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Via Craxi, statista. Sì, della P2

Dopo la proposta di dedicare a Bettino una via di Milano. Dimenticando le tangenti, i reati, le condanne, la latitanza. Perché sarebbe comunque un uomo di Stato. Ma davvero?

di Gianni Barbacetto

Avrà anche commesso qualche errore, per finanziare il partito, ma fu uno statista. Anzi, «il più grande statista della fine del ventesimo secolo» (Gianni De Michelis). Un grande riformatore, stroncato proprio per questo da «una rivolta di palazzo» (Rino Formica). Per riabilitare Bettino Craxi, dedicandogli tanto per cominciare una via a Milano, si sta tentando una doppia rimozione: non solo dei reati commessi e delle condanne subite, ma anche della verità sulla sua storia politica. Ma davvero Craxi fu un grande statista e un coraggioso riformista? Per rispondere, bisogna guardare con disincanto soprattutto al biennio 1979-80, quello in cui Bettino abbandona definitivamente i suoi progetti mitterrandiani - questi sì innovativi per l'Italia - di conquistare la leadership della sinistra, far crescere una grande forza riformista, democratica, libertaria, non comunista, e poi battere la Dc. Dimenticato il "Progetto socialista" del congresso di Torino, accetta invece la spartizione di potere con il peggio della Dc, sancita poi dalla nascita del Caf, il patto Craxi-Andreotti-Forlani. All'ombra di una regia sotterranea ma potente: quella della loggia P2.

Nel 1979, dopo tre anni alla guida del partito, Craxi non è riuscito a riequilibrare i rapporti di forza a sinistra. Ed è insidiato anche dentro il Psi: da una sinistra interna composita, che va dai rinnovatori di Antonio Giolitti ai più pragmatici sostenitori di Claudio Signorile, pronti a sfilargli la segreteria (Bettino in un comitato centrale del 1980 la manterrà solo per un voto, perché convincerà De Michelis a tradire il suo fronte e a passare con lui). Craxi si sente insomma attaccato in casa e fuori. Quando poi intuisce che Signorile sta per essere segretamente finanziato, insieme alla Dc andreottiana, da una supertangente Eni, capisce che deve correre rapidamente ai ripari. Abbandona i bei propositi dell'"Alternativa socialista" e gli intellettuali di Mondoperaio e comincia un intenso lavorio tutto dentro i più segreti ambulacri del potere italiano.     

Nel 1979 incontra per la prima volta Licio Gelli, mentre i suoi colonnelli, Claudio Martelli e Rino Formica, iniziano con gli uomini della P2 una lunga trattativa su potere, soldi e informazione. Craxi nel 1994 ammette l'incontro: «Quando il tentativo di estromettermi dalla guida del partito tra la fine del '79 e l'inizio dell'80 non riuscì per un solo voto, Gelli cercò di prendere contatto con me. Vanni Nisticò (piduista, allora capo ufficio stampa del Psi, ndr) mi presentò Gelli e l'incontro si svolse nella mia suite all'Hotel Raphael». Argomenti trattati: il riavvicinamento tra Craxi e Andreotti. Solo politica? No, c'è una questione più concreta che preoccupa Bettino: il timore che stiano per arrivare finanziamenti al suo avversario interno, Signorile. È la vicenda passata alla storia come scandalo Eni-Petromin. L'azienda petrolifera italiana, presieduta da Giorgio Mazzanti, aveva stipulato con l'azienda di Stato saudita, la Petromin, un vantaggioso contratto per la fornitura di petrolio. Ma Craxi e Formica si mettono di traverso, perché con il loro formidabile olfatto sentono odore di tangenti, tangenti da cui sono esclusi: una "intermediazione" di almeno 200 milioni di dollari, da cui avrebbero poi attinto la Dc andreottiana ma anche Signorile, a cui Mazzanti faceva riferimento.

Formica, allora segretario amministrativo del Psi, si scatena. Incontra più volte il dirigente piduista Umberto Ortolani. Il 21 maggio 1979 gli dice: «Dì ai tuoi amici che noi socialisti non abbiamo alcuna intenzione di rimanere fuori da questo affare». Dopo mesi frenetici e trattative oscure, la storia arriva all'epilogo il 15 marzo 1980: Mazzanti si dimette dalla presidenza dell'Eni e il contratto Eni-Petromin, dopo una prima fornitura, viene sospeso. Meno di un mese dopo, il 5 aprile, Francesco Cossiga vara il suo nuovo governo, con il Psi che rientra nella maggioranza dopo sei anni d'assenza. Un governo prova generale del Caf, con tre ministri e cinque sottosegretari iscritti alla P2.

Eliminato Mazzanti, l'uomo di riferimento di Craxi dentro l'Eni diventa il vicepresidente Leonardo Di Donna. Già a partire dalla seconda metà del 1980, l'Eni foraggia generosamente Bettino: è la storia del conto Protezione. L'Eni concede un deposito di 50 milioni di dollari al Banco Andino di Roberto Calvi (inutile dire che sia Di Donna, sia Calvi sono iscritti alla P2). E il "banchiere di Dio" gira al segretario socialista una percentuale, 7 milioni di dollari in due tranche, sul conto Ubs di Lugano 633369 "Protezione", fornito a Bettino dall'amico Silvano Larini e annotato su un biglietto da Claudio Martelli.  

Gelli sostiene di aver avuto lui l'idea della triangolazione Eni-Ambrosiano-Psi, e di averla esposta a Bettino durante il secondo incontro, che avviene nella primavera del 1980 nell'abitazione romana di Martelli. Il vice di Craxi, che era allora responsabile della cultura e informazione del Psi, aveva già più volte incontrato il Venerabile all'Hotel Excelsior: per chiedere che il Corriere, nelle mani della P2, trattasse meglio il Psi; ma anche per risolvere il problema dell'enorme debito (21 milioni di dollari) che il partito aveva nei confronti dell'Ambrosiano di Calvi. Ottiene subito i risultati sperati. Il Corriere diventa più favorevole a Craxi, fino a pubblicare, il 30 ottobre 1979, un'agiografica intervista, non firmata, che scatena le proteste del comitato di redazione contro il direttore («Ha permesso all'intervistato di farsi da solo domande e risposte»). E arrivano anche i soldi: quelli del conto Protezione, ma pure 300 milioni dalla Rizzoli e l'aereo privato dell'azienda a disposizione di Martelli.

Lo conferma un Fabrizio Cicchitto ancora non berlusconizzato, in un'intervista rilasciata il 19 novembre 1993 a un Augusto Minzolini ancora Squalo e non Acciuga: «Ho capito che Bettino Craxi e Claudio Martelli c'entrano dentro fino al collo con Gelli e Ortolani. Ad esempio, la storia dei 30 milioni di dollari, del conto Protezione, non è mica uno scherzo. C'è da credere davvero che in quegli anni, con tutti quei soldi, si siano comprati il Psi». Continua il Cicchitto del '93: «Dentro il Psi ci furono lotte davvero pesanti. Fecero scoppiare il caso Eni-Petromin. Lo stesso Nenni, che si era accorto che Craxi voleva strafare, gli scrisse una lettera per chiedergli di dimettersi». E sui soldi: «Eh, altroché se contano i soldi in politica. Ad esempio, se io, Signorile e De Michelis fossimo rimasti insieme, saremmo riusciti a contrastare Craxi. Insieme funzionavamo. Purtroppo... alla rottura contribuì anche un problema finanziario. De Michelis era fortemente indebitato per via dell'avventura finita male dei "Diari" con Parretti. Si parlava di 500 milioni di lire che allora non erano uno scherzo. Signorile, tirchio, non si mosse per aiutarlo. E De Michelis ci rimase male anche perché in quei mesi giravano le storie dei finanziamenti a Signorile per l'Eni Petromin. Così quando Craxi e Martelli bussarono alla sua porta ci misero poco a convincerlo a passare con loro».

Craxi è citato anche nel "Piano di rinascita democratica", che prevede di «selezionare gli uomini ai quali può essere affidato il compito di promuovere la rivitalizzazione di ciascuna rispettiva parte politica»: per la Dc, il "Piano" segnala, tra gli altri, Andreotti e Forlani; per il Psi indica Craxi. Prevede poi di «affidare ai prescelti gli strumenti finanziari sufficienti a permettere loro di acquisire il predominio nei rispettivi partiti». L'interesse della P2 per Craxi aumenta dopo il settembre 1979, quando Bettino lancia la sua "grande riforma", che prevede il presidenzialismo: Craxi viene allora indicato da Gelli come l'uomo che può realizzare il "Piano di rinascita" e a cui va garantito sostegno politico, mediatico e finanziario.

Craxi lo "statista" continua la strada intrapresa nel 1980 anche dopo la scoperta delle liste P2. Ha ormai imparato il metodo. Accanto al conto Protezione, ha via via aperto una ragnatela di conti da Vaduz fino a Hong Kong. Il sistema delle tangenti diventa scientifico, totale. E Craxi, riformista senza riforme e statista senza senso dello Stato, è ormai uno dei pilastri di Tangentopoli. Fino al fatidico 1992 di Mani pulite.

(Il Fatto quotidiano, 2 gennaio 2010, e aggiornamenti successivi)


Giorgio Bocca:
«Bettino? In politica fu un bandito»

Giorgio Bocca in via Craxi proprio non ci abiterebbe. È ormai abituato ai periodici tentativi di riabilitazione, o addirittura di santificazione, del segretario socialista. E dietro la voce del sindaco di Milano Letizia Moratti, che ha lanciato la proposta d'intitolare una via o un parco a Bettino proprio nei giorni in cui ha preso la tessera del Pdl, vede l'ombra di Silvio Berlusconi, di cui - dice - Craxi era il gemello politico.

Stupito della proposta di Letizia Moratti?

No, non mi stupisce affatto. La vicenda di Craxi è così assurda, come del resto la vicenda di Berlusconi, che ormai sono pronto a tutto. Tutti sanno che Craxi ha rubato miliardi alle aziende pubbliche e a quelle private e alla fine li ha passati a un barista di Portofino che è andato a spenderli in parte in Sudamerica: se pensano che questo sia normale, va bene così. A me invece non pare affatto normale che uno possa ignorare le leggi e fare i comodi suoi come ha fatto Craxi.

Ma Letizia Moratti dice che Craxi è come Giuseppe Garibaldi, l'eroe dei due mondi, o come Giordano Bruno: anche loro furono condannati, ma oggi hanno piazze e vie a loro dedicate.

Che una sindachessa come Letizia Moratti dica queste cose dimostra che siamo arrivati a un livello di follia impensabile. E rivela un grado di ignoranza abissale. Roba da pazzi: Garibaldi, Giordano Bruno... Ma Craxi era uno che faceva politica come un bandito. Per questo piace tanto a Berlusconi. Perché era uno che, se qualcuno non gli andava a genio, chiedeva che fosse licenziato.

Lo ha fatto anche con un Giorgio Bocca che lavorava a Canale 5...

Sì. Allora lavoravo per la tv di Berlusconi. E Craxi chiese all'amico Silvio di mandarmi via. Io ero di idee socialiste, ma con Craxi si entrava in un'area di illegalità totale, per cui se uno dava noia, veniva cacciato. Ricordo che ero appena arrivato a Canale 5 e Berlusconi mi disse: "Arriva Craxi, dovresti intervistarlo tu". Craxi arrivò e venendomi vicino mi disse: "Ciao professore, come va?". Me lo disse con la stessa voce, con la stessa superbia con cui aveva detto "intellettuali dei miei stivali" a Norberto Bobbio e ad altri professori di area socialista. Feci l'intervista, in cui lui era ripreso sempre di faccia e io sempre di nuca. Ormai in Italia si era creato un clima sudamericano.

Alcuni di coloro che lo vogliono riabilitare sostengono che magari avrà fatto anche degli errori con i finanziamenti al partito, ma è comunque un grande politico, un uomo di Stato, anzi secondo Gianni De Michelis "il più grande statista della fine del ventesimo secolo".

È una follia. Macché statista. La filosofia di Craxi era quella che mi spiegò un giorno un giovane e intelligente dirigente del Psi a cui io chiesi: "Ma gliel'hai detto a Bettino che il partito è pieno di ladri?". E lui: "Sì, gliel'ho detto, e lui mi ha risposto: io per andare al potere ho bisogno di soldi e questi ladri i soldi me li portano; quando poi sarò al potere, allora darò la caccia ai ladri". Ma vi pare che si possa fare politica in questo modo? È una teoria un po' strana, una teoria della politica assolutamente senza principi.

Rino Formica ha detto che Craxi è stato un grande innovatore e che proprio per questo fu alla fine stroncato "da una congiura di palazzo".

Rino Formica è quello che definì il Psi craxiano un partito di "nani e ballerine". Dunque è uno che conosce bene i suoi polli. Oggi se n'è dimenticato?

Ma Craxi non è stato il campione del riformismo?

Mah, il successo di Craxi è dovuto, più che al riformismo della tradizione socialista, all'aver dato voce, negli anni Ottanta, alla borghesia emergente della moda, degli stilisti, degli architetti: i protagonisti della "Milano da bere". Ceti che, a conti fatti, non hanno poi dato un gran contributo alla società, ma si sono fatti principalmente i loro interessi.         

Molti, per rivalutare Craxi, ricordano l'episodio di Sigonella ed esaltano la sua autonomia dagli Stati Uniti.

Vanterie ridicole. Lo stesso modo di far politica di Berlusconi che si vanta di aver messo pace tra gli Usa e la Russia di Putin o addirittura di aver risolto lui il conflitto in Georgia. La verità è che l'Italia in passato ha sempre avuto scarsa autonomia dagli Stati Uniti e ancora oggi in politica estera conta pochissimo.

Altri ricordano soprattutto i suoi aiuti al dissenso nei paesi comunisti.

Ecco, la fortuna politica di Craxi, anche presso una certa borghesia socialdemocratica, è spiegata dal suo anticomunismo. È la stessa chiave che spiega la politica di Berlusconi. Non a caso i due erano grandi amici.

Anche una parte dell'attuale Pd è pronta ad accogliere Craxi nel Pantheon del Partito democratico e Piero Fassino si è dimostrato aperto alla proposta di Letizia Moratti.

Piero Fassino e Massimo D'Alema sono fantastici. Non perdono occasione per dare una mano a Berlusconi...

Riabilitare Craxi significa sconfessare Mani pulite. Davvero di Mani pulite "non rimane più niente", come dice anche Carlo Ripa di Meana?

Mani pulite è stata un tentativo di purificare la politica italiana. Siccome la politica italiana è piena di corrotti, tutti d'accordo hanno cercato di seppellire Mani pulite. Si spiega così l'odio della destra per Antonio Di Pietro: viene considerato il demonio solo perché chiede alla politica di essere una politica di persone per bene e non di ladri.

Ma oggi Berlusconi e i suoi predicano la politica dell'amore, per sconfiggere i seminatori di odio...

Questo poi è il colmo. La politica di Berlusconi è la seguente: grande generosità verso chi lo serve fedelmente; chi invece esce dalla schiera dei servi viene colpito durissimamente, basta vedere che cosa hanno fatto all'ex direttore dell'Avvenire Dino Boffo, stroncato dalla stampa di Berlusconi. Altro che amore...

(Il Fatto quotidiano, 3 gennaio 2010)



Il tesoro di Bettino
I conti esteri e il mistero dei soldi scomparsi


I lingotti erano in una cassetta postale all'aeroporto di Ginevra. Quindici chili d'oro custoditi da una misteriosa signora che, allarmata dalle inchieste di Mani pulite, nell'ottobre 1994 decide in gran fretta di spostarli. Troppo tardi: i gendarmi inviati dal giudice elvetico Jean Crochet li intercettano e li sequestrano. Non arriveranno mai in Italia. Cinque anni dopo, quando la Svizzera si decide a consegnare il tesoro ai giudici italiani di Mani pulite, gli ufficiali della Guardia di finanza che vanno a ritirarli, nel luglio 1999, si vedono presentare non i lingotti, ma il corrispondente valore in franchi svizzeri: il giudice ginevrino De Marteen aveva deciso di consegnarli convertiti in valuta.

IL SISTEMA TRADATI. I lingotti facevano parte del tesoro svizzero che Bettino Craxi aveva affidato all'amico d'infanzia Giorgio Tradati. Tutto inizia nei primi anni Ottanta. Il segretario del Psi si convince che per fare politica nell'Italia dei due grandi (e ricchi) partiti, Dc e Pci, ci vogliono soldi, tanti soldi. E si attrezza. Attivando un sistema scientifico di riscossione dalle aziende, pubbliche e private, e aprendo i primi conti all'estero dove far affluire le tangenti.

Il primo conto che Tradati apre su richiesta di Craxi è presso la Sbs di Chiasso, intestato a una anstalt lussemburghese, la Arano Stieftung. Poi il sistema si raffina. «Bettino mi pregò di aprirgli un conto in Svizzera», racconta Tradati ai magistrati di Mani pulite. «Io lo feci, alla Sbs di Chiasso, intestandolo a una società panamense». Il nuovo conto si chiama Constellation Financière. «Funzionava così: la prova della proprietà consisteva in una azione al portatore, che consegnai a Bettino. Io restavo il procuratore del conto».

Tradati gestisce anche un secondo conto, presso la Bankers Trust di Ginevra (poi trasferito presso l'American Express Bank di Ginevra), intestato alla società panamense International Gold Coast. Per schermare meglio i suoi reali beneficiari, è alimentato da un conto di transito presso la Claridien Bank di Ginevra: il Northern Holding, gestito da un funzionario dell'American Express, Hugo Cimenti, che vi faceva affluire anche soldi di altri. «Per i nostri», spiega Tradati, «si usava il riferimento "Grain". Che vuol dire grano».

Sul sistema Tradati arrivano almeno 35 miliardi da aziende pubbliche (dall'Ansaldo all'Italimpianti) e private (da Calcestruzzi a Techint). Vi approda anche la più grande tangente pagata a un singolo uomo politico: 21 miliardi incassati dopo l'approvazione della legge Mammì sulle tv private e provenienti dal conto All Iberian di Silvio Berlusconi.

Quando le indagini di Mani pulite e le rogatorie all'estero mettono in pericolo il malloppo, Craxi cerca di mettere al sicuro i soldi. «Il 10 febbraio '93 Bettino mi chiese di far sparire il denaro da quei conti, per evitare che fossero scoperti dai giudici di Mani pulite. Ma io rifiutai e fu incaricato qualcun altro». È Maurizio Raggio, un barista di Portofino che si trasforma per l'occasione in finanziere. Estingue i due conti di Tradati, che al momento della chiusura avevano 22 milioni di franchi svizzeri (Constellation Financière) e 15 miliardi di lire (International Gold Coast). Questi ultimi sono trasferiti (prestanome Miguel Vallado) presso altri due conti, il Julfer presso la Sbs di Ginevra e il Farbin Corp. presso la Bancomer di New York. I soldi di Constellation Financière sono invece divisi (prestanome Arturo Martinez) tra la Abn Amro di Amsterdam, conto Kirwall, la Sbs di Ginevra, conto Cancun, e finiscono poi presso la banca Pictet&Cie di Ginevra e infine presso la Pictet&Cie di Nassau (Bahamas), sul conto intestato Highland Retreat Investment. Raggio, tornato in Italia, fa ritrovare solo una fetta del tesoro: 4 o 5 miliardi di lire.

IL SISTEMA GELLI. Tra il 1979 e il 1980, Craxi incontra un paio di volte Licio Gelli. La prima al Raphael, la seconda nell'abitazione romana di Claudio Martelli, che si era lamentato con il Venerabile per l'enorme debito (21 milioni di dollari) che il Psi aveva nei confronti del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Subito dopo, il problema si risolve: sul conto 633369 "Protezione" presso l'Ubs di Lugano, fornito a Bettino dall'amico Silvano Larini, affluiscono dall'Ambrosiano 7 milioni di dollari in due tranche.

Soldi, come quelli del sistema Tradati, tutti nella disponibilità di Craxi. «La gestione di tali conti», conferma la sentenza All Iberian, «non confluiva in quella amministrativa ordinaria del Psi, ma veniva trattata separatamente dall'imputato tramite suoi fiduciari... Significativamente Craxi non mise a disposizione del partito questi conti».

IL SISTEMA BALZAMO. Le tangenti ordinarie, quelle impiegate per la gestione del partito, erano gestite invece dal segretario amministrativo Vincenzo Balzamo, con la collaborazione del faccendiere Pierfrancesco Pacini Battaglia. Da questa contabilità partono anche i soldi usati per finanziare Solidarnosc e Olp. Solo i pochi soldi rimasti di questo sistema vengono passati, dopo Mani pulite, ai successori di Craxi, Giorgio Benvenuto e Ottaviano Del Turco.

IL SISTEMA TROIELLI. È quello rimasto più misterioso. Gianfranco Troielli, vecchio amico di Bettino Craxi, assistito da Agostino Ruju, apre tre conti, due in Svizzera e uno a Hong Kong, da cui il denaro rimbalza in altri conti in giro per il mondo, tra cui il conto Idaho aperto a Nassau, Bahamas. Sono rimasti sconosciuti sia l'entità dei conti, sia il destinatario finale, perché le Bahamas e Hong Kong non hanno mai risposto alle rogatorie dei magistrati milanesi.

C'è dunque ancora un mistero Craxi: dove sono finiti i miliardi scomparsi nel nulla?

(Il Fatto quotidiano, 15 gennaio 2010)

Il grande imbroglio di Sigonella

Sigonella: è la parola magica che il fan di Bettino Craxi introduce nella discussione, quando sta per soccombere a causa dell'elenco delle tangenti, delle condanne, dei conti all'estero; e poi degli incontri con Licio Gelli, delle spartizioni di potere con Giulio Andreotti, del vertiginoso incremento del debito pubblico... Sigonella: dimostrazione che il segretario del Psi era uno statista, capace di scelte coraggiose e autonome anche nei confronti dell'alleato Usa. Ma a Sigonella andò davvero come ci hanno detto? Un documento americano su cui recentemente è stato tolto il segreto ci permette oggi di raccontare una storia molto diversa.

IL SEQUESTRO. Tutto comincia il 7 ottobre 1985, quando quattro terroristi del Fronte per la Liberazione della Palestina s'impossessano, al largo delle coste egiziane, della nave italiana Achille Lauro che sta compiendo una crociera nel Mediterraneo. Il commando chiede la liberazione di una cinquantina di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. In caso contrario, minaccia di uccidere i passeggeri e di far esplodere la nave. Iniziano frenetiche consultazioni militari e diplomatiche. Le trattative sembrano arrivare a una conclusione positiva quando Abu Abbas, il mediatore indicato dal leader dell'Olp Yasser Arafat, convince i dirottatori ad abbandonare la nave, in cambio dell'immunità e di un salvacondotto per la Tunisia.

Ma si viene a sapere che nel frattempo i terroristi a bordo avevano ucciso e gettato in mare una persona: Leon Klinghoffer, un cittadino americano di religione ebraica, disabile bloccato in carrozzella. A questo punto gli Stati Uniti intervengono. L'11 ottobre i caccia americani intercettano l'aereo egiziano che sta portando in Tunisia i dirottatori e lo costringono ad atterrare nella base militare di Sigonella, in Sicilia. Venti carabinieri e trenta avieri dell'Aeronautica militare circondano l'aereo. Sono a loro volta subito circondati da una cinquantina di militari americani della Delta Force. Poi affluiscono alla base i rinforzi dei carabinieri, che circondano gli americani. Il presidente Usa Ronald Reagan telefona a Craxi nella notte, chiedendogli la consegna immediata dei palestinesi. Craxi mantiene fermo il suo rifiuto, finché gli americani ritirano i loro uomini.

CINQUE MESI DOPO. Certo a Sigonella il comportamento del governo italiano nei confronti degli americani appare diverso da quello tenuto dopo il rapimento, nel 2003 a Milano, dell'imam Abu Omar da parte di uomini della Cia. Messi sotto processo per sequestro di persona insieme ai vertici del Sismi, nel 2009 sono parzialmente salvati dal segreto di Stato apposto da Silvio Berlusconi. Ma ora sappiamo che, nel 1985, anche Craxi tratta subito con gli americani e fa un immediato atto di riparazione, concedendo segretamente a Reagan la base di Sigonella per attaccare la Libia di Gheddafi. Solo cinque mesi dopo la tanto osannata dimostrazione di orgoglio nazionale , infatti, nel marzo 1986 gli F111 Usa, provenienti dalla Gran Bretagna e ufficialmente diretti alle basi inglesi di Cipro, decollano dalla base siciliana per attaccare e bombardare il golfo della Sirte. La concessione avviene in segreto: Craxi permette l'uso della base, ma chiede discrezione e in pubblico critica aspramente l'azione militare.

Lo ha scoperto una giornalista italiana, Sofia Basso, analizzando materiale Usa recentemente declassificato. Si è imbattuta in una nota confidenziale scritta a Reagan nella primavera 1986 dall'allora segretario di Stato americano, George Shultz, uscita dagli archivi segreti del Dipartimento di Stato. L'appunto di Shultz spiega che «i rapporti con Craxi erano eccellenti», l'episodio dell'Achille Lauro era ormai «cosa del passato» e che «su base confidenziale, l'Italia aveva permesso l'uso di Sigonella per operazioni di supporto in relazione all'esercitazione nel golfo della Sirte». A una sola condizione: la riservatezza.

È il marzo 1986. La Libia è accusata di essere dietro gli attentati compiuti in varie parti del mondo da terroristi arabi. Reagan, senza consultare né il Congresso, né i partner europei, il 22 marzo manda navi e aerei nel golfo della Sirte, che Gheddafi considera acque territoriali libiche. Si scatena una battaglia. Gli Usa colpiscono due navi libiche e una base missilistica. Le cancellerie occidentali si dividono: Gran Bretagna e Germania applaudono la dimostrazione di forza, il resto dell'Europa esprime forti dubbi. Il più duro nelle critiche agli Usa è proprio Craxi il quale, in una seduta straordinaria del Parlamento, proclama che non è con ripetute "esercitazioni militari" in un'area già scossa da forti tensioni che si può difendere il diritto internazionale. L'uso della forza, anzi, non potrà che minare la stabilità della regione e rafforzare il ruolo di Gheddafi nel mondo arabo. Deve essere chiaro che l'Italia non vuole «guerre alle soglie di casa».

Fin qui la versione ufficiale. Il memorandum di Shultz rivela invece la verità segreta. Spiega che Craxi vuole farsi perdonare l'episodio dell'Achille Lauro, punta a essere considerato partner privilegiato degli Usa nelle relazioni tra Est e Ovest e a essere ammesso nel gruppo dei cinque Paesi industrializzati. Per questo, in pubblico strilla contro gli americani ma , sottobanco, dà loro il via libera. Purché non lo si dica in giro.

(il Fatto quotidiano, 10 gennaio 2010)


Silvio & Bettino


È Craxi, ormai sconfitto, a dare all'amico, nell'aprile 1993, l'idea del partito "contenitore" ("con l'arma delle tv"). Berlusconi realizza l'idea, ma - ingrato - tifa Di Pietro. Oggi recupera alla grande...



È domenica, il 4 aprile 1993. Alle 18, riunione cruciale a villa San Martino di Arcore. Presenti, Silvio Berlusconi, Bettino Craxi e il consulente politico di Marcello Dell'Utri, Ezio Cartotto (che la racconterà). Craxi ha già dieci avvisi di garanzia sul groppone e non è più segretario del Psi. Prende la parola: «Bisogna trovare un'etichetta, un nome nuovo, un simbolo, un qualcosa che possa unire gli elettori moderati che un tempo votavano per il pentapartito». Lunga pausa. Poi guarda Silvio negli occhi: «Con l'arma che tu hai in mano delle televisioni, attraverso le quali puoi fare una propaganda martellante... Ti basterà organizzare un'etichetta, un contenitore. Hai uomini sul territorio in tutta Italia, puoi riuscire a recuperare quella parte di elettorato che è sconvolto, confuso, ma anche deciso a non farsi governare dai comunisti. E salvare il salvabile».

È il passaggio di testimone tra un Craxi già sconfitto e un Berlusconi non ancora deciso, ma certo preoccupato per i debiti del suo gruppo, per le inchieste giudiziarie già avviate sulle sue attività, per la perdita dei suoi referenti politici. Silvio è disorientato. Replica: «Sono esausto. Mi avete fatto venire il mal di testa. Confalonieri e Letta mi dicono che è una pazzia entrare in politica e che mi distruggeranno, che faranno di tutto, andranno a frugare tutte le carte, diranno che sono un mafioso. Che cosa devo fare? A volte mi capita perfino di mettermi a piangere sotto la doccia...».

Nelle settimane seguenti, Dell'Utri vince le resistenze del suo capo. E il 9 dicembre Berlusconi, inaugurando il centro commerciale Le Gru a Grugliasco, nella periferia torinese, dà il primo annuncio della sua discesa in campo: «Sto tessendo una tela». Per impedire che vada al governo la sinistra, malata «di dirigismo e statalismo». Anche la destra, in quel momento, gli sembra inutilizzabile: «Mai parlato di uno schieramento democratico di cui debba far parte il Movimento sociale». Si ricrederà: poche settimane dopo lancia Forza Italia e l'alleanza con l'Msi al sud e la Lega al nord. E il 27 e 28 marzo 1994 vincerà le elezioni.

Quando gli storici s'impegneranno sui rapporti politici tra Craxi e Berlusconi, dovranno risolvere il problema delle continuità e delle rotture tra Psi e Forza Italia. Che Bettino sia amico di lunga data di Silvio è certo. Che sia stato indispensabile alla sua crescita imprenditoriale è dimostrato dal decreto che nel 1984 salva le sue tv oscurate dai pretori e dalla legge Mammì del 1990. Che tra i due i rapporti fossero speciali è provato dal fatto che sui conti di Craxi arrivano ben 21 miliardi dalla All Iberian di Berlusconi, qualcosa di più che una semplice tangente.

Eppure, durante le indagini di Mani pulite, Berlusconi non spende una parola per l'amico Bettino e il vecchio sistema dei partiti. Anzi, sta ben attento a non identificarsi con la "vecchia politica corrotta". I suoi giornali e le sue tv tifano per Antonio Di Pietro. Se ne accorge nel 1993 anche l'avvocato Giuliano Spazzali, difensore di Sergio Cusani. Spazzali intuisce che una buona parte della partita processuale in cui è coinvolto il suo cliente si giocherà in televisione. Infatti il processo Cusani, trasmesso in diretta tv, diventerà il reality di Mani pulite. Così, nel settembre '93 chiede udienza a Berlusconi e va a trovarlo («per la prima e ultima volta», assicura) ad Arcore. Chiede che le reti Fininvest diano spazio alle ragioni della difesa. Ma Berlusconi non lo ascolta nemmeno. «Non riuscii a infilare più di sei parole», ricorda Spazzali. «Berlusconi, nel suo maglioncino blu, parlò lui per più di un'ora e mezza, ma di tutt'altro argomento: mi spiegò che, nella stanza accanto, si stava lavorando perché c'era la necessità di rifondare le organizzazioni politiche». Berlusconi aveva già deciso che il "nuovo" doveva sostituire il "vecchio" e stava ben attento a non farsi trascinare da Bettino nella tomba della prima Repubblica. Mai andato ad Hammamet, l'amico Silvio.

Ingrato? Accorto. Attento a non andare contro l'opinione pubblica che nel 1992-94 sosteneva il rinnovamento di Mani pulite. Poi piano piano la soglia del pudore s'abbassa. Oggi Craxi è da riabilitare e i socialisti (Fabrizio Cicchitto, Giulio Tremonti, Maurizio Sacconi, Renato Brunetta, Margherita Boniver, Giampiero Cantoni...) hanno ruoli importanti dentro il Pdl e dentro il governo. In fondo, l'idea del "contenitore", a Silvio l'ha data proprio Craxi, quella lontana domenica d'aprile del 1993.

(Il Fatto quotidiano, 16 gennaio 2010)


 
 
 

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Rinasce «Società civile»
Questa volta nel web,
ecco di nuovo i ragazzacci di Società civile.
Riprende vita, via internet, uno storico mensile milanese

 
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