QUELLA FUSIONE DA FARE A OGNI COSTO
OVVERO LA SAGA INFINITA
DEI FURBETTI DELL'ASSICURAZIONE
Unipol-Fonsai/5
Arrivano i bolognesi. Ed è subito epurazione
di Gianni Barbacetto
UnipolSai debutta in Borsa senza infamia e senza lode (rialzi iniziali del 3 per cento, per poi chiudere a valori pressocché invariati). Intanto, all’interno della compagnia crescono le proteste per una fusione organizzativa realizzata come un’occupazione militare, un’operazione di “pulizia etnica”: fatti fuori tutti i dirigenti e i quadri Fonsai, ora il nuovo organigramma è interamente occupato dai manager Unipol e Ugf (la finanziaria del gruppo).
Normale che i “salvatori” della compagnia bolognese – arrivati con il programma dichiarato di mettere ordine nella Fonsai che era stata per anni il bancomat della famiglia Ligresti – abbiano eliminato i top manager, corresponsabili dello spolpamento della compagnia nell’era di Fausto Marchionni ed Emanuele Erbetta. Meno normale la metodica occupazione di tutti i posti di comando, di seconda e terza fascia e anche più giù, con conseguente emarginazione anche di quei dipendenti di Fonsai e Milano Assicurazioni che nell’era Ligresti avevano tirato la carretta: una solida struttura di dirigenti, quadri e impiegati che aveva fatto funzionare le due società nonostante tutto e, a volte, contro tutti, anche nel triennio più duro, quello tra il 2010 e il 2012.
Poi sono arrivati i “salvatori”: quelli di una compagnia, Unipol, non solo molto più piccola della Fonsai che volevano “salvare”, ma non priva di problemi a sua volta, vista la zavorra di derivati che aveva in pancia. La fusione comunque è stata avviata, insieme a due inchieste giudiziarie (a Milano e a Torino) e all’intervento, spesso distratto, degli istituti di controllo, Consob e Ivass. Nel settembre 2012 partono dentro le tre compagnie i “Cantieri di integrazione”, cioè le operazioni per unificare le strutture di Fonsai-Milano Assicurazioni e Unipol. Ci sono riunioni territoriali informative e si avvia la “Campagna d’ingaggio”. Slogan dichiarato: “Applicheremo la Best Practice”, ossia sceglieremo il meglio, premieremo le capacità, senza fare figli e figliastri, riconoscendo a tutti pari dignità.
Molti dentro Fonsai ci hanno creduto, benché non fossero alla prima fusione. Hanno sperato di essere alle soglie di un vero rilancio della compagnia, dopo anni di lavoro (e di sofferenze). Ora, dopo un anno, in tanti si dicono “traditi”: la promessa “convergenza” è stata la piena vittoria degli uomini Unipol sulla struttura Fonsai. Mese dopo mese, gli organigrammi sono stati modificati, fino a quello del 31 ottobre 2013 in cui gli uomini Fonsai sono praticamente scomparsi. Sono avvenuti demansionamenti pesanti, cambi di ruolo, trasferimenti di sede. Il tutto nel silenzio dei sindacati, che forse sentono le affinità elettive che li legano alla storia di Unipol.
Nel giorno del debutto in Borsa di UnipolSai, il 6 gennaio, il titolo è partito effervescente per poi planare su un +0,08. La festa della Befana era stata preparata da una vigilia di Natale, il 23 dicembre, in cui una Consob ridotta di fatto al suo presidente, Giuseppe Vegas, ha approvato il prospetto di fusione. Ieri l’amministratore delegato di UnipolSai, Carlo Cimbri, ha rilasciato un’intervista tranquillizzante in cui nega che i bilanci Unipol abbiano sofferto di debolezze a causa dei derivati, riduce le inchieste giudiziarie a eredità della vecchia gestione Ligresti, difende Mediobanca (regista della fusione) e minimizza il problema dei debiti: 1,5 miliardi nei confronti della stessa Mediobanca.
(Il Fatto quotidiano, 7 gennaio 2014)
Unipol-Fonsai/6
La svolta. Scattano le perquisizioni, Cimbri è indagato
di Gianni Barbacetto
E se il salvatore fosse più malmesso del salvato? Se il medico fosse più malato del paziente? Quando Unipol “salvò” Fonsai, questa era solo un’ipotesi giornalistica, aspramente contrastata dai protagonisti. Ora è diventata atti d’indagine: ieri i finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria di Roma, guidati dal generale Giuseppe Bottillo, sono andati a perquisire gli uffici bolognesi di Carlo Cimbri, amministratore delegato di UnipolSai, la supercompagnia d’assicurazioni nata dalla fusione di Unipol (area coop rosse) e Fonsai (gruppo Ligresti). Hanno chiesto documenti anche alla Consob di Giuseppe Vegas, l’Autorità di controllo che avrebbe dovuto vigilare sulla fusione.
Cimbri è indagato dalla Procura di Milano, pm Luigi Orsi, per aggiotaggio: avrebbe continuativamente fornito al mercato informazioni non vere sul valore della sua compagnia, durante il lungo percorso che ha portato al matrimonio d’interesse tra l’“assicurazione dei comunisti” e le aziende in difficoltà di Salvatore Ligresti. Indagati per aggiotaggio anche i “testimoni degli sposi”, due di parte Unipol (oltre a Cimbri, Vanes Galanti, allora presidente del consiglio d’amministrazione di Unipol Assicurazioni) e due di parte Ligresti (Roberto Giay, già amministratore delegato di Premafin Finanziaria, e Fabio Cerchiai, ex presidente del consiglio di amministrazione di Milano Assicurazioni). Le false comunicazioni, secondo l’ipotesi d’accusa, riguardano i derivati che riempivano la pancia di Unipol al momento della fusione e che avrebbero un valore di molto inferiore rispetto a quello dichiarato a bilancio.
La storia comincia nel 2012, quando diventa evidente la crisi del gruppo Ligresti. La nuova Mediobanca di Alberto Nagel, in accordo con Unicredit, chiude i rubinetti del credito a don Salvatore e decide di “salvare” Fonsai. Per “proteggere la nostra esposizione”, spiegherà Nagel. Il “salvatore” è individuato in Cimbri, che ha a sua volta un bel pacchetto di debiti nei confronti di Mediobanca: se il matrimonio va in porto, Nagel risolve non uno, ma due problemi. Quanto vale davvero, però, Unipol? A che valori fissare il concambio Unipol-Fonsai, al momento della fusione?
A questo punto la vicenda si slabbra, i contorni della storia diventano opachi. Uno studio di Ernst&Young, il “Progetto Plinio “ (realizzato su incarico di Fondiaria, quindi di parte) calcola che a fine 2011 Unipol ha un patrimonio netto rettificato di 302 milioni, ben lontano da quello scritto a bilancio come patrimonio contabile (1,1 miliardi di euro). Anzi, “Plinio” sostiene addirittura che il valore intrinseco della società potrebbe essere negativo. Se fosse vero, la fusione in corso sarebbe destinata a saltare, o almeno a essere conclusa su valori ben diversi da quelli proposti.
La Consob potrebbe diradare la nebbia. Invece contribuisce a confondere le carte. Una sua sezione tecnica, l’ufficio Analisi quantitative, guidato da Marcello Minenna, sostiene che effettivamente i derivati in pancia a Unipol ne zavorrano il valore. Il bilancio 2011, per esempio, non avrebbe contabilizzato 2 o 300 milioni di perdite relative a titoli strutturati. Le perdite potrebbero però essere maggiori, visto che non c’è chiarezza sui titoli infilati nel portafoglio della compagnia bolognese.
Il presidente di Consob, Vegas, mette però in un angolo Minenna e tiene all’oscuro di tutto uno dei commissari, Michele Pezzinga. E denuncia addirittura per aggiotaggio informativo due giornalisti (Giovanni Pons e Vittoria Puledda, di Repubblica) che avevano osato riportare notizie (vere) sui conti traballanti di Unipol. Il matrimonio, evidentemente, s’ha da fare. A ogni costo. Inizia così un lungo, curioso, misterioso ping-pong tra Consob e Unipol, in cui l’Autorità sembra un consulente privato, più che un’agenzia di controllo: raccomanda, suggerisce, consiglia; e il vigilato via via corregge, rettifica, svaluta, depura. Toglie dal bilancio una quarantina di milioni nel dicembre 2012. Altri 240 milioni nell’aprile 2013. Quindi qualcosa di vero c’era, nei conti shock di “Plinio” e nelle tabelle terribili di Minenna.
A fine 2013 la fusione si fa. Diventa operativa il 6 gennaio 2014, giorno della Befana. Da una parte Unipol, dall’altra le tre società di Ligresti: Premafin, Fonsai, Milano Assicurazioni. È l’unione di due debolezze: Fonsai è uscita devastata dalla gestione dei Ligresti, che pure sono stati nutriti dalla banca di piazzetta Cuccia, tra il 2003 e il 2012, con l’incredibile cifra di 1 miliardo e 200 milioni; Unipol ha un debito con Mediobanca di almeno 400 milioni. Il risultato è comunque la nascita di un gigante delle polizze, con 10 milioni di clienti, la più grande compagnia assicurativa italiana nel ramo danni, per il resto seconda solo a Generali.
Grande operazione di sistema: buttato alle ortiche don Salvatore Ligresti, che per decenni aveva fedelmente servito il sistema, ma era diventato infine indifendibile, Mediobanca e le altre banche creditrici individuano in Cimbri il nuovo player per continuare a giocare vecchie partite. Perfetto, nel nuovo clima di larghe intese aperto dall’uscita di scena di Silvio Berlusconi (che deve lasciare la guida del governo) e di Cesare Geronzi (che deve abbandonare le stanze dorate della finanza). È la rivincita dei “furbetti del quartierino”: la bicamerale degli affari, aperta nel 2005 da Giovanni Consorte, allora presidente di Unipol, oggi è arrivata a compimento.
Peccato si siano messi di mezzo alcuni guastafeste: pochi giornalisti, il commissario Pezzinga, qualche funzionario onesto come Minenna. E un pm di Milano che ora sta esaminando la documentazione sequestrata ieri in Unipol e in Consob. Luigi Orsi avrà da lavorare, nelle prossime settimane.
(Il Fatto quotidiano, 22 maggio 2014)
Unipol-Fonsai/7
Ma guarda un po'. C'è un regista (Nagel) e un controllore (Vegas)
di Gianni Barbacetto
Ora l’attenzione si sposta sui “controllori”, che potrebbero non aver vigilato sull’operazione che ha portato alla fusione tra Unipol (cooperative “rosse”) e Fonsai (ex gruppo Ligresti). Il pm della procura di Milano Luigi Orsi sta valutando attentamente il ruolo giocato dalla Consob di Giuseppe Vegas. Secondo l’ipotesi investigativa, Unipol non è il “salvatore” delle aziende decotte di Salvatore Ligresti, ma semmai il “salvato”: la fusione che ha dato origine a UnipolSai, la seconda compagnia assicurativa italiana dopo Generali, potrebbe essere stata realizzata a valori falsi, sopravvalutando il peso di Unipol. Per verificarlo, la procura di Milano ha fatto perquisire, giovedì 22 maggio, gli uffici di quattro manager indagati per aggiotaggio: Carlo Cimbri, amministratore delegato di UnipolSai; Vanes Galanti, ex presidente di Unipol Assicurazioni; Roberto Giay, già amministratore delegato di Premafin Finanziaria; Fabio Cerchiai, ex presidente di Milano Assicurazioni.
Ma è la Consob l’obiettivo più delicato delle perquisizioni realizzate dai finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria di Roma, guidati dal generale Giuseppe Bottillo. Secondo l’accusa, Vegas (non indagato) potrebbe non aver vigilato sulla fusione, come era suo compito istituzionale, ma avere anzi ostacolato nei fatti la verifica di quanto davvero valesse Unipol. Innanzitutto impedendo che il funzionario Marcello Minenna, a capo dell’ufficio Analisi quantitative della Consob, calcolasse il valore effettivo dei titoli strutturati in pancia a Unipol. E tenendo poi completamente all’oscuro delle operazioni in corso uno dei commissari Consob, Michele Pezzinga, che per riuscire a prendere visione del dossier Unipol ha dovuto minacciare di denunciare il presidente Vegas all’autorità penale.
Così l’inchiesta, dedicata da principio alle gesta della famiglia Ligresti che aveva spolpato le sue aziende, da Premafin a Fonsai, portandole sull’orlo del fallimento, è ora arrivata a lambire registi, banchieri, controllori. Nei prossimi giorni, il pm Orsi e i finanzieri del generale Bottillo analizzeranno, con l’aiuto di un consulente tecnico, l’enorme materiale (soprattutto informatico) sequestrato durante le perquisizioni di giovedì. Sotto attenzione sarà il ruolo giocato dal regista dell’operazione, l’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel, ma soprattutto i comportamenti delle autorità di controllo.
Orsi ha già chiesto il rinvio a giudizio, per corruzione e calunnia, per l’ex presidente dell’Isvap (l’Autorità di controllo sulle assicurazioni) Giancarlo Giannini, che per otto anni – dal 2002 al 2010 – ha tenuto gli occhi chiusi sulla Fonsai di Ligresti. Salvo poi aprirli di colpo – nel 2012, quando ha avuto chiaro che don Salvatore era finito – incolpandolo ingiustamente di ostacoli alla vigilanza. La Consob (l’Autorità sulle società quotate), intanto, lavorava sull’altro fronte: far passare la fusione, anche a costo di non vedere i derivati che pesavano come zavorra nei bilanci di Unipol. Il piano, messo a punto da Mediobanca (grande creditrice sia dei Ligresti, sia di Unipol), prevede un aumento di capitale riservato di Premafin, sottoscritto da Unipol, senza obbligo di opa sulle società sottostanti: così la compagnia bolognese conquista il controllo della holding e, a cascata, delle vere prede, cioè Fonsai e Milano Assicurazioni.
C’era un’offerta alternativa, avanzata nel dicembre 2011 dalla Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo e da Matteo Arpe, che volevano comprare Fonsai (lasciando a Mediobanca i debiti di Premafin). Una Consob molto puntigliosa frena l’operazione, che infine abortisce. Così come il tentativo dei francesi di Groupama, ai quali viene detto che se volevano Fonsai dovevano fare l’opa. Unipol no: la Consob stabilisce, nella sua delibera del 24 maggio 2012, che quella di Unipol è un’operazione di salvataggio, dunque esente da opa. Non necessaria neppure l’opa di consolidamento quando, con la fusione, la compagnia bolognese sale sopra il 50 per cento di Fonsai. L’Ivass (la nuova Autorità di controllo sulle assicurazioni) ratifica.
Così la fusione avviene, con un lungo percorso che si conclude il 6 gennaio 2014. Nei mesi precedenti, la Consob di Vegas, parca di comunicazioni con la procura di Milano che chiede spiegazioni, è invece generosa con Unipol: la assiste, la consiglia. L’arbitro si presta a fare da “consulente privato” per un’operazione su cui dovrebbe vigilare.
(Il Fatto quotidiano, 23 maggio 2014)
Unipol-Fonsai/8
Ci mancava anche lo scontro tra procure. Torino contro Milano
di Gianni Barbacetto
Un solo reato, due inchieste parallele: anche la procura di Torino ha aperto un’indagine per aggiotaggio sulla fusione tra Unipol e Fonsai. Operazione su cui la procura di Milano da tempo sta cercando di fare chiarezza. Ennesima duplicazione, in questa storia che vede già processati, alcuni a Torino (Salvatore Ligresti, la figlia Jonella e i loro manager) e altri a Milano (Paolo Ligresti, Fulvio Gismondi e Piergiorgio Bedogni), personaggi tutti imputati per lo stesso fatto, l’aggiotaggio sul bilancio Fonsai del 2010. Se per questo troncone il rischio è che a Torino si celebri un processo destinato alla fine a essere annullato dalla Cassazione per incompetenza territoriale, per la delicatissima indagine appena avviata su UnipolSai il rischio è la sovrapposizione delle indagini, aggravato dal fatto che le due procure stanno procedendo con ipotesi investigative opposte.
A Milano, il pm Luigi Orsi nelle prossime settimane analizzerà, con l’aiuto di un consulente, il materiale contenuto nella memoria dei computer (una settantina) sequestrati giovedì 22 maggio negli uffici bolognesi di Unipol e nella sede romana di Consob, la Commissione di controllo sulla Borsa. Indagati per aggiotaggio informativo sono l’amministratore delegato di UnipolSai, Carlo Cimbri, e altri tre manager. L’ipotesi d’accusa è che la fusione sia avvenuta a valori falsi: sopravvalutato il peso di Unipol, a causa dei titoli strutturati che aveva in portafoglio. Nel decreto di perquisizione è riportata la valutazione del funzionario Consob Marcello Minenna, secondo cui quei titoli, “rispetto ai valori comunicati da Unipol”, hanno “un differenziale negativo” che “si colloca tra i 592 e i 647 milioni di euro”.
Sotto attenzione della procura di Milano sono anche il controllore e il regista dell’operazione: il primo è il presidente Consob Giuseppe Vegas (per ora non indagato) che rallentò le analisi di Minenna, tenne fuori dalla partita uno dei commissari, Michele Pezzinga, e non comunicò l’esito delle analisi sul portafoglio titoli né al pm Orsi, né all’Ivass (l’istituto che vigila sulle compagnie assicurative), che doveva concedere l’ultima autorizzazione alla fusione; il regista è invece l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, che ha organizzato il “salvataggio” di Fonsai salvando in realtà Unipol e soprattutto se stesso, vista l’esposizione che entrambi i gruppi avevano con Mediobanca.
Il giorno dopo le perquisizioni, si è appreso che anche i pm di Torino, Vittorio Nessi e Marco Gianoglio, hanno aperto un’indagine parallela e chiedono alla procura di Milano di poter vedere il materiale sequestrato. Il punto di partenza dei pm torinesi sarebbe una email di Piergiorgio Peluso (figlio dell’ex ministro Anna Maria Cancellieri), allora direttore generale di Fonsai, che nei primi mesi del 2010 scriveva ai suoi collaboratori: “Vi allego un memo sulle criticità di bilancio di Unipol Assicurazioni, a quanto pare noi non siamo gli unici ad avere problemi di solvibilità... leggetevelo e organizziamo una mail in settimana per fare il punto sulla due diligence e su quanto stiamo scoprendo”. Allegata, un’analisi dei conti Unipol.
Quello che intanto la procura di Milano ha già accertato è che nei mesi caldi in cui si preparava la fusione, il vigilato (Unipol) era informato in diretta dal vigilante (Consob) su ciò che stava succedendo. La prova è nelle carte di un’indagine di Roma sulle infiltrazioni mafiose nel porto di Ostia, che Orsi ha chiesto e ottenuto a fine 2013: in un’intercettazione, l’avvocato Dario Romagnoli (dello studio Tremonti e consulente di Unipol) racconta il 12 dicembre 2012 a Giulio Tremonti (fino al 2011 ministro dell’Economia, con Vegas viceministro) una riunione tenuta il giorno prima nella sede di Unipol. Presenti Romagnoli, l’allora generale della Guardia di finanza Emilio Spaziante e un terzo personaggio misterioso. “Loro dicono che c’è proprio una lotta intestina interna a Consob”, dice l’avvocato. “Una faida” in cui un gruppo (in realtà il funzionario Minenna) si oppone, scrivono gli investigatori, “al presidente Vegas che invece favorisce l’operazione”.
Se per il futuro il pericolo di sovrapposizione d’indagini è forte, le scelte fin qui fatte dai pm di Milano e Torino dimostrano opposte ipotesi investigative. Torino procede contro i Ligresti e i loro manager, sottovalutando il ruolo di banche, registi e controllori. Ha sentito come persona informata sui fatti Nagel, che contemporaneamente e per le stesse vicende era invece indagato a Milano. Ha iscritto nel registro degli indagati il consulente di Fonsai Fulvio Gismondi, che invece era stato il primo ad andare spontaneamente alla procura di Milano (era il 12 aprile 2012) a raccontare i conti ballerini della fusione che si doveva fare a ogni costo. Con il risultato che Gismondi non ha più potuto essere ascoltato da Orsi come testimone, ma come indagato di reato connesso.
Intanto il tribunale di Torino che sta processando Salvatore e Jonella Ligresti ha affermato la sua competenza, contro ciò che la Cassazione ha più volte ribadito (Antonveneta, Parmalat, Montepaschi): l’aggiotaggio si consuma nel luogo in cui la notizia è diffusa ai mercati, dunque Milano, dove ha sede il Nis, il sistema informatico della Borsa. Milano-Torino: sarà scontro o si troverà un accordo?
(Il Fatto quotidiano, 27 maggio 2014)
Unipol-Fonsai/9
Silenzio, parla Vegas (e confessa l'operazione di sistema)
di Gianni Barbacetto
Smentito dai fatti. I tempi, i numeri, le testimonianze emerse dalle indagini della procura di Milano sembrano proprio smentire la ricostruzione che il presidente della Consob Giuseppe Vegas ha fatto mercoledì in un’intervista alla Stampa. Il tema è la fusione Unipol-Fonsai e in particolare la valutazione dei titoli strutturati in portavoglio a Unipol: se sono stati sovrastimati, come ipotizza il pm Luigi Orsi, la fusione è stata realizzata a valori falsi e dopo numerose comunicazioni al mercato non veritiere. Per questo Orsi sta indagando per aggiotaggio informativo l’amministratore delegato della compagnia bolognese, Carlo Cimbri, e altri tre manager.
Per questo, però, ha anche fatto sequestrare gli hard disk dei computer della Consob, l’Authority che ha dato il parere favorevole alla fusione malgrado il voto contrario di uno dei commissari, Michele Pezzinga, e il lavoro d’analisi di uno dei suoi dirigenti, Marcello Minenna, capo dell’ufficio analisi quantitative, il quale ha sostenuto che il valore dei titoli analizzati era inferiore di circa 600 milioni rispetto a quanto comunicato da Unipol. Ora Vegas afferma che invece tutto è stato fatto per bene e che “dopo le svalutazioni decise autonomamente da Unipol la divergenza delle due valutazioni ammontava a un valore risibile, ossia 30 milioni su 7 miliardi di valore”.
Pezzinga lo smentisce: le differenze erano tutt’altro che risibili. Restano aperte, inoltre, le questioni che Vegas non affronta. Perché l’analisi dei titoli viene affidata da Vegas a Minenna, il tecnico specialista di quella materia, soltanto il 22 novembre 2012, quando già sono stati fatti gli aumenti di capitale? Prima, si perdono mesi preziosi a discutere del sesso degli angeli, cioè dei diversi criteri di valutazione possibili, con un lavoro (sostanzialmente inutile) realizzato dal funzionario Consob fedele a Vegas, Angelo Apponi, capo della divisione emittenti. Poi l’analisi quantitativa viene finalmente chiesta a chi la sa fare, cioè Minenna, ma indicandogli le date di riferimento al 31 dicembre 2011 e al 30 giugno 2012.
Era già chiaro invece che l’unica data utile era il 30 settembre 2012, quella su cui si stabiliscono i concambi della fusione. Ma Vegas continua a fare melina. Però concede solo venti giorni (!) a Minenna, per un lavoro d’analisi e di calcolo che sa complicatissimo, prevedendo la consegna dei risultati addirittura entro il 10 dicembre 2012. Missione impossibile: per quel lavoro ci vorrà più d’un anno, anche perché al povero Minenna intanto fanno di tutto, non mettendolo in condizioni di lavorare e passandogli con ritardo le carte che gli servono per le valutazioni e che sono nelle mani di Apponi. Alla fine, Minenna è incolpato anche del ritardo con cui ha realizzato il lavoro. Ma – domanda delle domande – perché allora si è preteso che Minenna analizzasse tutti i 358 titoli in portafoglio a Unipol, quando già una sessantina erano sufficienti per capire i valori in gioco e soltanto 19 erano quelli che pesavano per il 90 per cento dell’intero portafoglio?
L’allungamento dei tempi ottiene un paio di risultati: Consob non passa le informazioni sui titoli all’Ivass (il controllore delle assicurazioni) a cui sarebbero state utili prima di dare il suo parere finale sulla fusione; e non risponde alle ripetute domande della procura di Milano, preoccupata per la diffusione di “Plinio”, la ricerca di Ernst&Young che valuta addirittura negativo il valore di Unipol, a causa dei titoli strutturati in portafoglio. Alla fine, il 13 dicembre 2013, la Consob si riunisce per dare il suo parere alla fusione, sulla base di una relazione positiva preparata da Apponi, che non tiene praticamente conto del lavoro di Minenna.
Il commissario Pezzinga, all’ultimo giorno del suo mandato, vota no. Il commissario Paolo Troiano si astiene, non avendo avuto il tempo per leggere la poderosa documentazione allegata. Decide per il sì il presidente Vegas, il cui voto vale doppio. Ora, nell’intervista, afferma che la Commissione non deve curare soltanto che “il mercato sia trasparente” (come stabilisce la sua legge istitutiva), ma anche “far sì che ci sia un po’ di sviluppo nel Paese”: compito tutto “politico”. È quasi una confessione. Di aver realizzato a ogni costo un’“operazione di sistema”.
(Il Fatto quotidiano, 29 maggio 2014)
Unipol-Fonsai/10
Le rivelazioni di Pezzinga, il commissario che non ci sta
di Gianni Barbacetto
Giuseppe Vegas, presidente della Consob, si deve dimettere. Lo chiede l'associazione dei consumatori Adusbef: "Che cosa aspetta il presidente del Consiglio Matteo Renzi a destituirlo con effetto immediato, con riserva di risarcimento danni?". Ma la richiesta viene anche dall'interno della stessa commissione che vigila sulla Borsa. "La via maestra per il recupero del prestigio dell'Istituto e anche dell'onorabilità dei singoli non può che essere quella del 'passo indietro'": così scrive Cinzia Cappelletti, rappresentante sindacale Falbi Cofsal presso la Consob, in un messaggio che gira in queste ore all'interno della commissione; le dimissioni sarebbero la risposta adeguata per "recuperare al più presto il prestigio perduto".
Il riferimento è alle notizie sul comportamento tenuto da Vegas nel corso nella vicenda che ha portato alla fusione tra Unipol e Fonsai. Non vigilanza, come sarebbe imposto dalla legge istitutiva della commissione, ma una sorta di "consulenza" a un soggetto vigilato, in vista di una fusione che si doveva fare a tutti i costi. Lo ha in qualche modo confessato lo stesso Vegas nella sua recente intervista alla Stampa, quando ha detto che la Consob non deve curare soltanto che "il mercato sia trasparente", ma anche "far sì che ci sia un po' di sviluppo nel Paese": un compito tutto "politico" che giustificherebbe l'aver contribuito a realizzare una classica "operazione di sistema".
A ricostruire dall'interno le vicende che hanno portato al matrimonio tra Unipol e società del gruppo Ligresti (Premafin, FondiariaSai, Milano assicurazioni) arrivano ora gli interrogatori depositati di Michele Pezzinga, commissario Consob fino al dicembre 2013, davanti al pm di Milano Luigi Orsi. "Nel gennaio del 2011 divenne presidente della Consob Giuseppe Vegas. Fu nel corso di quell'anno che iniziarono le manovre che avrebbero dovuto portare ad un cambio di controllo del gruppo Premafin", detta Pezzinga a verbale. "Il 13 gennaio 2012 Unipol comunicò di avere iniziato trattative per l'ingresso nel capitale di Premafin acquistando la partecipazione di maggioranza dalla famiglia Ligresti, lanciando quindi l'opa sul capitale di questa società e progettando di chiedere l'esenzione dall'opa a cascata sulle controllate di Premafin e cioè Fondiaria e Milano assicurazioni. Questo progetto fu aspramente criticato da molti osservatori ed editorialisti ai quali sembrava indecente che fosse lanciata un'opa su Premafin e Unipol fosse poi esentata dall'opa su Fondiaria e Milano assicurazioni".
Poi avviene un "irrituale" incontro tra Vegas e i vertici di Mediobanca, per mettere a punto l'operazione. "Il 29 gennaio 2012 pressoché tutta la stampa informò il mercato di quanto era avvenuto il 27 o il 28 gennaio: il presidente Vegas avrebbe incontrato i vertici di Mediobanca suggerendo di modificare il progetto di ingresso di Unipol nel gruppo Premafin... Questa iniziativa mi sembrava irrituale... Non mi pare ammissibile che il presidente della Consob incontri i vigilati e 'raccomandi' le operazioni che essi vadano a realizzare". L'intervento di Vegas, secondo Pezzinga, ha pesanti effetti sui titoli: "Se lei va a guardare l'effetto di Borsa delle 'raccomandazioni' di Vegas, vedrà che i titoli di Premafin il giorno dopo hanno perso il 22%, quelli di Fonsai l'8,23% e quelli della Milano Assicurazioni il 6,7%... Il crollo di quotazione era evidente effetto delle dichiarazioni di Vegas secondo le quali non vi sarebbe stata alcuna opa, ciò che rendeva meno appetibili questi titoli". Per questo il presidente dell'Adusbef Elio Lannutti chiede ora a Consob di aprire un procedimento sanzionatorio a carico del suo stesso presidente.
Pezzinga spiega anche come nasce il "papello", cioè l'elenco delle richieste che i Ligresti presentano all'amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, per uscire di scena. "Il 18 febbraio 2012 Unipol inoltrò alla commissione il quesito relativo agli obblighi di opa. Di questo la commissione discusse nella riunione del 15 maggio 2012. Fu specialmente il commissario Enriques a chiedere di integrare la bozza di risposta predisposta dagli uffici fissando precisi paletti e in particolare: esclusione del diritto di recesso per i signori Ligresti; esclusione della rinuncia di Unipol ad azioni di responsabilità contro i Ligresti; infine esclusione della manleva che Unipol attribuisse a favore dei Ligresti".
Sono i "paletti" che Consob mette, il 15 maggio 2012 e non prima, a un'operazione altrimenti impresentabile. "Mi viene in mente che nel corso della riunione del 15 maggio il presidente Vegas raccomandò ai commissari la massima riservatezza su questa decisione che sarebbe diventata pubblica una settimana dopo. Quando ho poi saputo dai giornali, nel corso dell'estate del 2012, che Nagel e Salvatore Ligresti hanno siglato il famoso 'papello' il 17 maggio 2012, non ho potuto fare a meno di pensare che quella firma potesse avere una connessione con la suddetta decisione della commissione così negativa per Ligresti".
Il "papello" sarebbe insomma il "paracadute" preteso dai Ligresti dopo che erano cadute le garanzie che credevano di aver ottenuto. "La risposta ufficiale di Consob a Unipol", prosegue Pezzinga, "reca la data 24 maggio 2012. Già però il 22 maggio Unipol conosceva ufficialmente l'esito (il dispositivo) come emerge dal comunicato emesso quel giorno". Il vigilato ha dunque un canale di collegamento privilegiato con il vigilante. Il dibattito interno alla Consob si sposta poi sul peso dei titoli strutturati in pancia a Unipol, che secondo notizie di stampa ridurrebbero di molto il valore della compagnia. Chiedono conto di questo anche l'Ivass (il controllore delle assicurazioni, tornato sotto l'ombrello di Bankitalia) e la procura di Milano.
Seduta del 12 marzo 2013: "Ivass avrebbe chiesto a Consob chiarimenti sul portafoglio titoli strutturati di Unipol; chiedo se trattasi di notizia vera o informazione falsa e fuorviante dal momento che in commissione non se ne era parlato... Mi si rispose, se ricordo bene, in forma interlocutoria, tipo 'faremo sapere'. Non ho più saputo nulla". Non avranno risposte né Ivass né la procura. Pezzinga viene addirittura preso per il naso: il 16 e il 29 maggio chiede quali risposte siano state date alla procura di Milano. Gli rispondono che una bozza definitiva non era ancora stata redatta. Invece la lettera di Consob era già stata inviata al pm Orsi il 15 maggio. Quanto all'Ivass, Pezzinga cita una lettera del suo presidente, Salvatore Rossi, inviata alla Consob il 27 giugno 2013: "Esprimo rammarico per il fatto che la Consob non sia in grado di fornire, come più volte preannunciato, informazioni e valutazioni importanti per le decisioni che l'Ivass dovrà assumere, in tempo utile per poter essere considerate".
(Il Fatto quotidiano, 6 giugno 2014)
Unipol-Fonsai/11
Arriva la commissaria. Una nuova Boschi per la Consob
di Gianni Barbacetto
Genovese chi? Appena annunciato che Anna Genovese è il nuovo commissario Consob, sono partite le ricerche per capire chi sia la nuova arrivata dentro l'Authority guidata finora con piglio monarchico, anzi imperiale, dal presidente Giuseppe Vegas. Notizie scarse: si sa che ha 49 anni e che dal 2004 insegna Diritto commerciale all'università di Verona; che prima era professore associato e ricercatore presso l'università di Catanzaro; e che non fa parte del magico mondo tremontiano da cui proviene Vegas e i fedelissimi da lui chiamati in Consob.
E allora, Genovese chi? Tranquilli: resta inviolata la regola aurea esplicitata dal professor Marco Onado, secondo cui l'ex vice di Giulio Tremonti al ministero dell'Economia si è sempre attorniato, dentro l'Autorità, di persone "accomunate da un unico merito: quello di non aver mai avuto alcun rapporto diretto con il mercato". La professoressa Genovese, per esempio, a volerla proprio mettere dentro un'Authority sembrerebbe più adatta all'Antitrust, visto che studia le pratiche commerciali scorrette e non si è invece mai occupata in vita sua di finanza e mercati. Ma tanto, che conta la competenza, visto che all'Autorità garante della privacy era stato nominato un dermatologo?
Comunque la domanda resta: come è stata scelta Anna Genovese? Com'è arrivata alla Consob? Ecco la risposta: il viaggio da Verona a Roma passa per Firenze. Qui ha lo studio il maestro della neo-commissaria, l'avvocato e professore Umberto Tombari, docente di Diritto commerciale, che l'ha messa in cattedra ed è il suo Pigmalione. Tombari è amico di Matteo Renzi. E presso il suo studio legale ha lavorato, fresca di laurea, una giovane destinata a fare strada: Maria Elena Boschi, renziana della prima ora e attuale ministro delle Riforme.
Lo studio Tombari Corsi D'Angelo e Associati è uno dei più prestigiosi in riva all'Arno. Il suo dominus, Umberto Tombari, è al centro di una rete di potere che parte da Firenze e s'irradia fino a Roma. È un professionista di successo, un civilista stimatissimo. Ma anche presidente di Firenze Mobilità, controllata dal Comune dov'era sindaco Matteo Renzi. Presidente anche della Sici (Sviluppo Imprese Centro Italia), società partecipata da Montepaschi, Banca Cr Firenze, Banca Etruria, Cassa di Risparmio di San Miniato. È componente del comitato di indirizzo dell'Ente Cassa di Risparmio di Firenze, consigliere d'amministrazione della Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno, consigliere indipendente della casa di moda Ferragamo e di Prelios-Pirelli.
L'altro socio fondatore del suo studio, Francesco Corsi, ha fatto parte dei consigli d'amministrazione della Cassa di Risparmio di Firenze e della Fondiaria-Sai di Salvatore Ligresti, prima del disastro. La figlioccia di Tombari è cresciuta in questa rete di relazioni. Sempre presente a ogni congresso a cui partecipa il maestro, fa parte con lui dell'Associazione Orizzonti del Diritto commerciale. E ora porta a Roma, grazie alle quote rosa, l'aria che ha respirato tra Firenze e Verona.
Troverà una Consob in trasformazione: il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato che la commissione tornerà ad avere cinque membri. Una buona notizia, per cercare di porre fine (ma quando?) al potere monarchico del presidente Vegas, che ha sempre imposto di fatto le sue decisioni nella commissione a tre, con Paolo Troiano e Michele Pezzinga (e poi naturalmente in quella rimasta addirittura di due componenti, dopo la scadenza di Pezzinga). Le carte dell'indagine giudiziaria aperta a Milano dal pm Luigi Orsi sulla fusione Unipol-Fonsai ci permettono di ricostruire momento per momento il "metodo Vegas".
Non ci sono soltanto le votazioni, quando il presidente impone la sua volontà in commissione grazie alla frequente astensione di uno dei componenti e al "peso" del suo voto, che vale doppio. È tutta la trafila burocratica e il peso della struttura Consob, forgiata su misura dal suo presidente, che indirizza le decisioni, rallenta, depista e in alcuni casi impedisce l'acquisizione di informazioni da parte dei commissari. Il contesto è quello della fusione (Unipol-Fonsai) che si deve fare a tutti i costi.
Il protagonista principale di questa partita è il direttore generale della Consob Gaetano Caputi, voluto da Vegas e chiamato direttamente dal ministero dell'Economia di Giulio Tremonti. Caputi coordina strettamente gli uffici che lavorano alla fusione: quello di Angelo Apponi (la divisione Emittenti), che si occupa della corretta appostazione in bilancio dei valori contabili; e quello di Marcello Minenna (l'ufficio Analisi quantitative), che calcola il valore dei titoli strutturati in pancia a Unipol. Tra i due nascono subito "forti tensioni". Ma è Caputi il solo ad avere il controllo della situazione e ad aprire e chiudere a suo piacimento il rubinetto delle informazioni verso i due commissari.
Già dopo un mese dall'inizio delle analisi, cominciano ad emergere i primi problemi sul portafoglio titoli strutturati di Unipol. Sono legati a un unico titolo enormemente sopravvalutato, ma Caputi esige che Minenna analizzi tutti i 358 titoli, uno per uno, valorizzandoli alla data del 31 dicembre 2011 e procedendo tramite interlocuzione con Unipol. È un lavoro che avrebbe bisogno di tempi biblici e che sarebbe terminato solo a giochi fatti. Intanto, a giugno 2013, l'Ivass (la struttura che vigila sulle compagnie assicurative) chiede conto delle analisi alla Consob. Vegas e Caputi fanno melina. Decidono, senza consultare i commissari, che le analisi sono "parziali e incomplete". Così Ivass non ottiene alcuna collaborazione e delibera sulla fusione senza le informazioni chiave. Eppure Minenna già a giugno 2013 aveva raggiunto risultati solidi e affidabili, perché riguardavano l'80 per cento del controvalore nominale del portafoglio titoli di Unipol. Il restante 20 per cento era costituito da un gran numero di posizioni ancora da esaminare, ma frammentate e di "scarsa criticità" (tant'è che sei mesi dopo i risultati finali sono cambiati solo di pochi milioni di euro).
Nel frattempo, anche la procura di Milano attende l'esito delle analisi sui titoli strutturati e invia richieste di sollecito alla Consob, che Caputi prontamente intercetta e filtra. Anche in questo caso, melina. Pezzinga chiede che i commissari siano informati. Gli risponde, in burocratese, l'avvocato Salvatore Providenti, responsabile consulenza legale: "Non essendovi alcuna decisione da assumere in ordine al suo invio, la nota in oggetto, secondo la prassi costantemente seguita, è stata predisposta dalla scrivente, sulla base delle informazioni ricevute dalle Divisioni operative, e trasmessa a firma del Presidente". La struttura Consob di fatto impedisce ai commissari l'accesso alle informazioni.
Dopo mesi di richieste vane ("Vi faremo sapere"), a dicembre 2013 i due commissari devono valutare un'enorme mole di informazioni. Tra queste, le relazioni contrapposte di Apponi, per cui non c'era nessun problema, e Minenna, che invece stima che i titoli strutturati Unipol siano stati sopravvalutati di 600 milioni. Sappiamo com'è andata a finire: Troiano si astiene, mentre Pezzinga, che già da tempo si era studiato la documentazione faticosamente acquisita, rimane da solo a voler mettere in discussione i bilanci di Unipol. Vince comunque Vegas, il cui voto vale due.
Basterà una Genovese a riportare la Consob al suo ruolo?
(Il Fatto quotidiano, 18 giugno 2014)
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