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Il pogrom vince, il pogrom paga

A Opera i rom se ne vanno, i razzisti trionfano. La società civile e i partiti di sinistra, grandi assenti, sono definitivamente sconfitti

Segnatevi questa data: 10 febbraio 2007. Nella notte, è successo un fatto che segnerà la nostra storia. Non cercatelo sui giornali, non lo troverete. Solo qualche articolo nelle cronache locali milanesi. La notte di sabato 10 febbraio 2007 la Milano civile, l’Italia tollerante, sono state sconfitte dall’odio. E le istituzioni sono state piegate dalla violenza. Settantasette persone, rom provenienti dalla Romania (dunque neppure extracomunitari, ma cittadini europei), sono stati obbligati a lasciare il campo provvisorio di Opera, in cui era previsto che dovessero rimanere fino al 31 marzo. Hanno dovuto andarsene da Opera, non potevano più sopportare il clima di violenza, l’assedio giorno e notte del «comitato di cittadini» che li insultavano, esibivano cartelli ostili, lanciavano petardi, promettevano nuove manifestazioni.

Era tutto iniziato il 21 dicembre (Diario del 12 gennaio 2007), quando un gruppo di cittadini e di esponenti politici (della Lega, di An, di Forza nuova) erano usciti da una burrascosa seduta del Consiglio comunale e avevano marciato sul campo nomadi appena allestito. Poi erano spuntate le taniche di benzina e le tende erano state bruciate: è il primo pogrom italiano, un piccolo pogrom bianco, senza morti, questa volta; ma compiuto con fierezza, non di nascosto, con la sicumera di chi rivendica le sue ragioni («Non vogliamo gli zingari, rubano e non lavorano»). Le istituzioni (la prefettura, la Provincia, il Comune di Opera e quello di Milano) avevano reagito bene: il campo resta dov’è, nuove tende sostituiranno quelle bruciate. Non si può darla vinta ai violenti. I rom hanno resistito per più d’un mese all’assedio, ai cartelli, agli insulti, alle proclamazioni razziste («Da quando sono arrivati loro, sono aumentati i furti a Opera», «Ne hanno arrestati alcuni nel vicino centro commerciale»: se un nomade ruba, tutti i nomadi sono ladri). Poi non ce l’hanno fatta più. Nel gruppo ci sono 37 bambini, otto neonati, 17 donne.

Ora sono stati accolti da don Virginio Colmegna, il prete della Casa della carità, in una struttura dentro il Parco Lambro. Ma la tolleranza, la convivenza, la civiltà sono state sconfitte, i razzisti hanno vinto. Hanno brindato, hanno festeggiato la fuga dei rom. D’ora in poi, si sa che «la lotta vince», che bruciare un campo nomadi resta impunito, che assediare e insultare uomini, donne e bambini nati in un paese diverso porta ai risultati sperati. Quando ci sarà il prossimo pogrom, quando ci scapperà il primo morto, i giornali e le tv si chiederanno come sia stato possibile, come hanno fatto con gli stadi e gli ultrà. Non si ricorderanno del primo piccolo pogrom italiano, non avranno memoria della «vittoria» del 10 febbraio 2007.

Questa volta, le istituzioni hanno fatto il loro dovere. È stata la società civile, invece, a restare muta. Dov’era la Milano della ragione e del cuore? Dov’erano i movimenti? Dove i partiti della sinistra, o i fan del nuovo partito democratico? Perché non hanno fatto di Opera un esempio nazionale, un punto di riferimento per dichiarare guerra all’intolleranza, per dimostrare che l’ottusità non paga, per rendere visibile a tutti che assediare per un mese e mezzo 77 rom non è «lotta per la legalità», ma – semplicemente e crudemente – razzismo?

(Gianni Barbacetto, Diario, 16 febbraio 2007)

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