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Mastella, il testimone (di nozze)

Il ministro della Giustizia, la sua amicizia con il mafioso Francesco Campanella, l’elenco degli uomini del suo partito inquisiti, arrestati, condannati. Ma chi è il suo cacciatore di teste?

Clemente Mastella da Ceppaloni, ovvero la politica nella stagione della Casta. Privilegi e clientele, partito personale e potere di condizionamento (se non addirittura di ricatto) sugli equilibri di governo. Ma così fan tutti, nell’autunno della Seconda Repubblica. Certo, le sue foto del viaggio sull’aereo di Stato per andare al Gran premio di Formula 1 sono diventate il simbolo della politica nell’era della (cosiddetta) antipolitica; certo, ha la piscina a forma di cozza (per i maligni) o di capasanta (per i benigni); certo, è passato da destra a sinistra facendo pesare come determinante il suo piccolissimo pacchetto di voti (1,4 per cento); ma in fondo – dicono i benevoli osservatori della crisi italiana – che cosa fa Mastella che tanti altri non facciano? Anche tanti altri succhiano spensierati i privilegi della Casta; anche tanti altri gestiscono un partito personale; anche tanti altri stanno sul crinale tra destra e sinistra (o tra fiducia e sfiducia al governo) per essere determinanti e godere di una rendita di posizione. Non c’è, dunque, alcuna specificità mastelliana? Il ministro della Giustizia è solo la sfortunata maschera, moltiplicata dai media, della crisi della politica? La vittima sacrificale di un momento feroce d’antipolitica sciagurata?
Per rispondere, è necessario raccontare alcune vicende meno note, ma non meno importanti, della storia di Clemente Mastella da Ceppaloni. Bisogna lasciare sullo sfondo la piscina a forma di conchiglia e i capelli tinti color mogano («È un’innocente illusione di gioventù che pago con la schiavitù del ritocco...»). Bisogna lasciare da parte, per un attimo, anche le amicizie di Clemente («Sono il Moggi del centrosinistra», dichiarò dopo le elezioni amministrative del 2000, «anche se non mi utilizzano nel modo migliore. Senza di me, voglio vedere se vincevano in Campania, Basilicata e Molise». Allora Lucianone gongolò: «Il complimento di un amico fa sempre piacere. Avrà voluto dire che io sono bravo nel calcio come lui lo è in politica»).
Ora il ministro è iscritto nel registro degli indagati a Catanzaro, per i suoi rapporti con l’imprenditore Antonio Saladino, protagonista principale del presunto comitato d’affari inquisito dal pubblico ministero Luigi De Magistris, a cui è stata strappata l’inchiesta. Vedremo come andrà a finire (l’inchiesta e il governo). Intanto, per capire chi è davvero l’uomo che ha dichiarato guerra ai giudici (ultimo bersaglio proprio De Magistris), bisogna affrontare storie ancor più dure.

Dopo le nozze, un divorzio

La prima storia si svolge in Sicilia ed ha per protagonista il più promettente dei collaboratori di Mastella, uno che – se non avesse avuto l’“incidente” che ora racconteremo ­– oggi sarebbe ai vertici del suo partito, l’Udeur: siederebbe in Parlamento, se non al governo; lo vedremmo tutte le sere ai tg, a dire la sua battuta nei pastoni quotidiani. Si chiama Francesco Campanella, è nato a Villabate, alle porte di Palermo, è cresciuto negli scout e nell’Azione cattolica e giovanissimo si è appassionato alla politica. Prima Dc, poi Ccd di Mastella e Casini, infine aderisce all’Udeur di Clemente che si è appena buttato a sinistra. Diventa il suo pupillo. È giovane e brillante. Ci sa fare. È già stato presidente del Consiglio comunale di Villabate, ma ormai pensa in grande, punta a Roma. Nel 2000 ha 28 anni e si sposa: suoi testimoni di nozze, Clemente Mastella e Totò Cuffaro.
La luna di miele è travagliata. Non per i rapporti tra i due sposini (lei, Barbara, è una bella ragazza che lavora nella segreteria politica di Salvatore Cardinale, ministro delle Comunicazioni del governo di Massimo D’Alema). Ma per le ore passate da Campanella al telefono per tentare di ricucire il divorzio tra i suoi due testimoni: 24 ore dopo le nozze, infatti, Cuffaro passa dall’Udeur all’Udc, che lo candida presidente della Regione Sicilia. Lo sposo organizza anche un incontro di riconciliazione a tre, a Roma. Ma niente da fare: Cuffaro resta nel centrodestra e viene eletto governatore (è l’anno, in Sicilia, del 61 a 0); Mastella resiste invece nel centrosinistra malgrado le lusinghe dell’amico Totò; e Campanella resta fedele al fianco di Clemente. Fedeltà premiata: con la carica di segretario nazionale dei giovani dell’Udeur e con la promessa di un posto in Parlamento.
Non se ne farà niente. Perché all’alba del 25 gennaio 2005 la polizia entra in casa Campanella e la perquisisce da cima a fondo. Accusa: complicità con i boss mafiosi di Villabate, i più vicini a Bernardo Provenzano. Campanella era addirittura socio (sale bingo, sale scommesse Snai...) di Nicola Mandalà, che di Villabate era il giovane capomandamento. Nell’agenzia del Credito siciliano dove lavorava (su raccomandazione di Totò Cuffaro) aveva riciclato i soldi della cosca. E in Comune aveva fatto di tutto per modificare il piano regolatore e dare il via libera alla costruzione del più grande ipermercato della Sicilia, che stava tanto a cuore a Mandalà e Provenzano. Ma non solo: era stato lui, Campanella, a procurare la carta d’identità falsificata che aveva permesso a Provenzano di andare a Marsiglia per operarsi alla prostata.
Quando tutto ciò diventerà pubblico, Mastella si discolpa: non sapevo niente, per me Francesco era un bravo ragazzo. Forse non sapeva che era nipote per parte di madre di due mafiosi legatissimi al boss Michele Greco (e, del resto, le colpe degli zii non ricadono sui nipoti). Ma certo sapeva  che, dopo i cinque anni (1994-1999) in cui Campanella era stato presidente del Consiglio comunale, il Comune di Villabate era stato sciolto per mafia. E sapeva che era stato sciolto una seconda volta nel 2003, con Campanella consulente del sindaco. Non erano certo notizie riservate: erano scritte sui giornali. Mastella è considerato uomo prudente: ma evidentemente non quando si tratta di scegliere i collaboratori.

Una strana “raccomandazione”

In seguito, Clemente fa di peggio. Campanella a 33 anni è nei guai. Ha accuse pesanti di mafia sul groppone e una brillante carriera politica stroncata per sempre. Con le sue operazioni finanziarie ha, in più, provocato un buco nella banca dove lavorava. Si dispera. Riflette. Poi trova la via d’uscita: collaborerà con i magistrati. Lo comunica prima agli amici. Innanzitutto al Maestro Venerabile della loggia a cui è iscritto (la Triquetra di Palermo), Giovanni Quattrone. Questi lo manda da un’eminenza grigia della massoneria siciliana: Sandro Musco, medioevalista, docente di Storia della filosofia all’università di Palermo, per lunghi anni braccio destro del potente presidente democristiano della Regione, Rino Nicolosi. Negli anni Novanta Musco era scivolato in una storia di tangenti, ma ne era uscito indenne, grazie alla riforma dell’articolo 111 della Costituzione (il cosiddetto “giusto processo”, che rende inutilizzabili le dichiarazioni rese durante le indagini se non ripetute in tribunale). Gli era andata peggio in un altro procedimento, in cui era stato condannato per riciclaggio di mazzette versate a politici da due imprenditori agrigentini. Ricco di queste belle esperienze, aveva proseguito la sua carriera politica, prima nel Ccd e poi in un piccolo partito su misura per lui, la Nuova Dc siciliana.
Solo dopo aver avvertito la massoneria della sua intenzione di “pentirsi”, Campanella va dai carabinieri. Ma subito avverte anche la mafia: incontra in un bar di Casteldaccia il vecchio boss Nino Mandalà, a cui confessa di essere disperato a causa del figlio, l’amico Nicola Mandalà, che, dopo essere stato arrestato, l’ha messo nei guai. Il boss sembra dare via libera: «Mio figlio è pazzo, io non so niente di questa storia. Unni vuoi pigghiare, pigghia». Ossia: quel che vuoi fare, fai. Come mai questa risposta? Forse teme una trappola, ha paura che Campanella abbia qualche microfono addosso. O forse capisce che ormai, dopo il blitz del 25 gennaio, c’è poco da fare, e dunque ognuno faccia per sé.
Anche Cuffaro, a questo punto, si preoccupa: che cosa sta facendo quel giovane promettente che sa tante, troppe cose, che ha vissuto a lungo sul confine tra mafia e politica e che ora vuol parlare con i carabinieri? Per capirlo, lo fa contattare da un amico comune, Franco Bruno, già capo di gabinetto dell’ex sottosegretario alla Giustizia Marianna Licalzi. Campanella con Bruno resta sul vago. Ma con Mastella no, Mastella per lui è come un padre, con Clemente parla chiaro. Gli manda una lunga e accorata lettera, datata 30 agosto 2005 (18 giorni dopo, Campanella inizierà ufficialmente la sua collaborazione con la procura di Palermo). Chi porta la lettera al futuro ministro della Giusizia? Proprio il professor Musco, che da Palermo va a Telese, alla festa dell’Udeur.
«Carissimo Clemente, ti scrivo con il cuore gonfio di tantissime emozioni, esclusivamente per ringraziarti di cuore poiché nella mia vita ho frequentato tantissima gente e intrattenuto innumerevoli rapporti, tanti evidentemente errati. Sei l’unica persona del mondo politico che ricordo con affetto, con stima, con estremo rispetto, perché sei sempre stato come un padre per me, e resta in me enorme l’insegnamento della vita politica che mi hai trasmesso. Sto vivendo un periodo drammatico di grande tribolazione e dolore, ma nella disgrazia ringrazio il nostro Signore di avermi dato la forza di reagire con grande forza, coraggio e serenità recuperando totalmente il mio rapporto con Dio e stringendomi attorno alla mia famiglia e alla mia dolce Barbara che, come tu sai, è l’unica cosa buona che mi ha regalato la politica. Confido nella volontà di nostro Signore Gesù e so che affronterò una valanga di guai ma sono serenamente convinto che riuscirò a trarre esperienza anche da questi eventi, consapevole dei miei torti e delle mie colpe. Nonostante che non avremo modo di frequentarci nei prossimi anni sappi che io e Barbara ti vogliamo veramente bene. Riguardati, e cammina sempre dritto per la tua strada e non ti far fregare come sempre da tutta quella gente vuota che ti sta intorno esclusivamente per interesse, pronta a voltarti le spalle alla prima occasione utile, come ti è capitato spesso nell’essere sempre troppo fiducioso nelle persone che ti circondano. Spero che il Signore ti dia la grazia di puntare sulle persone che veramente ti sono vicine per costruire quello che tu speri. Affido questa lettera a Sandro che tra i tanti è una persona che nella disgrazia mi è stata vicina. Sappi che ripongo in lui speranza e fiducia per quello che potrà darti in termini di contributo. È certamente una persona integra di cui potersi fidare. Nel ribadirti che ti voglio bene, ti abbraccio. Francesco».
Sandro, cioè Musco, porta la lettera (in busta aperta) a Mastella. A questo punto, Clemente ormai sa che Campanella ha subìto la perquisizione del 25 gennaio. Sa che è legato a Cosa nostra. Sa che ha problemi con la giustizia («Consapevole dei miei torti e delle mie colpe...»). Sa che cercherà di cavarsela collaborando («Affronterò una valanga di guai...»). Eppure tiene in grande considerazione la “presentazione” di Musco («Sappi che ripongo in lui speranza e fiducia per quello che potrà darti in termini di contributo. È certamente una persona integra di cui potersi fidare»). Una “raccomandazione” fatta dall’uomo che ha fornito il documento a Provenzano. Tanto grande è la considerazione di Mastella per questa autorevole “segnalazione”, che il futuro ministro accoglie subito nell’Udeur Musco e la sua Nuova Dc siciliana.
La lettera sarà poi consegnata ai magistrati di Palermo da Mastella stesso, il 1 febbraio 2006, quando viene interrogato in procura. Chiamato infine a deporre nelle aule processuali, ai giornali dichiara che resterà «equidistante tra accusa e difesa». Curiosa par condicio. Eppure, quando si forma il governo Prodi, Mastella ottiene un ministero. E che ministero: quello della Giustizia.

O sole mio

Inaugurerà la sua azione di governo andando, insieme a Giulio Andreotti e al sottosegretario Luigi Manconi, nel carcere di Regina Coeli a festeggiare il sessantesimo anniversario della Repubblica italiana. È il 2 giugno 2006. C’è aria di festa. Il ministro canta O sole mio insieme ai detenuti, che srotolano un tricolore con la scritta «Amnistia e indulto». Clemente sorride e promette che si darà da fare: «So che da me vi aspettate parole. Vi parlo con molta sincerità. L’amnistia non è un atto mio solitario. Fosse stato così l’avrei già fatto. Evidentemente posso promuoverlo e lo farò. Se finora non l’ho fatto è perché serve la pienezza delle commissioni parlamentari. Bisogna umanizzare le carceri il cui sovraffollamento ha raggiunto l’intollerabile. Proporrò l’amnistia e l’indulto, ma nessuno ipotechi il tempo necessario. L’impegno c’è, ma applaudite dopo che il provvedimento sarà varato. Anche dal centrodestra c’è disponibilità». Gli applausi però li prende subito. Da spellarsi le mani. E poi gran finale, con coro a squarciagola di Roma nun fa’ la stupida stasera.
Quel giorno, a Regina Coeli, Mastella dichiara: «Come ministro della Giustizia sono più un ministro vostro di quanto non sia un ministro dei magistrati». In effetti lo dimostra anche la composizione del suo partito, affollato di dirigenti che qualche settimana in carcere se la sono fatta. Vediamo. L’ex capogruppo dell’Udeur al Senato Nuccio Cusumano fu arrestato a Catania nel 1999 per turbativa d’asta e concorso esterno in associazione mafiosa quand’era sottosegretario del governo D’Alema. Poi fu rinviato a giudizio per gli appalti truccati del nuovo ospedale «Garibaldi» in favore di imprese legate a Cosa nostra e nell’aprile 2007 salvato dalla prescrizione. Fu arrestato anche il presidente del Consiglio comunale di Brindisi, Ermanno Pierri, portato in cella insieme all’ex sindaco di Brindisi per aver intascato tangenti. Due gli arresti, nel 1994 e nel 1995, quando era dirigente della Dc napoletana, per il segretario regionale Udeur della Campania Antonio Fantini, già presidente della Regione, imputato a Napoli per le tangenti sulla ricostruzione del dopo-terremoto. Arrestato, per frodi comunitarie, il consigliere pugliese Leonardo Maffione. Arrestato, a Gela per voto di scambio, il consigliere provinciale di Caltanissetta Salvatore Di Giacomo. Arrestato, nel 1998 per corruzione, l’assessore regionale all’Ambiente della Calabria, Sergio Stancato. Arrestato anche il capogruppo regionale calabrese Franco La Rupa, già condannato per concussione e corruzione e di nuovo indagato nel 2007 per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. Condannato per falso ideologico l’ex presidente Dc della regione Abruzzo, Rocco Salini, che nel 2001 viene eletto in Parlamento con Forza Italia e nel 2005 approda all’Udeur. Indagato per concorso in camorra il consigliere campano Vittorio Insigne. Anche il mitico Paolo Cirino Pomicino ha fatto parte della squadra di Mastella, ma, dopo aver incassato l’elezione al Parlamento europeo nel 2004, ha preferito passare alla Nuova Dc di Rotondi. Una bella storia è quella di Andrea Carnevale: faceva il calciatore; fu squalificato per un anno per doping. E che fa Mastella? Lo nomina responsabile del dipartimento sport dell’Udeur.
Clemente stesso ha già rivestito i panni dell’indagato, anche prima di essere iscritto a Catanzaro: nel febbraio 2007, la procura di Napoli gli ha notificato un avviso di garanzia per il fallimento, nel 2004, del Napoli Calcio, di cui era vicepresidente durante la gestione di Franco Corbelli. Reato ipotizzato: bancarotta fraudolenta. Prima di lui, era accaduto una sola volta che un ministro della Giustizia fosse raggiunto da un avviso di garanzia: ma Claudio Martelli, nel 1993 (vicenda conto Protezione-crac Banco ambrosiano), subito si dimise. Mastella, invece, sulla vicenda napoletana dichiara: «Ho partecipato a qualche riunione del Consiglio d’amministrazione, ma non mi sono mai interessato minimamente della gestione della società. Fui invitato a farne parte soltanto perché ero un tifoso illustre. Tra l’altro, non ho mai percepito compensi, gettoni o rimborsi e mi sono dimesso dopo poco tempo. Sono convinto che gli stessi giudici verificheranno la mia estraneità ai fatti e auspico solo che ciò possa avvenire in tempi assai brevi». E sulla vicenda calabrese, invece, reagisce chiedendo che De Magistris sia cacciato da Catanzaro. 
Si potrebbe continuare l’elenco degli indagati Udeur, ma fermiamoci qui. Certo, alcuni dei personaggi coinvolti in vicende giudiziarie sono stati inquisiti o arrestati prima della loro adesione all’Udeur, che è nata solo nel 1999: ma chi è mai il cacciatore di teste che fa la selezione del personale politico di Mastella? Quando poi qualche “mela marcia” è coinvolta in storiacce penali, arriva la sospensione dal partito. Ma la vita continua. E come fa a fare pulizia nell’Udeur, visto che dovrebbe cominciare da se stesso? Mastella preferisce provare a ripulire i tribunali d’Italia, mandando ispezioni a raffica e chiedendo al Csm di trasferire i magistrati che osano svolgere indagini su politici e potenti. Luigi De Magistris è l’ultimo, clamoroso caso: chi indaga su Clemente è trasformato in indagato. Ma le ispezioni ministeriali straordinarie ordinate da Mastella in un anno e mezzo di governo di centrosinistra sono state molte. Forse il ministro «più dei carcerati che dei magistrati» vorrebbe riunificare le due figure: gli piacerebbe, certi magistrati, vederli dietro le sbarre.

(Micromega, ottobre 2007)

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