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De Lutiis: la Cia non li spia

a cura di Gianni Barbacetto

Come e perché i più potenti e ricchi servizi segreti del mondo non sono riusciti a impedire il più plateale e drammatico degli attacchi. E come cambieranno ora i metodi dell’intelligence. Anche in Italia

La fine della guerra non ortodossa contro il comunismo
• Il nuovo nemico, uno Stato senza territorio
• Troppo Elint (electronic intelligence)
• Poco Humint (human intelligence)
• Gli integralisti islamici: prima usati e coccolati, poi abbandonati
• La Cia, apprendista stregone



Il più grande fallimento dell’ultimo decennio, che pure di fallimenti, nel campo dell’intelligence, ne ha visti tanti: la potenza e i soldi di Fbi, Cia, Nsa, Nro e delle altre agenzie di sicurezza Usa non sono riusciti né a prevedere né tanto meno a impedire l’attacco a Washington e New York dell’11 settembre. È stato colpito addirittura il Pentagono, sede delle Forze armate degli Stati Uniti. Assolutamente inutile anche Echelon, il Grande Fratello che spia il mondo. I servizi segreti della più grande potenza del mondo, vinta la guerra fredda contro il blocco sovietico, appaiono disarmati, inadeguati e impotenti di fronte ai nuovi nemici invisibili. Abilissime a condurre e vincere la «guerra non ortodossa» contro il comunismo, le barbe finte americane, con migliaia di uomini e milioni di dollari di budget, hanno mostrato di non sapere come condurre la nuova guerra, che forse era iniziata da tempo, ma l’11 settembre 2001 ha avuto la sua Sarajevo, la sua Pearl Harbor.

«La guerra fredda teneva in tensione
le strutture di intelligence americane, abituate a quel tipo di guerra. Ora, la caduta del Muro ha fatto perdere il senso della loro mission. E non sono state capaci di riconvertirsi per i nuovi compiti». A spiegarlo » Giuseppe De Lutiis, studioso d’intelligence, autore di una notissima storia dei servizi segreti italiani, per due legislature consulente della Commissione parlamentare sulle stragi. «C’è una seconda spiegazione possibile», aggiunge De Lutiis. «L’azione nei confronti delle aree interessate al nuovo terrorismo è frenata da altri interessi: alcuni Paesi arabi sono produttori di petrolio; e sono Paesi anticomunisti, che sono stati amici e alleati dell’Occidente nella lotta contro l’Impero del male sovietico. Qualche fonte ha sostenuto che alcuni dei dirottatori avevano il passaporto degli Emirati Arabi: ebbene, gli Emirati sono un Paese amico degli Usa». C’è, infine, una terza spiegazione possibile all’impotenza dei più potenti tra i servizi segreti del mondo: «La vecchia guerra fredda era spietata, ma aveva alla fine alcune regole. A Berlino, per dire, c’era un ponte dove i due blocchi si scambiavano le spie che ciascun fronte era riuscito a scoprire e arrestare. Ora la guerra non ha più regole, è senza scambio di prigionieri: è difficilissimo che la Cia riesca a infiltrare un agente tra i Talebani, anche perché tutti sanno che, una volta scoperto, questo sarebbe immediatamente ucciso».

Il passato, poi, non aiuta il presente: «I servizi occidentali», spiega De Lutiis, «hanno certamente utilizzato settori oltranzisti arabi nella lotta contro il comunismo, e poi li hanno abbandonati troppo frettolosamente. Le regole di queste guerre segrete vogliono che, dopo aver coinvolto persone e gruppi nella guerra non ortodossa, si continui a controllarli, anche dopo aver raggiunto i propri obiettivi. Non è bene fornire un know-how e poi lasciarlo incustodito. Gli americani invece hanno attuato un abbandono troppo rapido. Sono scesi dal taxi, dopo averlo pagato, come diceva Enrico Mattei dei partiti italiani. Ma così hanno lasciato senza controllo le forze che essi stessi avevano schierato in campo». Prosegue De Lutiis: «Mi ha colpito la vicenda delle grandi statue di Budda distrutte dai Talebani in Afghanistan: mi ha fatto pensare al figlio che fracassa il mobile bello del salotto di casa perché il padre non sta sufficientemente in famiglia. Ci vorrebbe forse uno psicanalista per spiegare questa reazione. Non penso tanto a Osama bin Laden e ai gruppi che hanno ormai un loro progetto senza possibilità di ritorno, ma alle élites politiche islamiche, sostenute in funzione anticomunista e poi abbandonate a se stesse».

Si è ripetuto lo scambio di fronti
avvenuto dopo la seconda guerra mondiale. Allora i sovietici, da alleati, sono diventati il nemico mortale e molti nazisti sono stati recuperati dall’Occidente per la battaglia contro il comunismo. Oggi il fondamentalismo islamico, prima fomentato dal fronte Usa, è diventato il nuovo nemico. «Ma per due volte gli Usa lo hanno sostenuto», ricorda De Lutiis. «Alla fine degli anni Cinquanta, quando hanno finanziato i Fratelli Musulmani per indebolire l’influenza nel mondo arabo del laico Nasser. E all’inizio degli anni Ottanta, quando hanno appoggiato i Talebani dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Gli americani fanno così la figura degli apprendisti stregoni: hanno evocato forze che si sono infine rivolte contro di loro».

IL GRANDE FRATELLO HA FALLITO


L’attacco riuscito agli Stati Uniti
, condotto con aerei di linea, ha dimostrato l’inutilità dello Scudo spaziale e l’inadeguatezza di Echelon. «Sono convinto», sostiene De Lutiis, «che un quinto della spesa programmata per lo Scudo spaziale sarebbe sufficiente da una parte ad aiutare qualche Paese come l’Afghanistan; dall’altra a costruire una rete d’infiltrazione negli ambienti dell’estremismo islamico. Certo, deve essere una rete di persone qualificate. Edgar Hoover, quando volle creare per l’Fbi una rete di informatori all’interno degli ambienti radical americani, scelse una schiera di studenti, li fece iscrivere all’università, li mandò nei campus, li fece laureare... Tanto che all’interno dell’Fbi quel gruppo era noto come The Hoover University. È un lavoro difficile, è un lavoro lungo. Ma non ci sono alternative. Oggi siamo già in ritardo, ma la strada da percorrere è questa».

Ed Echelon?
«È un eccezionale metodo di spionaggio, ma si dispiega al pieno delle sue possibilità soprattutto in due campi. Il primo è la valutazione di un evento dopo che questo è accaduto. Per esempio: Echelon è in grado di informare il governo degli Stati Uniti, in tempi brevissimi, sulle reazioni all’incidente del Cermis, rivelando tutte le comunicazioni nel mondo che contengono la parola àCermis”, da quelle del sindaco di Cavalese a quelle del presidente del Consiglio italiano, da quelle del maresciallo dei carabinieri a quelle dell’ufficiale di polizia tedesco. Il secondo campo in cui Echelon funziona benissimo è l’informazione sui piani delle aziende europee concorrenti di quelle americane: il 70, l’80 per cento dell’utilizzo di Echelon è nello spionaggio industriale e serve a far vincere le gare e gli appalti alle società americane. Per questo il Consiglio d’Europa è tornato a pronunciarsi contro Echelon. Al di fuori di questi due campi, il sistema è meno utile. Soprattutto difficile è il suo impiego per fini preventivi: la prima scrematura delle comunicazioni, infatti, è realizzata dai computer, facilmente aggirabili da chi è avvertito a comunicare con prudenza, usando perifrasi e parole comuni, che non cadono nei filtri automatici di Echelon».

I NUOVI NEMICI


Chi sono oggi i nuovi nemici da sottoporre al controllo dell’intelligence? La Cina ambisce a diventare una potenza planetaria. Ma, secondo De Lutiis, è oggi in una fase delicata, di transizione morbida dal comunismo al capitalismo. «Cerca di non esporsi, non le conviene bruciarsi subito in un gioco troppo pericoloso. Lavora sul medio periodo: vuole diventare una potenza alternativa agli Usa, ma per il 2010». La Russia? Certo molti a Mosca rimpiangono il ruolo imperiale dell’Unione Sovietica. «Ma il mondo cristiano ortodosso è storicamente antimusulmano e difficilmente si alleerebbe con gruppi islamici». La destra americana dei gruppi nazisti ha già dato prova di ferocia: nella strage di Oklahoma City. Non ha l’organizzazione per realizzare un attacco come quello dell’11 settembre, a meno di non aver potuto godere di aiuti e appoggi. Poi c’è l’estremismo islamico, che può contare su santuari in Paesi che lo sostengono o almeno lo tollerano, su una base umana disponibile anche al suicidio omicida, sul denaro che può provenire dal petrolio. E sono impenetrabili ai servizi.

Ora, dopo l’attacco a Manhattan e al Pentagono
, neppure le agenzie d’intelligence saranno più come prima. «Già naturalmente sono insofferenti alle regole che limitano la loro attività dentro i confini del codice penale. Adesso è prevedibile che riacquistino la spregiudicatezza che avevano un tempo. Coglieranno al volo l’occasione per chiedere (e ottenere) più soldi e più libertà d’azione. «Peccato», commenta De Lutiis, «perché negli ultimi vent’anni il mondo occidentale era riuscito a creare un sistema di controlli parlamentari e a imbrigliare le agenzie d’intelligence, se non proprio dentro il codice penale, almeno ai suoi limiti. Ora si tornerà agli anni Cinquanta e Sessanta». Dopo la strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972, il Mossad, uno dei servizi segreti d’Israele, formò una squadra speciale per raggiungere i responsabili e punirli. «La squadra lavorò per anni e alla fine li uccise tutti, anzi, ne uccise uno in più, un arabo che stava in Norvegia e aveva il torto di assomigliare a uno dei terroristi di Monaco. Mi auguro che l’attentato dell’11 settembre resti un fatto isolato, anche perché se dovesse essercene un altro in una qualsiasi parte del mondo, è prevedibile che cambino i comportamenti dei servizi: una serie di agenti americani cominceranno a girare il mondo con licenza d’uccidere». Ma lo stile Usa è diverso da quello israeliano. «Gli americani ci hanno abituato a reazioni muscolari immediate, piuttosto che a un lungo lavoro negli anni. Le reazioni, del resto, questa volta sono un problema: quale è proporzionata a un attacco come quello dell’11 settembre? Quale obiettivo è adeguato?».

CHE COSA CAMBIERA’ IN ITALIA


«Non poteva esserci prova più plateale della fragilità delle società avanzate», dice De Lutiis. «Ora » prevedibile che la nostra vita cambierà: si moltiplicheranno i controlli. L’aereo, per esempio, nella nostra vita stava diventando un normale sostituto del treno, da prendere senza troppi problemi. Ora questa evoluzione si potrebbe bloccare. Ci saranno più disagi per tutti». Cambieranno le cose anche in Italia. E cambierà anche lo stile di lavoro dei servizi segreti. «I comportamenti sono contagiosi. Se ci sarà un cambiamento di metodi delle agenzie americane, questo si allargherà anche ai servizi dei Paesi alleati e a quelli italiani. Sarà così perduto quel po’ di progresso raggiunto negli ultimi dieci anni, con il ritorno delle nostre agenzie dentro l’alveo istituzionale e dello Stato di diritto. È comunque necessario che i servizi di tutto l’Occidente studino il mondo islamico per distinguere la maggioranza dei cittadini musulmani che non condividono i metodi di lotta del terrorismo da quelle sacche estremiste che si sono create nell’ultimo decennio e che vanno tenute sotto controllo e drasticamente isolate».


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Giorgio Boatti: non è terrorismo


Parlare con Giorgio Boatti, giornalista e saggista esperto di intelligence, non è per niente tranquillizzante. «C’è stata una nuova Sarajevo, una nuova Pearl Harbor», dice senza battere ciglio. «L’11 settembre è iniziata la terza guerra mondiale. Ma senza che gli schieramenti in gioco siano visibili. Abbiamo visto la punta della spada, ma non le mani che la impugnano. Comunque, considerare l’attacco a Washington e New York una vendetta terroristica è una diagnosi inadeguata, anzi rassicurante, che non ha il coraggio di guardare in faccia l’orrore: questo è stato invece un atto di guerra. Il presidente degli Stati Uniti in volo per ore sull’Air Force One: è una scenario da terza guerra mondiale. Significa che nessun luogo a terra era considerato abbastanza sicuro. Che il governo degli Stati Uniti per alcune ore non ha avuto un luogo dove riunirsi».

Boatti adombra uno scenario
ancora più inquietante: «Significa forse anche che ci sono stati messaggi, comunicazioni, minacce, richieste di contropartite per fermare l’attacco in corso? Questo non lo sappiamo. Ma è certo che un atto di guerra come questo non trasforma solo lo skyline di Manhattan, cambia il mondo, riplasma il paesaggio in cui viviamo: da oggi cambiano i nostri diritti, diminuisce la possibilità di viaggiare, aumentano i controlli...».

Le reazioni non possono che essere inadeguate
, perché il nemico è invisibile. Questa volta non ci sono schieramenti chiari, nemici definiti, come dopo Sarajevo, come dopo Pearl Harbor. «Che cosa possono fare gli Stati Uniti, possono reagire all’attacco di New York bombardando la sabbia dei deserti dell’Iraq? Ma io non sarei tranquillizzato da una spiegazione che dice: sono stati terroristi arabi. Per compiere un’azione di guerra come quella dell’11 settembre è necessaria un’organizzazione molto simile a un potere statuale. Certo, un potere statuale di tipo nuovo, uno Stato senza territorio». Invisibile. Imprendibile.

(da Diario, 14 settembre 2001)

 

Il programma dei gruppi di Osama bin Laden in Europa
31 dicembre 2000: attacco alla cattedrale di Strasburgo
Gennaio 2001: attacco all’ambasciata Usa di Roma
Febbraio 2001: attacco con il gas Sarin al Parlamento europeo

Italia, la guerra in casa

di Gianni Barbacetto e Linda Marzocchini

La Spectre ha cominciato il suo attacco. Sue cellule sono state scoperte anche in Italia, a Milano e Napoli. Stavano preparando, nel gennaio 2001, l’attentato all’ambasciata americana a Roma



Osama bin Laden e la sua Spectre hanno anche cellule in Italia. Il 3 aprile 2001 sono state arrestate otto persone a Milano: secondo l’Fbi, la Digos e il sostituto procuratore Stefano Dambruoso sono collegate al gruppo che nel gennaio 2001 stava preparando un attentato all’ambasciata degli Stati Uniti a Roma, chiusa dopo un allarme della Cia. A Napoli gli arrestati sono 16, con l’accusa di far parte dell’organizzazione terroristica Takfir Wal Hidijra (“Esilio e Anatema”), che secondo il magistrato Franco Roberti è stata “letteralmente adottata» dallo sceicco Bin Laden. La guerra è iniziata, ma non sarà una guerra convenzionale. Da una parte c’è uno schieramento visibile, con territorio ben definito e forze armate in divisa: gli Stati Uniti d’America e gli alleati della Nato. Dall’altra c’è un nemico senza territorio e, apparentemente, senza esercito: una Spectre. Con mezzi finanziari ingenti, strutture ben consolidate, organizzazioni dislocate nei Paesi islamici, interi apparati statuali di Paesi amici a disposizione, e centinaia di gruppi segreti che agiscono dentro il corpo del nemico, in Europa e America. Un vero e proprio Stato, con le sue Finanze, la sua diplomazia, le sue Forze armate, la sua intelligence; ma senza territorio. Osama bin Laden è considerato il leader di questa organizzazione, ma più probabilmente è soltanto il volto più conosciuto di un network di uomini che hanno dichiarato guerra all’Occidente e che potrebbero aver stretto qualche alleanza anche con apparati, organizzazioni e Paesi non islamici.

Questa Spectre
ha gruppi anche in Italia. Lo sostiene un rapporto della Digos di Milano stilato nella primavera del 2001, che racconta (sulla base di indagini proprie, ma anche di informazioni dell’Fbi e delle polizie europee) la rete delle organizzazioni estremiste islamiche in tutta Europa, le cellule integraliste in Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Belgio. Dopo quel rapporto, nell’aprile scorso a Milano sono stati arrestati alcuni esponenti islamici, tra cui Essid Sami Ben Khemais, oggi nel carcere di Asti. Viveva da vent’anni in provincia di Milano e aveva acquisito la cittadinanza italiana anche lo strano turista, egiziano di nascita, fermato in Canada prima dell’estate scorsa mentre tentava di passare negli Stati Uniti con due mappe di New York in cui erano evidenziate le Torri Gemelle. A Roma è avvenuto, sei mesi fa, un misterioso furto di divise da pilota e di carte elettroniche American Aerlines per l’accesso agli aeroporti di tutto il mondo. Alla fine del 1999 negli Stati Uniti era stato arrestato un algerino entrato nel Paese con un’auto carica di esplosivo: aveva base a Napoli ed era legato all’Imam di quella città italiana. A Napoli, dove si è appena conclusa un’indagine sull’estremismo islamico, con 22 indagati e 16 arrestati.

LA SVOLTA DEL 2000


I gruppi islamici fondamentalisti
sono da molti anni presenti in Italia. Nel 1995 fu scopertoa a Milano un’organizzazione che aveva base nell’Istituto Culturale Islamico di viale Jenner e che faceva parte dell’organizzazione terroristica egiziana Al Jamaa Al Islamjia. L’anno successivo l’inchiesta “Al Shabka» scoprà, sempre a Milano, un gruppo del Gia algerino (Gruppo Islamico Armato). Ma con la fine degli anni Novanta, sostiene il rapporto della Digos, i gruppi islamici si riorganizzano: perché le indagini in vari Paesi europei avevano scompaginato le reti terroristiche islamiche; ma anche perché avviene il “ridispiegamento in Europa di centinaia di mujahidin impegnati per anni nel conflitto bosniaco e in Cecenia». Con l’ingresso nel nuovo millennio, il “reducismo militante» islamico si riversa nei Paesi dell’Occidente ed è galvanizzato da Osama bin Laden e dalle nuove proposte del suo “Fronte Islamico Internazionale contro Ebrei e i Crociati».

Le strutture di polizia
si attivano. Il 1 febbraio 2001 a Milano si incontrano, per una riunione operativa, i rappresentanti della polizia italiana insieme a quelli dell’Fbi e delle polizie tedesca e francese. L’8 marzo a Meckenheim, in Germania, si incontrano magistrati e poliziotti italiani, tedeschi, francesi e inglesi. Subito dopo l’attacco dell’11 settembre a Naw York e Washington, scende in campo anche Pro-Eurojust, la struttura che deve promuovere il coordinamento delle indagini e lo sviluppo di una futura procura continentale europea, e che ha come rappresentante per l’Italia Gian Carlo Caselli. Pro-Eurojust stila un elenco dei magistrati che in Italia si stanno occupando di terrorismo islamico. Tra questi, Stefano Dambruoso a Milano, Giuseppe Bettarino a Busto Arsizio e il pool antiterrorismo di Napoli coordinato dai procuratori aggiunti Roberto D’Ajello e Franco Roberti.

PREDICAZIONE E COMBATTIMENTO


Il 3 aprile 2001 scattano
le richieste d’arresto per otto persone: secondo la Digos di Milano e il sostituto procuratore Dambruoso sono membri della cellula italiana di Osama bin Laden; secondo l’Fbi sono legati a un’organizzazione algerina, il Gruppo Salafita di Predicazione e Combattimento dell’emiro Hassan Hattab, che stava preparando un attentato all’ambasciata degli Stati Uniti a Roma, chiusa infatti nel gennaio 2001 dopo un allarme della Cia. Il gruppo italiano aveva come copertura una cooperativa di servizi, la Work service srl di Jammali Imed, con sede a Casciago, nei pressi di Varese. La Digos l’aveva perquisita il 18 luglio 2000 e vi aveva sequestrato molto materiale: volantini del Gruppo Salafita di Predicazione e Combattimento; una quarantina di videocassette sulle guerre in Afghanistan, in Bosnia, in Cecenia; documenti e appunti, tra cui tre numeri di telefono satellitari e un numero di conto corrente presso la Banca Commerciale di Busto Arsizio. Il 6 dicembre successivo era stato poi perquisito un appartamento di Milano, in via Bligny 42, a disposizione della cellula islamica.

Il 3 aprile 2001 scattano
gli arresti. Le intercettazioni ambientali avevano dimostrato che gli uomini del gruppo avevano rapporti strettissimi con le cellule tedesca, inglese, spagnola e che avevano una fortissima mobilità: giravano l’Europa e il mondo. Erano collegati con i gruppi che avevano progettato per il 31 dicembre 2000 un attentato alla cattedrale di Strasburgo, per il gennaio 2001 l’azione contro l’ambasciata Usa a Roma e per il febbraio 2001 un attacco con il gas Sarin al Parlamento europeo di Strasburgo. Scatta l’allarme. Le tre operazioni sono sventate. Cia, Fbi, Bka tedesca, Digos italiana e polizie francesi, inglesi e spagnole si attivano per arrestare i leader dei gruppi terrosristici: vengono fermati Abu Doha, capo del gruppo che opera a Londra, e Mohamed Besakhria detto Meliani, considerato il responsabile operativo della rete europea di Osama bin Laden, arrestato il 22 giugno scorso a Madrid. Il 3 aprile, a Milano, viene portato in carcere anche il capo del gruppo italiano. È un tunisino di 33 anni, che gli interlocutori spesso chiamano “sceicco”: è Essid Sami Ben Khemais, detto Saber, o Omar al Mahajir (“Omar il Viaggiatore”). Intercettato dice: “Le armi non servono qui, qui bisogna costruire prima la fede. Devi costruirti la fede, la religione, e dopo puoi fare il samurai”.

L’Italia, dunque, è
principalmente un luogo di reclutamento, di studio e di preparazione. La preparazione, comunque, non è solo teorica e religiosa. Dice Saber: “A me piacerebbe imparare come si usa il medicinale e vedere che effetto fa quando viene respirato. Ma la formula ce l’ha il libico, un professore di chimica... perché hanno creato un modo di mischiare i fumi con l’esplosivo. È facile, ma io non so come si fa...». Le videocassette sequestrate servivano per un primo addestramento militare. A uno del gruppo, Mohamed Kammoun detto Khaled, mentre visiona con altri una cassetta (forse di un’azione in Cecenia), viene chiesto: “C’eri anche tu?”. Khaled risponde: “Sà, ho girato diversi posti, non c’è una zona dove non sono stato. Quando è venuto l’ordine dell’emiro per quest’altra è stato molto bello perché abbiamo studiato la struttura e dopo con il plastic... booom! E subito dopo il palazzo è crollato... Poi polvere e poi è scoppiato un incendio. Cosà i nemici di Dio sono stati seppelliti e bruciati”. Il 3 febbraio 2001 Saber telefona a un certo Farid: “Tu domani vieni, e dopo vediamo. E facciamo una cosa, qualche disturbo. Mi raccomando, domani, puntuale. Sono giocattoli, e tu sai giocare: mi hai capito? È per questo, perché la cosa sarà piena, mi raccomando... i vostri telefoni: accendeteli appena siete svegli”. E Farid: “Non li spegnamo mai”.

ESILIO E ANATEMA A NAPOLI


A Napoli, intanto,
sui gruppi estremisti islamici sta lavorando il pool antiterrorismo composto dai magistrati Sergio Zeuli, Giuseppe Narducci, Federico Cafiero, Michele Del Prete, Alessandro Milita, Barbara Sargenti e Stefania Castaldi. Davanti alla settima sezione penale è in corso un processo con otto imputati, cittadini islamici ai quali viene contestata l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di armi e documenti falsi. Ma i 16 arresti e i 22 avvisi di fine indagine sono riferiti alla pista investigativa internazionale che porta all’organizzazione algerina Takfir Wal Hidijra (“Esilio e Anatema»). L’indagine è stata compiuta dai carabinieri del Ros (il Raggruppamento Operativo Speciale). Una dozzina degli indagati viveva perfettamente integrata a Napoli. Due degli arrestati (Aboud Maizi, in carcere a Poggioreale, e Fateh Moktari, recluso a Milano) sono stati indicati dall’antiterrorismo francese come i personaggi di spicco dell’estremismo islamico in Europa. Cinque loro compagni sono latitanti. Per tutti l’accusa è associazione con finalità di terrorismo ed eversione contro il regime democratico. Non sono direttamente accusati di un collegamento con Osama bin Laden, ma gli investigatori ritengono che siano stati finanziati dallo sceicco. Anzi, che la cellula napoletana del Takfir sia stata letteralmente “adottata”da Bin Laden. Sono soprattutto gli investigatori francesi e americani ad aver fornito elementi sulla struttura di “Esilio e Anatema”, che sarebbe in costante collegamento con il gruppo di Marsiglia di Bin Laden.

Il magistrato
Franco Roberti, in passato alla Procura nazionale antimafia e oggi procuratore aggiunto di Napoli delegato da Cordova al coordinamento della sezione antiterrorismo, ha firmato una relazione sulla cellula islamica che è confluita in un dossier riservato della Commissione stragi. Napoli è considerata logisticamente importante per l’organizzazione: per la sua posizione strategica nel Mediterraneo e per la presenza di una vasta comunità algerina in cui è possibile mimetizzarsi, ma anche attingere affiliati. I compiti della cellula napoletana erano prevalentemente logistici: non tanto compiere attentati in Italia, quanto organizzare i gruppi, raccogliere fondi, accogliere nuovi membri, offrire una base di appoggio e riparo a chi arrivava dall’Algeria o da altri Paesi europei. Per questo a Napoli (come anche a Milano) funzionava una struttura in grado di fornire documenti di identità rubati o falsi di varie nazionalità. La memoria corre a un episodio di cronaca che fece scalpore, nel 1996: negli uffici dell’anagrafe del Comune di Napoli furono rubate 60 mila carte d’identità in bianco. Non esistono prove certe che il furto sia stato compiuto dagli islamici, ma è sicuro che ogni tanto una di queste carte di identità spunta in qualche parte d’Europa all’interno degli stessi ambienti. (Nel 2000 sono stati compiuti in Italia circa 200 furti ai danni degli uffici anagrafe di vari Comuni. L’obiettivo è sempre lo stesso: carte di identità in bianco). Intanto la Procura di Santa Maria Capua Vetere, guidata da Mariano Maffei, ha avviato un’indagine bis, affidata al procuratore aggiunto Paolo Albano: è un’indagine conoscitiva su una cellula eversiva operante in provincia di Caserta e sospettata di contatti con gli integralisti islamici.

Intanto Ali Abu Shwaima, presidente del Centro Islamico di Milano, ha commentato l’attacco agli Stati Uniti. Il Centro Islamico “condanna organizzatori ed esecutori di questi sconvolgenti attentati contro l’umanità. L’Islam è una religione di pace e proibisce qualsiasi atto criminale. Iddio dice nel sublime Corano: “Chiunque uccida un uomo, è come se uccidesse tutta l’umanità, mentre chi salva la vita a un uomo è come se salvasse la vita a tutta l’umanità”.

(da diario, 21 settembre 2001)
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