Dialogo tra un lettore e un Islandese
L'Italia vista da lontano
Un Islandese, che era andato per la maggior parte del mondo, e aveva soggiornato in diversissime terre, s’imbattè un giorno in un lettore italiano. Non si stupì, perché gli era incorso di peggio (una volta aveva dovuto dialogare perfino con la Natura in persona, con Giacomo Leopardi lì come cronista). Dunque si mise tranquillo e si dispose all’ascolto e, di più, all’interrogazione.
Lettore. Chi sei? Che cerchi in questi luoghi?
Islandese. Sono un Islandese e viaggio. Ne ho visti di Paesi in giro per il mondo. Certo che in Italia ho visto cose assai strane. I giornali, per esempio, e la tv. E quella che voi chiamate informazione.
Lettore. Perché? Che c’è di strano nelle nostre tv e nei nostri giornali?
Islandese. C’è che chi, come me, ha occhi sgombri perché viene da fuori, fa fatica a riconoscere nei vostri giornali e nella vostra tv il Paese che vede con gli occhi.
Lettore. Beh, da noi i giornali mica li fanno gli editori. Li fanno gli imprenditori o i finanzieri, i costruttori o i banchieri, i petrolieri o i padroni della sanità, che hanno ben altri interessi che quello d’informare. Spesso non interessa loro neppure vendere i giornali o avere più ascolti tv. Gli serve invece ingraziarsi questo o quel politico per far meglio i loro affari o comunque ottenere potere per pesare nei confronti della politica. Pensa che c’è, da noi, un editore che fa i soldi con le cliniche private, che ha fatto piaceri a destra e a sinistra e che possiede giornali di destra e di sinistra...
Islandese. Davvero curioso. Ma comunque che importa? I giornalisti rispondono al direttore e ai loro lettori, non all’editore...
Lettore. Sì, così dovrebbe essere. Ma i direttori rispondono all’editore. E dunque stanno attenti acciocché i loro giornalisti non entrino in collisione con gli editori. E in tv, poi, c’è un solo editore: la politica. A Mediaset la politica di un partito e dei suoi alleati, alla Rai la politica dei partiti tutti, divisa in carature a seconda del peso elettorale e delle cariche governative... Ma che c’è di strano, non è normale che sia così?
Islandese. Da noi fa freddo e io sono un ingenuo. Ma mi pare che non sia normale. Anche perché ho visto che gli uomini Rai sono a volte al servizio del concorrente Mediaset... Ho letto che un dirigente di Rai Fiction si era messo al servizio del padrone di Mediaset, ne esaudiva i desideri nel campo dei programmi da finanziare e perfino delle attricette da far lavorare...
Lettore. Veramente erano a disposizione non solo gli uomini Rai, ma anche le donne Rai. Pensa che una segretaria del padrone di Mediaset è diventata dirigente marketing della Rai e, dal nuovo posto, ha continuato a lavorare per il suo vecchio padrone... Però tu hai detto: “Ho letto...”. Dunque lo hai saputo, dunque l’informazione in questo Paese funziona...
Islandese. Sì. Le notizie circolano. In effetti, ci sono tanti giornali, tanti libri... Ma so che il 70 per cento degli italiani s’informa esclusivamente attraverso la televisione...
Lettore. Ma la tv è piena di talk show, dove opinioni opposte si contrappongono. Non è pluralismo, questo? Non è democrazia?
Islandese. Pluralismo? Le opinioni contrapposte non possono sostituire la realtà. Non possono surrogare i fatti. Nei talk show vince chi dice una cosa nel modo più efficace: non importa che sia anche vera. La tv dovrebbe invece mostrare le persone, i fatti, i problemi, i fenomeni... Lo fa raramente. Più spesso, mette in scena teatrini in cui tutto è discutibile, tutto è opinabile. Una falsità ben raccontata, strizzando l’occhio allo spettatore, è più efficace di una verità detta senza istrionismi. Certo, è molto “democratico” dare la parola a chi dice che c’è bel tempo e poi anche a chi dice che piove. Ma è più sicuro aprire la finestra e guardar fuori.
Lettore. Forse in Islanda va così. Da noi anche il tempo è opinabile. Certo che in una cosa hai ragione, nella nostra tv e nei nostri giornali ci sono tante interviste, ma poche domande. Di solito gli intervistati si scelgono gli intervistatori. Si fanno “cucire addosso” l’intervista come un vestito di sartoria. Bandite le domande scomode, o semplicemente sgradite: ai politici, ma anche agli imprenditori, ai banchieri, perfino agli attori e ai cantanti.
Islandese. Come mai può succedere questo?
Lettore. Perché il giornalismo, o almeno il giornalismo politico, da noi è un sottoinsieme della politica. Molti politici sono giornalisti e molti giornalisti finiscono in politica. A seguire il leader di un partito, i giornali mandano non il cronista più agguerrito, ma un giornalista che diventa una specie di ufficiale di collegamento tra il giornale e quel leader e quel partito. Più in generale, non c’è coraggio nei confronti dei potenti, siano politici o banchieri, imprenditori o immobiliaristi, padroni del calcio o grandi inserzionisti della moda.
Islandese. Avevi cominciato difendendo l’informazione di questo Paese, ma ne stai delineando contorni ben foschi...
Lettore. Sono le abitudini locali. Inutile stupirsi.
Islandese. Un po’ di stupore, e magari d’indignazione, potrebbe comunque far bene.
Lettore. Forse. Anche se, a onor del vero, ci sono anche tanti cronisti agguerriti, tanti giornalisti che fanno il loro mestiere. E tu, sei poi sicuro che le cose, nella tua Islanda, vadano davvero meglio?
Islandese. Forse sì, forse no. Ma in questo campo, la comunanza della sorte non consola. Da noi, lassù in Islanda, c’è più ipocrisia. Ma l’ipocrisia, almeno, è la tassa che il vizio paga alla virtù. Da voi, invece, c’è ormai l’orgogliosa esibizione del vizio: uno sorpreso a rubare, o a vendere l’informazione, o a spacciare falsità, o a compiacere i potenti, o a piazzare attricette, o a comprar senatori... da voi, non chiede scusa e arrossito se ne va, ma invece dice: “Sì, e allora?”.
(gennaio 2008)
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