Abu Omar, il governo contro i giudici
Il processo per il rapimento è a Milano. Ma lo scontro è a Roma: il presidente del Consiglio (Prodi prima, ora Berlusconi) ha aperto una raffica di conflitti d'attribuzione con i giudici. E il centrosinistra è vittima della sindrome di Stoccolma
C’è un processo, a Milano, attorno a cui si sta combattendo una “guerra di civilità”. È il processo per il sequestro dell’ex imam Abu Omar, rapito il 17 febbraio 2003, portato nella base Usa di Aviano e poi rinchiuso in un carcere egiziano, dove è stato per molti mesi torturato. Dopo indagini rocambolesche da spy story internazionale, la procura della Repubblica milanese ha chiesto e ottenuto, per questa vicenda, il rinvio a giudizio di 26 cittadini statunitensi, considerati gli esecutori del sequestro, e di cinque cittadini italiani, tra cui il direttore del Servizio segreto militare (Sismi), Nicolò Pollari. Altri tre italiani, tra cui il funzionario del Sismi Pio Pompa e il giornalista di Libero Renato Farina, sono stati accusati di favoreggiamento (Farina ha poi patteggiato sei mesi di reclusione, ma continua a scrivere su Libero ed è diventato deputato del Pdl). Per tutti, tranne chi ha patteggiato (Farina e il maresciallo del Ros carabinieri Luciano Pironi, che ha confessato di avere partecipato al sequestro) il processo è in corso a Milano. Ma la “guerra di civiltà” che si combatte attorno a questo processo non è quella tra Occidente e Islam, come evocato da qualche maldestro apprendista stregone. Bensì tra chi intende conservare la civiltà giuridica della legge uguale per tutti e chi vuole invece la sospensione del diritto in nome dell’emergenza e della lotta al terrore.
Le parole
La battaglia comincia mercoledì 5 luglio 2006. Il giudice per le indagini preliminari di Milano dispone gli arresti di due capidivisione del Sismi, Marco Mancini e Gustavo Pignero. Le accuse sono pesanti: concorso in sequestro di persona. I due, secondo la procura di Milano, hanno contribuito a preparare il rapimento di Abu Omar, realizzato a Milano da uomini della Cia. Una delle tante «extraordinary renditions» compiute nel mondo dagli apparati Usa dopo l’11 settembre 2001 e da anni denunciate da alcune voci della stampa libera, dal Washington Post al Corriere della Sera. Poche ore dopo, il governo Prodi diffonde un comunicato stampa di cinque righe: «Il governo ha assunto le dovute informazioni sul cosiddetto caso Abu Omar da parte delle strutture di intelligence nazionali che hanno ribadito la propria totale estraneità alla vicenda. Nel garantire, nel rispetto delle reciproche prerogative, la massima collaborazione alla magistratura per lo svolgersi dell’inchiesta in corso, il governo ribadisce la propria fiducia nella lealtà istituzionale delle strutture preposte alla garanzia della sicurezza nazionale».
Il comunicato del governo italiano è costruito in modo curioso. Dice: abbiamo chiesto al Sismi se il Sismi fosse per caso coinvolto nel sequestro. Il Sismi ci ha risposto di no. Dunque gli ribadiamo la fiducia, pur garantendo massima collaborazione alla magistratura che avendo indagato sul Sismi dice esattamente il contrario. Il 14 luglio 2006, nove giorni dopo l’arresto di Mancini, si apprende che per il sequestro è indagato anche il numero uno del Sismi, Nicolò Pollari. Ma in difesa del servizio e del suo direttore si schierano decisamente molti politici, del centrodestra e anche del centrosinistra.
Con il passare del tempo, diventano di dominio pubblico molti particolari sul coinvolgimento degli uomini Sismi nella rendition all’italiana. Emerge il ruolo di Pio Pompa, “ombra” di Pollari, in operazioni di disinformazione e di dossieraggio a danno di politici, magistrati, giornalisti. Eppure il centrosinistra al governo sembra vittima della sindrome di Stoccolma: continua a tenere Pollari al suo posto. «Non esiste un caso Pollari», dichiara il ministro dell’Interno Giuliano Amato. Al massimo c’è la necessità di fare un’ennesima riforma dei servizi, ribadisce il viceministro all’Interno Marco Minniti. «Piena fiducia nei servizi fino a prova contraria», dice il presidente del Senato Franco Marini. «C’è un problema che la magistratura sta seguendo, aspettiamo come si sviluppa». Quando poi il ministro della Difesa Arturo Parisi cerca di spiegare il comunicato stampa del governo emesso tre giorni prima, riesce a duplicarne il gesuitico equilibrismo: «Il rilievo dei fatti che sono oggetto dell’indagine della magistratura chiede al governo la massima vigilanza, la massima collaborazione, il massimo rispetto per l’azione della magistratura. Allo stesso tempo, questa vigilanza, questa collaborazione e questo rispetto non sono incompatibili con la fiducia che il governo ha rinnovato e che rinnova verso le strutture preposte alla sicurezza dello Stato».
Massimo D’Alema, vicepremier e ministro degli Esteri, l’11 luglio 2006 sostiene che bisogna fare piena luce, ma con «molta prudenza», perché «non è nell’interesse del paese lo sfascio delle strutture di sicurezza, che sono sempre utili, ma in questo momento preziose». Occorre quindi «acclarare la verità senza distruggere una struttura utile alla protezione del nostro paese di fronte al terrorismo». Del resto, continua D’Alema, «al di là di responsabilità dei singoli, che devono essere accertate, io stesso sono testimone che il Sismi è una struttura altamente qualificata, che gode di prestigio internazionale. Non possiamo dimenticare, quando parliamo di eventuali coinvolgimenti nel caso di Abu Omar, dell’omaggio che tutti abbiamo reso a Nicola Calipari o all’azione del Sismi nella liberazione degli ostaggi, e che in questi anni ha svolto un’azione efficace di protezione del paese». In realtà, negli anni scorsi il Sismi ha servito in tavola anche qualche bufala, come una inesistente “scuola di kamikaze” a Milano. Ma comunque i meriti acquisiti (il sacrificio di Calipari, la liberazione dei contractorsitaliani, di Simona Pari, di Simona Torretta, di Giuliana Sgrena) valgono come sconto o sanatoria per le illegalità eventualmente commesse? E davvero l’istituzione la si sfascia riportandola alla legalità, mentre la si protegge lasciandola nelle mani di chi l’ha infangata?
L’11 luglio 2006, il sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri (Ds) dichiara solennemente al Parlamento: «In questa sede, assunte le necessarie informazioni, il governo allo stato non può che riaffermare l’estraneità del Sismi rispetto alla vicenda del rapimento di Abu Omar. Sul piano delle verifiche ufficiali e istituzionali fin qui svolte, nessun coinvolgimento e/o complicità nella vicenda in esame emerge da parte dell’Italia e delle sue istituzioni. Il governo non ha mai ceduto alla tentazione di procedere con metodi non convenzionali. Ciò vale anche per il Sismi che non solo si è dichiarato assolutamente estraneo al sequestro di Abu Omar, ma ha sempre categoricamente respinto l’accesso a prospettive non ortodosse». Il sottosegretario, a nome del governo, racconta al Parlamento che «il servizio segreto militare ha da subito escluso di aver saputo, prima che la notizia circolasse sui media americani, della pratica delle extraordinary renditions». Forcieri recita la sua parte senza timore di cadere nel ridicolo (lo aveva già smentito, su questo punto, perfino il predecessore di Pollari, l’ammiraglio Gianfranco Battelli, il quale aveva dichiarato di avere egli stesso girato a Pollari la richiesta di collaborazione nelle renditions da compiersi in Italia che il capo della Cia a Roma aveva rivolto al Sismi).
Eppure Forcieri rassicura il Parlamento e il paese: tutto regolare anche nell’ufficio di Pompa in via Nazionale. «Allo stato delle conoscenze, non si ha alcuna conferma né vi sono indicatori che autorizzino l’ipotesi di intercettazioni illegali e pedinamenti verso giornalisti da parte dei servizi segreti militari. Il Sismi, infatti, ha fatto conoscere di non avere eseguito alcuna attività di intercettazione né pedinamenti ai danni di giornalisti né di aver mai consentito ad alcuna attività di questa natura e tipo». Dunque, «allo stato delle conoscenze, il governo non ravvede motivi per revocare in dubbio la fiducia accordata e confermata all’istituzione Sismi e a tutti coloro che in essa abbiano correttamente operato».
La sindrome di Stoccolma in cui è caduto il centrosinistra sembra aggravarsi con il passare del tempo. «Conosco e stimo il generale Pollari da molti anni e credo che lui abbia considerazione per la mia persona in ragione della cooperazione istituzionale che abbiamo avuto in passato», dichiara D’Alema il 12 luglio 2006, dopo che Pollari aveva detto ai giornali di avere come punto di riferimento politico una strana coppia: Francesco Cossiga e Massimo D’Alema. «Escluderei che possa averlo detto, mi sembrerebbe un’indicazione alquanto sommaria», continua D’Alema, che conclude: «La vicenda del sequestro di Abu Omar deve essere gestita dal governo con la massima prudenza. Sono convinto che si possa conciliare la sicurezza del paese con l’accertamento della verità».
Il 10 agosto 2006, il ministro della Difesa Arturo Parisi ribadisce, ecumenico, al Corriere: «Non solo Pollari, ma tutti i capi dei diversi settori, dal Sisde al capo della polizia, godono della fiducia del governo. Come potrebbe il governo lasciare alla guida di organismi così delicati persone che non godono della fiducia dell’autorità politica? Soprattutto di fronte a persone alle quali a livello internazionale viene riconosciuta una sicura competenza e una comprovata professionalità».
Enrico Micheli, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio incaricato dei rapporti con i servizi di sicurezza, aggiunge che è «errato e pericoloso» parlare di «delegittimazione» dei servizi segreti o di «sicurezza a rischio». E che «i servizi segreti italiani sono attivamente impegnati, come sempre, nel contrastare le azioni terroristiche sia sul piano interno che su quello internazionale. La collaborazione sul piano interno e internazionale è resa evidente dai risultati, anche recentissimi, raggiunti grazie ai servizi italiani e nel pieno raccordo operativo con gli uffici della presidenza del Consiglio».
Arturo Parisi riconferma la fiducia a Pollari il 1 settembre 2006, in un’intervista all’Espresso: «Quello che il governo conferma è anzitutto il riconoscimento del ruolo determinante dell’intelligence per la sicurezza del paese, imprescindibile soprattutto nelle operazioni di peacekeeping, e l’apprezzamento del prezioso lavoro svolto dal Sismi. Certo, un apprezzamento non scindibile da quello per le persone che lo svolgono e per chi ne è alla guida».
Nelle telefonate intercettate, del resto, i protagonisti dello scandalo Sismi sembrano apprezzare i comportamenti del centrosinistra nei loro confronti. «Ieri è uscita quell’agenzia in cui D’Alema ringraziava pubblicamente Pollari, mandando un segnale durissimo», dice Pompa il 9 giugno 2006. «Guarda che proprio l’ha ringraziato ufficialmente, guarda che è un segnale tosto!» Il 4 maggio, invece, Mancini chiama un certo Nicola: «Volevo farti i complimenti, complimenti di cuore». «Eh, grazie, caro...» risponde Nicola. E Mancini: «Un abbraccio, tanti auguri». Chi è Nicola? È forse Latorre, che quel giorno è eletto vicecapogruppo dell’Ulivo al Senato?
Sommando i coinvolgimenti del Sismi nel sequestro Abu Omar, le attività eversive dell’ufficio di Pio Pompa, i dossieraggi ai danni di Romano Prodi, Piero Fassino e altri esponenti del centrosinistra, il fango messo in circolo dalle commissioni Telekom Serbija e Mitrokhin, lo spionaggio fiscale su Prodi, la galassia di illegalità emerse dall’indagine sugli spioni Telecom, non è difficile giungere alla conclusione che l’Italia tra il 2001 e il 2006 ha vissuto la più grave crisi degli apparati di sicurezza dai tempi del Sifar o della P2 (oppure, a scelta, ha subìto la loro assoluta incapacità professionale a contrastare i nemici della democrazia). Eppure il governo di centrosinistra temporeggia, riconfermando per mesi la fiducia ai responsabili dei servizi che hanno prodotto questa situazione. Spiati, dossierati, infangati, gli uomini del governo Prodi per mesi e mesi si tengono in casa gli spioni che hanno lavorato per «disarticolarli», come dicevano le carte di Pompa, «anche con azioni traumatiche».
Bisogna arrivare al 25 ottobre 2006 perché finalmente Micheli, davanti al comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, cominci ad accennare al cambiamento dei vertici dei servizi. Ma «si tratterà di un cambiamento fisiologico, visto che si tratta di capi scelti dal precedente governo che sono in carica da cinque anni», garantisce il sottosegretario. Solo a fine novembre 2006 viene nominato un nuovo direttore del Sismi, però il cambiamento, fisiologico, viene annacquato nel ricambio generale con l’arrivo di nuovi direttori anche per Sisde e Cesis. E con beffa finale: Pollari è premiato con una bella nomina a consigliere di Stato, Pio Pompa con un incarico al ministero.
I fatti
Le azioni del governo sono coerenti con le parole. Già nel 2005 il governo Berlusconi, allora in carica, aveva rifiutato di rispondere alle prime richieste della Procura di Milano, che chiedeva di estradare in Italia i cittadini americani ritenuti coinvolti nel sequestro. Il ministro della Giustizia Roberto Castelli il 12 aprile 2006 comunicava ai magistrati la sua decisione di non trasmettere negli Stati Uniti la domanda d’estradizione. La Procura rinnovava la richiesta al suo successore, Clemente Mastella, che non ha mai neppure risposto. Silenzio, finora, anche da parte dell’attuale ministro, Angiolino Alfano, anche se, per legge, il ministro può rifiutare l’estradizione, ma non può non rispondere alle richieste della magistratura.
Intanto la macchina del processo si è messa in moto a Milano. Il 5 dicembre 2006 i pubblici ministeri Ferdinando Pomarici e Armando Spataro chiedono il rinvio a giudizio per 35 persone, ritenute responsabili del sequestro o di favoreggiamento. Il 9 gennaio 2007 comincia l’udienza preliminare. Il 13 febbraio, il giudice dell’udienza preliminare Caterina Interlandi dichiara manifestamente infondata l’eccezione d’incostituzionalità proposta dai difensori di Pollari. Gli avvocati Titta Madia e Franco Coppi prendono di mira l’articolo 202 del codice di procedura penale: quello che prevede solo per il testimone – e non anche per l’imputato – l’obbligo di non rispondere alle domande dell’autorità giudiziaria su circostanze coperte da segreto di Stato. Ma la Corte di cassazione (affrontando il caso del generale Pietro Musumeci, capo dell’ufficio controllo e sicurezza del Sismi, coinvolto in un’operazione di depistaggio alle indagini sulla strage di Bologna dell’agosto 1980) aveva già affrontato la questione, decidendo che il diritto di difesa non può soffrire limiti: il testimone può tacere, ma l’imputato non può appellarsi al segreto di Stato.
Il giorno dopo, 14 febbraio 2007, il tema del segreto di Stato agitato dai difensori di Pollari viene autorevolmente ripreso dal governo: il vicepremier Francesco Rutelli (oggi presidente del comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti) comunica in Parlamento che il governo Prodi ha deciso di sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale nei confronti della Procura di Milano, colpevole di avere violato il segreto di Stato. In che cosa consista questa violazione non lo spiegano né Rutelli, né Prodi, né altri esponenti del governo. Ma il ping pong tra i difensori di Pollari e il governo continua due giorni dopo, il 16 febbraio, quando Madia e Coppi, vista l’apertura del conflitto d’attribuzione, chiedono il blocco dell’udienza preliminare, in attesa della decisione della Corte costituzionale. Il gup Interlandi respinge la richiesta e decide il rinvio a giudizio dei 33 imputati. Il 7 marzo 2007 il Consiglio dei ministri delibera di sollevare davanti alla Corte costituzionale un secondo conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato: questa volta proprio contro il Gup, colpevole di aver deciso il rinvio a giudizio.
Di fronte a questo duplice conflitto – sollevato dal governo di centrosinistra con voto unanime, con la sola eccezione del ministro Antonio Di Pietro, contrario – qualche commentatore avanza sulla stampa critiche, dubbi, perplessità. La replica arriva il 5 giugno 2007 con una arzigogolata Nota per la stampa diffusa dal portavoce della presidenza del Consiglio dei ministri:
- Sul fatto “rapimento Abu Omar” del 17 febbraio 2003 non esiste agli atti del Sismi nessun documento, quindi nessun segreto di Stato. Nella lettera dell’11 novembre 2005 (...) rivolta al procuratore della Repubblica di Milano e firmata dal presidente del Consiglio dei ministri dell’epoca Silvio Berlusconi, si diceva tra l’altro che il governo e il Sismi «non hanno avuto, né hanno, notizia se non dalla stampa e da codesta Autorità Giudiziaria in ordine al coinvolgimento di persone nel fatto».
- Il governo, nel corso dell’audizione al Copaco del sottosegretario con delega Enrico Micheli avvenuta il 25 ottobre 2006, ha confermato l’inesistenza di ogni documentazione circa il fatto del 17 febbraio 2003 nell’ambito di una relazione che affrontava vari momenti tra cui anche quello relativo all’avvicendamento al vertice dei servizi che fu poi realizzato a far data dal 16 dicembre 2006.
- Sempre nella lettera datata 11 novembre 2005 a firma del presidente Berlusconi si aggiungeva peraltro «come sia mio preciso ed indefettibile dovere istituzionale salvaguardare nei modi e nelle forme normativamente previsti la riservatezza di atti, documenti, notizie e ogni altra cosa sia idonea a recare danno agli interessi protetti dall’articolo 12 della legge 24 ottobre 1977 n. 801». Il presidente Berlusconi, infatti, appose il segreto di Stato su tutti i documenti riguardanti la politica di difesa contro il terrorismo dopo l’11 settembre 2001, che conteneva, ovviamente, anche il delicato capitolo riguardante i rapporti con gli alleati.
- Tale segreto di Stato apposto dal presidente Berlusconi veniva confermato dall’attuale presidente del Consiglio Romano Prodi su segnalazione del suo predecessore al momento del passaggio di consegne avvenuto il 17 maggio 2006 .
- In data 18 luglio 2006 la Procura della Repubblica di Milano chiedeva, in una lettera indirizzata al presidente Prodi, se esistessero documenti riguardanti la vicenda oggetto dell’indagine e, ove effettivamente esistessero, se su di loro gravasse il segreto di Stato e, nel caso, di valutarne l’opportunità di revocarlo. Il presidente Prodi, con lettera del 26 luglio 2006, rispondeva «che su detta documentazione risulta effettivamente apposto il segreto di Stato dal precedente presidente del Consiglio dei ministri; il segreto è stato successivamente confermato dallo scrivente» e aggiungeva che «non sussistono, nell’attuale contesto, le condizioni per rimuovere il segreto di Stato da detta documentazione».
- Quindi, non risulta esatto che il segreto di Stato sia stato opposto dal presidente Prodi, che si è limitato a confermare il segreto già opposto dal presidente Berlusconi e nei limiti di tale opposizione; cioè, con esclusione di quanto relativo al fatto “rapimento Abu Omar”, peraltro sempre accertabile dai magistrati con ogni consentita acquisizione probatoria nel rispetto del segreto di Stato.
- Quanto al conflitto di attribuzioni, si tratta, come noto, di strumento previsto dalla Costituzione proprio per dirimere le questioni riguardanti i limiti delle rispettive attribuzioni tra poteri dello Stato e, in materia di segreto di Stato, tra il presidente del Consiglio e la magistratura. Di conseguenza, la proposizione di conflitto di attribuzioni anche nei confronti dell’azione della magistratura rientra nella fisiologia dell’ordinamento costituzionale, proprio a garanzia del corretto uso del potere attribuito dalla Carta costituzionale. In tale contesto e in tal senso il governo ha proposto il conflitto di attribuzioni, nel cui ricorso depositato dall’Avvocatura dello Stato non viene mai usata l’espressione, così impegnativa e fuori luogo, “comportamenti criminosi” dei magistrati di Milano.
Il ragionamento è contorto fino all’ipocrisia: secondo il governo Prodi, non esiste alcun documento sul rapimento Abu Omar e, quindi, non c’è alcun segreto di Stato. Ma c’è – apposto da Berlusconi e confermato da Prodi – il segreto sui «documenti riguardanti la politica di difesa contro il terrorismo dopo l’11 settembre 2001, che conteneva, ovviamente, anche il delicato capitolo riguardante i rapporti con gli alleati». Chi ha orecchie per intendere intenda. Ma possono i giudici (che comunque mai hanno chiesto quei documenti) seguire non la legge, ma le ragioni d’opportunità politiche in merito a delicati «rapporti con gli alleati»?
No, non possono. Non segue le opportunità politiche neppure la Corte suprema degli Stati Uniti, che ha smontato pezzo dopo pezzo la legislazione d’emergenza e la pratica antiterrorismo dell’amministrazione Usa. Non può seguirle la magistratura italiana, che a sua volta solleva, il 12 giugno 2007, un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del presidente del Consiglio: in quanto l’apposizione di segreto di Stato sul sequestro Abu Omar è contraria ai principi supremi dell’ordinamento e, tra questi, alle norme che garantiscono i diritti inviolabili dell’uomo e, in particolare, a quelle che preservano da «ogni violenza fisica o morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà personale», secondo l’articolo 13 della Costituzione. Tre giorni dopo, anche il giudice per le indagini preliminari di Milano propone per le stesse ragioni conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del presidente del Consiglio (ma la Corte lo dichiarerà inammissibile).
L’11 luglio 2007, nuova esternazione del portavoce di Prodi. Questa volta il tema è l’archivio illegale del Sismi gestito da Pio Pompa e scoperto il 5 luglio 2006 dalla Procura di Milano in via Nazionale, a Roma: «Il presidente del Consiglio ha confermato che sulla documentazione acquisita (...) sull’attività di Pio Pompa non ha a tutt’oggi opposto il segreto di Stato». Peccato che questa affermazione contrasti con quanto scritto nel conflitto d’attribuzione sollevato dal governo, che sostiene invece che la Procura di Milano abbia violato il segreto di Stato anche a proposito dei documenti di via Nazionale.
Intanto si muove l’Avvocatura dello Stato, che precisa davanti alla Corte costituzionale che «il segreto di Stato verte unicamente sui rapporti e accordi tra Italia e paesi alleati in relazione al contrasto del terrorismo». Ma alla Procura di Milano quegli accordi non interessano proprio: suo unico obiettivo, imposto dalla Costituzione, è accertare di chi siano le responsabilità di un reato gravissimo, il sequestro di persona, attuato oltretutto ai danni di un uomo a cui l’Italia aveva concesso l’asilo politico.
Il ping pong Milano-Roma prosegue. Il 3 agosto 2007, con la velocità del fulmine e praticamente all’unanimità, il Parlamento approva la riforma dei servizi segreti. Dentro la nuova legge, pubblicamente sostenuta da autorevoli parlamentari del centrosinistra come Luciano Violante e Massimo Brutti, c’era una curiosa modifica all’articolo 202 del codice di procedura penale: stabiliva l’obbligo di non rispondere alle domande dei magistrati non solo per il testimone, ma anche per l’imputato: guarda caso, proprio come era stato chiesto dai difensori di Pollari (e respinto dal gup Interlandi). Se ne accorge la giornalista Donatella Stasio, che lo scrive sul Sole 24 Ore. Nasce così la polemica sulla norma “salvaPollari”, che viene alla fine tolta dal testo definitivo. Resta in compenso l’articolo 41, che sullo stesso argomento ha una formulazione ambigua e che rischia di far rientrare dalla finestra ciò che è stato espulso dalla porta.
La partita si gioca ormai in gran parte a Roma. L’avvocato ed ex ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick viene designato relatore dei tre procedimenti davanti alla Consulta (i due sollevati dal presidente del Consiglio contro la Procura e contro il Gip di Milano, e quello della Procura contro il presidente del Consiglio). La Corte stabilisce che deciderà il 29 gennaio 2008. Che cosa il governo Prodi contesta alla Procura?
1. I pubblici ministeri avrebbero compiuto le indagini facendo anche intercettazioni telefoniche, illegittime, di utenze in uso a funzionari e agenti del Sismi. Con questo avrebbero svelato i nomi di 85 uomini del Sismi e le strutture organizzative del servizio, violando così il segreto di Stato.
2. I pubblici ministeri avrebbero esercitato indebite pressioni morali su persone sottoposte a indagini. Per farle parlare avrebbero affermato, contrariamente al vero, che sui fatti non era stato opposto alcun segreto di Stato, oppure le avrebbero comunque invitate a violarlo.
3. I pubblici ministeri avrebbero utilizzato nelle indagini documenti coperti dal segreto di Stato, o che comunque la Procura avrebbe dovuto ritenere coperti da segreto di Stato, a prescindere da ogni formale opposizione del segreto.
Rilievi infondati, secondo i principali costituzionalisti italiani, tra cui l’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida, il presidente dell’Associazione dei costituzionalisti italiani e difensore della Procura di Milano Alessandro Pace e il difensore del Gip di Milano Federico Sorrentino. Infatti:
1. Tutte le intercettazioni della Procura di Milano sono legali, regolarmente autorizzate dal giudice per le indagini preliminari. Non esisteva allora e non esiste oggi alcun divieto di intercettare utenze dei servizi, nè è vero che sono stati svelati i nomi di 85 appartenenti al Sismi.
2. Tutti gli interrogatori sono avvenuti in presenza di avvocati difensori di fiducia degli indagati, che avrebbero di certo impedito qualunque forma di pressione. Gli interrogatori dei detenuti sono stati anche registrati. Nessuna pressione, dunque, è stata esercitata. Affermarlo è perfino calunnioso nei confronti di magistrati che svolgono funzioni inquirenti da oltre trent’anni senza aver mai avuto alcun appunto professionale.
3. Nessuno, fino alla chiusura dell’indagine, ha mai opposto il segreto di Stato, come il Codice di procedura penale prevede. E, d’altra parte, il pubblico ministero non può certo usare la divinazione, non può intuire, annusandoli, che certi documenti possano essere di per sé segreti. Il top secret non è stato apposto neppure sui documenti sequestrati in via Nazionale. Lo ha testimoniato, sotto giuramento, il dirigente della Digos di Milano Bruno Megale, che ha eseguito la perquisizione degli uffici di Pio Pompa, alla presenza dei pubblici ministeri Armando Spataro e Nicola Piacente. Quel giorno Pompa ha telefonato a Pollari prima che la perquisizione avesse inizio, avvertendolo dell’attività in corso. Neppure il direttore del Sismi ha prospettato l’esistenza di segreti sul materiale dell’ufficio. Nessun documento sequestrato aveva la dicitura “segreto”. Solo molte settimane dopo, quando ormai le indagini preliminari erano state chiuse (e dunque il pm non poteva più togliere carte dal fascicolo processuale), il Sismi di Pollari comunica che ci sono parti segrete in tre di quei documenti. In verità, poche righe, e irrilevanti: erano gli indirizzi burocratici dei destinatari di alcune comunicazioni («Signor Capo di Gabinetto», «Vice Direttore Esecutivo», «Ufficio di Gabinetto», «Sala Situazione», «Ufficio Analisi»). Comunque il pm ha chiesto al giudice (e ottenuto) di sostituire i tre documenti già agli atti del processo con tre copie in cui gli indirizzi sono coperti da omissis. Dunque, fine del problema. Da notare però che quegli omissis non riguardano segreti di Stato, neppure secondo la larga accezione che a quest’espressione viene attribuita nel ricorso alla Consulta del presidente del Consiglio.
Del resto, è lo stesso Pollari – prima di diventare indagato – che rassicura i pm milanesi. Manda loro varie lettere, anche dopo la perquisizione in via Nazionale, in cui li ringrazia per le cautele adottate nel corso della indagine e della perquisizione, a tutela delle prerogative e della riservatezza dell’attività del servizio. E tutti i testimoni del Sismi hanno dichiarato ai pm di avere ricevuto preciso invito dai vertici del servizio a rispondere senza remore alle domande degli inquirenti, poiché non esiste alcun segreto sul caso Abu Omar.
Ma ora la parola passa alla Corte costituzionale. L’udienza per la decisione viene fissata per il 29 gennaio 2008, poi viene rinviata all’8 luglio. Perché? Che cosa succede dietro le quinte? Il governo apre una trattativa con i pm. L’Avvocatura dello Stato prende infatti contatto con il professor Alessandro Pace, difensore della Procura, per verificare la possibilità di una «soluzione concordata», cioè di una rinuncia da parte del presidente del Consiglio al conflitto sollevato il 15 febbraio 2007, con corrispettiva rinuncia del conflitto parallelo sollevato il 12 giugno 2007 dal procuratore della Repubblica. Le due parti sembrano d’accordo. Così il 24 gennaio 2008 l’Avvocatura dello Stato chiede al presidente della Corte costituzionale il rinvio dell’udienza, perché il dialogo in corso «potrebbe condurre a una soluzione concordata del conflitto». E altrettanto fa il difensore della Procura, chiedendo però che l’udienza sia comunque fissata prima del 12 marzo 2008, data già stabilita dal Tribunale di Milano per la ripresa del dibattimento. La Corte accetta il rinvio, ma subito l’Avvocato dello Stato comunica a voce al professor Pace che il presidente del Consiglio Prodi, che intanto aveva ricevuto la sfiducia del Senato, non voleva più formalizzare la rinuncia al conflitto, qualificandola “atto di straordinaria amministrazione”. Eppure il governo Prodi, benché dimissionario, non aveva ritenuto “straordinaria amministrazione” l’adozione di numerosi decreti-legge e perfino il riconoscimento di una nuova entità statale, il Kosovo. Massimo D’Alema, ancora ministro degli Esteri, pochi giorni dopo il voltafaccia del governo Prodi a cui aveva direttamente contribuito, ribadisce lapidariamente (rispondendo alla domanda di una giornalista straniera) che la Procura di Milano aveva violato il segreto di Stato.
La Corte costituzionale, a questo punto, fissa la nuova udienza di discussione per l’8 luglio 2008, ben oltre la data chiesta dalla Procura. Così il professor Pace commenta la scelta, nella sua lettera del 6 marzo 2008 in cui ricostruisce la vicenda al procuratore di Milano Manlio Minale:
Il comportamento del presidente del Consiglio è discutibile sotto un duplice ulteriore profilo: poiché il ricorso è stato sollevato dal presidente del Consiglio Prodi, e non dal governo, la valutazione se rinunciare o meno al ricorso spetta solo al solo presidente del Consiglio; in secondo luogo, ritenere di scarsa importanza la sollecita celebrazione di un processo penale, come quello di Milano relativo al rapimento di Abu Omar (avente delicate implicazioni politico-istituzionali) non costituisce certo una manifestazione di leale collaborazione del presidente del Consiglio con l’Autorità giudiziaria.
La Procura ritiene dunque “sleale” la trattativa del governo. La ricostruisce davanti al giudice monocratico, Oscar Magi, che aveva sospeso fino al 12 marzo 2008 il processo (iniziato l’8 giugno 2007), proprio in attesa delle decisioni della Corte costituzionale. Alla ripresa, il 19 marzo, Magi decide di andare avanti e dare il via alla fase effettiva del dibattimento, anche se la Consulta non si è ancora espressa. Sono affrontate e risolte le questioni preliminari, poi inizia l’esame dei testi del pubblico ministero.
Intanto arriva il nuovo governo, con presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Non perde tempo: già il 30 maggio deposita alla Corte costituzionale il suo ricorso con cui solleva un nuovo conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Questa volta, nei confronti del Tribunale di Milano: perché il giudice Magi ha ripreso il processo e perché ha ammesso prove testimoniali, richieste dal pubblico ministero, che sarebbero in violazione del segreto di Stato.
Nel ricorso, il governo chiede anche di rinviare ulteriormente l’udienza della Corte (fissata per l’8 luglio), per trattare tutti insieme i conflitti. Con una conseguenza forse calcolata con cura: con ogni probabilità, Flick non sarà più il relatore dei conflitti pendenti, perché diventerà presidente della Corte (scade infatti il mandato dell’attuale presidente Franco Bile). Chi potrebbe essere, allora, il relatore unico? Quell’Alfonso Quaranta che è già stato designato come relatore del conflitto aperto dal governo Berlusconi, pur non essendo (come ci si sarebbe potuto aspettare in un caso come questo) un penalista, ma un ex consigliere di Stato. In compenso è persona considerata vicina al centrodestra. La Corte deciderà a luglio? I boatos dicono di no, che ci saranno ulteriori rinvii, in attesa della nomina di nuovi Consiglieri da parte del Parlamento e della Cassazione.
Seguendo una consuetudine italiana, i magistrati protagonisti di questa inchiesta da accusatori sono diventati accusati. Nel luglio 2006 sono stati aperti a Brescia due procedimenti penali contro i pm Pomarici e Spataro. Il primo nasce da una denuncia fatta l’11 luglio 2006, presso i carabinieri di Lecco, dal senatore a vita Francesco Cossiga, che attribuiva ai magistrati e ai poliziotti protagonisti dell’inchiesta Abu Omar un fantasmagorico campionario di reati, tra cui: “Atti ostili verso uno Stato estero che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra”, “Spionaggio politico o militare”, “Spionaggio di notizie di cui è stata vietata la divulgazione”, “Introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio”, “Infedeltà in affari di Stato”, “Cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche”, “Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche”, “Rivelazione del contenuto di corrispondenza”. Più le aggravanti: per “avere agito nell’esercizio e con l’abuso delle loro funzioni ed al fine di agevolare il terrorismo”. Questo procedimento è stato chiuso con l’archiviazione nel dicembre 2007.
Il secondo nasce invece da due denunce-querele sporte nel luglio e nel settembre 2006 da due funzionari del Sismi, Luciano Pillinini e Raffaele Ditroia, all’epoca indagati per concorso nel sequestro di Abu Omar. I due accusano i magistrati di aver fornito illegalmente notizie e verbali a giornalisti. Anche questo procedimento è stato chiuso con un’archiviazione, nel gennaio 2008. I due processi si sono rivelati un boomeramg per gli accusatori. Perché i giudici di Brescia chiudono le vicende affermando che le indagini erano doverose e che i magistrati milanesi sono stati corretti, confermando anche che nessun segreto di Stato è mai stato opposto dai funzionari del Sismi o dai presidenti del Consiglio, Berlusconi prima e Prodi dopo, su documenti o prove acquisite dai pm. È curioso però che tra gli atti del primo processo bresciano, quello fantasmagorico avviato da Cossiga, ci siano appunti di Pollari, già indagato, indirizzati al presidente Romano Prodi, al sottosegretario Enrico Micheli e al ministro della Difesa Arturo Parisi. Contengono gli stessi argomenti e le stesse tesi poi sostenute nel conflitto d’attribuzione del governo davanti alla Corte costituzionale. Negli appunti ci sono anche annotazioni manoscritte che dimostrano la piena approvazione dei tre uomini di governo agli argomenti del direttore del Sismi. E ci sono allegati che sono gli stessi poi inseriti nel conflitto d’attribuzione. Insomma: è l’indagato Pollari il suggeritore e il regista delle mosse di Prodi, Micheli e Parisi. Per questo i pm Pomarici e Spataro hanno scritto, nella loro memoria depositata davanti al giudice Magi:
Risulta evidente, a questo punto, che il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sollevato dal presidente del Consiglio dei ministri, si fonda in realtà su un “conflitto di interessi”, cioè su informazioni parziali, inesatte e contenenti gravi omissioni nella descrizione dei fatti e circa la trasmissione al pm di documenti (oltre che erronee valutazioni giuridiche), fornite al medesimo dal generale Nicolò Pollari, contemporaneamente direttore pro tempore del Sismi e indagato (poi imputato) del sequestro di Abu Omar: il presidente del Consiglio dei ministri, ciononostante, non ha ritenuto di chiedere alcuna informazione, prima di assumere le determinazioni di competenza, al procuratore o al procuratore generale della Repubblica di Milano.
Ora il processo di Milano proseguirà. E proseguirà, prevedibilmente, anche il ping pong Milano-Roma, in attesa che la Corte costituzionale decida. Molti occhi sono puntati su questa vicenda: quelli della stampa mondiale, delle organizzazioni umanitarie, della comunità internazionale dei giuristi (anche statunitensi). È naturale: il processo Abu Omar può dimostrare che in Italia il diritto è più forte delle convenienze politiche, i diritti umani più delle alleanze internazionali, la divisione dei poteri più della ragion di Stato, la democrazia più degli arcana imperii. La lotta al terrorismo potrà diventare non più debole, ma più forte, togliendo ai terroristi argomenti per sviluppare il proselitismo. «Il sistema giudiziario italiano, fondato sulla indipendenza del pm e sulla sottoposizione della polizia giudiziaria alle direttive dei pm», commenta la Procura di Milano, «è per queste ragioni oggetto di positivi apprezzamenti, anche da parte del Consiglio d’Europa e del Parlamento europeo, che hanno duramente criticato il governo italiano per gli ostacoli frapposti alle indagini giudiziarie, invitandolo a rimuoverli».
Eppure tutto ciò in Italia è completamente fuori dall’agenda della politica, anche a sinistra. Ed arriva a fatica sui giornali e sulle tv. Era più facile mettere in scena la “guerra di civiltà”.
Micromega, giugno 2008
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