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Blu, il futuro che non cè
più
Telefonia telefonia: ma come
mai Berlusconi
è uscito dall'affare prima del diluvio?
Quella di Blu è una grande
storia piena di ingredienti. Ce nè per
tutti i gusti, per tutti i palati. Politica e lavoro, finanza
e potere, tecnologia e new economy, previsioni di futuro
e nuovi stili di vita, giovani manager e brontosauri della
Prima Repubblica, etere e onde, cavi e antenne, bilanci
di Stato da far quadrare e conti delle imprese da far guadagnare,
gare e ricorsi, alleanze e tradimenti. E poi spot da premio,
spermatozoi, bambini, vecchi marpioni, conÅitti dinteressi,
scambi sotterranei, nuovi precari e nuovissimi modi di fare
lotta sindacale...
Da dove partiamo? Ma dal nome, naturalmente: Blu. Il merito
di averlo trovato se lè assunto un brontosauro,
Francesco Cossiga. E per questo ha litigato perfino con
un altro esemplare della specie, Giancarlo Elia Valori.
Era la vigilia dellanno 2000 e un gruppo di imprese
aveva varato una nuova compagnia telefonica. Finito il monopolio
di Telecom ultima mutazione genetica della Stipel,
lazienda dei telefoni di Stato si era aperta
la corsa a occupare il mercato. Erano nate nuove imprese
come Omnitel, germinata da una costola della Olivetti, che
si era tuffata a capofitto (con buoni risultati e ottimi
profitti) nel business dei telefonini, diventati in breve
tempo una delle più grandi passioni degli italiani.
Il settore telecomunicazione tira. Un poker dassi
dellimpresa decide allora di buttarsi: Gilberto Benetton,
quello dei golfini, di Edizioni Holding e di Autostrade;
Francesco Caltagirone, quello di Azzurra e del Messaggero;
Silvio Berlusconi, che non ha bisogno di presentazioni;
e un partner straniero di tutto rispetto, British Telecom.
I quattro (con in più Bnl, Italgas e Distacom) mettono
su una compagnia con due obiettivi: entrare subito nel mercato
dei telefonini Gsm, ma soprattutto concorrere alla gara
per le licenze dei telefonini di domani, quelli a tecnologia
Umts.
La compagnia prende un nome breve, fulminante: Blu.
Presidente: Giancarlo Elia Valori, lunico satrapo
di Stato che sia riuscito come niente fosse a passare dallera
dei boiardi a quella delle privatizzazioni e della new economy,
restando presidente di Autostrade anche quando queste sono
passate dallo Stato ai Benetton. Ma quando Valori, nella
primavera del 2000, presenta ufficialmente al pubblico la
società e il nuovo marchio, si dimentica dinvitare
Cossiga, che pure dice di aver avuto lidea di quel
nome. Lex presidente della Repubblica si scatena:
battute al veleno, come solo lui sa fare, su Blu, sui suoi
servizi, sulla sua campagna pubblicitaria-choc che ha coinvolto
come attori unallegra brigata di spermatozoi visti
al microscopio. Forse Cossiga, come la fata Malefica non
invitata al battesimo della Bella Addormentata, avrà
nascosto da qualche parte un fuso incantato. Eppure i due,
Cossiga e Valori cresciuti nello stesso duro clima
di guerra fredda allitaliana, fatta di dossier, cordate,
colpi bassi, logge segrete prima di quellincidente
si amavano: Cossiga al Quirinale aveva nominato Valori,
che va pazzo per le onorificenze, Cavaliere di Gran Croce;
e Valori aveva assunto il figlio di Cossiga come manager
alla Società Autostrade. Dopo lo sgarbo di Blu, amicizia
rotta. Ma per poco. Cossiga, si sa, è estroso, cambia
in fretta. A metà maggio del 2000 gli uomini vicini
a Valori già assicurano che «i due si sono
parlati e hanno chiarito ogni cosa». Naturalmente
nei palazzi romani cè chi cerca di spiegare
le bizze tra i due brontosauri con motivi più sostanziosi
che un semplice mancato invito al party di battesimo di
Blu: politica, finanza, cordate, poteri... Ma è un
attimo: poi questioni ben più pesanti arrivano a
occupare la scena.
Blu è, fin dallagosto 1999, il quarto gestore
dei telefonini Gsm. Ma stenta a partire, esordisce sul mercato
soltanto nel maggio 2000 e arriva, appunto, per quarto,
con Tim che è figlio dellex monopolista Telecom,
Omnitel che diventa una splendida case-history da scuola
di management, Wind (azionisti Enel e France Télécom)
che corre, seppure un po a fatica, dietro ai due grandi.
E Blu? Arranca. Riuscirà a conquistare pian piano
solo il 4 per cento degli utenti, e per di più telefonatori
deboli, che tendono al risparmio, visto che rappresentano
solo il 2 per cento del traffico telefonico. Ma Blu, arrivata
per ultima, cerca di differenziarsi, offre servizi innovativi,
punta sulla semplicità. E poi la telefonia è
il futuro; e il futuro della telefonia è lUmts.
Ottobre 2000, lo Stato assegna le licenze Umts: Blu concorre
per vincere.
A questo punto sarebbe necessario un complicato intermezzo
tecnologico per spiegare le mirabolanti caratteristiche
dellUmts. Riduciamolo al minimo. Oggi usiamo il telefono
(Gsm) per telefonare e, in piccola parte, per fare altro:
inviare messaggini Sms, o ricevere brevi informazioni, loroscopo,
i risultati delle partite di calcio... LUmts ribalta
i termini: sarà un oggetto che servirà a tante
cose, tra cui anche telefonare. La quantità dinformazioni
che gli potranno giungere sarà portentosa, il telefonino
diventerà un piccolo computer perennemente collegato
a internet o ad altre reti tutte da inventare. Potremo scegliere
il film da andare a vedere guardando al telefono i trailer.
O rivedere i gol preferiti. Con una piccola telecamera,
ecco fatto il videotelefono. Il fornitore di salumi, o di
computer, avrà in ogni momento sotto controllo la
rete dei suoi clienti, con tutti i conti, gli ordini, i
prezzi, gli sconti. Chi ha bisogno di informazioni le potrà
trovare rapidamente collegandosi a una banca dati. Chi vuole
proprio investire in Borsa potrà fare trading on
line direttamente dal telefonino personale. Insomma, cambierà
il modo di comunicare, ma anche di lavorare e dinvestire.
In modi che oggi possiamo solo in parte immaginare. Previsione
degli esperti: lUmts diventerà il 90 per cento
della telefonia entro sette, otto anni. Lappuntamento,
dunque, è per il 2010.
Nel 2000, intanto, cè la gara per le licenze.
Ci si arriva con grandi aspettative. Le aziende fanno i
loro conti sapendo che cè molto da guadagnare,
ma anche molto da investire, da aspettare e da lavorare.
I governi dei Paesi europei, che mettono in palio le licenze,
sanno daltra parte che è unoccasione
unica per portare a casa un pacco di miliardi per risanare
i conti pubblici e rimpinguare le casse dello Stato, che
di soldi ne hanno bisogno sempre, a tutte le latitudini.
Il raccolto della gara è buono in Germania e in Gran
Bretagna, dove le aziende si sfidano a suon di rilanci e
una licenza viene a costare il corrispettivo di circa 10
mila miliardi di vecchie lire. È pessimo in Olanda
e Spagna, dove invece le aziende decidono di non dissanguarsi
oggi per sperare in guadagni forti ma rischiosi domani.
LItalia, come la Francia, si posiziona a metà
strada: i risultati per lo Stato sono inferiori alle aspettative
del governo, ma non pessimi.
La gara italiana, però, ha un colpo di scena.
Le licenze da assegnare sono cinque, i concorrenti sono
sei. Il presidente del Consiglio allora era Giuliano
Amato si frega le mani immaginando che tutti e sei
facciano dei bei rilanci per non essere esclusi e, nelle
notti di luna, sogna un incasso vicino ai 50 mila miliardi
di lire. Prudentemente, però, mette a bilancio solo
la base dasta, 25 mila miliardi. Intanto Valori si
dà da fare e promette 3 mila assunzioni entro il
2001. Porta a casa gli incentivi e gli sgravi fiscali per
le aziende che investono al Sud. Apre un call center a Palermo.
Poi si fa beccare al telefono dal solito magistrato impiccione
(ma lintercettato non è lui, bensì il
suo interlocutore: il cardinale di Napoli Michele Giordano).
Valori blandisce il cardinale, affinché sostenga
un consorzio locale di telefonia: «Eminenza, se entriamo
noi, la Nokia apre uno stabilimento anche ad Avellino...».
Poi a Giordano telefona il direttore dellOsservatore
romano Mario Agnes, che su Valori (lunico iscritto
alla P2 espulso dal gruppo massonico, perché faceva
troppa concorrenza a Licio Gelli) lancia avvertimenti al
cardinale: «Vostra Eminenza deve sapere che questo
è Loggia nel senso stretto del termine!...».
Intanto i concorrenti si schierano ai blocchi di partenza.
Ci sono, naturalmente, Tim e Omnitel, Wind e Blu, già
presenti nella telefonia mobile Gsm; poi due nuovi aspiranti
gestori: Ipse (Acea e la spagnola Telefonica) e H3G (i cinesi
di Hutchinson Wampoa). Mentre Giuliano Amato continua a
sognare un bilancio da favola, ecco il colpaccio: Blu si
ritira dallasta, i concorrenti restano in cinque e
si portano a casa a buon prezzo le cinque licenze. Lo Stato
incassa 27 mila miliardi.
Tempesta. Il governo Amato inÅigge a Blu una multa di 4
mila miliardi (poi annullata dal Consiglio di Stato) per
turbativa dasta. La procura di Roma apre uninchiesta
per verificare se siano stati commessi reati. Le solite
malelingue insinuano che la gara era stata combinata, che
Blu si è ritirata al momento giusto per favorire
gli altri concorrenti. Ma in cambio di che cosa? La verità
è che, debole nel Gsm e senza licenza Umts, Blu è
una scatola vuota. Un bel marchio con una bellissima campagna
pubblicitaria, in cui lo spermatozoo diventa bambino e promette:
«Blu. Il futuro che non cera». Fabrizio
Russo, il creativo della Leo Burnett che lha ideata,
continua ad accumulare premi con i suoi film controcorrente,
ma Blu scricchiola, i manager scappano, i dipendenti cominciano
a temere per il posto di lavoro.
Perché Blu si è ritirata dalla gara, autocondannandosi
al deperimento? British Telecom aveva una difficile ristrutturazione
in corso. Ma sono i Benetton a far saltare tutto: dopo aver
rifatto i loro conti, decidono di non tirare fuori la loro
quota di tutti quei miliardi che sarebbero stati necessari
per la licenza, almeno 4 mila, e poi per costruire una rete
Umts: impianti e 6 mila nuove antenne per coprire tutta
lItalia, con una spesa ulteriore di 5 mila miliardi.
Scelta legittima, di fronte a un progetto industriale costoso
e rischioso. Eppure i conti erano facili da fare fin dallinizio,
si sa che la telefonia è un business «capital
intensive», che cioè ha bisogno di tanti soldi
e tanto tempo prima di portare profitti. Qualcuno, nelleterno
clima dietrologico italiano, insinua che cè
dietro qualcosa. Il settimanale Il Mondo nel gennaio 2002
scrive: «È caccia allanonimo che accusa
Benetton. Da qualche giorno un documento di cinque cartelle
gira per Roma. Forse lo hanno ricevuto anche la Corte dei
conti o qualche magistrato. Il documento sostiene che Edizioni
Holding (cioè i Benetton) nellottobre del 2000
intralciò lasta per le licenze di telefonia
Umts per favorire Telecom, della quale sarebbe diventato
azionista nellestate successiva».
Forse i Benetton nellottobre 2000 non si sognavano
neppure di entrare in Telecom, ma effettivamente pochi mesi
dopo Marco Tronchetti Provera getta la sua Pirelli allassalto
della Telecom e la conquista. Al suo fianco ci sono i Benetton:
perché mai avrebbero dovuto sudare sangue per costruire
da zero la piccola, incerta Blu, quando potevano allungare
la mano e prendere nientemeno che Telecom? Ma lunica
osservazione arriva dal commissario europeo per la concorrenza
Mario Monti: Benetton non può tenere i piedi in due
scarpe, Blu e Telecom. Se vuole restare in Telecom, deve
vendere la sua quota di Blu.
A questo punto gli esperti inseriscono un intermezzo tecnologico-politico-finanziario,
edificato su due domande. Prima: lUmts è un
grande affare o unillusione, decollerà davvero
oppure no? Per la risposta, non resta che aspettare il 2010.
Seconda: i voraci governi europei non hanno fatto male i
loro conti, trattando le telefoniche come vacche da mungere,
spremute per le gare e ora rimaste, in tutta Europa, senza
più risorse per investire in impianti? Cambiando
animale: per portare a casa la gallina oggi, non rischiano
di non avere più le uova doro domani?
Ma mentre ci si interroga sulle sorti delle telecomunicazioni
e sui destini del mercato, qualcuno dimostra di essere più
furbo degli altri. Nel dicembre 2001 un socio zitto zitto
si defila, prende il cappello e se ne va. È Mediaset.
Esce da Blu, vendendo la sua quota (9 per cento) a British
Telecom, in forza di «patti parasociali» (tecnicamente:
un diritto di put) sventolati al momento buono, ma fino
ad allora ignoti agli altri soci. La vendita avviene oltretutto
a un prezzo incredibile, 106 milioni di euro, in un momento
in cui la crisi non è ancora manifesta, ma certo
Blu è già in stato di difficoltà strategica
e ha difficilmente il valore di quei 1,2 miliardi di euro
che British Telecom ha invece accettato senza battere ciglio.
Che cosa ha promesso, in cambio, Mediaset (e il suo maggiore
azionista, Silvio Berlusconi) agli inglesi?
Esplode il caso. Nel gennaio 2002 Vito Gamberale, rappresentante
dei Benetton nel consiglio damministrazione di Blu,
si dimette. Come a dire agli ex soci di Mediaset: vi siete
salvati Dio sa come, ma non pensate adesso di lasciarci
qui con il cerino in mano. Si noti il caso da manuale di
conflitto dinteressi: Berlusconi azionista di Mediaset
si salva mentre il governo di Berlusconi presidente del
Consiglio (nella persona del ministro delle Comunicazioni,
Maurizio Gasparri) comincia a darsi da fare per risolvere
il caso Blu. E Gamberale e Benetton si rivolgono a Berlusconi
presidente del Consiglio perché li faccia uscire
dallincresciosa situazione in cui li ha lasciati Berlusconi
azionista di Mediaset.
I dipendenti di Blu sono intanto venuti allo scoperto.
Hanno inventato nuovi modi di protesta per ottenere visibilità.
Hanno inondato lItalia di e-mail. Hanno scioperato
venerdì 1 marzo in difesa del posto di lavoro. Si
sono presentati ai girotondi attorno alle sedi Rai esibendo
cartelli e i loro cappellini blu. A Palermo hanno sfilato
addirittura in mutande. Per farsi sentire hanno usato la
rete internet: il sito www.breadandroses.it animato da Filippo
Di Nardo e Lorenzo Guerra, specializzato in storie di lavoro
e net economy. Dopo le agitazioni dei dipendenti di Matrix-Virgilio
e di Omnitel, ecco unaltra vicenda di lavoratori di
tipo nuovo, senza tuta e senza tutela. Nella sede di Firenze
sono 340 i contratti di formazione lavoro e 260 sono i lavoratori
interinali già usciti dallazienda. A Palermo
440 sono i contratti di formazione lavoro. Nelle sedi Blu
di Roma, Napoli, Milano e Padova vi sono poi altri 880 dipendenti,
più garantiti perché assunti con contratto
a tempo indeterminato, ma comunque a rischio nel caso che
Blu naufraghi. A maggio, quando scadranno molti contratti
di formazione lavoro, saranno almeno 500 i dipendenti usciti
da Blu: licenziati invisibili, perché mai assunti.
La politica però è tranquilla. Blu è
un problema, ma la soluzione è pronta. Il più
è già stato fatto: Mediaset ha risolto da
sé il suo caso (miracolo italiano che si verifica
quando unazionista è anche presidente del Consiglio);
Benetton ha avuto quello che voleva, cioè lingresso
in Telecom. Resta soltanto da smontare Blu. Il fido Gasparri
si è recato a Bruxelles dal commissario Monti e gli
ha proposto la sua soluzione: Tim si compra Blu, con limpegno
di vendere poi a pezzi i suoi asset. Monti ha scosso la
testa: no, neanche in via transitoria è possibile
una concentrazione contro le regole della concorrenza. E
allora, spezzatino: Blu vende i clienti e un po di
dipendenti a Wind; ripartisce le frequenze e gli impianti
tra gli altri operatori; il marchio, i dipendenti residui
e le perdite accumulate nei bilanci se le accolla Tim.
È la quadratura del cerchio: Wind da una parte
(con i clienti) singrandisce, dallaltra (con
i dipendenti) inghiotte il rospo, ma lo deve fare, visto
che il governo Berlusconi sta per fare le nuove nomine dellEnel,
che di Wind è la mamma; Tim deve inghiottire un rospo
ancora più grosso, ma in cambio potrà iscrivere
nel suo florido bilancio le perdite di Blu (900 milioni
di euro), risparmiando una montagna di tasse; e non solo:
domani il governo Berlusconi potrà ricambiare il
favore, magari concedendo a Tim una sostanziosa defiscalizzazione
degli investimenti sulla banda larga, per far decollare
la telefonia del futuro con grande soddisfazione
di Tronchetti Provera. Resta solo un problema giuridico
da risolvere: le frequenze, essendo proprietà dello
Stato concesse in licenza, non possono essere vendute tra
privati, devessere il governo a riassegnarle. Ma figurarsi
se i due Berlusconi (lazionista di Mediaset e il presidente
del Consiglio), con tanti avvocati intorno, non troveranno
una bella soluzione anche per questo.
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