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Mani
pulite, anno zero
Perché
cominciò, perché non si fermò.
Dieci anni dopo, i segreti di uninchiesta che doveva
cambiare lItalia.
Mentre Tangentopoli è già ricominciata:
cè un nuovo mariuolo a Torino,
centinaia di politici inquisiti,
un presidente del Consiglio sotto processo
Mani
pulite è linchiesta giudiziaria avviata a Milano
da Antonio Di Pietro con larresto di Mario Chiesa, il
17 febbraio 1992. Esattamente dieci anni fa. Che cosa è
rimasto di quellindagine? I materiali presentati in
questa pagina sono ricavati dal libro Mani pulite,
di Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio, che sarà
presto in libreria.
Arrestato in flagrante,
mentre incassava una tangente, un funzionario nel settore
sanità; controllava un consistente pacchetto di tessere,
messe a disposizione dei leader locali di un partito di governo:
comincia così la storia di Mario Chiesa, socialista,
collettore di voti per Bobo Craxi, presidente a Milano del
Pio Albergo Trivulzio e imputato numero uno di Mani pulite,
finito in manette il 17 febbraio 1992 per una tangente di
7 milioni. Ma comincia così, esattamente così,
anche la storia di Luigi Odasso, di Forza Italia, presidente
dellospedale torinese delle Molinette, portato in carcere
il 19 dicembre 2001 per aver incassato una tangente di 15
milioni. Sono passati dieci anni dallinizio dellindagine
giudiziaria che doveva cambiare tutto, ma accadono storie
che si possono raccontare oggi con le stesse, identiche parole.
Se poi ci si guarda attorno, si trovano altre vicende, maledettamente
simili a quelle che i giornali raccontavano senza enfasi,
per carità, niente titoloni in prima tra la
fine degli anni Ottanta e linizio dei Novanta. Decine
di amministratori sono sotto accusa per la gestione delle
forniture sanitarie in Piemonte, Lombardia, Toscana, Campania,
Calabria, Sicilia. Centinaia di sindaci, assessori e imprenditori
in tutta Italia sono sotto inchiesta per come hanno trattato
leterno business edilizio. Politici e dirigenti degli
enti pubblici preposti al controllo del volo, intercettati
dopo la sciagura di Linate, hanno svelato oggi le nuove spartizioni
politiche e gli accordi daffari.
E che dire della ripresa della spesa pubblica nelle
grandi opere? Le due leggi per far ripartire la costruzione
di strade, ponti, trafori, acquedotti, ferrovie (la legge-delega
sulle infrastrutture e il provvedimento sulle grandi opere
collegato alla Finanziaria 2002) permettono che progettazione,
finanziamento, esecuzione e perfino gestione delle opere siano
di fatto affidate come avviene nei Paesi del Terzo
mondo a ununica impresa (il general contractor):
così è appiattita la dinamica di mercato, persa
la trasparenza e il controllo dei costi, così sono
poste le basi strutturali per un nuovo sistema di spartizione
e corruzione. In un mercato come quello italiano, ancora molto
protetto, quasi chiuso alla concorrenza internazionale e povero
di operatori (le imprese in grado di fungere da general
contractor sono due o tre), è prevedibile che
questi, in accordo con la politica, azzerino la concorrenza,
si spartiscano il mercato e creino a cascata un sistema di
appalti e subappalti precostituito e lottizzato. È
la promessa di una nuova Tangentopoli. E questa volta con
una magistratura priva della tranquillità ambientale
e degli strumenti processuali necessari per far partire una
nuova Mani pulite.
Raccontare quellinchiesta, oggi, dieci anni dopo, diventa
allora qualcosa di più che un appuntamento imposto
dal calendario. Siamo tornati alla situazione degli anni Ottanta:
con nuovi patti sotterranei tra la politica e gli affari;
e nuove condizioni strutturali che potrebbero nutrire una
nuova Tangentopoli. Ci sarà una reazione della società,
uno scatto morale della politica, un effetto benefico dellEuropa?
O ci vorrà, di nuovo, un intervento traumatico della
magistratura? Ci sarà un nuovo Di Pietro? E i giudici
riuscirebbero, questa volta, a ottenere risultati, a dimostrare
che la legge è davvero uguale per tutti?
Quando
cadde il muro di Bettino
In
attesa di trovare risposte alle domande sul futuro,
si può tentare di rispondere almeno a quelle sul
passato. Come è nata Mani pulite? Larresto
di Mario Chiesa, daccordo: un amministratore colto
con le mani nella marmellata, quel 17 febbraio 1992. Ma
poi? Poi ci sono voluti altri ingredienti. Una certa preparazione
del magistrato che aveva avviato lindagine: Antonio
Di Pietro, snobbato dai colleghi per il suo linguaggio senza
congiuntivi e i suoi modi da poliziotto, conosceva già
bene il sistema della corruzione, per aver fatto altre inchieste
(sulle patenti facili, sulle carceri doro,
su Lombardia informatica, sulle tangenti Atm...). Lo aveva
addirittura descritto, il sistema, un anno prima di pizzicare
Mario Chiesa: nel numero del maggio 1991 di un piccolo mensile
milanese, Società civile, aveva firmato un articolo
in cui lanciava una formula destinata ad avere successo:
dazione ambientale. Ricordava la distinzione,
imposta dal codice penale, tra corrotto (il pubblico ufficiale
che accetta la bustarella dallimprenditore) e concussore
(lamministratore che la bustarella invece la pretende).
Sosteneva però che questa distinzione è superata
nei fatti: Più che di corruzione o di concussione,
si deve parlare di dazione ambientale, ovvero di una situazione
oggettiva in cui chi deve dare il denaro non aspetta più
nemmeno che gli venga richiesto; egli, ormai, sa che in
quel determinato ambiente si usa dare la mazzetta o il pizzo
e quindi si adegua.
Un altro ingrediente: Di Pietro, quando arresta Chiesa,
sa già tutto sul personaggio. Conosce i suoi metodi,
i suoi amici, i suoi conti in banca... Aveva infatti indagato,
nel corso di un procedimento per diffamazione, su un personaggio
molto vicino a Chiesa, Mario Sciannameo, impresario di pompe
funebri che, guarda caso, aveva lesclusiva dei funerali
dei poveri vecchietti che morivano al Pio Albergo Trivulzio.
Poi, per spiegare il successo di Di Pietro, bisogna tenere
presente la sua abilità di zanzone (vedi) e la sua
capacità di bluff (vedi). Ma tutto ciò, naturalmente,
non basta. Bisogna considerare altre cosucce che si muovevano
nellaria, in quellormai lontano 1992. La crisi
della politica, che già da qualche anno faceva allontanare
i cittadini dai partiti tradizionali e crescere lastensionismo
o il voto per nuovi gruppi (dalla Lega di Umberto Bossi
alla Rete di Leoluca Orlando). E la spesa pubblica fuori
controllo, che stava portando lItalia verso la bancarotta.
Il Paese viveva in una situazione di capitalismo senza
mercato, secondo la formula che piaceva tanto a Gianni De
Michelis, spiega il giurista Guido Rossi. Lo Stato,
insomma, non solo controllava una larga fetta delleconomia,
ma spendeva, spendeva, perché ai partiti che lo avevano
letteralmente occupato interessava più che
lutilità delle opere realizzate e lefficienza
dei servizi prestati mantenere il consenso e portare
a casa le provvigioni (alias tangenti) che permettevano
di pagare i costi della politica (e dei politici).
Dallaltra parte, gli imprenditori grandi e piccoli
si erano organizzati per vincere gli appalti spartendosi
il mercato tra loro e pagando robuste mazzette ai partiti,
evitando così i noiosi impicci della concorrenza
e del libero mercato.
Eccola qua, allora, Tangentopoli: non è solo
il sistema delle tangenti (peraltro pesanti: 10 mila miliardi
di lire lanno, secondo i calcoli realizzati nel 1992
dalleconomista Mario Deaglio); è, per le imprese,
un sistema di accordi di cartello; e, per i partiti, un
sistema di sperpero sistematico dei soldi pubblici. Risultato:
il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo
nel 92 arriva al 118 per cento (per entrare in Europa
lItalia doveva stare sotto il 60). Insomma: il crac.
Eravamo a un passo da una situazione argentina. Non poteva
durare. E infatti quando un magistrato più abile
e fortunato di altri dà la prima spallata, il castello
di carte crolla. Cedono, uno dopo laltro, gli amministratori,
gli imprenditori, i politici. Come le tessere di un grande
domino. Anche perché, nel frattempo, il mondo era
cambiato: imploso il blocco sovietico, perdono forza i partiti
che anche in Italia erano legittimati dalluno o dallaltro
dei due schieramenti. Saltano quelle reti di protezione
(politiche, ma anche giudiziarie: avocazioni, porti delle
nebbie e ammazzasentenze) che rendevano improcessabili i
potenti.
E implode anche quella variante di capitalismo di Stato che
era in mano ai boiardi del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani).
Cade il Muro di Berlino, ma anche il Muro di Bettino. Tutto
ciò, per le vie insondabili della Storia, diventa diffusa
insofferenza verso i partiti, voglia di cambiamento, tifo
per i giudici, perfino giustizialismo (vedi): insomma, Mani
pulite.
Quando
gli imprenditori accusarono i politici
Vede, Tangentopoli ha due protagonisti, Gustavo
Dandolo e Godevo Prendendolo.... Così lavvocato
Giovanni Maria Flick, avvocato di tanti illustri imputati
di Mani pulite e poi, nel 1996, ministro della Giustizia
nel governo Prodi, spiega il rapporto che si era creato
tra imprenditori e politici. È proprio spezzando
il sodalizio e lomertà tra i due soggetti della
corruzione che Di Pietro e colleghi fanno decollare la loro
inchiesta.
Il primo a crollare è stato un politico: Mario Chiesa.
Che altro poteva fare? Era in cella da più di un
mese. Attraversava un momento particolarmente difficile
della sua vita personale. Di Pietro gli aveva individuato
e sequestrato una dozzina di miliardi. Gli imprenditori
che lo avevano foraggiato cominciavano a tradirlo. E perfino
il suo partito, al quale aveva portato per anni voti e soldi,
lo aveva abbandonato: lui, che sperava di diventare sindaco
di Milano, era stato definito da Bettino Craxi un mariuolo.
Così, il 23 marzo 1992, laspirante sindaco
comincia a confessare le sue tangenti.
Il 22 aprile vengono arrestati otto imprenditori, i primi
di una lunga serie: hanno lavorato per il Trivulzio, hanno
pagato tangenti a Chiesa. Confessano quasi subito. Sono
sollevati, alla fine, si sono liberati da un peso: non solo
morale, ma anche economico. Mani pulite esplode. Tanti altri
imprenditori corrono a raccontare le loro tangenti. Denunciano
i cassieri segreti dei partiti, quelli che facevano il giro
a raccogliere mazzette. Tra questi, il democristiano Maurizio
Prada, presidente dellAtm (lazienda milanese
dei trasporti), che fa compiere allindagine una svolta:
ma come, noi politici siamo diventati i cattivi, la gente
applaude al nostro arresto; e loro, gli imprenditori, che
fino a ieri ci correvano dietro per pagarci e vincere gli
appalti senza fatica, ora fanno i concussi, i santerellini
obbligati a pagare dai partiti malvagi? Ora li aggiusto
io, avrà pensato. E ha cominciato a raccontare le
tangenti gentilmente offerte da una azienda che, grande
comè, se avesse voluto, avrebbe certamente
potuto non pagare: la Fiat.
Racconta, Prada, prima le mazzette pagate dai pesci piccoli.
Poi quelle di Enso Papi, il numero uno della numero uno
tra le imprese edili italiane, la Cogefar (gruppo Fiat).
Infine, nel febbraio 1993, racconta una cordiale colazione
di lavoro in una saletta appartata del ristorante milanese
Club 44, avvenuta nel maggio 1988: con lui, due altissimi
dirigenti della Fiat, Antonio Mosconi (già vicepresidente
della Cogefar e da due mesi amministratore delegato della
Toro Assicurazioni) e Francesco Paolo Mattioli (presidente
della Cogefar e direttore centrale finanziario della Fiat:
sopra Mattioli cè direttamente Cesare Romiti).
Sapevano perfettamente delle tangenti, rivela
Prada.
I giovani della Confindustria, riuniti a Santa Margherita,
il 5 giugno 1992 avevano accolto e applaudito Di Pietro
come una star: era luomo che li stava liberando di
politici e amministratori corrotti ed esosi. Gianni Agnelli
in quegli stessi giorni aveva detto dei magistrati: Stanno
lavorando. È bene che lo facciano serenamente e tranquillamente.
Gli scandali, quando ci sono, è sempre bene che vengano
a galla. Si faccia piena luce e si accertino i fatti. Non
credo alla mezze misure, in certe situazioni è determinante
la chiarezza totale. Poi le inchieste proseguono e
arrivano fino a Romiti, a De Benedetti, a Gardini, a Berlusconi...
E dagli applausi si passa alle campagne di stampa contro
i giudici.
Quando
la Cia aiutò Mani pulite
In
Italia i complotti piacciono. Non cè
da stupirsene, viste le manine e manone
che hanno mosso la nostra storia recente. Anche Mani pulite
è stata ed è interpretata spesso e
da sponde opposte come il risultato di un complotto.
Di toghe rosse allopera per portare al
potere i comunisti. Del capitalismo
e della finanza per realizzare le privatizzazioni
a basso costo. Dei servizi segreti, per guidare il cambiamento
del sistema politico. A questo proposito, si può
raccontare una storia accaduta tra il 1992 e il 1993 e che
sembra dimostrare come Di Pietro e colleghi, più
che essere aiutati e diretti dai servizi segreti, siano
stati controllati e ostacolati.
Nel luglio 1992, un avvocato, Franco Sotgiu, si presenta
nellufficio di Piercamillo Davigo dicendogli che un
suo cliente, larchitetto Bruno De Mico (già
coinvolto nellinchiesta sulle carceri doro),
ha importanti comunicazioni da fargli. Il magistrato si
aspetta dichiarazioni a verbale su episodi di tangenti.
Ma, dopo un appuntamento andato a vuoto, lavvocato
Sotgiu gli propone un luogo dincontro alternativo,
un appartamento: Davigo, prudente, lo esclude; non accetta
alcun incontro sullinchiesta fuori dai luoghi deputati,
il palazzo di Giustizia, le caserme. Viene infine concordato
un appuntamento presso la caserma dei carabinieri di via
Moscova. De Mico finalmente arriva, ma rifiuta che le sue
dichiarazioni siano messe a verbale: non riguardano linchiesta,
dice, ma la sicurezza dei magistrati. E racconta. Prende
spunto dallarresto di Salvatore Ligresti, appena avvenuto,
per mettere in guardia gli uomini del pool: Ligresti, costruttore
siciliano potentissimo a Milano, è un personaggio
di grande spessore e di altissima pericolosità, dice
De Mico, ha rapporti segreti con ambienti criminali italoamericani.
Ma proprio per questo, prosegue, vi sono altri ambienti
americani che sono disponibili a dare una mano al
pool, per garantire la sicurezza dei magistrati e per aiutare
a riportare in Italia i latitanti di Mani pulite (in quel
momento, il cassiere segreto di Craxi Silvano Larini). Quegli
ambienti americani, continua De Mico, sarebbero
entrati in azione dopo un segnale che provenisse dal pool:
la partecipazione di un magistrato, preferibilmente Di Pietro,
a Sixty Minutes, un noto programma trasmesso dal network
televisivo statunitense Cbs.
Davigo è perplesso, sente odore di bruciato
in questa storia in cui sono evocate la mafia e la Cia:
sa che la magistratura italiana non può avere rapporti
con i servizi segreti. Sospetta un trappolone:
che cosa succederebbe se qualcuno riuscisse a dimostrare
che Mani pulite accetta di avvalersi di collaborazioni illegittime,
vere o immaginarie, magari di 007 made in Usa?
Stende un rapporto per il procuratore Francesco Saverio
Borrelli e poi apre unindagine a carico di De Mico
e di ignoti per il reato ipotizzato dallarticolo 246
del codice penale: spionaggio per conto di Stati stranieri.
Le perplessità aumentano quando lavvocato Sotgiu
telefona a Davigo chiedendo un incontro immediato: Le
devo parlare, vengo a casa sua. Il magistrato rifiuta
e rilancia: Se vuole, ci vediamo nel suo studio.
Anche questa volta Sotgiu rifiuta la verbalizzazione: Davigo
allora se ne va, lasciando sul posto un capitano dei carabinieri,
che come ufficiale di polizia giudiziaria può avvalersi
di fonti confidenziali. In questo e in un ulteriore incontro
con lufficiale, Sotgiu ribadisce per conto di De Mico
la disponibilità di non meglio specificati ambienti
americani, che sarebbero pronti a consegnare Larini
al pool, purché non sia loro chiesto come Larini
sia fatto arrivare in Italia: la proposta, par di capire,
è quella di un rapimento stile 007. Lufficiale,
opportunamente istruito, non solo non offre garanzie dimpunità,
ma anzi diffida apertamente dal compiere reati. Con questo,
i rapporti si interrompono.
Nelle settimane seguenti, Borrelli, accompagnato dal procuratore
generale Giulio Catelani, si reca al Quirinale, per informare
della vicenda il presidente Oscar Luigi Scalfaro. È
accolto con estrema cortesia e grande cordialità.
Ma quando comincia a capire il motivo della visita, il presidente
smorza progressivamente il suo sorriso e diventa via via
più freddo, più distaccato; quasi brusco,
al congedo: lascia intendere che la questione non è
di sua competenza e che non ne vuole sapere. A un decennio
di distanza, i magistrati del pool non hanno ancora maturato
certezze su questa vicenda. Reale intromissione di agenzie
straniere? Iniziativa personale di De Mico? O trappolone,
come lo chiama Davigo, tentativo di far compiere qualche
passo falso ai magistrati?
Circa un anno dopo, nellautunno 1993, la vicenda
De Mico-Cia ha una seconda puntata. Protagonista, il giudice
Guido Salvini, impegnato in quegli anni nella complessa
indagine sulleversione di destra che porterà
a individuare e mandare sotto processo alcuni responsabili
della strage di piazza Fontana. Il braccio destro di Salvini
in quellinchiesta, Massimo Giraudo, capitano del Ros
(Raggruppamento operativo speciale) dei carabinieri, raccoglie
le dichiarazioni di un personaggio dellambiente criminale
ed eversivo, Biagio Pitarresi, il quale racconta di essere
in contatto con un uomo della Cia in Italia, Carlo Rocchi,
che gli ha chiesto di passargli informazioni sulle indagini
di Salvini e Giraudo. I due verificano le affermazioni di
Pitarresi: Rocchi lavora davvero per gli americani. Intercettano
un suo rapporto sulle indagini inviato via fax a un ufficio
dellambasciata Usa a Roma. Negli anni precedenti ha
svolto missioni anche allestero, in America Latina
e in Corea, e tra laltro è stato lultimo
a vedere vivo il banchiere Michele Sindona, in carcere,
prima della sua misteriosa morte per avvelenamento avvenuta
il 22 marzo 1986. Rocchi, del resto, ha stretti contatti
anche con il capocentro di Milano del Sisde (il servizio
segreto civile italiano), tale dottor Rinaldi.
Ma Pitarresi riferisce anche altro: Rocchi gli ha
chiesto di attivarsi pure su Mani pulite. Lultimo
favore richiestogli, riporta un rapporto del Ros datato
17 dicembre 1993, era stato quello di rintracciare
il Larini prima che lo trovassero le forze di polizia italiane
(...). In relazione a tale sollecitazione giunta al Pitarresi,
si rappresenta che lo stesso, nel corso dellultimo
colloquio, faceva presente che tra qualche mese sarebbe
stata effettuata unoperazione di screditamento del
dottor Di Pietro, basata su un servizio da esso prestato
presso la polizia di Stato.
Dalle telefonate intercettate, risulta che Rocchi è
in contatto con larchitetto De Mico, che qualche mese
prima aveva tentato di agganciare Davigo promettendogli,
appunto, di rintracciare Larini. E proprio la
fotocopia del passaporto di De Mico viene trovata durante
una perquisizione degli uffici di Rocchi effettuata dagli
uomini di Giraudo. Pitarresi racconta che Rocchi gli ha
chiesto addirittura di organizzare un attentato a Gerardo
DAmbrosio. In seguito, un tentativo di azione contro
il coordinatore del pool comunque ci sarà: il 14
aprile 1995 la scorta di DAmbrosio metterà
in fuga un misterioso personaggio appostato, con in mano
un fucile, nel giardino di una scuola davanti allabitazione
del magistrato.
Quando
Zaffra tradì l'amico Bettino
Loris Zaffra era luomo che doveva succedere
a Mario Chiesa. Ex sindacalista, socialista emergente, capogruppo
del Psi al Comune di Milano, entra nel ristretto gruppo
dei fedelissimi di Craxi e diventa il possibile candidato,
dopo la caduta di Mario Chiesa, a diventare sindaco di Milano.
Ma è anchegli arrestato per tangenti, il 30
luglio 1992. Craxi e i dirigenti socialisti difendono strenuamente
il loro compagno e rilasciano alla stampa dichiarazioni
di fuoco contro i magistrati della Procura milanese: è
la prima reazione organizzata contro Mani pulite, che raggiunge
i toni più drammatici quando, nellestate 1992,
tre indagati si tolgono la vita.
Tra questi, il parlamentare socialista Sergio Moroni, che
si uccide il 2 settembre nella sua casa di Brescia, dopo
che gli erano già stati recapitati tre avvisi di
garanzia. Prima della morte, invia al presidente della Camera
Giorgio Napolitano una lettera in cui, ammettendo di aver
avuto un ruolo nel sistema di finanziamenti illeciti che
sostenta i partiti italiani, protesta contro ciò
che gli sembra essere una decimazione casuale della classe
politica: Non è giusto che ciò avvenga
attraverso un processo sommario e violento, per cui la ruota
della fortuna assegna a singoli il compito di vittime sacrificali.
(...) Non lo accetto nella serena coscienza di non aver
mai personalmente approfittato di una lira. Ma quando la
parola è flessibile, non resta che il gesto.
Dopo quella drammatica estate, Zaffra, considerato un irriducibile,
smentisce egli stesso il suo leader, confessando la sua
partecipazione al sistema delle tangenti e concorrendo a
determinare il secondo avviso di garanzia a Craxi. Non solo:
in unintervista a Marcella Andreoli su Panorama del
24 gennaio, Zaffra ricapitola la sua vicenda e ribalta sui
compagni di partito laccusa di aver emarginato gli
indagati, anche quelli che poi si sono tolti la vita. Racconta:
arrestato una prima volta, era uscito dal carcere senza
aver parlato. Venivo guardato come un essere strano,
miracolato, proprio perché ero stato anche a San
Vittore.
Poi, la svolta: Avevo limpressione di
essere fuori dal mondo, di essere lunico rimasto a
presidiare un palazzo deserto, mi sono sentito in una trincea
vuota. E dopo tanti giorni di carcere ho capito che stavo
combattendo una battaglia persa in partenza. La reazione
del sistema era assolutamente ipocrita. Aveva ragione il
povero Sergio Moroni, quando nella sua lettera, scritta
prima del suicidio, aveva parlato di ruota della fortuna:
sei stato preso, peggio per te. Con Moroni ne avevamo discusso
la scorsa estate. Aveva molto sofferto per il cordone sanitario
che gli era stato fatto attorno. Tangentopoli ha messo a
nudo, oltre al giro delle tangenti, la slealtà dei
rapporti politici: sei stato arrestato? peccato per te,
entri nel cesto delle mele marce. Gli altri, che con te
hanno diviso errori e responsabilità, si girano dallaltra
parte. Inaccettabile.
Zaffra rifiuta anche la teoria craxiana del complotto: Ero
in carcere quando scrisse, ad agosto, quei tre famosi corsivi
contro linchiesta Mani pulite e contro il giudice
Di Pietro. Sbaglia. Non dovrebbe prendere scorciatoie e
vedere complotti dietro langolo, giudici mossi da
scopi politici. È vero, i magistrati possono abusare
dello strumento della carcerazione preventiva, ma non estorcono
false confessioni: alla fin fine limputato racconta
la verità. Sarà amaro ammetterlo, ma è
così.
Quando
Tangentopoli la fa Cosa nostra
Nellautunno 1993 a casa del procuratore Borrelli
avviene un incontro tra i due pool giudiziari più
amati (e temuti) dItalia: quello di Milano e quello
di Palermo. Sono presenti Di Pietro, Gherardo Colombo, Davigo.
Arrivano dalla Sicilia il procuratore Gian Carlo Caselli
con Roberto Scarpinato, Antonio Ingroia, Luigi Patronaggio.
Il vertice ha lo scopo di mettere a confronto le esperienze
delle due Procure: molti dei costruttori indagati e arrestati
a Milano hanno cantieri aperti anche in Sicilia. La Lodigiani,
la Cogefar del gruppo Fiat, la Calcestruzzi del gruppo Ferruzzi,
la Grassetto di Ligresti, le cooperative rosse dellEmilia-Romagna
sono attive a Milano come a Palermo. E in Sicilia, mentre
a Milano si sviluppa Mani pulite, è in corso una
complicata indagine su mafia e appalti, che aveva scoperto
la Tangentopoli siciliana: una torta da 1.000 miliardi,
su cui vegliava Cosa nostra. A Palermo era chiamata Tavulinu:
il tavolino a tre gambe a cui erano seduti gli imprenditori,
i politici e gli uomini della mafia. È il colonnello
Mario Mori, capo del Ros, che ne parla a Di Pietro, presentandogli
i risultati del rapporto Mafia e appalti stilato
già nel 1991 dal giovane capitano dei carabinieri
Giuseppe De Donno. Dopo lincontro con Mori, Di Pietro,
accompagnato da De Donno, vola a Roma e il 12 novembre 1992
interroga in carcere Giuseppe Li Pera, rappresentante in
Sicilia di una grande impresa edile friulana, la Rizzani
De Eccher. Poi si mette allopera: Faccio opera
di pubbliche relazioni con gli avvocati degli imprenditori
che sono attivi sia a Milano sia in Sicilia, racconta
Di Pietro. Sondo se è possibile avere aperture
nelle due direzioni. E ottengo qualche risultato.
Milano-Palermo: indagini incrociate per due Tangentopoli
gemelle.
Dieci anni dopo, gli entusiami per Mani pulite del
biennio 1992-93 sono completamente svaporati. Il tifo da
stadio si è trasformato in indifferenza, o addirittura
in ostilità. Riprendono però in tutta Italia
le manifestazioni per la giustizia: a Firenze, a Milano,
a Roma. E ancora a Milano, sabato 23 febbraio, al Palavobis,
proprio per ricordare i dieci anni di Mani pulite.
Alla fine di questa storia, ecco un ultimo rivolo di quelle
inchieste. È in corso a Milano un processo che vede
accusati, per corruzione, due giudici, un imprenditore e
il suo legale. I fatti risalgono a diversi anni fa: centinaia
di milioni versati su conti esteri ai due giudici perché
emettessero sentenze favorevoli allimprenditore. La
pubblica accusa ha in mano prove molto circostanziate e
convincenti. Nel frattempo, però, limprenditore
è divenuto, a furore di mezzo popolo, presidente
del Consiglio. E mezzo mondo si chiede: se sarà condannato,
che cosa farà Silvio Berlusconi? Accetterà
la sentenza? Il presidente della Repubblica gli chiederà
di dimettersi? O gli chiederà di tornare in Parlamento
per la riconferma della fiducia? O, forse, il presidente
del Consiglio, forte del mandato popolare, convocherà
manifestazioni di piazza in suo favore e contro i giudici?
Ne va del destino dellItalia, non solo delle sue mani
insaponate sotto il rubinetto.
LALFABETO
DI MANI PULITE
Arresti.
Tra il 1992 e il 1994, gli anni doro di Mani pulite,
70 Procure italiane hanno indagato 12 mila persone e realizzato
5 mila arresti. A Napoli il record: 554. A Milano, su 5 mila
indagati, in dieci anni si sono avute 588 condanne davanti
al giudice per ludienza preliminare e 645 davanti al
tribunale. Sono 1.471 le persone con processi ancora in corso.
Tra le assoluzioni, moltissime sono quelle per prescrizione.
Quelle nel merito, invece, sono solo il 14,5 per cento (la
media italiana di assoluzioni è oltre il 20 per cento).
Bluff. Mani pulite non
sarebbe neppure iniziata senza i bluff di Di Pietro. Prima
forzatura: chiede al capitano dei carabinieri Roberto Zuliani,
a cui si è affidato un piccolo imprenditore di Monza
costretto a pagare tangenti a Chiesa, di compiere larresto
proprio lunedì 17 febbraio, quando è di turno
Di Pietro. Seconda forzatura: fa credere al suo capo, Borrelli,
di essersi dimenticato di depositare gli atti in tempo per
celebrare il processo per direttissima a Chiesa, per la sola
tangentina di 7 milioni; così intanto prosegue le indagini.
Terza forzatura: fa credere a Chiesa che gli imprenditori
stanno confessando e agli imprenditori che sta parlando Chiesa;
risultato, parlano tutti. Più volte i magistrati del
pool fanno credere agli avvocati di sapere più di quanto
sanno. Esito: molti indagati si precipitano a confessare,
prima di essere accompagnati a San Vittore. Qualche volta
il bluff non riesce: nel 1993, per esempio, dopo avere indagato
a tempo pieno per due mesi su Primo Greganti e le tangenti
rosse, fanno credere di essere arrivati a un passo da
Achille Occhetto e Massimo DAlema, segretario e vicesegretario
del Pds. Gli avvocati si muovono, ma questa volta nessuno
abbocca.
Calzino. Davigo vorrebbe
rivoltare lItalia come un calzino. Lo abbiamo letto
mille volte. Ma lo ha detto veramente? Tutto nasce dopo larresto,
il 25 luglio 1994, del responsabile dei servizi fiscali della
Fininvest, Salvatore Sciascia, per le tangenti pagate alla
Guardia di finanza. Chi lha autorizzata a pagare?,
gli domanda Di Pietro. Paolo Berlusconi, risponde
Sciascia. Dopo questa confessione, Paolo Berlusconi diventa
un ricercato e un latitante. Lallora ministro dellInterno
Roberto Maroni dichiara: Se avessi un fratello latitante
gli direi di consegnarsi subito, ma per fortuna ho una sorella
veterinaria. E il ministro della Giustizia Alfredo Biondi:
Berlusconi deve decidere secondo il senso dello Stato.
Lo stato di famiglia è unaltra cosa....
Giuliano Ferrara, allora ministro dei Rapporti con il Parlamento,
dice: Il governo non ha fratelli, ma non possiamo consentire
che rovescino come un calzino tutto, dalla bottega dellartigiano
a grandi corporation come la Fininvest e la Fiat. È
a questo punto che Davigo ribatte: Ma in quale Paese
un ministro potrebbe accusare i magistrati di rivoltare la
nazione come un calzino?. Da quel giorno, grazie a unabile
campagna mediatica, Davigo passerà alla storia come
il pm che voleva rovesciare lItalia come un calzino.
Fiorino. Il 29 luglio
1994 Paolo Berlusconi si consegna a Di Pietro e ammette di
aver autorizzato le tangenti alla Finanza. Fa scudo al fratello
Silvio: Sciascia, assicura, dipendeva soltanto
da me. Di Pietro, allora, gli mostra un documento: una
donazione di 500 milioni a Sciascia elargita nel 1988 da Silvio:
Lei ne sapeva niente?. No. E
allora vede che lei non conta niente?. Paolo, a quel
punto, deve ammettere che per le questioni strategiche tutti,
nel gruppo, fanno capo a Silvio. E ottiene gli arresti domiciliari,
lasciando il palazzo di Giustizia da unuscita secondaria,
nascosto nel bagagliaio di un furgoncino: un Fiat Fiorino
beige
.
Giustizialismo. Oggi sono
tutti contro il giustizialismo (definizione sbagliata:
il giustizialismo è quello di Peron). Ieri, invece,
i deputati della Lega agitavano il cappio in Parlamento (Luca
Leoni Orsenigo, 16 marzo 1993). Quelli dellMsi, non
ancora An, il 1 aprile 1993 assediavano la Camera e ne bloccavano
per 50 minuti gli ingressi, tirando monete con le fionde.
Erano giovani camerati che indossavano una maglietta con la
scritta: Siete circondati, arrendetevi. Ed erano
guidati dai seguenti parlamentari, che il ministero dellInterno
segnalò e censurò: Buontempo, Nania, Maceratini,
Rositani, Martinazzo, Pasetto, Matteoli, Poli Bortone, Gasparri.
Mela marcia. Così erano definiti,
dai vertici dei loro partiti, Mario Chiesa e i primi politici
inquisiti. Racconta Piercamillo Davigo: Un indagato
in carcere mi chiese: Che cosa hanno scritto del mio
arresto?. Io gli diedi i giornali che avevo sotto braccio,
in cui era stato qualificato dai suoi dirigenti una
isolata mela marcia. Subito mi disse: A sì?
Adesso, dottore, le descrivo il resto del cestino.
Zanzone. Zanza,
a Milano, è il piccolo malavitoso furbo. E Zanzone
viene chiamato Di Pietro da alcuni cronisti giudiziari per
le sue furbizie. Esempio. Quando viene arrestato Roberto Mongini,
democristiano, vicepresidente della Sea (lazienda che
gestisce gli aeroporti milanesi), Davigo e Colombo si dannano
lanima per convincerlo a confessare le sue tangenti,
ma Mongini resta a San Vittore zitto per 16 giorni. Una sera,
i tre del pool hanno un invito da amici. Colombo e Davigo
arrivano puntuali. Di Pietro si fa vivo solo verso mezzanotte,
con un gran sorriso sornione sulle labbra. Dice ai colleghi:
Piercamillo, mi devi pagare da bere: sai, sono passato
per caso da San Vittore. Mongini collabora. Poi spiega
il metodo usato: Ho preso quattro faldoni a caso pieni
di documenti, sono entrato in cella e gli ho detto: veda un
po di fare i suoi conti. Lui ha guardato i faldoni e
poi ha cominciato a parlare. È un esempio del
metodo Di Pietro, insuperabile negli interrogatori,
fatto di piccole astuzie ma anche di grande capacità
di porre le domande giuste, di intuito, di abilità
a entrare in sintonia con lindagato. Con il procedere
dellinchiesta e del sostegno entusiastico di massa al
magistrato simbolo di Mani pulite, confessare a Di Pietro
diventa poi un titolo di merito: gli indagati vogliono confessare
a lui e solo a lui. Per questa sua capacità psicologica
di far collaborare gli indagati viene chiamato anche la
Madonna. Molti indagati, in quei mesi, vedono la
Madonna e parlano.
(gianni barbacetto, da «diario della settimana»)
Tangentopoli
2004
La
corruzione è finita, le tangenti non ci sono più.
Davvero? Leggete qui...
di Gianni Barbacetto
A Milano la città in cui è
nata Mani pulite, la metropoli delle 1.408 condanne definitive
per corruzione, concussione, finanziamenti illeciti ai partiti
e relativi falsi in bilancio aziendali il sistema delle
tangenti continua come prima. Le dimostrano anche le tante
inchieste giudiziarie in corso (che pure oggi sono molto più
difficili da avviare e da concludere). Sotto indagine sono
le forniture alla sanità e alle mense scolastiche,
ma anche i lavori pubblici e le concessioni edilizie. Protagonisti,
come nella vecchia Tangentopoli, imprenditori, funzionari
e politici. Coinvolti, tutti i livelli amministrativi locali,
il Comune, la Provincia, la Regione.
Per corruzione è già stato condannato, per esempio,
il presidente del Consiglio comunale, Massimo De Carolis,
ex democristiano ora in Forza Italia, che in cambio di denaro
aveva passato a unimpresa la lista delle aziende in
gara per realizzare un depuratore a Milano; arrestato e processato,
per irregolarità urbanistiche, anche il consigliere
comunale di Forza Italia Giovanni Terzi; una sentenza di condanna
pesa anche sulle spalle di Claudio Fanchin, consigliere provinciale,
sempre di Forza Italia, filmato mentre chiede una mazzetta
a un imprenditore che voleva realizzare un centro commerciale;
in Regione, tra gli altri, sotto indagine per varie inchieste
sono finiti il consigliere Luca Guarischi, gli assessori Giancarlo
Abelli e Milena Bertani e perfino il presidente in persona,
Roberto Formigoni (tutti di Forza Italia, tranne Bertani,
del Cdu).
Oggi gli indagati sono in maggioranza, oltre che imprenditori,
funzionari e impiegati delle pubbliche amministrazioni, anche
se non mancano i politici. Come nella vecchia Tangentopoli
scoperta proprio a Milano nel 1992. Qualche differenza, però,
balza agli occhi.
Condannati, riciclati, promossi
Oggi gli indagati e perfino i condannati non pagano alcun
prezzo politico, non ricevono alcun contraccolpo dimmagine
davanti allopinione pubblica, né tantomeno sono
emarginati dai loro partiti. Anzi: spesso fanno carriera,
magari con la forza che deriva loro dalla conoscenza di dinamiche
e fatti interni al partito. Esemplari a questo proposito sono
le storie di due esponenti di Forza Italia, Gianstefano Frigerio
e Claudio Fanchin.
La più istruttiva, forse, delle nuove vicende di tangenti
milanesi inizia il 2 marzo 2001, quando viene arrestato Claudio
Fanchin, 46 anni, ex assessore democristiano allEdilizia
del Comune di Limbiate, ex assessore ai Lavori pubblici del
Comune di Opera, consigliere provinciale di Forza Italia,
presidente della Commissione ambiente, membro della Commissione
edilizia e territorio e della Commissione di studio sulla
criminalità. Larresto scatta perché Fanchin
viene addirittura filmato mentre chiede 360 milioni di lire
come tangente a un imprenditore, Mario Paolo Gargantini, che
dal 1996 attendeva di poter costruire un centro commerciale
di 18 mila metri quadrati su un suo terreno di 32 mila metri
a Bellinzago Lombardo. Le autorizzazioni non erano arrivate,
e invece era arrivata la richiesta di una mazzetta.
Allora Gargantini era andato in procura a raccontare la vicenda
e il pubblico ministero Paolo Ielo aveva chiesto alla Guardia
di finanza di svolgere le indagini. Alle 13.30 del 13 febbraio
2001 è avvenuto lincontro decisivo tra Fanchin
e Gargantini: al ristorante Altopascio di via Fara, a Milano.
Ma un microfono nascosto e una telecamera hanno registrato
tutto. Tra un piatto e laltro, Fanchin chiede che limprenditore
venda a unagenzia immobiliare di sua fiducia (la Oltre
il 2000), per 9 miliardi di lire, il terreno su cui
avrebbe dovuto sorgere il centro commerciale. E in più
pretende una commissione del 4 per cento sui 9
miliardi, ovvero 360 milioni di lire. Da dividere così:
il 3 per cento allagenzia, l1 per cento a "qualcuno
da conoscere", "per pagare un po di spese"
del centro culturale Associazione Terzo Millennio, presieduto
dallo stesso Fanchin. "E se non accetto?", chiede
Gargantini. "Peggio per te, gli organi competenti faranno
melina... manca il pezzo di carta... manca questo, manca quello...".
E il tuo terreno resterà comunque inutilizzabile perché,
dice chiaro Fanchin, non sarà mai rilasciato il nulla
osta necessario.
Sentita la registrazione, visto il film dellincontro,
scattano gli arresti domiciliari per Fanchin, per lamministratore
dellagenzia candidata, Franco Moretti, e per sua moglie
Franca Vimercati. Accusa contestata a Fanchin: concussione,
per aver abusato della sua carica di consigliere della Provincia
di Milano, che ha un rappresentante nella Conferenza dei servizi
che decide le destinazioni duso dei terreni. "La
vicenda sembra non avere nulla di politico", commenta
subito Luigi Cocchiaro, capogruppo di Forza Italia alla Provincia.
"Sono sorpresa", si limita a dire il presidente
della Provincia, Ombretta Colli. Opposto il giudizio del procuratore
Gerardo DAmbrosio: "La corruzione continua".
Nel maggio 2002 il tribunale conclude il processo ed emette
la sentenza: riconosce Fanchin colpevole di concussione e
lo condanna, con la condizionale, a 2 anni di carcere. Alla
stessa pena è condannato Moretti, mentre sua moglie
è assolta. La condanna a Fanchin è leggera,
confrontata con le richieste del pubblco ministero Ielo (3
anni e 3 mesi), ma comunque sufficiente a far scattare la
sospensione dalla carica, così come prevede il testo
unico della pubblica amministrazione per gli eletti nelle
assemblee locali (Comuni, Province, Regioni) che ricevano
una condanna, anche solo in primo grado.
Fanchin decide di opporsi alla sospensione. Il suo avvocato,
Luca Ricci, dichiara: "Ritenevamo daver dimostrato
che il comportamento di Fanchin fosse pienamente lecito, che
il suo interesse per la vicenda fosse solo politico".
Ma ad agosto il prefetto di Milano, come vuole la legge, chiede
alla Provincia la sospensione del consigliere di Forza Italia.
A questo punto succede un fatto nuovo: Fanchin si oppone,
sostenendo la curiosa tesi che la sospensione è obbligatoria
solo se la concussione si è consumata con la consegna
dei soldi, mentre nel suo caso è solo "tentata".
Il consiglio provinciale, sollevato, a settembre approva:
per la prima volta nella storia respinge la richiesta del
prefetto, autorità di governo, e mantiene in carica
il condannato.
In appello, nel marzo 2003, la procura generale chiede un
aumento della pena a 3 anni. La Corte decide invece di ridurla
e infligge a Fanchin 1 anno, ma comunque conferma la condanna
per lui e per il coimputato Moretti (1 anno) e addirittura
ritiene colpevole anche sua moglie Franca Vimercati (10 mesi)
che era stata invece assolta in primo grado. Infligge a Fanchin
anche un risarcimento. Risultato finale: Fanchin, in mancanza
di sanzioni politiche da parte del suo partito e della sospensione
della sua assemblea elettiva, resta in pista, felicemente
attivo in politica e, contro la legge, rimane anche membro
nel consiglio provinciale.
Come spiegare la resistenza di Fanchin e il sostegno
che ha trovato nel consiglio provinciale? Il pubblico ministero
ha dato, nel processo, una sua spiegazione: "Le tangenti
finivano anche al partito", sostiene Paolo Ielo, "una
parte dei soldi andava nelle casse della corrente di Fanchin
dentro Forza Italia". Cioè lAssociazione
Terzo Millennio, da considerare "larticolazione
locale di un partito politico", "sorretta economicamente,
quanto a pagamento di affitti e altre spese, da erogazioni
provenienti in nero da società riconducibili a Moretti".
Insomma: il politico girava gli affari agli amici di Oltre
il 2000, i quali pensavano a finanziare la sua attività.
LAssociazione Terzo Millennio, con Fanchin presidente
e sede a Milano in corso Buenos Aires, è il quartier
generale di un gruppo di esponenti di Forza Italia provenienti
dalla Dc: tra loro spicca Angelo Giammario, un consigliere
comunale azzurro entrato in rotta di collisione con il sindaco
di Milano Gabriele Albertini. Il nume tutelare di questa informale,
ma molto attiva corrente di partito è però un
altro personaggio, che proviene direttamente dalla Tangentopoli
della prima Repubblica: Gianstefano Frigerio.
Limportanza di chiamarsi Carlo
Frigerio è un democristiano a 24 carati, dirigente
del partito fin dagli anni Ottanta, ex tesoriere della Dc
lombarda che, dopo aver confessato al pool Mani pulite di
aver ricevuto, fino al 1992, finanziamenti illeciti per decine
di miliardi da alcuni imprenditori (tra cui Paolo Berlusconi),
si è perfettamente riciclato, tanto da diventare uno
degli strateghi di Forza Italia, di cui è diventato
responsabile dellUfficio studi e ricerche.
Scapolo, ex sindaco di Cernusco, molto legato ad Arnoldo Forlani,
regista del patto di ferro in Lombardia tra Dc e Psi, Frigerio
era chiamato "il Professore". Il suo ufficio acchiappamazzette
di via Nirone, a Milano, fu uno dei principali indirizzi della
Tangentopoli 1992, almeno alla pari con piazza Duomo 19, luogo
di consegna delle tangenti di Bettino Craxi. Le sue passioni:
tradurre SantAgostino, pranzare al Savini, prendere
un aereo per vedere una mostra a New York. "Famoso era
il suo weekend lungo", ha scritto di lui lex tangentista
Roberto Mongini, "dal venerdì al lunedì,
il Professore era regolarmente a Santa Margherita a rilassarsi".
Poi arrivò Mani pulite e il Professore fu uno dei primi
politici milanesi inquisiti dai magistrati milanesi. Fu arrestato
la prima volta, per le tangenti sugli appalti ferroviari,
il 6 maggio 1992, davanti allHotel dInghilterra,
a Roma. Solo due giorni prima aveva proposto dabolire
il finanziamento pubblico ai partiti e limmunità
parlamentare per i reati contro la pubblica amministrazione.
Aveva anche scritto un decalogo per la politica trasparente
e proposto di privatizzare le aziende regionali e comunali:
"per prevenire la corruzione". Per corruzione passò
tre mesi fra il carcere di San Vittore e gli arresti domiciliari
a Cernusco sul Naviglio. Fu infatti arrestato una seconda
volta cinque mesi dopo, per le mazzette sul piano discariche
della Regione Lombardia. Nel 1993 fu arrestato la terza volta,
accusato daver intascato mazzette per un depuratore
a Monza. Il Professore collaborò: le sue prime confessioni
sono del luglio 1992: confermò il suo ruolo di collettore,
cioè di cassiere dei contributi in nero versati dalle
imprese alla Dc per gli affari di livello regionale. "Il
fabbisogno economico del partito in Lombardia", dichiarò,
"era di circa 20-25 milioni di lire al mese, ma in occasione
di competizioni elettorali aumentava attorno ai due miliardi".
La sua eclissi politica non durò a lungo. La leggenda
fondativa di Forza Italia racconta che un bel giorno Sergio
Roncucci, ex assessore comunista dellhinterland milanese
assoldato da Berlusconi fin dai tempi delle prime speculazioni
edilizie, lo chiama: al nuovo partito che sta per nascere
serve un consigliere politico. Frigerio partecipa così
alla fondazione di Forza Italia, anche se non compare mai:
"Però sapevamo tutti", testimonia uno della
prima ora, "che era fra i più ascoltati dal Cavaliere,
che aveva facile accesso ad Arcore". Con Pino Leccisi,
è Frigerio a scrivere il primo statuto del partito,
benché non abbia alcun incarico ufficiale. Quando i
cronisti lo riconoscono tra il pubblico di una convention
forzista, nel 1995, spiega: "Sono qui per conto mio...".
Invece il Professore diventa presto responsabile del Centro
studi di Forza Italia.
Ma il suo passato lo insegue. Le sue ammissioni ai magistrati,
pur giudicate nelle sentenze "limitative" e "minimizzatrici",
gli costano una decina di processi. In alcuni (Montedison
e appalti Enel) se lè cavata con la prescrizione.
In altri (Fiera-Portello) si è rifiutato di confermare
in aula le proprie confessioni, provocando così, grazie
alla riforma costituzionale del cosiddetto "giusto processo",
lassoluzione degli imprenditori che egli stesso aveva
chiamato in causa. Ma in tre casi non cè stato
niente da fare: tre dei suoi processi si sono conclusi con
tre sentenze di colpevolezza, in primo grado, in appello,
in Cassazione. La suprema Corte ha infatti confermato in via
definitiva tre condanne: 1 anno e 4 mesi per finanziamenti
illeciti alla Dc; 1 anno e 7 mesi per per finanziamenti illeciti
e ricettazione dei fondi neri al partito; 3 anni e 9 mesi
per corruzione e concussione per i circa 10 miliardi di tangenti
versati dalle aziende private che nel 1990 ottenero il permesso
di aprire nove maxi-discariche in Lombardia.
È in questultimo processo che Frigerio è
stato giudicato colpevole, tra laltro, di aver incassato
un finanziamento illecito di 150 milioni da Paolo Berlusconi.
Per unaltra discarica è stato condannato per
concussione, cioè per aver addirittura estorto
1 miliardo a un compagno di partito, il conte Carlo Radice
Fossati, che si era impegnato in politica con intenti moralizzatori
ed era diventato rivale di Frigerio nella Dc. La giunta regionale
di Formigoni ha poi dato una mano a Frigerio, rinunciando
(tra le dure critiche dellex magistrato Antonio Di Pietro)
a chiedergli i danni in sede penale e accontentandosi di 30
milioni di transazione.
Nel 1994, con la nascita di Forza Italia, Frigerio diventa
dunque uno dei consiglieri di Silvio Berlusconi. E alle elezioni
politiche del 13 maggio 2001 è candidato nella lista
proporzionale di Forza Italia, ma lontano dai luoghi dove
per anni aveva fatto politica e raccolto tangenti: in Puglia,
e con il secondo nome di Carlo. Carlo Frigerio risulta infine
eletto alla Camera. Eppure era già stato condannato
a pene definitive ed era solo in attesa che il giudice facesse
la somma delle condanne ricevute per determinare la pena definitiva.
Oltretutto aveva ricevuto, come pena accessoria, linterdizione
dai pubblici uffici, che impedirebbe al condannato di essere
eletto. Eppure Forza Italia lo ha messo in lista: ha fatto
eleggere un uomo in attesa di entrare in carcere.
Il giudice termina i suoi conti nel maggio 2001 e gli invia
lordine di carcerazione: 6 anni e 6 mesi. Frigerio è
da due giorni entrato in Parlamento come deputato della Repubblica.
Ma non cè discussione: larticolo 68 della
Costituzione, che stabilisce le tutele per i parlamentari
e limita le possibilità di arresto per senatori e deputati,
fa espressa eccezione ("salvi i casi...") per le
"sentenze irrevocabili di condanna". Così
Frigerio, che aveva atteso allestero i risultati elettorali,
si presenta allospedale San Raffaele, chiedendo il ricovero
nel reparto Oculistica: un rientro concordato con i carabinieri,
che il 28 maggio avevano ricevuto lordine di carcerazione
firmato dal sostituto procuratore generale Edmondo Bruti Liberati.
"Come volevasi dimostrare. Primo giorno del nuovo Parlamento
e primo arresto": così commenta Antonio Di Pietro.
Gaetano Pecorella, deputato di Forza Italia e avvocato di
Berlusconi, reagisce: "Constato la coincidenza con lapertura
del Parlamento... Certamente la condanna era già definitiva
prima delle elezioni, ma Frigerio non è la prima persona
condannata o imputata di gravi reati che, nella storia della
giustizia italiana, è stata candidata o eletta in Parlamento:
cè prima di lui Pietro Valpreda, accusato di
strage, o Toni Negri, accusato di omicidio. Insomma, è
già accaduto che, se si ritiene che imputazioni e condanne
derivino da eccessi della magistratura, si candidino queste
persone, per salvarli da una sentenza ingiusta". Reagisce
Di Pietro: "La colpa non è dei giudici, ma di
coloro che, proprio perché devono rispondere dei loro
comportamenti davanti alla giustizia, hanno scelto la via
più breve e più facile: quella di andare a ripararsi
in Parlamento".
Nel luglio a Frigerio vengono concessi gli arresti domiciliari,
nella sua casa di Cernusco sul Naviglio. Nel novembre 2002,
infine, il carcere si allontana definitivamente: i suoi avvocati
chiedono il ricalcolo della pena (cioè
la riunificazione delle tre sentenze, con la sottrazione del
carcere preventivo già scontato nel 1992); così
la condanna eseguibile scende sotto i 4 anni,
permettendo di accedere allaffidamento ai servizi sociali.
Il giudice di sorveglianza Maria Grazia Moi lo autorizza infine
anche a rientrare alla Camera. Gli viene concesso infatti
di scontare la condanna fuori dalla cella, con una pena alternativa
al carcere, come permesso dalla legge Gozzini: con un lavoro
che lo rieduchi. Quale lavoro? Quello di parlamentare. Fare
il deputato diventa così, per la prima volta, una forma
di recupero, la Camera diviene luogo di rieducazione. Ma a
piccole dosi (per ragioni tecnico-processuali, non per lalto
numero di inquisiti e condannati presenti): nellaula
di Montecitorio gli sono permessi soltanto quattro giorni
al mese.
Quando la tangente non serve
Una seconda differenza con la Tangentopoli classica è
che oggi, in alcuni casi, gli imprenditori non hanno più
bisogno di pagare tangenti per ottenere favoritismi. Il sistema
è diventato, in qualche modo, automatico. Lo dimostra
la vicenda delle forniture alla sanità lombarda. Nomine
pilotate e appalti truccati: questo è il quadro emerso
dallinchiesta della procura di Milano. Senza il bisogno
di sborsare mazzette. Il sistema sanitario è gestito
non tanto per offrire un servizio ai cittadini, quanto per
arricchire gli amici imprenditori. Nomine lottizzate
politicamente, come ai vecchi tempi, e nuovi manager privati
che, al pari dei vecchi amministratori pubblici, sostengono
le lottizzazioni e truccano gli appalti.
Al centro della vicenda, seguita dai sostituti procuratori
Francesco Prete e Sandro Raimondi, cè limprenditore
Franco Maggiorelli, titolare di un paio di ditte di informatica,
la Easycard e la Htl. Secondo laccusa, una serie di
contratti per un valore complessivo di circa mezzo miliardo
sono stati pilotati, falsificando atti pubblici, da manager
sanitari come Antonio Mobilia, numero uno dellAsl di
Milano, Vito Corrao, del Fatebenefratelli, Pietro Caltagirone,
massimo dirigente prima dellUsl 36 e poi dellospedale
di Niguarda, indagato insieme al suo ex vice Luigi Sanfilippo.
Ma le intercettazioni realizzate dai carabinieri sollevano
pesanti sospetti sullintero sistema sanitario, dalle
nomine decise dalla Regione alle forniture per Asl e ospedali.
"Allora, non è ancora fatta?", chiede al
telefono Maggiorelli, che da un mese si sta dando da fare
per far nominare lamico Corrao al Fetebenefratelli.
Gli risponde Caltagirone: "No, ma la fanno... Borsani
lo ha già chiamato". Maggiorelli: "Mi raccomando!".
Caltagirone: "Tranquillo!". Il Borsani citato è
lassessore regionale alla Sanità, di An. Alla
vigilia della nomina, Maggiorelli è preccupato: teme
che possa essere nominato "uno pesantissimo, di sinistra,
un uomo di Boioli... Bisogna dirlo a Fabio, è importante".
Caltagirone risponde: "Va bene". Il giorno dopo
il pericolo è scampato: la giunta regionale nomina
Vito Corrao. E Maggiorelli, al ritorno da una vacanza a Santo
Domingo, esulta con parole che i carabinieri definiscono "linguaggio
in codice": "Hai visto che il mio amico ce lha
fatta?". Il suo interlocutore, giocando con le parole
(Vito e vita) risponde cantando: "Sì, sì,
vita, ohi vita mia!!". E Maggiorelli: "Esatto, vita
mia, ohi sole...".
I manager sanitari erano consapevoli di violare la legge.
Un collaboratore di Mobilia chiede a Sanfilippo: "Se
magari per caso mi puoi mandare uno schema di delibera sullauditing".
E Sanfilippo replica: "Sì, però mi devi
fare una cortesia: te le spennelli tu, perché io ho
sentore di qualche inchiesta". Risposta: "Lo trincio
subito". Con altri imprenditori, Maggiorelli arriva a
essere esplicito. Su un appalto per "1 miliardo e 2 in
tre anni", assicura: "La gara è pubblica,
ma ce lho già in mano... e ho informazioni da
girarti". A un altro collega rivela: "Stamattina
con Calta ho visto il libro della sanità, quello che
lassessore ha mandato... Sposa tutto con quello che
noi abbiamo in testa di fare".
Vito Corrao, manager del Fatebenefratelli, dopo lo scoppio dello scandalo
accetta di rispondere ai magistrati. Dove fu decisa la nomina
del direttore generale del Fatebenefratelli? Risposta (serissima):
"Al ristorante" e in altri "incontri conviviali",
grazie all"interessamento imprenditore". E
come poteva un privato interferire nelle imparziali scelte
pubbliche della giunta Formigoni? "Non posso negare che
abbia parlato bene di me a uomini politici nellorbita
della Regione Lombardia", confessa Corrao. E perché
proprio quellimprenditore in seguito ha vinto lappalto
per i computer dellospedale? "È andata così:
lamministrazione dellospedale mi disse che bisognava
fare una gara con almeno tre imprese. Quindi chiesi a lui
di procurare altre due offerte di società concorrenti,
che recavano un preventivo più alto del suo".
Non sono accuse dei magistrati né di pentiti:
sono parole messe a verbale dallo stesso numero uno del Fatebenefratelli,
indagato per gli appalti pilotati insieme al suo "caro
amico Pietro Caltagirone del Niguarda".
Avevano fatto anche abusi e atti falsi, per favorire limprenditore
Franco Maggiorelli. Un metodo era quello di frazionare artificiosamente
gli appalti, per scendere sotto i 100 milioni di lire e poter
ricorrere alla trattativa privata. Ma anche in questo caso
bisogna invitare alla gare altre due ditte. Corrao se ne accorge
in ritardo, "essendo poco esperto", si giustifica,
"di procedure amministrative" (cioè del suo
mestiere). Risolve il problema chiedendo allo stesso "imprenditore
amico" destinato a vincere di procurargli altre due offerte.
Poi Corrao si incarica di "attestare falsamente",
ammette, "di aver invitato" anche i perdenti. Lo
confermano i diretti interessati: "Non abbiamo mai ricevuto
inviti". E i preventivi? "Sono finti". Anche
Maggiorelli, intercettato dai carabinieri, dice: "Sto
preparando gli altri due cosi che servono". Secondo laccusa,
i favori a Maggiorelli si spiegano con la sua influenza sulle
nomine. Corrao lo ammette: fu limprenditore, "in
pranzi e cene", a dirgli che "si sarebbe interessato".
I nomi dei politici "contattati", i carabinieri
li ricavano da un mese di intercettazioni sui retroscena delle
nomine: "Cè una lotta al coltello...".
Le indiscrezioni più attese, Maggiorelli le ottiene
da Giancarlo Abelli, il superconsulente sanitario di Formigoni
(indagato e poi prosciolto per aver ricevuto 70 milioni da
Giuseppe Poggi Longostrevi, il gran corruttore della sanità
lombarda: il processo per i regali di Longostrevi
ai medici si è concluso con 175 condanne). Con Abelli,
Maggiorelli si preoccupa: "Al Fatebene ci va Campari?".
Abelli: "No". Maggiorelli: "E quello del Sancarlus
me lo fai incontrare?". Abelli: "Ah sì, quello
devo firmarlo la settimana prossima".
Il gip Luisa Savoia ha infine rinviato a giudizio limprenditore
Maggiorelli e i manager della sanità Caltagirone, Corrao,
Diego Schimmenti (ex direttore di settore dellUsl 36)
e Gaetano Bigatti (ex direttore amministrativo dellAsl
Città di Milano). Gli ultimi due vanno sotto processo
al posto dei loro direttori, Sanfilippo e Mobilia, che si
sono difesi dimostrando di aver "soltanto firmato"
pratiche gestite completamente dai loro funzionari. Il 4 luglio
2003 arrivano le condanne in primo grado: 2 anni e 8 mesi
per Maggiorelli, 2 anni per Caltagirone, 1 anno e 8 mesi per
Schimmenti, 1 anno e 2 mesi per Corrao e Bigatti. Per falso
e abuso dufficio: non per corruzione, perché
ormai il rito ambrosiano, ai tempi di Berlusconi e Formigoni,
in alcini casi non ha nemmeno più bisogno di tangenti.
Chi denuncia è beffato
Una terza differenza tra la vecchia e la nuova Tangentopoli:
chi denuncia è beffato. Lo dimostra la storia del portaborse
del sindaco di Bollate, paesone alle porte di Milano. L8
febbraio 2000, otto anni dopo quel 17 febbraio 1992 in cui
fu arrestato Mario Chiesa il "mariuolo" e partì
Mani pulite, a Milano viene arrestato, con le stesse modalità
di Chiesa, un collaboratore del sindaco (di centrosinistra)
di Bollate. Con una mazzetta di 25 milioni appena intascata,
in banconote da 100 a 500 mila lire che un maresciallo della
Procura, su denuncia di un imprenditore taglieggiato, aveva
fotocopiato e chiuso in una bustona bianca.
Il nuovo "mariuolo" si chiama Alberto Triacca, ha
53 anni ed è il braccio destro del sindaco Giovanni
Nizzola, ex democristiano passato al centrosinistra a Bollate
e per questo episodio accusato di concussione. Chi aveva permesso
di confezionare la trappola? Un imprenditore proprietario
di un fast food nellhinterland milanese, Alfredo Leuzzi,
che voleva costruire un McDonalds anche a Bollate. Aveva
chiesto la licenza edilizia, lattendeva dal 1990 e finalmente
alla fine del 1999 aveva sperato che la situazione si sbloccasse.
Ma si era sentito chiedere da Triacca una tangente di 150
milioni: "per il sindaco". Limprenditore ha
finto di accettare, ma ha denunciato tutto al sostituto procuratore
Fabio Napoleone. Allora è scattata la trappola: microspie,
una minitelecamera, le banconote fotocopiate dalla procura.
Consegnata la prima rata della mazzetta 25 milioni
"per il mio amico Giovanni" sono arrivati
i carabinieri, che hanno pronunciato la stessa frase detta
a Mario Chiesa: "Questi soldi sono nostri". Il sindaco
di Bollate l"amico Giovanni"
si difende: "È vero, larrestato è
mio amico, ma ha fatto tutto da solo. Non posso perdonargli
un atto così grave che danneggia me e la mia giunta.
Non ho nessuna intenzione di dimettermi".
Per il sindaco Nizzola il processo, per concussione, è
ancora in corso. Ma per il portaborse Triacca è già
arrivata una sentenza: nellottobre 2001 il giudice del
Tribunale di Milano Roberta Cossia lo condanna (con rito abbreviato)
a 3 anni e 4 mesi per concussione. In appello la pena scende
poi a 2 anni. Alfredo Leuzzi, assistito dallavvocato
Luca Troyer, si vede anche "accogliere la richiesta di
risarcimento dei danni", che andranno poi "quantificati"
in una successiva causa civile, perché limprenditore
ha subito perdite "di notevole entità": dopo
il suo no alle tangenti, infatti, il Comune di Bollate ha
"bloccato la pratica con argomentazioni pretestuose",
tanto da "far scadere il piano edilizio".
Ma il bello deve ancora venire. Limprenditore taglieggiato,
dopo la condanna del suo taglieggiatore, chiede al tribunale
civile di essere risarcito del danno subito. E il tribunale
civile che cosa fa? Glielo rifiuta. La decima sezione civile
nel novembre 2003 stabilisce che la vittima di una concussione
il cittadino taglieggiato da un pubblico ufficiale
con metodi da vera estorsione non ha alcun diritto
certo di ottenere neppure un euro di risarcimento. Anzi, impone
a Leuzzi di "rifondere metà delle spese legali"
al colpevole: mille euro. "Gli amici di Triacca",
racconta sconsolato Leuzzi, "sono venuti a prendermi
in giro: Hai visto che succede a denunciare? Dovevi
pagare e basta". E in procura molti magistrati
commentano: è davvero la fine di Mani pulite, quanti
cittadini avranno ora il coraggio di denunciare i corrotti?
Imprenditore: vittima?
Una quarta differenza con la Tangentopoli di dieci anni fa
riguarda le indagini e i metodi investigativi. Mani pulite
esplose e poi si moltiplicò come una reazione a catena
anche perché molti imprenditori (e poi anche qualche
politico) dopo le prime inchieste si presentarono a denunciare
il sistema delle tangenti. Oggi anche visti i risultati
illustrati nella storia precedente nessuno parla. Nessuno
denuncia. Nessuno ammette. I magistrati non intervengono quasi
mai su denuncia di qualcuno, ma per scoprire i reati della
nuova Tangentopoli devono intervenire con le intercettazioni
ambientali, le telecamere nascoste, i pedinamenti, lo studio
tecnico degli atti amministrativi, le ricerche bancarie. Sono
lontani i tempi di Mani pulite, in cui imprenditori e politici
facevano la fila davanti allufficio di Di Pietro per
confessare. Per trovare le prove della corruzione i magistrati
devono ricorrere a metodi usati soprattutto nelle indagini
antimafia.
Significativa a questo proposito è la storia dellinchiesta
sullAnas, condotta dal pubblico ministero Giovanna Ichino.
Il 12 febbraio 2003 i carabinieri del Nucleo operativo ecologico
di Milano realizzano loperazione Robin Hood: nella foresta
di Sherwood la banda di Robin rubava ai ricchi per dare ai
poveri; questa volta le 31 persone finite in carcere
20 imprenditori e 11 tra dirigenti, funzionari e impiegati
dellAnas di Milano, Torino e Palermo taglieggiavano
chi passava per la foresta dei lavori stradali.
Trentuno arresti in un giorno solo: per ritrovare operazioni
così massicce, bisogna risalire agli anni doro
di Mani pulite, al 1993, al 1994, quando Antonio Di Pietro
faceva ancora il magistrato e Silvio Berlusconi lo voleva
ministro. E, secondo laccusa, i responsabili dellAnas
in Lombardia avrebbero continuato a intascare tangenti fino
al giorno prima degli arresti. In quelloperazione, oltretutto,
i carabinieri sequestrano nelle abitazioni degli indagati
ben 40 mila euro, che cresceranno in seguito fino a quota
100 mila.
"Il mestolo sa che cosa cè nella pentola",
diceva uno degli indagati intercettati dalle microspie dei
carabinieri. E dalla pentola sapevano estrarre dei succulenti
bocconi: tangenti del 5 per cento sugli appalti, più
qualche regalino extra, qualche telefonino, qualche computer.
Tra loro dicevano: "Noi siamo come Robin Hood: togliamo
ai ricchi, cioè allAnas, per dare ai poveri,
cioè a noi". Erano un pugno ben affiatato di uomini
dellente che gestisce le strade statali italiane in
accordo con i dirigenti di una trentina dimprese che
avevano fatto cartello, scegliendo la via dellaccordo
sotto banco per spartirsi gli appalti.
I ribassi da presentare erano decisi di comune accordo prima
delle gare. Se cera qualche inconveniente per
esempio partecipava alla gara unazienda che non era
del giro e non stava al gioco allora entrava in funzione
una sonda chirurgica: sì, uno di quegli apparecchi
piccolissimi con telecamera che sono introdotti nel corpo
umano per guidare la mano del chirurgo. In questi casi serviva
invece a penetrare nelle buste delle offerte inaspettate e
a scoprire le cifre prima della gara. Qualche azienda fuori
dal giro deve essersi insospettita, perché allAnas
erano cominciate ad arrivare buste schermate con la carta
stagnola. Ma la festa era andata avanti.
La banda entrava in funzione per i lavori di "somma urgenza":
quelli da fare subito, in casi eccezionali, su strade colpite
dal maltempo, da frane, da smottamenti, e che erano assegnati
con procedure rapide e controlli ridotti. "Quando si
verificavano eventi calamitosi, come lalluvione dellautunno
2002, lufficio si animava. Succedeva che sui visi di
qualcuno compariva una malcelata allegria. Stavano per festeggiare
i nuovi doni". Così racconta un architetto dellAnas,
Antonio Lombardo, che era stato emarginato perché non
voleva stare al gioco dei colleghi. "Erano i momenti
dellarrembaggio, con i lavori che finivano sempre nelle
mani delle stesse imprese. Cerano anche tanti imprenditori
seri. Li riconoscevi dopo lassegnazione degli appalti.
Erano quelli che gridavano disperati nei corridoi perché
non riuscivano mai ad avere i lavori".
Ma se lurgenza non cera, poteva essere creata
a tavolino. Come è accaduto nel novembre 2002, in una
Lombardia battuta dalle piogge. Poiché la statale 42
del Tonale si ostinava a resistere, nella notte è arrivato,
nei pressi di Darfo, un camion di massi che, rovesciati opportunamente
sullasfalto, hanno simulato una frana, prontamente rimossa
il giorno dopo.
I carabinieri sono intervenuti (spinti anche dai sospetti
avanzati dallarchitetto Lombardo) con intercettazioni
telefoniche e ambientali e compiendo indagini patrimoniali.
Dopo indagini durate oltre un anno, hanno scoperto la ragnatela
di rapporti e mazzette tessuta da quattro dirigenti dellAnas:
Mario Chioini, capo del compartimento di Milano; Ettore Dardano,
responsabile amministrativo di Milano e poi di Torino; Giuseppe
Costanzo, direttore dellarea nuove costruzioni; Dario
Di Cesare, direttore area desercizio. Il poker dassi
della tangente era daccordo con altri sette dipendenti
dellAnas e con 20 uomini delle imprese che si spartivano
appalti e subappalti. I lavori tassati dalla banda
di Robin Hood erano opere edili, ma anche impianti elettrici
per lilluminazione di gallerie autostradali, come quelle
che portano allaeroporto Punta Raisi di Palermo e allaeroporto
di Milano-Malpensa.
"Vorrei sfruttare questo disastro... per farci le vacanze
e il panettone", dice uno degli indagati, intercettato
dai carabinieri. "Non cammina il giro, professò",
si lamenta limprenditore Alessandro Crisafulli con il
funzionario dellAnas Dardano. Questi gli risponde: "Ma
no, non so per chi gira, però gira. Parla con Alessandra".
I reati contestati sono corruzione, truffa, riciclaggio, turbativa
dasta e falso. "Limputazione è di
particolare gravità e denota lo sprezzo per il bene
pubblico", scrive severo il giudice per le indagini preliminare
Antonio Corte, che ha considerato la possibilità di
aggiungere anche laccusa di associazione per delinquere,
almeno nei confronti dei personaggi di spicco. Emerge, infatti
"lesistenza di unorganizzazione precisa".
Di questa farebbe parte anche un quinto funzionario che evita
il carcere perché al momento degli arresti risulta
malato, ma è in realtà in vacanza in unisola
esotica.
I funzionari dellAnas cercano di negare ogni addebito
e di fronte ai magistrati restano in silenzio. Gli imprenditori
ammettono di aver partecipato ad aste truccate per vincere
gli appalti, ma cercano di farsi passare per concussi, cioè
di essere stati costretti a pagare per poter lavorare. Rivendicano
comunque la serietà dei lavori realizzati e cercano
soprattutto di ridimensionare il reato di riciclaggio contestato
dai magistrati: avevano soltanto affidato, assicurano, una
cifra (80 mila euro) in custoria a un dirigente dellAnas.
Dopo gli arresti, la partita giudiziaria si apre con un ricorso
dellavvocato Gaetano Pecorella contro la carcerazione
dellimprenditore Gregorio Cavalleri. I magistrati sfoderano
allora le intercettazioni eseguite alla vigilia del blitz:
l11 febbraio, Dario De Cesare, direttore desercizio
dellAnas, racconta al telefono di una mazzetta versata
proprio da Cavalleri, precisando di essersi tenuto 37.500
euro e di averne girati 2.500 a Mario Chioini, il capo del
compartimento Anas. Letti i nuovi atti, lavvocato Pecorella
ritira il ricorso e batte in ritirata.
Nelle intercettazioni, i funzionari dellAnas si mostrano
stupiti per lindifferenza del loro collega Chioini,
che accettava bustarelle senza batter ciglio, senza neppure
mostrare la curiosità di sapere chi le pagava e perché.
Incassavano, gli uomini dellAnas, e poi, racconta Lombardo,
"arrivavano in ufficio con la Porsche o la Mercedes".
Dirigente Anas: "Cè una somma che vediamo
di spendere per delle cose che ci organizziamo tra di noi,
però non dobbiamo fare errori da ragazzini: bisogna
studiare la maniera di un lavoretto pulito, roba scientifica
e garbata...". Imprenditore: "Dove si può
arrotondare? Potrei inventare un corto circuito". Dirigente:
"Va bene 80 mila euro?". Imprenditore: "Caspita,
se la sistema così, lei è bravissimo. Questo
è un pensiero per lei". E sul "questo"
si sente un fruscio di bigliettoni. Dirigente: "Li metti
in bagno".
Più tardi, il dirigente spartisce col collega: "Chiudi
la porta, ti do la quota". Collega Anas: "Soldi
se ne fanno pure troppi". Dirigente: "Tiè
, sono 15". Collega: "Cinque, cinque e cinque".
Dirigente: "Li conti dopo, se sono di più te li
pigli". Era il 26 novembre 2002 e il gustoso dialogo
registrato dai carabinieri si riferiva a una strada nei pressi
di Lecco.
Dario De Cesare convoca limprenditore Giulio Martinelli
nel suo ufficio allAnas: "Lho fatta venire...
perché vorrei approfittare di questa occasione",
"vediamo di spendere... cè una somma
urgenza di 80, 90 mila... per delle cose che ci organizziamo
fra di noi".
Anche in questa indagine, come per Fanchin, tra le prove raccolte
dagli investigatori cè un video: vi si vede un
un dirigente Anas nel suo ufficio che estrae da un armadio
una busta appena consegnatagli e conta soddisfatto le mazzette
di denaro. Ma i magistrati sono costretti a dissertare di
sottili questioni giuridiche: quel video è una prova
utilizzabile nel processo? La Cassazione dice che, trattandosi
di intercettazioni ambientali, i filmati valgono se documentano
una comunicazione tra due persone (anche gestuale, ma comunque
uno scambio di messaggi), mentre sono inutilizzabili "se
in un luogo di privata dimora captano la sola presenza di
cose o di persone, o i loro movimenti". E dunque: la
stanza di un dirigente Anas è un ufficio pubblico?
Sì, secondo laccusa. No, secondo le difese (lAnas
è diventata una società per azioni e comunque
i suoi uffici non hanno sportelli, non sono aperti al pubblico).
E per di più, fanno notare i difensori, alcune riprese
sono state realizzate fuori dallorario dufficio.
E così via cavillando.
Alla fine, il giudice Antonio Corte sceglie di attenersi alla
"giurisprudenza più garantista", limitandosi
ai risultati "depurati dalle riprese video". In
fondo, bastano e avanzano le intercettazioni ambientali. In
alcune di esse, gli indagati facevano gli spiritosi, sentendosi
al sicuro anche perché provvedevano a periodiche bonifiche
di microspie in ufficio: "Quando me lo manda quello a
pulire qua? Perché mo lo devo fare pure di sera,
pure nella stanza sua...". Precauzione inutile: i carabinieri
del maresciallo Francesco Delli Colli erano allascolto
e tutto è rimasto registrato. Così gli arrestati
preferiscono non rispondere. O azzardano spiegazioni imbarazzate
e imbarazzanti: "Tasche piene? Ma no, intendevo piene
non di soldi, ma di buona volontà e di entusiasmo nel
lavoro". La distinta di versamento che attesta il pagamento
di 520 banconote per un totale di 50 mila euro sul conto personale
di un dirigente Anas? "Non lho fatta io".
I massi scaricati sullunica strada non alluvionata per
poter incassare i finanziamenti delle riparazioni? "Non
ricordo proprio e comunque la strada era già malmessa".
"Se mai qualcuno si era illuso che la mala pianta della
corruzione fosse stata estirpata con le indagini di Mani pulite,
ora è chiaro che non è andata così",
commenta a caldo Francesco Saverio Borrelli, ormai ex procuratore
degli anni di Tangentopoli, interpellato dal cronista del
Corriere della sera Paolo Biondani. "In realtà
le inchieste della procura di Milano hanno soltanto potato
la corruzione. E così come avviene nel giardinaggio,
la potatura non ha fatto altro che rinvigorire la pianta,
fino a farla esplodere in una nuova fioritura. Perché
è andata così? Perché il problema della
corruzione non è mai stato affrontato seriamente a
livello politico. Gli interventi giudiziari sono inevitabilmente
frammentari ed episodici. Le indagini delle Procure sono per
loro natura limitate a fatti circoscritti. Ma da un fatto
allaltro, tra il 1992 e il 1994 i magistrati di Milano
hanno scoperto una corruzione sistematica, anzi sistemica:
Tangentopoli non era uneccezione, era la regola di gestione
degli affari pubblici e privati. Per questo le inchieste non
potevano bastare a sconfiggerla. Ciò che è mancato
in questi anni è proprio un serio intervento per rimuovere
le cause della corruzione: servivano e servirebbero ancora
profonde riforme a livello politico, e cioè in sede
parlamentare e governativa. Ed è davvero singolare
che invece ora si arrivi a proporre una commissione dindagine
su Mani pulite".
I funzionari, gli amministratori, i politici, nella nuova
Tangentopoli incassano. E gli imprenditori pagano e per pagarli
li cercano, li inseguono, li pregano. Si accordano tra loro,
fanno accordi di cartello, aggirano le leggi di mercato e
la libera concorrenza.
Succedeva così, in realtà, anche nella vecchia
Tangentopoli. Ma gli imprenditori non si sono presentati per
anni come vittime della corruzione, obbligati a pagare i politici
"per poter lavorare"? Già le indagini di
Mani pulite avevano dimostrato la stretta solidarietà
ambientale tra chi paga e chi prende, e la piena soddisfazione
di un sistema dimprese che preferivano lavorare senza
concorrenza, in regime di mercato protetto e di appalti truccati
e spartiti.
Oggi, lassenza di denunce conferma quel dato: gli imprenditori
si dimostrano omertosi e complici, quando non sono i veri
padroni del sistema delle tangenti. Ed eccoci al Parmacrac,
ovvero a Padronopoli: uccisa Mani pulite, morto il falso in
bilancio, sopravvivono le inchieste sulle bancarotte (anche
se il Parlamento sta incredibilmente discutendo la depenalizzazione
anche della bancarotta): inchieste che per loro natura possono
scattare quando ormai il latte è versato e i buoi sono
scappati. Speriamo non verso lArgentina.
Micromega, 2004
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