Tutta colpa dell'arcobaleno
Pisapia, bilancio di metà mandato
di Gianni Barbacetto
Tutta colpa dell’arcobaleno. Era il pomeriggio del 28 maggio 2011 quando sopra piazza del Duomo, gremita di sostenitori in festa per la vittoria di Giuliano Pisapia, compare un incredibile arcobaleno: sembra il suggello a quella che viene chiamata “rivoluzione arancione”, che ha strappato Milano al centrodestra, dopo un ventennio di amministrazioni leghiste e berlusconiane. Chi si è impegnato nella campagna elettorale è convinto di vivere un momento storico, una svolta epocale. Oggi, dopo poco più di due anni, alla boa di metà mandato, dell’entusiasmo di quel 28 maggio resta poco. Anche molti dei sostenitori di Pisapia si dicono profondamente scontenti.
“È normale che chi aveva attese messianiche sia rimasto deluso”, dicono gli uomini dello staff del sindaco. “Amministrare, e per di più senza soldi, una città complessa come Milano è difficile. Eppure il bilancio è ampiamente positivo”. Dichiara il sindaco: “Ogni decisione scontenta qualcuno. Le critiche sono legittime e spesso anche utili; penso però che bisogna partire dai dati di realtà, non dalle suggestioni momentanee. Chi governa deve farlo nell’interesse generale di una città complessa nella quale convivono interessi e volontà diverse, spesso opposte. Non ho la bacchetta magica e ogni mattina penso con angoscia alle difficoltà da affrontare; ma la strada sulla quale stiamo portando la città è quella che avevamo disegnato e abbiamo la consapevolezza che, nelle condizioni date, stiamo facendo il massimo possibile”.
Ecco quali sono i punti che l’amministrazione ritiene di poter mettere al proprio attivo.
1. Meno traffico. È stata realizzata l’Area C, cioè la zona a traffico limitato entro la cerchia dei Bastioni, in cui si entra soltanto a pagamento. È stato sviluppato con grande successo (dopo l’avvio fatto già delle giunta Moratti) il Bike sharing e il Car sharing, cioè la proposta di utilizzare biciclette e auto comuni, da prendere, usare e poi lasciare ad altri dopo aver completato il proprio percorso. Risultato: diminuzione del 30 per cento del traffico in centro, del 7 per cento in città. Intanto è stata inaugurata la linea M4 della metropolitana e sono iniziati i lavori per la M5.
2. Meno cemento. È stato profondamente cambiato il Pgt, il Piano di governo del territorio avviato dalla giunta Moratti, approvando finalmente dopo vent’anni il nuovo strumento che regola l’urbanistica della città. Si è così limitato il diluvio di cemento che la giunta di centrodestra stava per permettere, riducendo del 40 per cento il consumo del territorio e abbassando l’indice di edificabilità dallo 0,50 allo 0,35. Si è realizzato più verde, aprendo 30 nuovi parchi e giardini. Si è salvato il Parco Sud dai progetti edilizi che erano stati avviati da Salvatore Ligresti. E dopo vent’anni è stato finalmente abbattuto l’ecomostro di Monluè, un albergo costruito per i Mondiali di calcio di Italia ‘90, ma mai completato e lasciato invece in stato di degrado e di abbandono.
3. Regole certe. Il nuovo Pgt e, più in generale, i comportamenti dell’amministrazione fanno sì che cittadini, interlocutori e operatori economici ora possano trattare con il Comune secondo regole certe e uguali per tutti, sapendo che non c’è spazio per scelte discrezionali e corsie preferenziali.
4. Selezione per merito. Le nomine nelle società partecipate sono state fatte in base al merito, ponendo fine ai consigli d’amministrazione come compensi per politici da sistemare o amici degli amici a cui trovare un posto. In Atm (l’azienda dei trasporti), A2a (quella dell’energia), Sea (gestione aeroporti di Linate e Malpensa) si è rotto con il passato. In Atm, per esempio, è arrivato un manager come Bruno Rota (che quando era ai vertici di Serravalle entrò in rotta di collisione prima con Ombretta Colli, controdestra, e poi con Filippo Penati, centrosinistra).
5. Più diritti civili. Le competenze di un Comune in queste materie non sono molte, ma è stato fatto il massimo possibile. Innanzitutto si è varato il Registro delle Unioni civili, aperto anche alle persone dello stesso sesso, che ha già raggiunto le mille iscrizioni, un record in Italia.
È stato aperto il G-Lab, uno sportello per le seconde generazioni di immigrati a Milano, trattati come cittadini della città. È “una anticipazione e un laboratorio per dire sì allo ius soli e costruire la cittadinanza dei giovani milanesi, italiani di fatto ma non ancora di diritto”, spiega l’assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino.
È stata approvata una delibera sul biotestamento che non obbliga il Comune a conservare i testamenti biologici dei cittadini (come era stato chiesto da 12 mila firmatari) con le disposizioni anticipate di trattamento per quando non saranno in grado d’intendere e volere, ma impegna l’amministrazione a registrare le comunicazioni dei cittadini sul luogo dove il testamento biologico è stato lasciato. È una soluzione di compromesso che ha deluso molti di coloro che l’avevano chiesta, ma che permette di lasciare (non però in Comune) disposizioni sull’interruzione della nutrizione e dell’idratazione artificiale e anche sull’eutanasia, che può già essere ottenuta all’estero. Dovrà però essere il Parlamento a intervenire su queste materie.
6. Più welfare. Mentre lo Stato toglie risorse all’assistenza e taglia i contributi ai Comuni, Milano ha mantenuto i servizi di un welfare che affonda le sue radici nella tradizione asburgica di Maria Teresa. In una città dove la povertà è in aumento, quello dell’assistenza è l’unico settore in cui il Comune ha scelto di non tagliare (se non per risparmi marginali). Lo scorso inverno, per esempio, c’è stato il record di accoglimento dei clochard senza dimora, con un’offerta di quasi 3 mila posti letto, come mai nella storia di Milano.
L’amministrazione ha trasformato in assistenza alcuni privilegi di casta: i biglietti per la Prima della Scala che venivano tradizionalmente distribuiti al sindaco, agli assessori, ai consiglieri comunali e agli amici, ora vengono venduti e la cifra ottenuta è impiegata per progetti sociali (nel 2012, i quasi 200 mila euro raccolti dai biglietti per il Lohengrin di Wagner sono stati usati per la manutenzione di celle, bagni e spazi comuni del carcere di San Vittore e per altri progetti sociali e d’assistenza).
7. Fare l’Expo. Pisapia ha trovato il progetto di esposizione universale già assegnato a Milano. Lo ha accettato, cercando di utilizzarlo al massimo per portare risorse alla città, in tempi di risorse scarse. Dopo gli interminabili litigi di potere che hanno caratterizzato la giunta Moratti, i lavori sul sito Expo sono finalmente partiti e la promessa è che finiranno in tempo, per l’inizio dell’esposizione nel 2015. Il progetto è ridimensionato, non è più faraonico come nei piani di Letizia Moratti, ma potrebbe portare qualche beneficio a Milano, visto anche l’impegno garantito dal governo Letta. Intanto con fondi Expo (30 milioni di euro) sono finalmente partiti i lavori per risistemare la Darsena: sventato il piano del centrodestra che l’avrebbe trasformata in un parcheggio, la Darsena tornerà a essere quella che era, cioè il “porto” d’approdo del Naviglio Grande e del Naviglio Pavese. Certo Pisapia sa che l’Expo peserà sul suo futuro: la manifestazione si concluderà il 31 ottobre 2015, a sei mesi dalla scadenza del suo mandato; se sarà un successo sarà la migliore delle campagne elettorali, se sarà un flop trascinerà molto probabilmente alla disfatta anche il sindaco uscente.
8. Qualcosa di sinistra. Pisapia ha fatto qualche scelta simbolica in città. Milano ora ha i “Giardini Fausto e Iaio”, dedicati ai due ragazzi del Leoncavallo uccisi nel 1978. Ha “piazza Enrico Berlinguer”, il segretario del Partito comunista italiano che aveva posto la “questione morale”. Ha, davanti all’Università Statale, i “Giardini Camilla Cederna”, dedicati alla giornalista dell’Espresso che le giunte precedenti avevano a lungo rifiutato di onorare. Non si parla più invece di “piazza Craxi”, che da anni viene chiesta e che Letizia Moratti aveva tentato di far approvare. Piccole cose, ma che hanno un loro peso.
9. Più sostanziale, la scelta di dare il via alla commissione comunale antimafia, presieduta da David Gentili, e di varare il comitato antimafia formato da esperti e presieduto da Nando dalla Chiesa. Dopo decenni di “negazionismo” sulla presenza delle organizzazioni criminali (“A Milano la mafia non esiste”, dicevano i sindaci, da Paolo Pillitteri a Letizia Moratti), la giunta Pisapia ha finalmente accettato di cominciare ad affrontare il problema degli insediamenti e degli affari mafiosi in città (specialmente di ‘ndrangheta). Significativa la scelta di dare rilievo pubblico ai funerali di Lea Garofalo, uccisa nel 2009 a Milano perché si era ribellata alla sua famiglia mafiosa.
10. Un bilancio sostanzialmente positivo, pur in tempi duri di crisi, scarsi entusiasmi e pochi soldi, dicono a Palazzo Marino. Lo prova anche il consenso che la figura del sindaco continua a ottenere. Giuliano Pisapia resta nei primi dieci posti tra i sindaci italiani, secondo il sondaggio del Sole 24 ore. È terzo (dopo Michele Emiliano di Bari e Marco Doria di Genova, e prima di Matteo Renzi di Firenze) nel sondaggio Datamonitor che compara i primi cittadini delle aree metropolitane. Sembra positivo anche il suo influsso sul trend elettorale: a Milano città, la differenza tra centrodestra e centrosinistra non è mai stata così favorevole al centrosinistra (15 punti in più) come alle ultime elezioni, quelle regionali del febbraio 2013, con Umberto Ambrosoli candidato presidente.
Non è un trascinatore di folle, non scatena entusiasmi da stadio, ma di certo è considerato un sindaco sobrio, concreto e onesto. Indenne da scandali, gira per la città senza scorta, niente autoblu, guida di persona una Prius ibrida (come tanti taxi milanesi). Ha rinunciato ai consistenti guadagni di quand’era avvocato (nel 2010 aveva dichiarato 863 mila euro, nel 2012, da sindaco, ne ha dichiarati 196 mila) e si è ulteriormente ridotto lo stipendio di primo cittadino (5.000 euro al mese) per pareggiarlo a quello degli assessori (3.600 euro).
Le critiche degli scontenti e dei delusi sono però forti, in fondo più forti e brucianti delle critiche dell’opposizione di centrodestra, che suonano rituali, e del Movimento 5 stelle, che non hanno mai raggiunto toni duri. I cittadini si lamentano delle buche nelle strade. Delle tasse comunali aumentate. Dei biglietti di tram e metrò diventati più cari. La risposta è sempre la stessa: le casse comunali sono vuote, la giunta di Letizia Moratti ha lasciato in eredità un buco pesante e per far quadrare i conti è stato purtroppo necessario aumentare i biglietti e portare al massimo (0,8 per cento) l’addizionale comunale Irpef.
Non si è vista la svolta. Il cambiamento che molti aspettavano non si è manifestato. Anche dall’interno del fronte che ha sostenuto Pisapia, anzi proprio dal cuore del “movimento arancione” che lo ha portato alla vittoria, arrivano critiche sul mancato coinvolgimento dei cittadini. I comitati di quel movimento speravano di poter partecipare ai processi decisionali e diventare decisivi nel governo della città. Alcuni, come l’assessore al commercio Franco D’Alfonso, avrebbero poi desiderato che quel “movimento arancione” si strutturasse come soggetto politico autonomo, indipendente dai partiti che sostengono la giunta, in primo luogo il Pd. Non si è avverata né l’una né l’altra speranza: Pisapia sta governando in modo molto tradizionale, continuando la consuetudine ambrosiana di considerare la giunta “il consiglio d’amministrazione della città”. Per niente coinvolti i comitati, che forse qualcuno sperava potessero diventare delle specie di “soviet” popolari. Ma poco coinvolto anche il Consiglio comunale.
Pisapia non ha neppure voluto far nascere il “partito del sindaco”, pur restando sostanzialmente autonomo dai partiti del centrosinistra. Nei confronti del più forte di essi (almeno numericamente), il Pd, ha mantenuto un equilibrio fatto di autonomia e di buone relazioni, non si è mai fatto dettare la linea, ma non è mai arrivato in nessuna materia alla rottura. Nei confronti del partito da cui proviene, Sel, ha dichiarato chiaramente la sua autonomia ancor prima di entrare a Palazzo Marino, intervenendo dopo Nichi Vendola durante la festa della vittoria in piazza del Duomo.
Le persone su cui più fa affidamento sono sostanzialmente senza partito. Da Ada Lucia De Cesaris, non più iscritta al Pd, assessore all’Urbanistica poi promossa anche vicesindaco. A Franco D’Alfonso, assessore al Commercio animatore di molte polemiche cittadine, e Cristina Tajani, 35 anni, assessore al Lavoro. Fino al capo di gabinetto Maurizio Baruffi, ex verde, e a Gianni Confalonieri, che viene da Sel ed è direttore delle relazioni istituzionali e vice commissario dell’Expo, cioè l’uomo che segue tutta la partita Expo per il Comune.
Critiche pesanti o velate disillusioni provengono anche da personalità che pure hanno sostenuto la svolta di centrosinistra. “Pisapia e chi lo sosteneva”, dice l’economista d’impresa Marco Vitale, “rappresentavano per me soprattutto la speranza di sconfitta di Letizia Moratti, del suo mondo e ancor più dei circoli clericali-affaristici che la sostenevano. Questa speranza e questa prospettiva si sono realizzate”. Ma Vitale riteneva importante anche “che la nuova giunta desse un indirizzo, una guida, un forte impulso allo sviluppo di Milano; che la voce della città acquistasse un peso a livello nazionale; che la cultura politica della sinistra facesse passi avanti, abbandonasse i suoi ritardi e confluisse in un disegno unitario con quello della borghesia professionale e imprenditoriale (almeno quella responsabile rimasta, in un panorama desolante); che la macchina operativa dell’amministrazione venisse sottoposta a un processo di forte modernizzazione e professionalità e venisse affidata a una guida manageriale competente e trasparente”. Tutto questo non è successo: “Queste speranze sono state tutte, in gran parte, per ora, deluse”.
Tra i risultati positivi, Vitale elenca: “Il cambiamento del delirante Pgt pre-esistente e la rapida approvazione del Pgt modificato. La corretta direzione di marcia e l’accelerazione delle scelte per Expo. L’avere iniziato una nuova collaborazione con il mondo della moda, in attesa che analogo processo si realizzi per il mondo del design”.
Bocciata invece la giunta Pisapia su altri punti: “Avere ignorato l’importanza enorme che può avere la realizzazione seria e competente dell’Area metropolitana e avere gestito questa partita decisiva in chiave minimalista e al ribasso. Non avere fatto le scelte appropriate per la gestione e la disposizione delle società partecipate, in primo luogo della Sea e di A2a. Non avere affrontato con decisione il nodo politico del peso sulla città dell’affarismo di Cl e della Compagnia delle opere. Non avere fatto niente o molto poco per il decoro, la pulizia e la bellezza della città. Avere pasticciato molto su un altro tema decisivo, quello della cultura”.
I punti di forza della giunta, secondo Vitale: “Nell’insieme è composta di persone per bene e alcuni assessori sono competenti nel campo loro affidato. Mi rendo conto che questa dovrebbe essere la normalità e che è demoralizzante indicare come punti di forza l’onestà e la competenza, ma così vanno oggi la politica e l’amministrazione in Italia”. I punti di debolezza: “La scarsa capacità di incidere nel reale e di sviluppare una vera spinta innovativa per la città, senza rimanere invece succubi della burocrazia”. Il giudizio complessivo? “Sostanzialmente mediocre. Se dovessi tornare a votare oggi, tra il mondo di Pisapia e quello della Moratti voterei nuovamente Pisapia: senza incertezze, ma anche con molte minori speranze”.
Basilio Rizzo, consigliere storico dell’opposizione (da Democrazia proletaria ai Verdi, fino alla lista Fo), ora è presidente del Consiglio comunale. “Abbiamo realizzato alcune svolte, sull’antimafia e sui diritti civili, abbiamo chiuso con il passato in Atm e in A2a. Abbiamo migliorato il piano urbanistico. E, malgrado i buchi di bilancio, non abbiamo tagliato i fondi per i servizi e l’assistenza. Detto questo, il mio dispiacere è forte perché non siamo invece riusciti a far vedere in maniera tangibile il cambiamento. Il peso del passato è rimasto troppo forte nella gestione della macchina comunale, che non è stata rinnovata. Non abbiamo dato segnali forti di equità sociale e di attenzione alle periferie. Siamo stati costretti ad alzare Irpef e biglietti del tram e rischiamo di passare alla storia come la giunta delle tasse. Per far quadrare i conti, abbiamo dovuto alzare l’addizionale Irpef allo 0,8 per cento per tutti, salvo i redditi bassi esclusi. Senza la possibilità di far pagare di meno i poveri e di più i ricchi, che a Milano non mancano: il massimo imposto dal governo era quello 0,8 e l’aria di larghe intese ci ha impedito di contrattare con Roma più efficacemente”.
Da presidente del Consiglio comunale, Rizzo segnala “la continuazione della vecchia mentalità che considera la giunta il cda dell’amministrazione: lì si prendono le decisioni, mentre il Consiglio comunale è di fatto escluso dai processi decisionali. Temo anche che la giunta abbia troppo legato le sue sorti all’Expo, da cui dipenderà il suo successo o il suo insuccesso. Così ho paura che nei prossimi anni l’attenzione sarà tutta concentrata sulla vivacità del centro città, dimenticando le periferie e le povertà, che sono purtroppo in aumento”.
Marco Ponti, professore al Politecnico di Milano ed esperto di trasporti, confessa: “
Io fin dall’inizio ero un po’ scettico su Pisapia e avevo sostenuto Stefano Boeri (che è stato poi generalmente considerato un ottimo assessore, finché non è stato cacciato). Comunque, speravo che chi vincesse garantisse: trasparenza nelle decisioni, realismo e onestà nei conti, meritocrazia. Chiedevo, come credo molti, soprattutto netta discontinuità col passato. Ebbene: nessuna di queste mie speranze sembra stata finora realizzata. Nel campo di cui mi occupo, la giunta ha realizzato l’area C, ampliando però un progetto già avviato dalla giunta Moratti (c’erano soluzioni meno popolari ma più efficaci, e soprattutto estese all’intera area urbana, come quella di dare finalmente le multe come in America).
“Non mi sembra sia stato fatto molto altro. Mi vengono invece in mente più cose non fatte: nessuna discontinuità su Expo e le sue ‘grandi opere’, pianificate durante l’era Formigoni. Anche le nomine non hanno brillato per trasparenza. Il traffico in città resta molto poco disciplinato, con soste in doppia fila diventate ormai la norma, a riprova di sanzioni del tutto insufficienti. Non è stato fatto niente per i taxi, che a Milano tutti insieme fatturano come l’Atm. Alla guida di Sea (che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa) è stato nominato un bravissimo banchiere, Pietro Modiano, ma rimane aperta una questione politica, non tecnica, irrisolta: per i conti di Sea, che appartiene al Comune, converrebbe probabilmente ridimensionare Linate a favore di Malpensa, ma ai milanesi probabilmente no. Dividendi, o maggiore concorrenza e accessibilità al centro di Milano per i viaggiatori?
“E poi: all’Atm, azienda dei trasporti pubblici, contabilità opaca esattamente come prima, con terribili nodi che adesso vengono al pettine. Questa azienda costa alla città 1 milione di euro al giorno. Ripeto: al giorno. Non è stata fatta una nova gara europea per assegnare la concessione: quella fatta da Letizia Moratti era una farsa. Non è stato denunciato che Atm non fa gli accantonamenti necessari a rinnovare il parco mezzi. Non è stato chiarito che, non certo per ‘colpa’ dei lavoratori, il costo medio del lavoro in Atm è di circa 50 mila euro all’anno, mentre quello delle imprese private è di circa 35 mila euro all’anno, e la produttività in Atm è probabilmente assai inferiore che nel settore privato. Risultato: per far quadrare i conti sono state aumentate le tariffe e i biglietti di tram e metrò, cosa non certo sbagliata, ma prima occorreva denunciare costi e deficit, e agire su quelli, invece di minacciare tagli dei servizi. Ed è continuato l’abbraccio con la Regione, oggi guidata da Roberto Maroni della Lega, per fare insieme la cosiddetta macroregione dei trasporti, partendo proprio da uno sconsiderato progetto anticoncorrenziale di fusione delle aziende di trasporto pubblico: più sono grandi, più certi si è che non potranno fallire, qualcuno pagherà. Ed è già chiaro a chi toccherà”.
Le critiche più radicali alla giunta Pisapia sono quelle che le arrivano, a proposito della gestione urbanistica, da un’area culturale di sinistra convinta che il centrosinistra che governa e amministra abbia da tempo rinunciato a “governare” davvero il territorio, lasciando fare ai poteri economici, immobiliari e finanziari. Le critiche partono dalla constatazione che negli ultimi decenni è avvenuta “una sempre più estesa deregulation di ogni progetto complessivo di città”, sintetizza l’architetto Sergio Brenna. Piano regolatore addio, i nuovi strumenti di regolazione della città sono il Pgt (Piano di governo del territorio) e i Pii (Piani integrati d’intervento). L’interesse generale e il controllo pubblico hanno lasciato il campo agli interventi privati, anche perché le amministrazioni comunali, compresa quella milanese, non hanno risorse se non attingendo dai privati, anzi, negoziando con i privati volumetrie in cambio di strade, piazze, verde, spazi pubblici. Le grandi aspettative urbanistiche degli anni tra i Sessanta e gli Ottanta, di progettare la città per gli interessi generali, sono state abbandonate (facciano i privati); oppure sostituite, nel migliore dei casi, da obiettivi ecologico-ambientalisti: costruite pure, ma realizzate edifici “intelligenti”, “verdi”, “energeticamente autosufficienti”. Per Brenna si tratta però di uno “scambio ineguale tra liberismo pubblico e virtù privata”, che rischia di risolversi, “in assenza di un bilancio di sostenibilità urbana e ambientale complessiva”, in un “gioco truccato a saldo finale in perdita dal punto di vista dell’utilità sociale e della sostenibilità ambientale”.
Insomma: la “Milano da bere” in un ventennio si è trasformata ed è passata dallo “stilismo della moda” allo “stilismo immobiliare degli archistar”. È il “Rinascimento urbano” dei grattacieli e dei grandi progetti milanesi (Citylife, Garibaldi-Repubblica), avviato dalle amministrazioni di centrodestra (sindaci Gabriele Albertini e Letizia Moratti), ma portato a compimento oggi dal centrosinistra di Giuliano Pisapia. In verità Pisapia si è trovato a ereditare – senza merito o senza colpa, a seconda del giudizio che se ne dà – i progetti che stanno cambiando la faccia della città, soprattutto nell’area della ex Fiera (Citylife) e dei nuovi grattacieli di Cesar Pelli, di Stefano Boeri, della Regione (Garibaldi-Repubblica). Ma ora è la volta di altri progetti, su aree anche più vaste: l’Expo (più di 1 milione di metri quadri), gli ex scali ferroviari in dismissione (1,3 milioni di metri quadri), le ex caserme, le aree a margine del Parco Sud e del Parco delle Groane. Che cosa sta succedendo su quelle aree? Come saranno utilizzate? Quanto nuovo cemento ospiteranno? Come si sta muovendo, a questo proposito, la giunta Pisapia?
“Avevo qualche speranza di cambiamento”, dice Brenna. “Con la vittoria di Pisapia speravo si potesse modificare lo scandaloso progetto Citylife e l’altrettanto sciagurato progetto Garibaldi-Repubblica; e si potesse ridiscutere il destino dell’area Expo all’indomani della conclusione dell’evento, salvaguardandone la permanente destinazione pubblica. Speravo poi che si potesse sconfiggere l’aspirazione immobiliaristica delle Ferrovie dello Stato (vellicata dalla Giunta Moratti-Masseroli) che vogliono costruire sulle vastissime aree degli ex scali ferroviari, soprattutto l’ex scalo Farini, essenziale per ridisegnare la città sulla direttrice Nord-Ovest”. Tre anni dopo, come valuta l’operato della giunta? “Su tutti questi aspetti la mia delusione, non inaspettata, è totale”.
Secondo Brenna, “si poteva dedicare l’area ex Fiera, ora occupata dai grattacieli in costruzione del progetto Citylife, alle funzioni connesse alle attività di svago (cinema, discoteche, pub eccetera), senza interferire con le funzioni abitative. Si sarebbero così evitate almeno alcune delle proteste dei cittadini infastiditi dal chiasso notturno e dal traffico della movida”. Brenna aveva proposto per Citylife un grande spazio pubblico di strada-piazza o boulevard, attorno a cui organizzare le attività di divertimento. “Si potrebbe ancora farlo sull’area dell’ex Scalo Farini, ricollocando le attività oggi sparse impropriamente tra via Valtellina (ex spedizionieri) e Corso Como”.
L’amministrazione risponde che non ha potuto bloccare operazioni già approvate dalla giunta precedente. Quanto al futuro, la mancanza di soldi pubblici riduce drasticamente gli ambiti d’intervento. Eppure il vicesindaco e assessore all’urbanistica Ada Lucia De Cesaris rivendica con orgoglio e soddisfazione il lavoro svolto e i risultati ottenuti. “Con il nuovo Pgt abbiamo mantenuto gli impegni con i cittadini: meno cemento, più verde, sostegno alla mobilità sostenibile, maggiore attenzione al bisogno di case a prezzi modici per le fasce medie e più deboli”.
In primo luogo è cambiato il metodo con cui il Piano è stato discusso e approvato: il Pgt modificato ha accolto, del tutto o almeno parzialmente, il 44 per cento delle osservazioni ricevute da cittadini, associazioni e imprese (contro il 7 per cento del progetto precedente). È stato discusso in 64 incontri con l’assessore organizzati in città: assemblee pubbliche, comitati di zona, confronti con associazioni cittadine, categorie professionali, imprese. Su 4.765 osservazioni presentate, 696 sono state accolte, 1.462 parzialmente accolte, 2.607 non accolte.
Finalmente, con il Piano, è stata data alla città certezza nelle regole per gli interventi sul territorio: cittadini e operatori ora sanno che le norme sono quelle e che non ci sono margini di trattativa discrezionale, né speranze di corsie preferenziali. Il risultato più clamoroso del nuovo Pgt è che la potenzialità edificatoria è stata ridotta del 51 per cento, con circa 4 milioni di metri quadri di cemento in meno rispetto al piano delineato dalla giunta precedente: una quantità pari a 124 Pirelloni. Gli operatori devono cedere il 50 per cento delle loro aree per verde, servizi o edilizia sociale. Il consumo di territorio è stato ridotto del 40 per cento (indice di edificabilità ridotto da 0,50 a 0,35).
Il Parco Agricolo Sud (come tutte le aree indicate come Atp, Ambiti di Trasformazione Periurbana) smette di produrre volumetrie. Nel progetto precedente, chi aveva terreni negli Atp poteva costruire altrove, trasferendo i diritti edificatori su altre aree: era il meccanismo della cosiddetta “perequazione”, che avrebbe prodotto in città 2,6 milioni di metri quadri di cemento. Tutto azzerato. Azzerati anche i metri quadri nelle aree Forlanini, Cascina Monlué, Porto di Mare (Atipg, Ambiti di Trasformazione Interesse Pubblico Generale), nei quali erano previste edificazioni per 645 mila metri quadri.
Nell’area Stephenson l’indice di edificabilità si abbassa del 75 per cento (da 1,2 milioni di metri quadri a 300 mila). Negli Ambiti di Trasformazione Urbana (Atu) la capacità edificatoria diminuisce del 51 per cento (da 5,2 milioni di metri quadri a 2,5). Gli Atu comprendono le aree di Bovisa (-39%), Toffetti (-24%), Ronchetto sul Naviglio (-49%); le caserme di Piazza d’Armi (-44%), Montello (-41%), Rubattino (-30%), Mameli (-30%), Comprensorio XXIV Maggio-Magenta-Carroccio (-30%). Nelle trasformazioni da uso produttivo, con il vecchio progetto di Piano si potevano anche raddoppiare le volumetrie. Con il Pgt approvato, l’indice massimo è 0,6 (ossia puoi costruire 6 metri quadri ogni 10).
Milano ha vastissime aree occupate da scali ferroviari in dismissione. Aree preziose, un tempo periferiche ma ormai interne alla città, che le Ferrovie dello Stato intendevano valorizzare con operazioni immobiliari. Sono state tolte dal Pgt e l’amministrazione sta ora negoziando la loro sorte con le Ferrovie. L’obiettivo è ottenere in ogni caso almeno il 50 per cento a verde e poi la riduzione dell’edificabilità di circa il 30 per cento. Più in dettaglio: Farini-Lugano -39%, Lambrate -36%, Romana -38%, Rogoredo -24%, San Cristoforo -75%.
Un merito che l’amministrazione rivendica è quello di aver considerato una priorità l’attività agricola: Milano è il secondo Comune agricolo in Italia (dopo Roma) per numero di aziende agricole con sede nel territorio comunale. Il Parco Agricolo Sud si estende per 463 chilometri quadrati e tutt’attorno alla città resistono 60 cascine, di cui 16 in disuso. Tutte oggetto di un piano di riassegnazione, per conservarle e farle tornare all’attività agricola o a un utilizzo sociale.
L’amministrazione ha ripreso il controllo sulla qualità dei terreni in tutta la città, avviando o consolidando 500 procedimenti di bonifica. Il più noto è quello del quartiere Santa Giulia, già realizzato all’80 per cento e pagato dalla società che ha costruito il quartiere, Risanamento (ex Zunino). Il più impegnativo è quello di Bovisa, sull’area del gasometro (ex Montedison) che sarà completato con 5 milioni di euro stanziati dal governo (Monti) per la riqualificazione urbana.
Resta aperta la questione Expo. L’amministrazione Pisapia ha ereditato il progetto dell’Esposizione universale 2015 dall’era Moratti-Formigoni, non l’ha mai messa in discussione e rivendica invece di “averla rimessa in carreggiata”, dopo i litigi, le lotte di potere, l’immobilismo e i ritardi della gestione precedente. Sta scommettendo molto su Expo: “Sarà la nostra grande speranza per il futuro”, ha dichiarato Pisapia, “fra tre anni la città sarà più bella”.
Su Expo si è consumato il primo scontro tra il sindaco e il suo assessore alla cultura, l’architetto Stefano Boeri, suo sfidante – sconfitto – alle primarie. Il conflitto tra due persone anche caratterialmente incompatibili è terminato solamente con l’estromissione di Boeri dalla giunta, nella primavera 2013. Una ferita che una parte della Milano che aveva sostenuto la nuova giunta non ha ancora metabolizzato. Su Expo, Boeri aveva ipotizzato un’esposizione “leggera”, costruita attorno a un grande orto planetario, un parco delle biodiversità alimentari dove mostrare le colture del mondo. Questo avrebbe dovuto restare anche dopo i sei mesi della manifestazione, come grande dono per la città. Tutto troppo “leggero” per attirare i milioni di visitatori che sono stati ipotizzati e soprattutto gli espositori. Così il progetto sta via via cambiando, in direzione di un’esposizione più tradizionale, una grande fiera internazionale il cui cuore sarà rappresentato dai padiglioni dei vari Paesi partecipanti.
“Qui Pisapia ha tradito il suo programma”, ricorda l’architetto Emilio Battisti, promotore, insieme ad altri, di un progetto di “Expo diffuso e sostenibile” ancora rintracciabile in rete. Era un’alternativa all’esposizione tradizionale, concentrata in un sito, con padiglioni da costruire e poi smantellare dopo sei mesi, con grande spreco economico e ambientale. Battisti proponeva invece una manifestazione da fare in giro per la città e l’area metropolitana, utilizzando strutture, siti, monumenti già esistenti, da sistemare e ampliare, lasciandoli poi, rinnovati, alla città. “Sarebbe potuta essere l’armatura, in chiave sostenibile, della futura area metropolitana, che partirà per legge dal 1 gennaio 1914. L’Expo diffuso e sostenibile era il punto 8 del programma elettorale del candidato sindaco. Dopo la vittoria, Pisapia l’ha dimenticato ed è volato a Parigi, alla sede del Bureau International des Expositions, insieme a Letizia Moratti e Roberto Formigoni. Ha accettato la continuità. Così come ha cancellato la rete di gruppi che avevano elaborato il suo programma per tornare ad affidarsi ai partiti”.
Battisti è invece soddisfatto del lavoro fatto dalla nuova giunta sul Pgt. “Do atto all’assessore De Cesaris di essere riuscita a rimediare alla provocazione rappresentata dal Pgt del suo predecessore Carlo Masseroli. Questi aveva previsto per Milano, che da anni è in decrescita, uno sviluppo per diventare una città di 2 milioni di abitanti. Voleva imporre volumetrie a non finire in una situazione in cui oltretutto il mercato immobiliare è fermo e il bisogno di case in affitto a prezzi bassi è drammatico. De Cesaris ha lavorato bene sulle quantità, sugli indici e sulle procedure, fermando il diluvio di cemento previsto da Masseroli. Ora dovrà lavorare sulla qualità, cercare di immaginare uno scenario, una visione di città, delineare l’idea di una Milano possibile. È attenta e disponibile al dialogo, potrà farcela”.
È soprattutto il “dopo Expo” a essere un nodo difficile da sciogliere. L’Expo 2015 vinto da Milano è nato come una grande operazione immobiliare, su aree della Fondazione Fiera e del gruppo Cabassi che erano agricole, ma che sono state pagate 160 milioni di euro dai soci dell’operazione (Regione Lombardia, Comune di Milano, Fondazione Fiera, Provincia di Milano e Comune di Rho). Il Comune, per la sua quota del 34,6 per cento, ha sborsato 32 milioni, di cui 28 cash e 4 in terreni conferiti. Questi soldi dovranno rientrare. L’amministrazione comunale dunque, per la sua parte, passati i sei mesi di festa sarà costretta a valorizzare le aree. Dovrà far costruire. Che cosa, non si sa. La speranza (alimentata da qualche trattativa in corso) è che non sorga l’ennesimo quartiere residenziale, con l’ennesima colata di cemento, ma che i terreni di Expo dopo il 2015 restino a prevalente uso pubblico. Potrebbe sorgere qui il nuovo stadio, pagato da una delle due squadre di calcio della città, l’Inter o il Milan, e utilizzabile anche per concerti e grandi spettacoli. Comunque il 56 per cento dell’area, promette il Comune, sarà mantenuta a verde e diventerà il più grande parco tematico d’Italia. Ma il traguardo è ancora lontano e del futuro non c’è certezza.
Quello che è certo è il buco nei conti trovato da Francesca Balzani, il nuovo assessore al Bilancio arrivato nella primavera 2013: 437 milioni di euro, diventati 489 nel giugno successivo. Il Comune è la più grande azienda di Milano, con 16 mila dipendenti e un bilancio di 2,7 miliardi. Per numero di occupati è poco sotto il decimo posto in Italia, non distante da aziende come Esselunga e Benetton. Per ricavi è intorno al cinquantesimo posto, vicina a Ferrero e Indesit. In più, ha (per fortuna) rigidità che le aziende non hanno: deve continuare a offrire servizi e non può licenziare per contenere i costi.
Al suo arrivo a Milano, l’assessore Balzani, allieva di Victor Uckmar e con un’esperienza in corso di parlamentare europea nei banchi del Pd, ha dovuto fare i conti con alcune novità pesanti. Lo Stato va via via riducendo i trasferimenti ai Comuni (per Milano, erano 728 milioni nel 2010, ridotti a 435 nel 2012). La legge di stabilità proibisce di mettere a bilancio le entrate straordinarie, come le plusvalenze delle vendite di parti del patrimonio comunale (immobili, azioni...). È finita la stagione in cui le aziende partecipate (A2a, Sea, Atm) distribuivano ricchi dividendi, che entravano anche nelle casse del loro principale azionista. Oltre a questo, in città (per fortuna) si costruisce meno, arriveranno quindi anche meno oneri d’urbanizzazione (89 milioni nel 2010, saranno solo 25 nel 2013).
Le entrate vengono dai trasferimenti dallo Stato, dalle tariffe, dai tributi (Imu, addizionale Irpef e altre tasse). Le uscite (personale, spese, servizi...) sono piuttosto rigide. Come far quadrare i conti e coprire il buco? Balzani ha diviso la spesa in tre settori, quelle non modificabili (costo del personale, 690 milioni; costo del debito, 250 milioni; bollette, spese e manutenzioni obbligatorie, 930 milioni); quelle per il servizio rifiuti e i trasporti (1 miliardo); e quelle più elastiche (700 milioni per assistenza indigenti e anziani, asili e nidi d’infanzia, cultura, manutenzioni case, sicurezza, protezione civile...). La scelta politica dell’amministrazione è stata quella di non tagliare sull’assistenza e i servizi. I risparmi si potevano dunque fare solo sulle spese effettivamente superflue. Balzani a giugno 2013 s’inventa il metodo delle short list: congela tutte le uscite di tutti gli uffici del Comune, tranne quelle che lei autorizza, sulla base di elenchi precisi e accurati delle spese redatti dagli uffici su grandi fogli A3. Il metodo funziona: non soltanto si realizzano risparmi per circa 120 milioni di euro, ma si impone un metodo di spesa controllato e trasparente.
A quelle correzioni di spesa si aggiungono tagli (di spesa, non di servizi) per 112 milioni di euro; 200 milioni di maggiori entrate; 90 milioni da dividendi Sea, A2a e Atm, 25 da oneri di urbanizzazione. Così il buco è coperto e il bilancio è fatto. Con un’incognita: quanto entrerà davvero nelle casse del Comune dall’Imu e poi dallo scioglilingua delle altre tasse aggiuntive o sostitutive (Tarsu, Tares, Tasi, Trise?). “Siamo come un giocatore del Monopoli che pesca la carta Imprevisti”, dice Balzani con un sorriso preoccupato.
Milano, la Milano dell’arcobaleno e delle bandiere della “rivoluzione arancione”, resta sospesa tra Rinascimento e Declino. Il Rinascimento enfaticamente evocato e incarnato nei nuovi grattacieli già sorti (a Garibaldi-Repubblica) o che stanno per sorgere (a Citylife). Con lo skyline tradizionale della città, per decenni fermo alla Madonnina, alla Torre Velasca dei Bbpr e al Pirellone di Gio Ponti, che viene ora radicalmente modificato dai nuovi progetti di Cesal Pelli (Unicredit), Pei Cobb Freed (Regione Lombardia), Stefano Boeri (Bosco verticale)...
Quei grattacieli raccontano anche uno scardinamento dei poteri. Sono in declino o usciti di scena gli immobiliaristi che erano diventati i “re del mattone” a Milano nei decenni scorsi: Silvio Berlusconi, Giuseppe Cabassi, Bruno De Mico (Varesine), Salvatore Ligresti (Citylife), Luigi Zunino (Santa Giulia), Danilo Coppola (Porta Vittoria). Le banche e le assicurazioni hanno preso il loro posto. I grattacieli di Garibaldi-Repubblica sono costruiti dal fondo americano Hines, guidato in Italia da Manfredi Catella, con l’ingresso anche del fondo sovrano del Quatar. Citylife, uscito di scena Ligresti, è stata ereditata da Generali e Allianz. La Torre Velasca è passata da Ligresti a Unipol. Santa Giulia è delle banche creditrici di Zunino (Intesa, Unicredit, Montepaschi, Banco Popolare, Bpm). Le banche sono essenziali anche nell’operazione Porta Vittoria.
Il Declino è nella crisi che ha investito anche Milano, nelle difficoltà dell’industria che un tempo era la sua principale vocazione, nello sfarinamento di imperi economici e finanziari, nell’arrivo di capitali stranieri che comprano imprese milanesi e luoghi simbolo della città come la pasticceria Cova di via Montenapoleone o addirittura una delle due squadre di calcio, l’Inter. Non è nei poteri del sindaco e dell’amministrazione comunale arrestare l’eventuale declino, né risolvere con la bacchetta magica i problemi complessi di una grande città. Intanto, il grande entusiasmo seguito alla vittoria di Giuliano Pisapia è stato sostituito da un grande disincanto.
(Micromega 8/2013)
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