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Cuori neri o cuori di Stato?

La presenza dei fascisti dentro l'Onda ripropone la questione già emersa nel Sessantotto: ribellione di destra o provocazione? Storie di infiltrati e provocatori eccellenti: da Mario Merlino a Guido Paglia

di Gianni Barbacetto

Cuori neri dentro l'Onda? Il movimento degli studenti contro la riforma Gelmini ha fatto riemengere la questione della presenza dei fascisti dentro i movimenti di lotta e, di riflesso, dentro il prototipo di tutti i movimenti, quello del Sessantotto. Il Secolo d'Italia , quotidiano di An, ha aperto le danze rivendicando un posto dentro l'Onda anche per gli studenti di destra: «Non demonizziamo gli studenti e non regaliamoli a Veltroni», ha scritto Luciano Lanna. «C'è chi demonizza i ragazzi, si rinchiude a riccio davanti alle loro aspettative. Come i benpensanti e i superficiali fecero alla vigilia del Sessantotto, spingendo a sinistra tutta una generazione». Si ripropone così oggi, pur in maniera più ovattata, la frattura interna alla destra tra chi sosteneva, già negli anni Sessanta, che bisognava stare dentro il movimento e cavalcare la protesta giovanile; e chi invece chiedeva legge e ordine e invocava la repressione.

Nelle scuole e nelle università ci sono oggi gruppi di giovani, vicini ad An, che hanno manifestato contro la riforma Gelmini insieme agli altri studenti. E anche i gruppi fascisti a destra di An hanno rivendicato una loro presenza dentro il nuovo movimento. Blocco studentesco e Lotta studentesca (costola di Forza nuova) sostengono di voler creare un fronte comune anti-Gelmini insieme agli studenti di sinistra. Poi sono arrivati i bastoni di Blocco studentesco in piazza Navona, le cinghie dei neri contro gli studenti trasmesse da Chi l'ha visto e il conseguente assalto punitivo dei camerati di Casa Pound e Forza nuova alla Rai di via Teulada. E il quadro si è offuscato: da che parte stanno i gruppi di destra? A che cosa puntano? Sostengono davvero il movimento oppure vogliono radicalizzare lo scontro per provocare la repressione? Domande già fatte a proposito del Sessantotto. Anzi: ciò che oggi è farsa (o quasi) allora era tragedia.

Foto di gruppo a Valle Giulia

Valle Giulia, il 1 marzo 1968, è considerata il primo atto del Sessantotto "militante": per la prima volta gli studenti romani reagiscono all'attacco della polizia e riescono a mettere in fuga i "celerini". C'è una fotografia degli scontri che mostra in prima fila i neofascisti. Vi sono riconoscibili Mario Merlino, Stefano Delle Chiaie, Guido Paglia, Adriano Tilgher, Maurizio Giorgi, Franco Papitto, Ugo Gaudenzi, Stefano Bettini, Roberto Palotto, Adriano Mulas, Tonino Fiore. Personaggi che hanno fatto la storia del neofascismo italiano, ma anche delle compromissioni con gli apparati dello Stato. Allora erano dentro il movimento giovanile del Msi. Vengono allontanati poco dopo. La rottura avviene il 16 marzo, quando Giorgio Almirante e Giulio Caradonna guidano l'assalto fascista alla Sapienza per liberarla dagli occupanti, dando il segnale che il Msi stava dalla parte dell'ordine e non degli studenti "contestori". Agli sconti di Valle Giulia, racconta in seguito Nico Azzi, partecipa anche Annamaria, la fidanzata napoletana di Delfo Zorzi, «abile nell'uso della fionda». Dettagli. Ma interessanti perché Zorzi è il camerata processato (e poi assolto) per la bomba di piazza Fontana. E Azzi è il neofascista che, copia di Lotta continua in tasca, il 7 aprile 1973 viene ferito nella toilette del treno Torino-Roma dall'innesco della bomba che stava preparando. Un sanbabilino dal cuore nero, Azzi. Ma oggi sappiamo (lo rivela Il sangue e la celtica di Nicola Rao, Sperling & Kupfer) che alle riunioni in cui è stata organizzata quella che avrebbe dovuto essere una strage nera da addebitare ai rossi era presente un uomo dello Stato: il capitano del Sid Antonio La Bruna.

La battaglia di Valle Giulia è rimasta nella memoria collettiva come uno spartiacque. Meno nota è invece la storia di una piccola Valle Giulia milanese: il 7 giugno 1968 un corteo del Movimento studentesco va a protestare davanti alla sede del Corriere della sera . Tomaso Staiti di Cuddia, nel suo libro Confessione di un fazioso (Mursia), racconta che quel giorno nel corteo c'era anche lui, con un manipolo di fascisti: «Dato che gli extraparlamentari di sinistra mancavano d'iniziativa, avevamo iniziato a spostare e incendiare le macchine parcheggiate in via Statuto. L'esempio fu contagioso... La guerriglia durò fino a notte, i bagliori delle fiamme l'avrebbero rischiarata e i lacrimogeni l'avrebbero avvelenata: avevamo raggiunto il nostro scopo».

Qual era «il nostro scopo»? I protagonisti rispondono: radicalizzare la lotta contro il "sistema", anche al fianco dei "rossi", ai quali volevamo semmai strappare   l'egemonia sul movimento. Oppure l'obiettivo era quello di accrescere il disordine e la violenza, richiamando infine la repressione? È l'eterna, irrisolta domanda che resta aperta a proposito della destra radicale: cuori neri, soggettività rivoluzionarie, identificazione con i movimenti (e contrasti durissimi invece con la destra d'ordine e di governo); oppure presenza come provocatori dentro i movimenti?

I cuori neri esistono. Uno di essi, Vincenzo Vinciguerra, ha rivendicato l'attentato di Peteano contro i carabinieri e ha scelto "l'ergastolo per la libertà", pur di affermare la propria identità nazional-rivoluzion aria contro le compromissioni con gli apparati dello Stato di tanti suoi camerati. Ha voluto autodenunciarsi, per affermare che il suo gesto era stato l'atto di un "soldato politico" in guerra contro quello Stato «i cui rappresentanti non meritano rispetto da vivi, né pietà da morti». Ma sono davvero cuori neri, puri rivoluzionari, quelli che stavano a Valle Giulia?

Mario Merlino è l'infiltrato più noto della storia italiana. Entra nel gruppo anarchico Bakunin di via Baccina 35 a Roma e nell'autunno 1969 guida la scissione che lo porta a fondare, insieme a Pietro Valpreda, il circolo 22 Marzo, dove gli apparati dello Stato vanno subito a colpo sicuro a cercare il colpevole designato per la strage di piazza Fontana.

Stefano Delle Chiaie, detto "er Caccola", è il fondatore di Avanguardia nazionale, è stato indagato per la strage di Piazza Fontana e poi per quella di Bologna. Sempre prosciolto: le indagini, tra oscurità e depistaggi, non sono mai riuscite a provare la sua responsabilità personale negli attentati. Ma hanno constatato la presenza di Avanguardia nazionale in tutte le manovre eversive dagli anni Sessanta in poi. Lo conferma anche un testimone d'eccezione, Paolo Emilio Taviani, più volte ministro democristiano dell'Interno dal 1962 al 1974. Taviani dichiara ai magistrati che Umberto Federico D'Amato, poliziotto e gourmet, responsabile dell'Ufficio affari riservati del ministero dell'Interno, gli faceva periodiche relazioni sui rapporti che intratteneva con i neofascisti: «Il D'Amato, oralmente, ebbe a relazionarmi più volte in ordine a rapporti diretti con elementi della destra estrema per fini difensivi».

Chissà quali erano, i «fini difensivi». Certo è che D'Amato a Taviani faceva anche relazioni scritte sui due gruppi neofascisti dell'epoca: Avanguardia nazionale di Delle Chiaie e Ordine nuovo di Pino Rauti. Rauti - secondo i magistrati di Bologna - era un "agente Z" del Sid, cioè un agente sotto copertura del servizio segreto militare (come Guido Giannettini, coinvolto nelle indagini su piazza Fontana). Delle Chiaie riferiva invece al servizio civile, cioè agli Affari riservati di D'Amato. Sono giunte - scrivono i magistrati di Venezia ­- «plurime deposizioni di segno convergente e pertinenti ai rapporti, diretti o indiretti, coltivati dal dirigente dell'ufficio Affari riservati Umberto Federico D'Amato con l'estremista di destra Stefano Delle Chiaie, dirigente della struttura Avanguardia nazionale, dotata di un livello clandestino. Da tali atti poteva evincersi che il D'Amato medesimo avesse organizzato l'attività eversiva del Delle Chiaie distraendo, a favore della struttura di Avanguardia nazionale, parte dei fondi assegnati al suo ufficio».

Delle Chiaie, dunque, era una fonte di D'Amato, che ne finanziava e organizzava l'attività eversiva. Un alto funzionario del ministero dell'Interno lo ha confermato ai giudici di Venezia: «Delle Chiaie, anche se si diceva che era un violento, non è mai stato arrestato, anche se inquisito. Mi fu presentato nell'ufficio di D'Amato da quest'ultimo, che mi riferì che questi era un suo confidente nonché infiltrato nella struttura di Avanguardia nazionale». Infiltrato? Ma Delle Chiaie di Avanguardia era il fondatore e leader indiscusso...

Il terzo dei neri presenti a Valle Giulia, Guido Paglia, è invece il personaggio più enigmatico e con la storia meno nota. Oggi è un alto dirigente Rai in quota An, direttore della Comunicazione e delle Relazioni esterne, dopo essere stato vicedirettore e capo della redazione romana del Giornale di Berlusconi. Recentemento ha dichiarato: «Il Msi nel Sessantotto era il partito d'ordine, la quintessenza del perbenismo, l'anima reazionaria anticomunista. Noi giovani eravamo i romantici movimentisti, rivoluzionari. La Repubblica sociale era il nostro punto di riferimento». Ma prima di raccontare la sua storia, è utile tornare ai primi anni Sessanta.

Cavalcare la tigre

Nel 1961 Julius Evola pubblica un libro che nutre l'ala radicale del neofascismo italiano: Cavalcare la tigre . Vi scriveva: «Se si riesce a cavalcare una tigre, non solo si impedisce che essa ci si avventi addosso, ma non scendendo, mantenendo la presa, può darsi che, alla fine, di essa si abbia ragione». Nel 1965, le giovani promesse del neofascismo che a Evola si erano abbeverate vengono convocate al convegno sulla "guerra rivoluzionaria" organizzato dell'istituto di studi strategici Alberto Pollio (qui ho tolto una virgola che non c'entrava niente) e finanziato dagli ambienti militari e dell'intelligence. Tra le giovani promesse, Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino, ma all'hotel Parco dei principi di Roma sono presenti anche Guido Giannettini e Pino Rauti. Il convegno teorizza la "guerra non ortodossa", nuova fase della lotta anticomunista in Occidente.

È la declinazione italiana delle dottrine propugnate dall'Aginter Press, la centrale eversiva internazionale nata in ambiente atlantico e guidata da Yves Guerin Serac. Nel   documento La nostra azione , in seguito scoperto a Lisbona nella sede dell'Aginter Press, si teorizzano le "azioni di infiltrazione nei gruppi filocinesi" e le "azioni di propaganda" da attribuire agli avversari politici per aumentare il clima di instabilità e creare una situazione di caos. Inizia la stagione delle infiltrazioni a sinistra, delle "bombe anarchiche", delle stragi "rosse" a cui doveva seguire la restaurazione dell'ordine da parte dei militari sostenuti da gruppi di civili in armi.

Mario Merlino s'infiltra tra gli anarchici a Roma, Giovanni Ventura tra i filocinesi a Padova. Meno noto il primo caso conosciuto d'infiltrazione in Italia: avviene nell'ottobre 1967, quando Robert Leroy - francese, cattolico tradizionalista, ex Waffen Ss e infine braccio destro di Guerin Serac - partecipa a Torino alle riunioni del Fronte rivoluzionario clandestino, un gruppo filocinese che intende spingere i militanti di sinistra sul terreno dell'illegalità, come documentato dell'inchiesta del giudice di Milano Guido Salvini. Solo sette mesi prima, Leroy era stato presente al convegno di Nuovo Ordine Europeo che si tiene ad Abbiategrasso nel marzo 1967, a cui partecipano molti camerati italiani, tra cui Carlo Maria Maggi, che è stato poi processato (e anch'egli prosciolto) per la strage di piazza Fontana e oggi è imputato per la strage di Brescia. Leroy era in contatto operativo anche con Delle Chiaie e Merlino.

In quegli anni era in corso un'operazione che è considerata il primo atto della cosiddetta "strategia della tensione": l'operazione "manifesti cinesi", condotta da Delle Chiaie, secondo quanto lo stesso "Caccola" ammette a Vinciguerra. In molte città d'Italia vengono affissi manifesti inneggianti a Mao e con slogan contro il Pci. I manifesti erano stati fatti stampare e pagati dagli Affari riservati di Federico Umberto D'Amato, poi affidati a Mario Tedeschi, direttore del Borghese , che li aveva passati agli uomini di Delle Chiaie per l'affissione. Quante conferme, dei rapporti tra Delle Chiaie e D'Amato: ne parla anche Gaetano Orlando, coinvolto nel tentato golpe del 1970, che testimonia di avere partecipato a Madrid, intorno al 1975, a una riunione cui erano presenti, fra gli altri, Federico Umberto D'Amato, Guerin Serac e Stefano Delle Chiaie, allora latitante.

E quante azioni "rosse" fatte dai fascisti: un cuore nero, Paolo Pecoriello, racconta al giudice Salvini le sue attività "di sinistra": «È accaduto almeno quattro o cinque volte che io stesso, pur essendo un militante di destra, e anzi proprio per questo, abbia partecipato a manifestazioni, affisso manifesti o fatto scritte di sinistra. La prima volta accadde a Roma nel 1964 allorquando affissi dei manifesti di ispirazione marxista-leninista, un'altra volta accadde in Toscana per l'Epifania del 1966. Io e altri fascisti affiggemmo manifesti di ispirazione marxista-leninista che propugnavano la fuoriuscita a sinistra dal Partito comunista in occasione di un congresso di tale partito. Ricordo che alcuni fascisti furono fermati dalla polizia (a Livorno) mentre affiggevano questi manifesti e vennero immediatamente rilasciati. Un'altra volta, allorquando mi trovavo a Terni, feci delle scritte murali di ispirazione marxista e un'altra volta ancora, sempre nel periodo in cui mi trovavo a Terni, mi recai a Roma per partecipare a una manifestazione dell'estrema sinistra di fronte all'ambasciata americana. Si trattava di una manifestazione di tipo pacifista e io avrei dovuto gettare una bomba a mano contro l'ambasciata con lo scopo, se possibile, di colpire qualche sentinella e provocare così una reazione contro la manifestazione.   So che anche altri avevano ricevuto il mio stesso incarico. A dare tale genere di incarichi era la dirigenza di Avanguardia nazionale».

In Veneto gli attacchini neri per i manifesti "rossi" sono una squadra d'eccezione: ne fanno parte Martino Siciliano e Delfo Zorzi, che vanno a ritirare i "manifesti cinesi" da Mestre a Padova con l'auto di Maggi: il vertice di Ordine nuovo veneto, poi rimasto coinvolto nelle indagini sulle stragi di Milano e di Brescia. Racconta Martino Siciliano: «Procedemmo all'affissione affiancandola, di nostra iniziativa, a scritte fatte con bombolette spray inneggianti Mao Tsetung. Facemmo queste scritte sulla macchine parcheggiate nella zona, per infastidire i residenti e sviluppare al massimo questa iniziativa di provocazione. Ricordo che era circa la metà del 1968 in concomitanza con le prime manifestazioni giovanili e con i primi moti studenteschi».

Manifesti di un sedicente Partito comunista marxista-leninista sono stati affissi anche a Reggio Calabria (lo racconta un militante di Avanguardia di quella città, Carmine Dominici) e in Sicilia (lo testimonia un dirigente di Ordine nuovo, Pierluigi Concutelli).

Sull'operazione "manifesti cinesi" il giudice Salvini scrive: «Tale azione, sul piano della ricostruzione complessiva, è tutt'altro che trascurabile, in quanto si inquadra nella strategia coltivata a Padova nel 1967-1968 soprattutto da Giovanni Ventura e, parallelamente, a Roma dagli esponenti di Avanguardia nazionale. Una strategia di disinformazione, di creazione di confusione e infiltrazione nel campo dell'avversario. E altresì nella strategia della costruzione di una possibile linea difensiva, anticipata ed estremamente duttile, in relazione alle indagini che sarebbero state comunque svolte dopo l'inizio della campagna di attentati. Giovanni Ventura, infatti, durante le indagini condotte sulla cosiddetta pista nera, si è presentato agli inquirenti come "uomo di sinistra", con simpatie filocinesi, che quindi non poteva avere condiviso o condiviso sino in fondo, dopo i primi attentati dimostrativi, una campagna terroristica che colpiva cittadini innocenti».

Fuoco di Paglia

Torniamo a Guido Paglia, che oggi definisce il suo passato «rivoluzionario, movimentista, romantico». Dopo aver fondato con Delle Chiaie Avanguardia nazionale, ne diventa presidente e reggente, non appena Delle Chiaie è costretto alla latitanza. Nella primavera del 1968 fa parte della comitiva di cuori neri che partecipa al viaggio premio organizzato dai servizi segreti italiani nella Grecia dei Colonnelli. È ospite in un collegio militare insieme a Mario Merlino, Adriano Tilgher e Roberto Palotto. Subito dopo l'infiltrazione di Merlino tra gli anarchici e la strage di piazza Fontana, ha un piccolo contrattempo: subisce un borseggio, gli sfilano il portafoglio, o forse lo smarrisce. Subito denuncia lo smarrimento dei documenti. La vicenda sembra chiudersi positivamente il 10 gennaio 1970, quando il portafoglio viene rinvenuto in una cassetta delle lettere di Roma. Peccato che la polizia, a cui viene portato, nel portafoglio trovi alcune cose inquietanti: un elenco (scritto a mano da Paglia) con nomi e numeri di telefono di anarchici romani del gruppo Bakunin, il circolo infiltrato da Mario Merlino; e un "elenco della spesa" di materiale piuttosto imbarazzante (saponette d'esplosivo, rotoli di miccia, detonatori, capsule elettriche), con a fianco di ogni voce la quantità del materiale. La dotazione della struttura occulta di Avanguardia nazionale?

Solo due anni dopo, nel 1972, Guido Paglia cambia casacca: esce da Avanguardia e diventa giornalista del Resto del Carlino . Ma diventa anche (o lo era già prima?) informatore del Sid, nome in codice: fonte Parodi. Alla fine di quell'anno consegna al capitano Antonio La Bruna una relazione su Avanguardia nazionale scritta per il generale del Sid Gian Adelio Maletti. Nella relazione racconta com'è strutturata Avanguardia, chi sono i suoi dirigenti, come funziona il suo apparato clandestino, diretto da Maurizio Giorgi, Flavio Campo, Giulio Crescenzi, Fausto Fabbruzzi e Cesare Perri (oltre che, naturalmente, da Stefano Delle Chiaie). Racconta che la notte del golpe Borghese, tra il 7 e l'8 dicembre 1970, un gruppo di Avanguardia, capeggiato da Flavio Campo, era riuscito a penetrare nel ministero dell'Interno, sfruttando alcune complicità interne, ed aveva già occupato l'archivio e l'armeria. Poi era arrivato il contrordine e il gruppo aveva lasciato il ministero. Non prima che due del gruppo, Roberto Palotto e Saverio Ghiacci, si fossero impadroniti di alcune pistole mitragliatrici per poterle esibire in futuro come prova delle coperture di cui avevano goduto.

Ma anche da giornalista Guido Paglia è un personaggio speciale, tanto da riuscire a fare uno scoop impossibile: dare una notizia prima che accadano i fatti. Succede quando scrive sul Resto del Carlino , l'11 novembre 1972, che in un casolare nei pressi di Camerino è stato ritrovato un arsenale dei "rossi": mitragliatrici, munizioni, bombe a mano Mk2, mine anticarro, polvere da mina, detonatori, micce, timer, bottiglie incendiarie, tritolo, pentrite, oltre a carte d'identità rubate, fionde, vernice spray e un cifrario. Paglia nel suo articolo precisa che i documenti cifrati trovati nel casolare provavano «inoppugnabilmente l'attività eversiva e paramilitare di taluni gruppi di estremisti di sinistra». L'arsenale era a disposizione infatti di «estremisti di sinistra di tutta Italia e in particolare delle zone di Roma, Perugia, Trento, Bolzano e Macerata».

Mai scoop fu così preveggente. Una divinazione. Infatti nel momento in cui Paglia scriveva il suo articolo, il 10 novembre 1972, l'arsenale era appena stato scoperto e certamente ancora nulla si sapeva dei fogli cifrati, che saranno decrittati solo cinque giorni dopo. E solo due mesi dopo, nel gennaio 1973, saranno incriminati quattro giovani di sinistra provenienti proprio dalle città incautamente anticipate da Paglia, perché indicati negli elenchi cifrati trovati nell'arsenale e decrittati, guarda caso, da un ufficiale del Sid mandato a dare una mano alle indagini.

La verità che emerge in seguito è che l'operazione di Camerino è una provocazione costruita dai servizi segreti. È un'azione in cui per la prima volta - scrive il giudice Salvini - c'è la prova che l'intervento degli apparati dello Stato «non si limita più all'omissione di atti di indagine o alla copertura dei responsabili, ma si concretizza nell'intervento diretto in un'azione eversiva»: sono stati i carabinieri a preparare l'arsenale, sotto la regia del Sid di Maletti, ad accumulare armi ed esplosivo e ad aggiungervi i fogli cifrati per poter arrestare i militanti «delle zone di Roma, Perugia, Trento, Bolzano e Macerata». Paglia, passato da pochi mesi dalla militanza in Avanguardia al giornalismo teleguidato, ha poi messo in circolazione la notizia, anche se con una fretta che ha finito per rovinare l'opera.

Certamente i cuori neri insorgeranno, rivendicando la loro purezza rivoluzionaria non scalfita dalle compromissioni di alcuni con gli apparati dello Stato. Il problema è che nella storia italiana il confine tra cuori neri e cuori di Stato è difficile da tracciare.

Micromega, 12 dicembre 2008





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