggio mitico
per chi ha memoria degli intrecci tra politica e criminalità negli
anni ottanta e novanta a Milano. Nel 1973 aveva già subìto una
condanna per fatti di droga, ma è alla fine degli anni ottanta che
s'era imposto sulla scena pubblica, diventando segretario del Psi
a Magenta e dandosi molto da fare all'interno del gruppo dirigente
socialista lombardo. Gimmi aveva un amico molto particolare:
il boss mafioso Gioacchino Matranga, già condannato al
maxiprocesso di Palermo e protagonista del narcotraffico a Milano.
Gli amici sono amici, così Gimmi lo presenta ai leader milanesi
del Psi (Loris Zaffra, Ugo Finetti, Maurizio Ricotti), con la
promessa che Matranga porterà loro un bel pacchetto di voti. Tutti
insieme, i politici e il mafioso, nel 1990 partecipano anche a un
paio di affollate cene elettorali nell'hinterland milanese. Indimenticabile
quella al ristorante Clara di Caleppio di Settala.
Dopo un'indagine dei giudici antimafia che scoprono l'imbarazzante
vicenda, Pignatelli esce di scena. Per ricomparire nel 1994:
i socialisti dopo la scoperta di Tangentopoli si sono eclissati, a Milano
brilla la stella della Lega di Umberto Bossi, e proprio ai Lumbard
Gimmi si è legato, tanto da ottenere per una sua società gli
appalti comunali per la manutenzione del verde pubblico.
Archiviata dopo qualche tempo anche l'esperienza leghista, Pignatelli
adotta i colori di Forza Italia e si lega al carro di Ombretta
Colli: sono immancabilmente suoi, senza gara, molti degli appalti
per la manutenzione del verde della Serravalle. Fino alla condanna
patteggiata per violenza privata e tentata turbativa d'asta.
Ma quello del verde è un piccolo affare. Quello grande si chiama
Serravalle. Rota racconta ai magistrati in che storia stavano cercando
di farlo entrare a proposito dell'appalto grosso, quello che
aveva come vincitore designato Marcellino Gavio. Rivela che il 6
novembre 2002 era andato da lui l'assessore Cocchiaro e gli aveva
fatto un discorso chiaro: «Mi disse che i lavori sarebbero stati
fatti sicuramente da Gavio, che la Colli si sarebbe candidata alle
elezioni europee del 2004 ed era un personaggio in crescita con
un sostegno crescente, che dopo le europee la Colli avrebbe fatto
il sindaco di Milano, che le elezioni europee erano molto costose,
che Gavio l'avrebbe sostenuta economicamente».
Un membro del consiglio d'amministrazione, Carlo Alberto
Belloni, che i magistrati qualificano come «personaggio del sottogoverno
lombardo», al telefono (intercettato) racconta che il braccio destro di Gavio, Bruno Binasco, si è assicurato un posto nel
consiglio d'amministrazione della Serravalle «con un paio di latte...
di buona vernice»; che a Cocchiaro sono state date «120 noccioline
», anche se poi si lamenta: «Per entrare nel piatto, eh, bisogna
garantire un po' di minestra a tutti... Voglio la minestra da
garantire anch'io, sostanzialmente, o no?». E ancora, in polemica
con Valori (chiamato «la Star» ma anche, con una buona dose di
antisemitismo, «l'Ebreo» per la sua nota amicizia con Israele):
«Quando a giugno ho in mano gli argomenti, che mi dà Binasco
per portarglieli alla donna, poi a giugno ci sono anch'io attorno al
tavolo... L'Ebreo me l'ha sempre insegnato come si tratta, con gli
argomenti in mano, eh? Hai capito? Allora, cosa fai? Ti tieni la
Star?... Ridammi indietro i miei argomenti che ti ho portato!».
Cocchiaro incontra di persona Gavio l'8 giugno 2004, in una
saletta riservata dell'aeroporto di Milano Linate. L'assessore affronta
subito il problema, chiedendo all'imprenditore «se si fosse
ricordato della promessa fatta alla presidente di un sostegno economico
». Gavio risponde «che non vi erano problemi e che bastava
avere i riferimenti su "a chi far fare la cosa"». Cocchiaro, concreto,
domanda «a chi rivolgersi all'interno del suo gruppo per tali
questioni»: avrebbe poi «proceduto lui stesso a prendere contatti,
concordando direttamente le modalità dell'operazione».
Seguono nomi, riferimenti, numeri di fax. L'assessore accenna
alla campagna elettorale in corso, dice che politicamente va bene:
«Ma al momento siamo alla canna del gas». Gavio, pronto: «Senta,
allora domani vi faccio avere della benzina». Poi chiama un suo
uomo e gli ordina: «Stefano, domani porta all'assessore dei buoni
benzina, nella mattinata, possibilmente. Consegnali personalmente
a lui».
Nel dicembre 2003 era successo però un misterioso imprevisto:
una fuga di notizie aveva rivelato l'indagine segretissima che era in
corso e aveva ucciso l'inchiesta. I magistrati sospettano che siano
entrate in funzione talpe molto ben informate, spioni dell'agenzia
americana Kroll, assoldati da Gavio. Ma devono sostanzialmente rinunciare
all'indagine: ormai i protagonisti stanno coperti e gli investigatori
sono nell'impossibilità di trovare le prove documentali delle
eventuali tangenti. Individuano una sola erogazione di denaro: un
contributo di 40mila euro che Gavio fa avere alla fondazione costituita
in onore di Giorgio Gaber dopo la sua morte.
Commentano i magistrati: «Al di là dei motivi di eleganza e opportunità
che forse avrebbero sconsigliato la richiesta del contributo,
proprio quando la Provincia di Milano votava nell'assemblea
dei soci della Serravalle l'entrata di Binasco, braccio destro di Gavio,
nel consiglio d'amministrazione», resta «la sproporzione fra i
poteri asserviti agli interessi in gioco» e l'esiguità della cifra versata.
Preso atto che gli elementi raccolti non bastano per vincere un
processo, nell'aprile 2005 i sostituti procuratori Civardi e Robledo
chiedono l'archiviazione del procedimento. Ombretta Colli canta
vittoria, chiede le scuse di chi l'ha accusata, pretende piena riabilitazione
e vuole tornare con ruoli di primo piano alla politica: fa finta
di dimenticare che ha schivato le conseguenze giudiziarie, ma il
suo ruolo nella storiaccia della Serravalle resta politicamente ingiustificabile.
Come spiega - non ai giudici ma ai cittadini - il tifo
per Gavio, le «noccioline», le «latte di buona vernice», gli «argomenti
portati alla donna», le richieste di «sostegno elettorale», i
buoni benzina? Come spiega che il suo assessore Cocchiaro sia stato
processato e condannato in primo grado a un anno e mezzo per
turbativa d'asta, tentata estorsione e minacce, per quel piccolo appalto
sul verde che doveva essere vinto da Pignatelli?
Ma Ombretta Colli confida nella scarsa memoria e nella poca
informazione. Nel giugno 2004 si ricandida alle provinciali: a sorpresa,
viene battuta dal candidato di centrosinistra, Filippo Penati.
Poi viene investita dall'inchiesta giudiziaria, che diventa pubblica
e viene raccontata dai giornali. Rimasta senza cariche e scottata
dal fuoco delle polemiche con il sindaco Albertini e con una
parte del suo stesso partito, sarà, a ogni buon conto, risarcita da
Forza Italia. Le offrono non una, ma ben due poltrone: dopo aver
minacciato di candidarsi con una sua lista a sindaco di Milano
(avrebbe tolto voti preziosi alla candidata ufficiale del centrodestra,
Letizia Moratti), ottiene l'assessorato alle Periferie e decentramento
del Comune di Milano e un posto sicuro in lista alle politiche
del 2006, diventando così anche senatrice della Repubblica.
Il caffè di Filippo Penati
La storia della Serravalle, alla fine del 2004, sembra arrivare a un
soffio dal lieto fine: Colli è fuori dai giochi, Albertini pare aver vinto la sua battaglia, Gavio sembra averla persa. La società resta nelle
mani di Comune e Provincia, finalmente alleate. Torna perfino
il grande epurato, Bruno Rota, il direttore generale minacciato e
poi cacciato nel 2003, che viene premiato addirittura con la presidenza
della società.
Se non che succede qualcosa. Il nuovo presidente della Provincia
di Milano, Filippo Penati, dopo aver fatto fronte comune
con Albertini, nell'estate del 2005 fa un colpo di teatro: compra,
e a caro prezzo, il 15 per cento di azioni Serravalle nelle mani di
Gavio. La Provincia spende 238 milioni di euro (poco meno di
500 miliardi di lire) per arrivare al 53 per cento e consolidare il
controllo di una società che era già saldamente in mani pubbliche.
Paga 8,93 euro ad azione. Solo diciotto mesi prima, Gavio le
aveva pagate 2,9: dunque realizza una plusvalenza di 176 milioni
di euro. In più, Gavio potrà sempre avere ciò che della Serravalle
più gli interessa, e cioè i ricchi appalti per i lavori autostradali
connessi con il suo sviluppo.
Si spezza di colpo il fronte Albertini-Penati. Il sindaco di Milano
è durissimo: afferma che il diessino presidente della Provincia
ha fatto un regalo cash a Gavio. In cambio, ecco che questi sostiene
Giovanni Consorte, presidente Unipol, nella scalata alla Bnl:
compra lo 0,5 per cento della banca, investendo 50 milioni di euro.
Advisor di Unipol è Guido Roberto Vitale, lo stesso che mette
il timbro di congruità sul prezzo finale delle azioni Serravalle
comprate da Penati.
È un patto segreto, uno scambio di favori sulla sponda sinistra,
denuncia Albertini, che parla di una «questione morale nel centrosinistra»: «Quelle stesse azioni, appena diciotto mesi prima, erano
state vendute al gruppo Gavio da, diciamo così, "distratte" amministrazioni
pubbliche, prevalentemente di sinistra, a 2,9 euro l'una.
Qual è il prezzo congruo, 2,9 oppure 8,93? E chi ha fatto l'affare?» si chiede l'allora sindaco di Milano. L'operazione, per Albertini,
«è incomprensibile». Perché la Provincia «ha sperperato il
denaro dei cittadini per acquisire il controllo di una società che già
deteneva, attraverso il patto con il Comune». Lo scambio Serravalle-Unipol, secondo il sindaco, è invece «un'ipotesi basata su elementi
di dominio pubblico, nel tentativo di spiegare un'operazione
altrimenti del tutto priva di senso».
Ci sono intercettazioni telefoniche che sembrano confermare
questi cattivi pensieri. In una conversazione del 2004, Gavio confessa:
«Sto facendo un pensierino sottovoce a vendere tutto per 4
euro». E Binasco: «Sicuramente portiamo a casa dei bei soldi». Replica
Gavio: «Così non ci facciamo sangue cattivo, che questi ci
fan diventare matti». Dunque era disposto a vendere a 4 euro: ma
un anno dopo riesce a portare a casa più del doppio.
«Il problema non è Penati» dice Binasco a Gavio il 28 giugno
2004 «perché con lui un accordo lo si trova. Il vero problema è
Albertini.» Due giorni dopo, entra in scena Pierluigi Bersani, dirigente
dei Ds che poi nel 2006 diventa ministro dello Sviluppo
economico. Con lui, confida Binasco al Giornale, «Gavio ha da
sempre un ottimo rapporto». 30 giugno 2004: «Bersani dice a Gavio
che ha parlato con Penati... Dice a Gavio di cercarlo per incontrarsi
in modo riservato: ora fermiamo tutto e vedrà che tra una
decina di giorni, quando vi vedrete, troverete un modo...».
Il 5 luglio, è Penati a chiamare Gavio: «Buon giorno, mi ha dato
il suo numero l'onorevole Bersani...». Gavio: «Sì, volevo fare
due chiacchiere con lei quando era possibile...». Penati: «Guardi,
non so... Beviamo un caffè».
L'incontro avviene. «In modo riservato», come suggerito da
Bersani: non in una sede istituzionale, ma in un albergo di Roma.
Alla fine, la Provincia compra la Serravalle. Penati vuole contare
nelle prossime opere viabilistiche lombarde, la Pedemontana, la
nuova tangenziale esterna di Milano. Stringe un patto con il presidente
della Regione Lombardia Roberto Formigoni, per arrivare
a gestire insieme, in una futura holding comune, le partecipazioni
nelle autostrade, nei trasporti, negli aeroporti, nell'acqua
potabile... «Una piccola Iri» protesta Albertini. «Un ritorno al
passato, in direzione opposta a quella dello Stato imprenditore
che sta invece lasciando il campo ai mercati» critica Bruno Tabacci,
Udc.
Penati si difende. Sostiene che aveva cercato di comprare le
azioni dal Comune, il quale però non aveva neppure risposto. Che
il prezzo pagato è ottimo, visto che è comprensivo del premio di
maggioranza e che il valore medio, tra azioni vecchie e nuove, è di
2,97 euro l'una. Che è «una solenne stupidaggine» stabilire connessioni
tra vicenda Serravalle e scalata Unipol. Che la Provincia
ha perseguito soltanto il bene dei cittadini, «salvaguardando l'interesse
pubblico in modo innovativo e non statalista».
Poi si butta a fare politica, dimostrando una statura da leader.
I panni di amministratore dell'ente provinciale gli vanno
stretti. Progetta la città metropolitana, apre il «tavolo per Milano
», cerca alleanze con gli altri amministratori locali: non sempre
in armonia con i dirigenti locali del suo partito, stringe rapporti
di grande collaborazione con il presidente della Regione
Roberto Formigoni e con il sindaco di Milano Letizia Moratti,
entrambi di Forza Italia. Dopo un dibattito Penati-Moratti alla
festa dell'Unità, Nando dalla Chiesa dichiara: «Qui c'è un'aria
da baci Perugina. Questo clima non fa bene alla necessità di una
chiara distinzione dei ruoli tra maggioranza e opposizione a Milano.
C'è troppa gente che soffia sulle vele dell'inciucio».
Quanto a Bruno Rota, il manager già messo alla porta da Ombretta
Colli (da destra), è licenziato in fretta anche da Penati (da
sinistra): l'uomo che fu cacciato due volte.
Il commercialista con gli effetti speciali
Il rapporto tra Gavio e il mondo delle cooperative rosse, evocato
da Albertini per il presente (dopo il passato dell'era Greganti),
è fatto di una rete fitta di rapporti e di affari con gli uomini
coop. Si materializza anche nel corso di un'inchiesta condotta a
Milano da Stefano Civardi e Maurizio Romanelli. Un piccolo rapporto
strutturale: emerge una società, Milano Logistica spa, che
appartiene per metà al gruppo Gavio e per metà a due cooperative
emiliane, Coopsette e Ccpl.
I due magistrati s'imbattono per caso nella Milano Logistica,
perché il commercialista dell'azienda, Giuseppe Berghella, consulente
delle coop, il 29 settembre 2005 entra in un ufficio milanese
dell'Agenzia delle entrate e consegna (sotto l'occhio di una
telecamera nascosta) una busta con 50mila euro a un funzionario
dell'Agenzia. Era la prima tranche di una tangente di 200mila euro
da versare a tre dirigenti dell'amministrazione, affinché chiudessero
con un forte sconto un contenzioso fiscale: all'azienda era
stato chiesto di pagare, tra imposte evase e sanzioni, un massimo
di 3 milioni di euro; se la sarebbe cavata versando solo 495mila euro
al fisco, più la mazzetta. Conveniente.
Il commercialista delle coop non ha coinvolto l'azienda. Ha dichiarato che la busta era una sua iniziativa personale. Voleva risolvere
brillantemente il contenzioso fiscale, tentando di stupire
Gavio con effetti speciali: che cosa non si fa per conquistare un
nuovo, prezioso cliente.
Affari e amici eccellenti
Le intercettazioni che hanno portato alla ribalta i rapporti tra Gavio
e Bersani dimostrano una rete ben più ampia di contatti: con
Emilio Fede, con l'allora ministro dei Trasporti Pietro Lunardi,
con l'allora presidente del Senato Marcello Pera... Tutti a dire la
loro, a fare il loro numero nel gran circo degli affari.
Fede è usato da Gavio come messaggero per Arcore, affinché
interceda in favore di Vincenzo Pozzi, il direttore generale dell'Anas
inviso al ministro Tremonti. «Ciao, Emilio. Senti... Io ho un
piccolo problemino: tu sabato sei in circolazione?» chiede Gavio
al direttore del Tg4, l'11 marzo 2004. «Sì, certo» risponde Fede.
«Quando vai ad Arcore?» «Ci sono stato l'altro ieri... e questo fine
settimana, salvo contrattempi, dovrei andare là.» «Volevo farti
un messaggino. Piccola cosa, eh?» «Facciamolo, io al 90 per cento
dovrei andare con lui in Sardegna...» Allora Gavio gli dice: «Va
bene, allora te lo faccio avere sabato... Senti, io sono qua con un
amico che è Pozzi dell'Anas, che vuole salutarti, un caro amico...».
Pozzi: «Direttore! ...Noi diamo sempre un appoggio a quello che
riteniamo legittimo... a chi sta lavorando per rifare l'Italia, per rifare
le strade...».
Qualche ora più tardi, Gavio parla ancora dell'Anas con Binasco:
«Dunque ci sono degli spostamenti. Il ministro Tremonti vuole
mandare una persona a fare il direttore generale... In quel caso
si sfascerebbe l'Anas... Io a Fede gli ho già dato un colpettino.
Mando due righe domattina da mandar su... molto riservate. Per
poter dire che noi l'abbiamo aiutato... Questo adesso viene da noi
a piangere... Del resto, se viene un altro che comanda lui, io non
posso vedere più i piani finanziari, né tutto, insomma!».
Il 22 marzo, Fede annuncia a Gavio che la missione è compiuta:
«Io ieri ho parlato a lungo con lui, però spero di vederlo
oggi di persona per quella cosa, anche se sta un po' incasinato...».
Gavio: «Tu manovra sempre in modo cauto, perché poi ti parlo
a voce... Cauto, tu sei un maestro in materia!». «Sì, appunto!»
«Se possiamo, è una persona che vale... Però stai molto guardingo,
si rischia la guerra con il Tesoro...»
Se Tremonti per Gavio è un nemico, Lunardi e Pera sono amici.
Con l'allora presidente del Senato, Gavio e Lunardi sono stati
anche a colazione a palazzo Giustiniani: Pera, seconda carica della
Repubblica, ben fuori dai suoi poteri e doveri istituzionali, pretende
di mettere incredibilmente becco nelle nomine della Salt,
l'autostrada ligure-toscana.
Il 10 marzo 2004 Lunardi chiede a Gavio:
«Come stai? Senti, quella persona con cui abbiamo fatto colazione
un po' di tempo fa lì, a palazzo Giustiniani... mi diceva che
ha saputo oggi che c'è un consiglio e nominano un Ds di La Spezia...
No, perché, guarda che voi fareste la fine di...». Gavio lo interrompe:
«No, stai tranquillo! Te l'ho detto che facciamo uno interno
e poi facciamo entrare Nanni Fabbri... e il sindaco di Sarzana...
Non fa il presidente di sicuro!». Lunardi: «Grazie! Però adesso
chi è il presidente?». Gavio: «Presidente faccio Arona, uno dei
miei!». Lunardi: «Ma quello lì di Sarzana è molto di là... Bisognerebbe
un pochino ripulire». Gavio: «L'unico che ha poteri è il vicepresidente,
il suo di Pera!». Lunardi: «Sì, ma non è che valga
molto...». Gavio: «No, è un architetto molto scarso».
La contesa per il presidente della Salt prosegue nei giorni seguenti:
«Guarda, sono stufo, devo andare da Pera. Lui vuole un
presidente, ma si arrabbiano gli altri...» protesta Gavio l'8 giugno.
E poi: «Sono andato da Pera e mi sono sentito una girata da fuori
di matto, perché non facciamo il presidente... Adesso vediamo
cosa possiamo fare per aiutarlo a fare 'ste strade...».
Il mercimonio continua. Accontentato Pera, Gavio ha subito
modo di pentirsi, come riassume il brogliaccio delle intercettazioni:
«Ha problemi con il nuovo presidente che gli ha fatto nominare
Pera. Dice che è un medico e non sa nulla di autostrade, che
dovrebbe accontentarsi di prendere i soldi e non intralciare il loro
lavoro...».
Gli stretti rapporti con la politica e con gli uomini dell'Anas
spiegano anche un'altra impresa di Gavio: la scalata alla Sitaf, la
società che controlla l'autostrada del Frejus. Una vicenda che sembra
gemella a quella della Serravalle: anche qui, nella proprietà, ci
sono un Comune e una Provincia (di Torino, questa volta) e, in
più, l'Anas. Sono i magistrati torinesi, in questo caso, a volerci vedere chiaro.
Ma Gavio, pur punzecchiato dalle inchieste giudiziarie
per appalti in Lombardia, Piemonte, Liguria, prosegue la sua
corsa. Ha tanti progetti per la testa. Tanti cantieri da aprire, nuovi
tratti autostradali da realizzare, ricchi appalti da vincere.
La politica cambia, gli affari restano.
Compagni che sbagliano, Il Saggiatore 2007
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