Si fa, ma non si scrive
Vietato pubblicare: non solo le intercettazioni e i tabulati telefonici, ma anche le notizie sulle indagini giudiziarie. Ecco che cosa dice la nuova legge-vergogna voluta dal ministro Clemente Mastella, già approvato alla Camera. Con i voti della destra e della sinistra
Dalle pagine dei giornali italiani sta per scomparire la cronaca giudiziaria. Per legge. La Camera ha già infatti approvato, il 17 aprile, il testo “presentato dal ministro della Giustizia Clemente Mastella, di concerto con il ministro dell’Interno Giuliano Amato”. Approvato all’unanimità, con applausi dalla destra, dal centro e dalla sinistra. E con solo sette astenuti (tra questi, Giuseppe Caldarola, Enzo Carra, Tana De Zulueta, Giuseppe Giulietti, Roberto Zaccaria). È una legge in difesa della privacy, è stato spiegato dai sostenitori. Per proteggere il cittadino dalle intercettazioni telefoniche che, pubblicate dai giornali, mettono in piazza le storie private e condannano alla gogna mediatica. Ma è proprio così?
A leggere il testo – ora passato al Senato per l’approvazione definitiva – viene da pensare che l’effetto della legge Mastella sia invece la cancellazione dai giornali della cronaca giudiziaria. “È vietata la pubblicazione, anche parziale, per riassunto o nel contenuto, della documentazione e degli atti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche ovvero ai dati riguardanti il traffico telefonico o telematico, anche se non più coperti dal segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Dunque i giornali non potranno più pubblicare le intercettazioni, né i tabulati telefonici, né le e-mail o gli sms eventualmente intercettati. E non potranno neppure essere raccontati i loro contenuti, in forma sintetica o riassuntiva.
Ma non basta: “È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle investigazioni difensive, anche se non più coperti dal segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Fino al dibattimento, dunque, i giornali non potranno più raccontare nulla delle indagini. E i cittadini non potranno saperne nulla.
I tre gironi. Oggi gli atti d’indagine sono segreti finché non diventano “conoscibili dall’indagato”: quando i verbali d’interrogatorio, le ordinanze di custodia cautelale, i verbali di perquisizione e di sequestro arrivano all’indagato e al suo difensore, non sono più segreti e possono essere raccontati dai giornali. Per chi non solo li racconta, ma li pubblica integralmente, c’è una lieve sanzione pecuniaria (una multa da 51 a 258 euro). Dopo l’approvazione della legge, la musica cambierà. Anche gli atti non più segreti saranno impubblicabili. Per chi trasgredisce, pene severe: fino a 30 giorni d’arresto e 100 mila euro di multa, sia per il giornalista, sia per il direttore del giornale. Quale giornalista potrà permettersi, a queste condizioni, il lusso d’informare i lettori? E quale editore accetterà il rischio di pagare 200 mila euro ogni volta?
Le “pene”, in realtà, sono ancora di più: perché a quelle penali si aggiungono le sanzioni del Garante e poi ancora quelle eventualmente inflitte dall’Ordine dei giornalisti. La libertà d’informazione dovrà attraversare tre gironi d’inferno, prima d’arrivare al purgatorio.
Con una legge così congegnata, i lettori, i cittadini italiani non avrebbero saputo nulla delle indagini sui crac Cirio e Parmalat, su Antonio Fazio e il “tifo” di Bankitalia, su Giovanni Consorte e i furbetti del quartierino, su Luciano Moggi e Calciopoli, sui dossier di Pio Pompa e sulle imprese di Nicolò Pollari, sui ricatti a suon di foto e Vallettopoli... Fazio sarebbe forse ancora governatore della Banca d’Italia e Pollari direttore del Sismi.
Ma la legge Mastella va oltre. “È vietata la pubblicazione, anche parziale, per riassunto o nel contenuto, delle richieste e delle ordinanze emesse in materia di misure cautelari. Di tali atti è tuttavia consentita la pubblicazione nel contenuto dopo che la persona sottoposta alle indagini ovvero il suo difensore abbiano avuto conoscenza dell’ordinanza in materia di misure cautelari”. Questo comma è enigmatico: dice che si possono raccontare almeno i motivi degli arresti, pubblicando “nel contenuto” le richieste e le ordinanze di custodia cautelare; ma dice anche che di tali documenti “è vietata la pubblicazione, anche parziale, per riassunto o nel contenuto”. Allora: pubblicare si può o non si può? Chi scioglierà l’enigma?
Intercettazioni? Tabù. Dunque: le intercettazioni diventano tabù. Non saranno pubblicabili né integrali né per riassunto. Passeranno un primo filtro, quello del pubblico ministero che realizza l’inchiesta, il quale presenterà al giudice delle indagini preliminari solo quelle che ritiene rilevanti. Il giudice a questo punto farà da secondo filtro e salverà solo quelle che ritiene utili per il processo. Tutte le altre vanno in freezer, un archivio riservato che le conserverà per cinque anni, dopodiché saranno distrutte.
Peccato che spesso vi siano intercettazioni che magari non sono penalmente rilevanti, ma giornalisticamente rilevantissime, perché rivelano vicende importanti per la politica, la finanza, l’etica pubblica, o semplicemente per il diritto di cronaca: niente da fare, resteranno top secret e saranno distrutte. E va bene. Ma il problema è che anche quelle giudicate rilevanti non potranno essere conosciute dai cittadini prima della conclusione dell’udienza preliminare: e ciò vuol dire, in Italia, alcuni anni... Quando i lettori potranno finalmente sapere, i buoi saranno già da tempo scappati dalle stalle della politica, della finanza, del potere...
Gli atti d’indagine che restano nel fascicolo del pubblico ministero sono destinati a restarci per un tempo ancora più lungo: fino alla fine del processo d’appello. “Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo del pubblico ministero, se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello”. Dopo un decennio, qualche storico curioso potrà forse scavare tra le vecchie carte...
Arrivano così al traguardo, vincenti, le proteste che da anni investono le indagini sui politici corrotti, sui banchieri infedeli, sugli imprenditori truffaldini, sui potenti collusi. A ogni indagine che coinvolge colletti bianchi, uomini della politica e del potere, si leva il coro delle proteste: non contro le illegalità commesse, ma contro i magistrati che le hanno scoperte, contro le indagini che le hanno svelate, contro le intercettazioni che le hanno rese comprensibili a tutti. Oggi si è trovato il sistema per non farle sapere alla pubblica opinione: i magistrati, se proprio vogliono continuare a indagare, si tengano nei cassetti le carte e i giornalisti non le facciano conoscere ai cittadini.
Una legge di questo tipo avrebbe voluto poterla fare il governo precedente. Ma non c’è mai riuscito. I “girotondi” avrebbero accerchiato il Parlamento e l’opposizione avrebbe fatto barriera. Oggi il clima è cambiato. L’attenzione è calata. Nella disattenzione generale, la legge Mastella è stata approvata alla Camera, su proposta del centrosinistra e con l’entusiastica approvazione del centrodestra. Ora l’appuntamento definitivo è al Senato.
(Gianni Barbacetto, Diario, 4 maggio 2007)
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