PRIMOPIANO
In evidenza oggi

FOCUS
I fatti, i personaggi,
le inchieste

IDENTIKIT
Ecco che cos’è
società civile

MEMORIA
Archivi e documenti

CENTOFIORI
Il meglio della rete

FORUM
Spazio libero alle idee

 
 
 


 

La Piovra di Osama

di Gianni Barbacetto

Una federazione di gruppi armati. Una rete finanziaria mondiale. Ottimi rapporti con apparati statali. Bin Laden adotta e sviluppa il modello della mafia. E come amici ha ex soci del nemico Bush




È una guerra, d’accordo. Ce lo hanno detto e ce lo ripetono. Ma è una guerra difficile da capire. E non soltanto perché il nemico, per la prima volta, non è uno Stato con un territorio da invadere e un esercito visibile da fronteggiare. Sono proprio difficili da capire tanti personaggi e tanti meccanismi di una guerra fatta di nemici che fino a ieri erano amici; di un’informazione che perde molti dei suoi strumenti e viene intossicata, dalle due parti, dalla disinformazione; di una crisi economica e finanziaria su cui qualcuno ha speculato; di misure impopolari fatte passare in silenzio approfittando del momento drammatico; di soldi “cattivi”che circolano insieme ai soldi dei “buoni” negli stessi circuiti off-shore...

La pista dei soldi.
Il presidente americano George W. Bush ha decretato guerra - anche finanziaria - al network di Osama bin Laden, congelando i beni negli Stati Uniti di 27 gruppi. Interrompere il canale dei soldi è effettivamente il modo più efficace per bloccare una multinazionale, come per bloccare una organizzazione mafiosa. E la struttura di bin Laden è una multinazionale, e assomiglia molto al modello delle grandi organizzazioni mafiose: potenze ufficialmente senza un territorio, ma con un esercito, una finanza, una politica... E ottimi rapporti con apparati statali.

La federazione islamica che fa capo a bin Laden
ha una struttura a rete che unisce il suo movimento, Al Qaeda, ad altri gruppi mediorientali, asiatici e nordafricani, tra cui il Gspc (Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento), la Al Jihad egiziana, il Gia algerino, il Gruppo libico islamico combattente, il Takfir Wal Hidijra (Esilio e anatema), il filippino Abu Sayaf, l’indiano Harakat Ul-Mujahidin, il libanese Asbat Al Ansar, il somalo Al Itihaad Al Islamiya, lo yemenita Esercito islamico di Aden, il Movimento islamico uzbeko. Molto articolata la struttura finanziaria. Utilizza il metodo tradizionale della “awalla”, il circuito internazionale dell’aiuto islamico che attraversa il mondo intero, di moschea in moschea, senza lasciare tracce, e organizzazioni caritative islamiche come Wafa, Al Rashid, Makhtab Al Kidmat... Ma è ben inserita anche nei mercati occidentali. Dispone di un proprio comitato finanziario che fino a pochi anni fa gestiva una propria società di trading, la Taba Investment. Oggi fa lavorare prevedibilmente decine e decine di consulenti finanziari sparsi nei punti sensibili della finanza mondiale.

Uno dei centri della multinazionale di bin Laden
è la banca Al Shamal Islamic Bank, decollata grazie all’eredità che il padre ha lasciato a Osama e che si stima fosse attorno ai 300 milioni di dollari. Al Shamal ha partner di tutto rispetto, che intrecciano indissolubilmente le finanze di Osama con quelle del mondo arabo: tra i soci, la Dubai Islamic Bank; e la Dar Al Maal Al Islami, una banca diretta da un principe saudita che è cugino di re Fahd. Meno raccomandabile, invece, un altro partner di Osama: quel Khaled bin Mahfuz considerato uno degli uomini chiave dello scandalo Bcci e proprietario di un patrimonio valutato almeno 2,4 milioni di dollari. Osama si è strettamente legato a Mahfuz, anche sposandone una figlia. Insieme, Osama e Mahfuz controllano una delle maggiori banche saudite, la National Commercial Bank, con base a Gedda, oltre alla Saudi Sudanese Bank, la Saleh Idris, la Al Shifa. Bin Laden ha anche una struttura industriale. La holding Wadi Al Aquiq controlla aziende elettriche, impianti agroalimentari, case editrici. Ha filiali nei Paesi arabi, in Sudan, in Kenya.

Una rete finanziaria così strutturata
non può non avere basi e consulenti in Europa e in America. Gli Stati Uniti hanno messo sotto osservazione banche di serie A come le americane Chase Manhattan, American Express, Citybank, Bank of New York, le inglesi National Westminster e Hsbc, le tedesche Dresdner e Kleinworth, le francesi Bnp e Paribas. più inafferrabili le catene di “shell company”, le società guscio di conchiglia, che da queste banche vanno nei paradisi fiscali e societari, a Cipro, a Singapore, nelle Isole del Canale, a Vaduz, nei Caraibi. A Parigi esiste una finanziaria Sba, che controlla una fiduciaria Sba in Svizzera. Lugano era domiciliata una società finanziaria, la Al Taqwa, con sede legale alla Bahamas e per lungo tempo sospettata di gestire fondi di bin Laden; dal 5 marzo 2001 ha cambiato nome, si chiama Nada Management ed è stata presieduta da Youssef Mustafa Nada, che è membro (insieme a molti influenti personaggi, tra cui Edward Luttwak) della Commissione di programma del Centro Pio Manzù, un organismo di studi geopolitici finanziato dall’Onu.

Il modello vincente.
La più grande potenza economica e militare del mondo è tenuta sotto scacco da una oscura organizzazione di cui poco o niente si sa. È la rivincita di un modello organizzativo che noi in Italia conosciamo bene: il network criminale. Cosa nostra, nel suo piccolo, ha sviluppato un modello di grande efficacia, che l’ha portata a realizzare grandi affari, ad accumulare immense ricchezze, a creare una insospettabile rete di riciclaggio internazionale in cui sono stati coinvolti banchieri di rango come Sindona e Calvi, a stringere alleanze con altri gruppi criminali (’Ndrangheta, Camorra, Banda della Magliana, fornitori turchi...). Ma anche a sedersi al tavolo (Riina lo chiamava “u tavulinu”) con imprenditori e politici per decidere insieme, da pari a pari, la spartizione degli appalti pubblici; e ad avere rapporti di scambio con la politica e gli apparati della Stato. La potenza militare della mafia siciliana si è espressa con una serie di attentati e stragi che noi tendiamo a dimenticare, ma che in una quindicina d’anni hanno eliminato in Sicilia i più attivi esponenti dei carabinieri (il capitano Emanuele Basile) e della polizia (il vicequestore Boris Giuliano, il capo della sezione latitanti Beppe Montana, il vicequestore della squadra mobile Ninni Cassarà); i più alti esponenti delle istituzioni, dal presidente della Regione (Piersanti Mattarella) al prefetto di Palermo (Carlo Alberto dalla Chiesa); e poi una lunga serie di magistrati, il capo della Procura della Repubblica (Gaetano Costa), i vertici dell’Ufficio istruzione (prima Cesare Terranova, poi Rocco Chinnici), un giudice d’appello (Antonino Saetta) e un sostituto procuratore generale di Cassazione (Antonio Scopelliti); in più, i principali esponenti siciliani del partito di governo (Michele Reina, segretario provinciale della Dc di Palermo) e di quello d’opposizione (Pio La Torre, segretario regionale del Pci). Nei primi anni Novanta, poi, la Cosa nostra di Totò Riina ha dichiarato guerra direttamente allo Stato, con una serie di bombe a Firenze, Roma e Milano, per intavolare una trattativa con non ancora identificati rappresentanti delle istituzioni. I Narcos colombiani non sono stati da meno. Ora il network di Osama applica e sviluppa lo stesso modello criminale, che si è dimostrato estremamente feroce, ed estremamente efficace. Anche il narcotraffico unisce mafie e internazionale islamica, se è vero che Osama controlla, o almeno ha controllato fino a qualche tempo fa, l’oppio della zona dell’Afghanistan, cioè più della metà del mercato dell’eroina diffusa nel mondo. Con il modello mafioso condivide un’ultima caratteristica: il rapporto ambivalente e altalenante con i poteri legali e con coloro che ufficialmente sono gli avversari: la Cia ha usato gli estremisti islamici in Afghanistan in funzione antisovietica e li ha tollerati in Cecenia in funzione antirussa (come Cosa nostra è stata usata in Italia in funzione anticomunista). Poi i poteri segreti messi in campo si animano e pretendono autonomia, anche ribellandosi ai loro apprendisti stregoni.

La strana storia dei nemici che erano amici.
George W. Bush in persona è stato socio di un bin Laden. Lo ha raccontato Giancarlo Radice sul Corriere della sera: l’attuale presidente degli Stati Uniti ha avuto due partner d’affari arabi di nomes Salem bin Laden e Khaled bin Mahfuz. Entrambi sauditi e vicini alla famiglia reale, avevano investito nella società petrolifera acquistata da Bush alla fine degli anni Settanta, la Arbusto Energy. Salem bin Laden è uno dei fratelli di Osama. Khaled bin Mahfuz è uno dei protagonisti del più grande pasticcio politico-criminal-finanziario del Novecento, lo scandalo della banca Bcci, e ora si dice sia uno degli alleati di Osama. Giunto in Texas nel 1973, Salem stringe rapporti con George Bush padre: questi rapporti sono il lasciapassare per fare soldi in America. In un intricato intreccio di affari, politica e servizi segreti: Bush senior è fin dai primi anni Sessanta uomo della Cia, di cui diventa direttore nel 1976; poi nel 1981 passa da Langley alla Casa bianca, prima come vice di Ronald Reagan e poi come presidente degli Stati Uniti. Per gli affari, Bush senior indirizza gli amici dal figlio, George W. (lo ha raccontato bene Riccardo Romani, su Diario del 22 settembre 2000). Gli amici di papà mettono i soldi, e Bush jr li spende, per lo più in affari che vanno male. Socio di Bush jr nella Arbusto è il compagno di college e amico James Bath, informatore della Cia e uomo d’affari in ottimi rapporti con gli arabi Salem bin Laden e Khaled bin Mahfuz. È la Cia a far sopravvivere le piccole compagnie aeree di Bath, facendole lavorare per la Air America, società di copertura dell’Agenzia. Ed è Bath a far arrivare nella Arbusto Energy i soldi dei due sauditi. La società cambia più volte nome, diventa Bush Exploration Oil e infine Harken Energy, ma gli affari non vanno bene e per un paio di volte si sfiora addirittura il fallimento. La società però alla fine è sempre salvata dagli amici della politica di Washington o da quelli degli affari di Riad. La Harken, per esempio, che non aveva mai estratto una goccia di petrolio in mare, scalza a sorpresa ben più esperti concorrenti e riceve una commessa miliardaria dal governo del Bahrein, per l’estrazione da piattaforme off-shore. Ma il bello di questa avventura imprenditoriale arriva quando esplode lo scandalo Bcci: viene alla luce il gioco sporco in cui erano coinvolti sia James Bath, sia Khaled bin Mahfuz. La banca, si scopre, era la più grande lavanderia del mondo per i soldi sporchi del traffico di droga e di armi, ma serviva a coprire anche la operazioni della Cia nell’Iran di Komeini e nell’Iraq di Saddam, a finanziare i Contras antisandinisti in Nicaragua e i mujahidin antisovietici in Afghanistan.

Allevare i carnefici.
Il gioco pericoloso tra buoni e cattivi sembra essere continuato anche nella guerra segreta tra terroristi islamici e occidente. Alcuni dei dirottatori degli attacchi dell’11 settembre erano ex allievi di scuole militari americane, due in Texas, una in Florida, una in Alabama. L’Fbi sta controllando che non si tratti di omonimia o di scambio di nomi. Ma certo non è omonimia quella di Ali Mohamed detto Jeff, istruttore dei terroristi di Osama bin Laden, reo confesso degli attentati contro le ambasciate americane in Africa, che prima è stato ex sergente dell’Esercito degli Stati Uniti. È stato ripetuto fino alla noia che lo stesso Osama, del resto, fu armato e usato dalla Cia, in Afghanistan, per indebolire e sconfiggere i sovietici. Gli Usa hanno di fatto allevato i loro (i nostri) carnefici. Speculare sulla morte. L’opacità del sistema finanziario internazionale, secondo cui i soldi non devono avere odore, permette anche ai “cattivi” di espandersi e arricchirsi. così le reti di Osama si sviluppano dentro gli stessi canali che sono le radici del “Diavolo” occidentale.

E così qualcuno che sapeva dell’attacco
ha potuto speculare sui titoli di Borsa nei giorni precedenti l’11 settembre, portando a casa plusvalenze miliardarie: è l’ipotesi su cui sta indagando l’Fbi insieme alla Sec (la Security Exchange Commission, l’organismo di controllo della Borsa americana). Effettivamente alcuni titoli hanno subìto dei crolli nelle Borse occidentali, proprio nei giorni immediatamente precedenti l’attacco a New York e Washington. Particolarmente impressionanti le cadute azionarie delle compagnie leader della riassicurazione, le europee Munich Re, Axa e Swiss Re. Il titolo Munich, per esempio, in tre giorni, dal 4 al 7 settembre, era passato da 309,01 a 269,97 euro, con un calo di quasi il 13 per cento. L’ipotesi di lavoro è che qualcuno abbia deciso di vendere allo scoperto: vendo oggi, al prezzo di oggi o leggermente inferiore, titoli che non ho e che pagherò solo tra alcuni giorni, al prezzo che ci sarà allora. È una scommessa sul calo dei giorni successivi. Per chi sapeva dell’attentato, la scommessa era facile: sapeva che i mercati avrebbero reagito con un crollo, particolarmente sensibile nel settore dei titoli assicurativi, che sarebbero stati penalizzati dai premi che le compagnie avrebbero dovuto pagare per le distruzioni e le migliaia di morti.

Voglia di complotto.
Una guerra è anche propaganda e disinformazione. così hanno cominciato a circolare, nel mondo islamico ma anche in Occidente, le più pittoresche teorie del complotto. È stata la Cia, è stato il Mossad, sono stati i cinesi, o i russi... In alcuni ambienti islamici si è diffusa la notizia che non vi è alcun ebreo tra le vittime di New York e questa sarebbe la prova che l’attentato sarebbe stato organizzato da Israele. La notizia è falsa: sono invece centinaia. Ma alcuni commentatori del mondo arabo insistono sui complotti. Prima tesi: è stata la Cia. Scrive per esempio Samir Atallah, commentatore del quotidiano arabo stampato a Londra Al-Sharq Al-Awsat: “Io ho un sotterraneo sospetto che Bush sia coinvolto nell’operazione dell’11 settembre, come Colin Powell. Bush vinse le elezioni con una minuscola maggioranza che non avrebbe vinto nel Consiglio di una piccola cittadina nel sud dell’Egitto. È un uomo che non sa neppure il nome del presidente del Pakistan. Ma dopo l’11 settembre Bush è l’unico presidente americano dai tempi di Roosvelt ad avere dietro di sé entrambi i partiti degli Stati Uniti. E Colin Powell ha il destino di essere colui che ha dichiarato guerra con entrambi i George Bush, il vecchio e il giovane”.
Seconda tesi: è stato Israele. Lo scrive, tra gli altri, Ahmad Al-Muslih sul giornale giordano Al-Dustour: “Il risultato delle operazioni suicide in New York è, secondo la mia opinione, spingere il popolo americano, il presidente Bush e la Nato a sottomettersi ancora di più all’ideologia sionista ebraica”. E il commentatore giordano Rakan Al-Majali, sempre su Al-Dustour: “è chiaro che è solo Israele a beneficiare grandemente della sanguinaria e disgustosa operazione di terrore. Chi mai negli Stati Uniti o fuori avrebbe il coraggio di accusare gli ebrei, dato che qualunque attacco contro di essi sarebbe un nuovo Olocausto?”.
Terza tesi: sono stati i nazisti americani, o i giapponesi, o i cinesi, o i russi, o i no-global. Scrive Nur Al-Din Sat’e sul giornale libanese Al-Safir: “Forse gli organizzatori dell’attacco appartengono alle locali milizie americane”. Scrive il commentatore siriano Hassan M. Yussef su Tishrin: “C’è la possibilità che questo sia un atto di antico castigo. La tragedia di Hiroshima e Nagasaki è risorta sessant’anni più tardi?”. Scrive Abd Al-Jabbar Adwan su Al-Sharq Al-Awsat: “I benefici per la Russia e la Cina di questo terrore diventeranno noti solo fra chissà quanto tempo”. Scrive il giornalista britannico Patrick Seale sul quotidiano stampato a Londra Al Hayat: “In giro per il mondo c’è un movimento in sviluppo di attivisti contro la globalizzazione e ci sono anche terroristi ecologici i quali ritengono che le politiche statunitensi stiano mettendo in pericolo il futuro della Terra”.

L’odore dei soldi.
Per battere i terroristi, bisogna prosciugare i loro conti. Ora lo dice Bush, ma lo sa bene, e non da ora, anche Bernard Bertossa, il procuratore generale di Ginevra che conosce bene i meccanismi del riciclaggio internazionale del denaro sporco (ha condotto, tra l’altro, l’indagine sul Russiagate). Intervistato da Radio France Info su come combattere i flussi finanziari che alimentano il terrorismo, Bertossa ha risposto di essere pessimista: “Stento a vedere il signor Berlusconi o la famiglia reale dell’Arabia Saudita trasformarsi di colpo in nemici del denaro sporco. Lei capisce che cosa voglio dire. Se oggi un giudice francese o svizzero cerca di sapere se bin Laden è titolare di un conto in una banca di Riad, non avrà risposta. Su questo piano resto piuttosto pessimista. Non vedo come la comunità internazionale potrebbe privarsi di petrolio per costringere i Paesi del Golfo ad aprire i loro conti bancari”.
Bisognerebbe proseguire il ragionamento anche sull’altro nome fatto, come esempio, da Bertossa: se un giudice italiano o spagnolo volesse cercare di capire chi si muove dietro l’intreccio di una complicata serie di società off-shore, non troverà grande aiuto dal governo italiano, che sta anzi varando norme per rendere ancora più difficile risalire ai reali operatori, dunque più difficile anche la caccia al denaro sporco. Le nuove norme in discussione in Parlamento sul falso in bilancio rendono le società meno controllabili, meno trasparenti. Tutte le società: anche quelle fatte con soldi mafiosi, anche quelle in cui scorrono i soldi dei terroristi. Le nuove norme sulle rogatorie internazionali, anch’esse in discussione in Parlamento, rendono praticamente impossibile usare nei processi italiani informazioni che provengono dall’estero. In tutti i processi: non solo quelli che coinvolgono il signor Berlusconi e i suoi amici, ma anche quelli relativi a trafficanti di droga internazionali, o terroristi di bin Laden. Èl’ennesimo conflitto d’interessi di Berlusconi: per salvare se stesso, rende più difficile la lotta alla mafia e al terrorismo. Adesso, sotto la pressione delle richieste americane ed europee, dovrà arrabattarsi per trovare una soluzione: potrebbe essere una doppia velocità, leggi morbide per sé, più dure per i terroristi. Ma la legge non doveva essere uguale per tutti?

Italia controcorrente.
I Paesi europei, sotto la pressione americana, varano il mandato di cattura europeo, che permette di arrestare in qualsiasi Paese del continente un terrorista ricercato. L’Italia intanto lavora in direzione esattamente opposta: le nuove norme sulle rogatorie, una volta definitive, renderebbero più difficile la collaborazione tra le magistrature dei diversi Paesi e potrebbero addirittura azzerare anche gran parte dei processi in corso istruiti con rogatorie: perché molti scambi di atti sono avvenuti via fax o con contatti diretti tra i giudici, quindi secondo le nuove regole non sono validi. Il procuratore generale della Repubblica a Milano, Francesco Saverio Borrelli, il 21 settembre si è recato al Quirinale. Nessuna indiscrezione è trapelata sul suo incontro con il capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, ma sembra che l’argomento trattato sia stato proprio le riforme che stanno togliendo strumenti di lavoro ai magistrati, dal falso in bilancio alle rogatorie. Il successore di Borrelli, il procuratore della Repubblica Gerardo D’Ambrosio, benchÈ messo sotto inchiesta disciplinare dal ministro della Giustizia Roberto Castelli, il giorno dopo quell’incontro al Quirinale ha dichiarato: “Non posso tacere: io servo lo Stato e in gioco c’è l’interesse di tutti. Soprattutto oggi, con l’emergenza terrorismo, non è possibile mettere a rischio la collaborazione internazionale per tutelare interessi particolari. Allora dico che per il bene del Paese sarebbe meglio decidere che durante l’espletamento del mandato parlamentare i procedimenti relativi a parlamentari siano sospesi”.

Intanto Berlusconi.
Certo che la nuova situazione porta a Berlusconi, da una parte, nuovi rischi e nuove difficoltà, ma dall’altra qualche problema glielo risolve. Se non manterrà le promesse elettorali (pensioni più alte, meno tasse per tutti...), la colpa sarà della guerra, della crisi. La finanziaria potrà essere una finanziaria di guerra, molti soldi saranno dati ai militari e ai servizi segreti: in passato hanno dimostrato di spenderli assai male, ma questa volta sarà pressocchÈ impossibile controllarlo, perché tutti i servizi (e perfino la protezione civile) saranno centralizzati sotto il controllo diretto della presidenza del Consiglio. E mentre tutte le attenzioni sono concentrate sul terrorismo, in Italia passano cose indegne: come la relazione di maggioranza sul G8 di Genova, che dice che non è successo niente (ma allora perché il governo ha già cacciato tre superpoliziotti?). E potrà essere tolta la scorta ai magistrati a rischio, come Ilda Boccassini a Milano e magari anche Salvatore Boemi a Reggio Calabria, mentre resta ai politici che vivono la nuova dolce vita romana, tra cene, feste e discoteche.

Né con Bush, né con Osama?
In molte parti del mondo, dopo l’attacco a New York e Washington, si è ripresentato in forze l’antiamericanismo, quel riflesso condizionato anti-Usa che scatta anche in molti ambienti della sinistra italiana (e, in verità, non solo della sinistra): per storia, per tradizione culturale, oltre che per i ciclopici errori commessi nel mondo dagli Stati Uniti dal dopoguerra a oggi. Qualcuno dice apertamente: “né con Bush, né con Osama”. Ma non è possibile restare neutrali, come non era possibile essere “né con lo Stato, né con le Br”. Bush non ci piace, come non ci piaceva ieri lo Stato assaltato dalle Br e come non ci piace oggi lo Stato attaccato dalla mafia. Ma ci piace la democrazia, che è una cosa difficile, sempre imperfetta e sempre perfettibile, ed è una e indivisibile: ci sono momenti in cui neutralità significa, semplicemente, lasciare spazio ai nemici della democrazia. E oggi è necessario, per difendere la democrazia, stare con gli Stati Uniti, come è stato necessario difendere lo Stato dalle Br, come ancora è necessario difenderlo dalla mafia. Stare con gli Stati Uniti, questa volta aggrediti e non aggressori, non significa stare con Bush, ma difendere la nostra democrazia: sarà imperfetta e contraddittoria, ma è l’unica che abbiamo. Questo non significa, naturalmente, che tutti i mezzi siano buoni soltanto perché “buono”è il fronte in cui si è scelto di stare: non era accettabile la tortura contro i brigatisti, come non sarebbe accettabile un’azione indiscriminata contro l’Islam o contro le popolazioni civili.

Memoria della “guerra non ortodossa”.
È vero che questa guerra è una guerra nuova. Ma non è vero che la prima guerra del terzo millennio è assolutamente incomparabile con i conflitti precedenti. L’Occidente ha già combattuto una guerra per alcuni aspetti simile a quella che ora ha iniziato: la “guerra non ortodossa” contro il comunismo. Certo, lo scenario era radicalmente diverso perché allora esisteva un nemico di tipo tradizionale, con un territorio e un esercito: l’Unione Sovietica. Ma poiché quel nemico aveva “quinte colonne” dentro i Paesi democratici, e il conflitto tradizionale era proibito dal pericolo atomico, la guerra è stata combattuta per decenni anche con metodi “non tradizionali”: di “guerra psicologica”, “controguerriglia”, “controterrore”, dicevano i suoi teorici. Ora che quella guerra è finita, potremmo serenamente imparare a evitare di ripeterne gli errori: l’ossessione anticomunista, le limitazioni e le sospensioni degli spazi democratici, l’utilizzo di personale sbagliato (i fascisti, la criminalità organizzata), gli “effetti collaterali” (gli assassinii e le stragi). E non solo perché tutto ciò è immorale, ma perché si è dimostrato controproducente: invece di sconfiggere più rapidamente il comunismo, lo ha nutrito, lo ha alimentato, ha fatto diventare comunisti milioni di persone che semplicemente volevano lavoro e democrazia, che erano indignati per i metodi antidemocratici, le manovre sotterranee, le illegalità di Stato, le uccisioni, le bombe nelle banche, sui treni, nelle stazioni. Riusciremo a non ripetere quella storia?

(da Diario, 28 settembre 2001)

vai su

 
 
 

Cerca nel sito o nel web


Sito Web

powered by FreeFind

 
 

 

Chi è il professor
Pio Filippani Ronconi

L’orientalista che scriveva
sul Corriere della sera
sospeso dal direttore
perché apparteneva
alle Waffen SS
è uno dei massimi teorici
della strategia
della tensione

Francesco Delfino
Condannato il generale Delfino dalla Cassazione, per il rapimento Soffiantini.
Ecco chi era il carabiniere che attraversò tutte
le storie oscure d’Italia, dalle stragi nere
al terrorismo rosso,
dai sequestri alla mafia

Campioni d’Italia

Flavio Briatore
Mafia, donne
e motori

Giancarlo Elia Valori
Le ombre del potere

Massimo De Carolis
Politica e tanti affari

Edgardo Sogno
Il golpista ha confessato,
i suoi sostenitori no

Dietro le quinte

Grande Fratello,
grande truffa

Una folla di giovani italiani si sta preparando
a partecipare alle selezioni per la seconda edizione.
Attenzione agli imbrogli

 
posta