Per indebolire la lotta alla mafia
bisognava incominciare a creare un clima più rassegnato,
diciamo meno integralista. Bisognava spiegare che la nostra
economia non puÚ permettersi i ritardi richiesti da qualche
verifica antimafia, le strozzature imposte da qualche procedura
di troppo. Ma occorreva dirlo bene; ed evitare un intervento
minimalista, volto magari a indicare solo i lacci e i lacciuoli
inutili, altrimenti che messaggio si mandava? Meglio fare
vigorosamente propria, in pubblico ovviamente, la teoria che
con la mafia si puÚ e si deve convivere, se no l'economia
e i pubblici lavori e gli appalti e tutto il resto ne soffrono
troppo. Come non avevano compreso, vent'anni fa, Pio La Torre
e Virginio Rognoni. E questo è stato fatto.
Per indebolire la lotta alla mafia bisognava fare
capire che lo Stato non ha alcun senso di colpa verso i familiari
delle vittime; che questi ultimi non sono più circondati
da una specie di tutela morale legittimata dal loro dolore.
E che le loro parole hanno un valore esattamente uguale a
quelle di qualsiasi suddito. Dunque si scordino di testimoniare
a vita: devono tacere o le citeremo in tribunale. Come la
vedova Grassi, ad esempio, che crede di potere ancora liberamente
interrogare la pubblica opinione su quale sia, presso Cosa
nostra, l'effetto del messaggio mandato dal "ministro della
convivenza". La signora ha parlato proprio mentre riapriva
temerariamente la ditta del marito. Meritava di essere pubblicamente
minacciata di querela. E questo è stato fatto.
Per indebolire la lotta alla mafia bisognava far
capire che lo Stato non ritiene poi troppo disdicevole difendere
con i suoi rappresentanti di governo i killer mafiosi mandati
a giudizio nelle aule di Giustizia della Repubblica. E nemmeno
far vedere a una moglie, a un figlio, a una madre di un carabiniere
o poliziotto morti ammazzati da Cosa nostra o dalle organizzazioni
sorelle, che ci va il sottosegretario in persona e con tanto
di scorta a difendere il boss finito a processo. Sì,
proprio lui. E, diversamente dai familiari delle vittime,
senza alcun complesso di colpa. E questo pure è stato
fatto.
Per indebolire la lotta alla mafia bisognava poi
fare capire che è finita la solfa della legalità,
andata così fastidiosamente di moda agli inizi dello
scorso decennio. Ma non bisognava solo deprecare gli eccessi
prodotti da quel clima incandescente. Se no che messaggio
si manda? L'eccesso, il vero eccesso, è stato proprio
quella richiesta di legalità tanto estranea ai nostri
costumi. Dunque, adeguiamo la legge alle nostre tradizioni.
Meglio ancora se ne approfittiamo per far capire che ogni
interesse privato è sempre più legittimo dell'interesse
pubblico. L'ideale? Depenalizzare il falso in bilancio o fare
tornare praticamente gratis e in forma anonima i soldi portati
in nero in giro per il mondo. E questo è stato fatto.
Per indebolire la lotta alla mafia bisognava poi
fare capire ai magistrati che la pacchia è finita.
Che essi non possono più contare su una considerazione
e un rispetto innaffiati con il sangue dei loro colleghi uccisi.
Naturalmente non bastava stigmatizzare le singole arroganze
o ricondurre i chiacchieroni a sobrietà. Se no che
messaggio sarebbe? Molto meglio, e più diretto, far
capire a tutti che ora debbono pagare e salato- per quella
fisima del "controllo di legalità" a trecentosessanta
gradi. Che essi sono degli eversori. Sappiano ladri e assassini
che chi li persegue e li giudica non è poi infinitamente
più in alto di loro nella considerazione sociale. E
anche questo è stato fatto. Per indebolire la lotta
alla mafia bisognava ancora far capire che i magistrati, conseguentemente,
non sono più protetti come una volta. Dunque, occorreva
tagliare le scorte. Ma non solo combattendo gli abusi o gli
impieghi da status-symbol. Se no che messaggio sarebbe? Occorre
proprio tagliare. A tutti, dovunque; anche se è stato
appena scoperto un progetto di attentato contro un procuratore
antimafia. E al tempo stesso far vedere che ministri, sottosegretari
e loro nani e ballerine le scorte e le macchine di servizio
continuano ad averle. Così che sia chiaro che sono
proprio i magistrati a essere meno protetti di una volta;
e che lo Stato alla loro pelle ci tiene un po' di meno. E
anche questo è stato fatto.
Per indebolire la lotta alla mafia bisognava far
vedere che le autorità pubbliche nate da un decennio
di lotte e di paure, di umiliazioni e di speranze, sono considerate
a pieno titolo -nè più nè meno- posti di potere da
spartire, pezzi di domino nello spoil system. Ad esempio il
Commissariato contro il racket e l'usura. E occorreva mandar
via di lì il primo commerciante che ha organizzato
la ribellione contro il racket; lui con i suoi personalissimi
rapporti di fiducia con le vittime dell'usura e del pizzo
mafioso. O almeno renderlo meno autonomo e meno forte. E anche
questo è stato fatto.
Per indebolire la lotta alla mafia bisognava, infine
e ovviamente, rendere molto più difficili le investigazioni
e i processi. Per esempio intervenendo sui meccanismi di formazione
delle prove. E cercando di renderli praticamente proibitivi
per chi si azzardi a mettere il naso nei conti all'estero
dei padrini e dei loro amici e protettori. Magari arrivando
a rendere retroattive tali nuove norme di procedura penale.
E anche questo è stato fatto.
Per indebolire correttamente la lotta alla mafia
bisognerebbe ora intervenire sui meccanismi della cultura,
della scuola, dell'informazione, della partecipazione religiosa;
insomma su tutte quelle attività che sono state utili
a mobilitare per la prima volta contro la mafia milioni di
cittadini e di giovanissimi in tutta Italia. Occorrerebbe
mettere all'indice qualche giornalista libero; così,
per dare un segnale. Meglio se è il più autorevole
di tutti, un Enzo Biagi, ad esempio, che ha pure raccolto
in due libri le dichiarazioni del principe dei traditori,
Masino Buscetta. Oppure incominciare ad attaccare i "gargarismi
antimafia" che si fanno nelle scuole, magari partendo da un'audizione
parlamentare del ministro Moratti. Fatto anche questo. Ancora
-questo è vero- non si è riusciti a montare
uno scandalo contro un prete di trincea o contro una preside
troppo antimafiosa nè a impedire a qualche scrittore troppo
impegnato di vincere un premio letterario. Ma sono passati
solo cento giorni e qualche cosa. Come si dice nei graziosi
quadretti che stanno dietro la scrivania di ogni Capo, "per
l'impossibile ci stiamo ancora attrezzando".
(Il Popolo, giovedì 25 ottobre 2001)
«State strizzando l'occhio a
Bagarella»
di Nando dalla Chiesa
«Oggi qualcosa è
morto nello spirito del Parlamento: avete umiliato le Commissioni,
il Regolamento, la Costituzione...». La
dichiarazione di voto in Senato contro la legge salvaberlusconi.
«Questa è una risposta anche alle richieste
della mafia. E chi risponderà, domani, di un nuovo,
possibile bagno di sangue?»
Dichiarazione di voto del Sen. Dalla Chiesa sul disegno
di legge CIRAMI.
Modifica agli articoli 45 e 47 del codice di procedura penale
DALLA CHIESA (Margherita-DL-Ulivo).
Signor Presidente, credo che qualcosa sia morto qui oggi:
sicuramente una parte dello spirito del Parlamento. Le Commissioni
non hanno valore; il nostro lavoro di istruttoria, di discussione,
non ha valore; il Regolamento non ha valore, nonostante
i riferimenti ai precedenti, che immagino le abbiano fatto
ma che sono già stati spuntati da interventi autorevoli
dell'opposizione; gli articoli della Costituzione non hanno
valore. Non possiamo che appellarci a lei, signor Presidente,
giudicando il merito di questo emendamento.
Qualcosa è morto dello spirito del Parlamento, perché bisogna
ottenere un risultato. Però noi non possiamo assistere inerti,
come ha fatto lei; con la stessa noncuranza con cui lei
ha ascoltato i riferimenti alla nostra Carta costituzionale,
che dovrebbe essere gelosamente difesa da tutti, a partire
da lei. Vede, questo emendamento sostituisce i tre articoli
di cui abbiamo discusso in Commissione e che eravamo chiamati
a discutere in Aula. Questo, cari colleghi, è un metodo
che fa trionfare l'astuzia levantina sulla limpidezza della
nostra Costituzione. Sono due cose diverse: qualcuno può
intendere il diritto in un modo e qualcuno lo può intendere
in un altro, qualcuno trova i precedenti per l’uno e qualcuno
trova i precedenti per l'altro. Ma io credo che noi qui
dobbiamo difendere la Costituzione nella sua limpidezza,
per quello che c'è scritto sulle nostre teste: la giustizia,
il diritto, la fortezza (non la forza), che vuol dire anche
limpidezza delle proprie posizioni.
In questo articolato ritroviamo lo stesso merito con cui
ci stiamo confrontando sulla vita del Parlamento, che esce
fortemente menomato da questa vicenda. Ne è uscito menomato
già quando abbiamo affrontato il disegno di legge Cirami,
costretti a lavorare anche venti ore al giorno, non nell'interesse
dei cittadini italiani, ma, com'è stato ricordato inequivocabilmente
dal proponente, dal presidente della Commissione e in altri
due interventi in Aula oggi, per le vicende personali e
private di due imputati. Noi siamo stati trasformati (e
lo dico perché ho sofferto quest'umiliazione) in dipendenti
di un grande studio Previti, pagato dai cittadini italiani.
Ma lo spirito del Senato lo dobbiamo far vivere lo stesso,
ribellandoci a questa visione del Senato come insieme di
dipendenti, di persone che non ne fanno parte.
Circa la forzatura dei tempi, io, vedete, sono preoccupato
di quello che ha detto il collega Fassone, di quello che
inutilmente hanno cercato di dirvi altri colleghi. Il problema
non è soltanto l'esito processuale e non tanto - come si
dice - il trasferimento a Brescia, ma il blocco del processo;
esso viene reiterato con un nuovo riferimento al legittimo
sospetto e questa è la ragione per cui l'articolo 1 che
reca questo emendamento non è soltanto la somma dei tre
articoli precedenti, ma comprende qualcosa in più: esso
ingloba anche l'articolo 49 del codice di procedura penale,
perché non ci siano dubbi che anche la seconda rimessione
potrà avvalersi del legittimo sospetto.
Ecco, io sono preoccupato di quello che accadrà sul versante
della grande criminalità organizzata, perché, cari colleghi
(ripeto quello che ho detto in Commissione), ho ascoltato
con interesse e anche con ammirazione l'intervento dell'onorevole
Fini nella ricorrenza del decennale della strage di via
D'Amelio a Palermo, ma non si può invocare l'onore del magistrato
ucciso in quel caso e poi reintrodurre il legittimo sospetto,
in base al quale - negli anni Sessanta e Settanta su richiesta
del procuratore generale e ora si dice, figuratevi un po',
su richiesta dell'imputato - il processo può essere trasferito!
(Vivi applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U).
Su richiesta dell'imputato! Ma voi vi immaginate cosa succederà
nel nostro sistema giudiziario, nel nostro sistema democratico?
Ma chi risponderà di questo? Si dice spesso che i magistrati
non rispondono delle loro azioni: ma di questa vergogna
chi risponderà? Chi risponderà del nuovo bagno di sangue
che ci sarà, come quello che c'è stato negli anni Settanta
e Ottanta?
(Vivi applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U. Commenti dai
banchi della maggioranza. Richiami del Presidente).
Chi ne risponderà? Allora io credo che qui ci sia un'esigenza
oggettiva di vedere dai nostri atti parlamentari come si
risponde al proclama di Bagarella. Al proclama di Bagarella
il Parlamento manda questa risposta: chi è in carcere si
tenga il carcere duro, a quelli fuori i processi non li
faranno più!
(Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U).
Questo è il messaggio che arriva da questo Parlamento!
(Commenti del senatore Novi).
Io ho la massima considerazione, non mi sono stancato di
ripeterlo.
(Reiterati commenti del senatore Novi).
Ho la massima considerazione di molti di voi e non ho credo
mai lesinato, non ho mai perduto l'occasione per riconoscere
le storie limpide, di cui non si può dire nulla, di molti
avversari della maggioranza. Però io mi riferisco a loro
perché poi sono gli atti parlamentari che parlano, non le
singole biografie: e qui gli atti parlamentari danno la
sensazione (ve ne chiedo scusa) di un reparto di lanzichenecchi
che va all'assalto della Repubblica guidato da un gruppo
di imputati. Noi di fronte a questo scenario ci troviamo
e noi a questo scenario ci opporremo. Non staremo inerti
di fronte alle violazioni della Costituzione!