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La nuova Tangentopoli?
Nasce in Val di Susa

Un'intera valle in rivolta. Perché la superlinea e il supertunnel sono inutili: non ci sono né merci né passeggeri sufficienti a giustificare un'opera che costerà come quattro ponti sullo Stretto. Ma sono utili invece per distribuire appalti:
a Marcellino Gavio, all'azienda di famiglia del ministro Lunardi.
E alle cooperative rosse...


di Gianni Barbacetto


Il più grande scontro mai avvenuto in Italia tra interessi generali e interessi particolari. Tra i bisogni del Paese, anzi dell’Europa, e le richieste dei Nimby (“not in my backyard”), quelli che dicono: ovunque, ma non nel mio cortile. Questo è Valsusa, secondo la vulgata corrente. C’è da fare una grande opera utile per il Paese, anzi per l’Europa. Il più lungo tunnel ferroviario del continente. La meraviglia – nome in codice: Corridoio 5 – che permetterà di unire Lisbona a Kiev. La soluzione che passando sotto le Alpi ridurrà da quattro ore a un’ora e mezzo i tempi di percorrenza tra Torino e Lione. Ma di più: il miracolo che permetterà di togliere un fiume di camion inquinanti dalla strada e di convogliarli su rotaia; il portento che quadruplicherà le capacità della ferrovia.
Di fronte a queste meraviglie, che dovrebbero far gongolare anche i verdi più verdi, un manipolo di oppositori si schiera invece inspiegabilmente contro, rifiuta il progresso, minaccia di fare le barricate. Nemici della modernità, Nimby, inguaribili egoisti: dal vescovo ai sindaci, dal presidente della Comunità montana all’ultimo dei valligiani. In questi chiari di luna, compito delle forze politiche responsabili, di destra e di sinistra, da Berlusconi a Fassino, è far capire che gli egoismi localistici non possono fermare i grandi progetti. Tutto chiaro, dunque, e fine dell’inchiesta vecchio stile.
Ma è proprio così? No. Perché chi voglia capire senza preconcetti che cos’è l’Alpetunnel del Frejus, chi provi senza partito preso né preclusioni ideologiche ad addentrarsi nel mare di cifre, tabelle, disegni, cartine, progetti, rapporti, finisce per scoprire che l’operazione Valsusa è (anche) una grande manovra di disinformazione. Ma procediamo con ordine.

Una valle paziente. Nimby? Venite qui a spiegarglielo, a quelli che in Valsusa ci abitano, che sono egoisti. Vivono da vent’anni in un cantiere. Ne hanno visti, di funzionari romani e di burocrati torinesi. Ne hanno sentite, di mirabolanti promesse. Hanno assistito al raddoppio della ferrovia (concluso nel 1977), che nei progetti doveva avere un traffico di 15 milioni di tonnellate di merci l’anno (mai raggiunto). Hanno visto crescere l’autostrada (aperta al traffico nel 1992), costruita nel loro fondovalle, ricavata nel letto della Dora. Hanno aspettato l’edificazione dei nuovi argini, che ancora non sono finiti. Hanno visto scavare le gallerie autostradali sul fronte di frana. Hanno subìto l’alluvione del 2000, perché il fiume si è alla fine vendicato. Hanno visto sorgere l’elettrodotto di Venaus. La centrale elettrica di Pont Ventoux. E hanno constatato che cos’è successo a Bardonecchia: l’unico Comune del Nord sciolto per mafia, perché i cantieri e i subappalti all’italiana hanno portato la ’ndrangheta al potere, con seguito di richieste di pizzo e traffici di eroina e cocaina e occupazione delle istituzioni.

Con tutto ciò, alcuni abitanti della Val di Susa stanno ancora aspettando i rimborsi degli espropri compiuti vent’anni fa per tracciare l’autostrada: molti soldi non sono ancora arrivati... Ne hanno viste di cose, ne hanno sentite di promesse, ne hanno conosciute di facce di bronzo. E oggi non si fidano più, racconta Claudio Giorno, ambientalista e sindacalista, per anni considerato troppo verde dai rossi e troppo rosso dai verdi. Aggiungeteci un piccolo particolare: nell’area tra Borgone e Bussoleno, dove dovrebbe essere costruito l’interscambio tra la vecchia e la nuova linea ferroviaria, continua a funzionare la Beltrame, un’acciaieria di seconda fusione, che ricicla cioè rottame e materiali ferrosi e che provoca tassi d’inquinamento (e di mortalità) tra i più alti d’Italia. È un giocattolino che pesa sull’ambiente 80 volte l’inceneritore di Brescia. E che libera nell’aria non soltanto diossina (prodotto dalla combustione), ma anche Pcb: da dove viene questo veleno? Non certo dal ferro: ma allora qualcuno sta facendo il furbo e usa la vecchia Beltrame per smaltire rifiuti proibiti? Questa però è un’altra storia e un’altra inchiesta.

Ma la pazienza dei valsusini è una, e i loro polmoni solo due. Come stupirsi se si allarmano quando vengono a sapere che, oltre alla diossina e al Pcb, nel loro cielo potrebbe arrivare anche l’amianto? A Balangero c’è la più grande cava d’amianto a cielo aperto d’Europa, ora naturalmente inattiva. Ora si viene a sapere che i detriti di scavo estratti dalle montagne (lo “smarino”) saranno oltre 15 milioni di metri cubi: come dieci piramidi di Cheope. Dove metterle? Anche perché, secondo uno studio ufficiale dell’università di Siena, potrebbero contenere significative quantità d’amianto: “La possibilità che si verifichino condizioni di rischio sanitario è assolutamente rilevante”, scrive l’oncologo Edoardo Gays dell’Azienda ospedaliera San Luigi d’Orbassano. L’amianto potrebbe infatti finire per essere disperso nell’aria.
Infine c’è l’uranio. Il cuore della montagna che, in futuro, sarà trivellata è radioattivo. Ma qui siamo fin troppo avanti. Meglio tornare al presente.



Una linea (abbastanza) inutile.
La nuova linea ferroviaria del Frejus è una superopera che inizia a nord di Torino, imbocca la Valsusa, scompare per due volte nella montagna, ad Alpignano e a Bussoleno, con due gallerie (di 21 e 12 chilometri). Poi vola sul viadotto di Venaus, per infilarsi infine nel supertunnel, quel “tunnel di base” di 53 chilometri che sbuca in Francia, a Saint Jean de Maurienne. Poi altre due gallerie sul versante francese, Belledonne e Chartreuse, portano la linea a collegarsi con l’alta velocità che arriva a Lione.

Il tutto costa come quattro ponti sullo Stretto di Messina. Spiega Andrea Debernardi, di Polinomia, consulente della Comunità montana della Valsusa: il preventivo è di 2,4 miliardi di euro per la tratta nazionale italiana, 6,7 per il “tunnel base”, 6,1 per la tratta nazionale francese. Totale: 15,2 miliardi di euro. Previsione dei tempi di realizzazione: 15 anni. Ma in letteratura, spiega il professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, costi e tempi si dilatano almeno del 20 per cento. Viste le prevedibili difficoltà, la superlinea potrebbe costare una ventina di miliardi di euro ed essere pronta, se tutto andrà bene, nel 2023. Finché non sarà posata l’ultima traversina, la ferrovia sarà solo un costo, senza apportare alcun beneficio almeno parziale, senza poter aver alcuna utilizzazione intermedia. E poi che cosa succederà?

Il tunnel sotto la Manica è costato meno, 13 miliardi, ed è fallito non una, ma due volte. Per mancanza di traffico. E serve a unire Parigi e Londra, non (con tutto il rispetto) Torino e Lione. La superlinea che scavalcherà le Alpi è del tutto sovradimensionata, rispetto ai bisogni. Potrebbe convogliare su rotaia merci addirittura per 100 milioni di tonnellate l’anno, con previsione di farne passare 40 milioni: ci vorrebbero 350 treni al giorno, uno ogni quattro minuti, alla velocità di 120 chilometri all’ora, alternati a treni passeggeri da 220 chilometri all’ora. Così il gioco varrebbe forse la candela.
Peccato però che il traffico ferroviario transalpino sia in calo costante dal 2000, fatta eccezione per il Sempione e il Gottardo. Dal Frejus oggi passano merci per appena 7 milioni di tonnellate l’anno (erano 10 milioni nel 1997) e non c’è alcun segnale di svolta, né realistiche previsioni di una crescita così vertiginosa. Gli scambi Italia-Francia sono da lungo tempo consolidati, sono un business maturo in cui non si prevedono nuovi, clamorosi sviluppi. Del resto è già in corso il potenziamento della linea esistente che porterà a triplicare la sua capacità, fino a oltre 20 milioni di tonnellate: a che cosa servirà, allora, la nuova linea? E comunque, perché far arrivare le merci dalla Francia a 120 chilometri all’ora, quando poi, arrivate in Italia, si fermerebbero in qualche stazione e riprenderebbero la velocità media nazionale per i treni merci, che è di 19 chilometri all’ora?

E poi il 70 per cento delle merci che ora passa dal Frejus non corre lungo la direttrice est-ovest, ma quella nord-sud: vanno e vengono da e per Digione, Bruxelles, Londra. Su questa direttrice, le nuove linee svizzere del Gottardo e del Sempione sono più competitive. Quanto agli scambi continentali sull’ipotetica linea Lisbona-Kiev, tranquilli: si spinge tanto sulla Val di Susa come se da essa dipendessero per intero le gloriose sorti e progressive dello sviluppo continentale, ma a est di Trieste non si mette giù neppure un metro di rotaia.

Niente paura, dicono i fautori della Grande Opera: non ci sono solo le merci, ci sono anche i passeggeri. E così la linea nata come “alta velocità” per i passeggeri e poi diventata “ad alta capacità” per le merci ridiventa magicamente una linea “ad alta velocità” capace di spostare le persone lungo il mitico “Corridoio 5”. Ma la grande corsa Lisbona-Kiev sarà difficile da fare, non foss’altro per il fatto che le ferrovie spagnole hanno uno scartamento diverso dal resto d’Europa. “E poi l’alta velocità c’è già. E non costa un centesimo allo Stato: si chiama Ryan Air”, taglia corto il professor Marco Ponti. “Un biglietto aereo low cost ha un prezzo inferiore ai biglietti ferroviari, ma soprattutto non richiede denaro pubblico, quello che le ferrovie invece inghiottono in dosi pantagrueliche”.

Difficile infine poter definire “ad alta velocità” una linea quasi tutta in galleria, intasata dai treni merci, che correrà non a 300, ma al massimo a 120 chilometri all’ora. Alla fine, come dimostra Debernardi, la tanto sbandierata “alta velocità” tra Lione e Torino farà risparmiare soltanto un’oretta. Anche perché – udite udite – per poter entrare in Torino i treni veloci dovranno correre non sulla nuova superlinea, ma sulla vecchia ferrovia già esistente.

In compenso, il nodo torinese entro cinque anni scoppierà. Anche Milano non sta benissimo quanto a sistema dei trasporti. Ma per risolvere il problema Torino e il problema Milano non ci saranno soldi: tutti impegnati nel supertunnel che piace tanto al ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi.

Treni? No, tunnel.
L’architettura societaria per fare l’Alpetunnel è un’invenzione che supera perfino quella dell’alta velocità o del ponte sullo Stretto, con apparenza privata e soldi tutti pubblici. Per il nuovo Frejus si sono alleate le ferrovie francesi (Rff) e quelle italiane (Rfi) che insieme, al 50 per cento, hanno costituito la Ltf, Lyon Turin Ferroviaire, con il compito di progettare la superlinea e appaltare i lavori. In questo caso non hanno fatto neppure finta di tirare in ballo investimenti privati, project financing, redditività futura: paga Pantalone e basta. Con quali soldi, visti i conti dello Stato, resterà un mistero.

Ma l’importante è mettere in moto la macchina dei finanziamenti, che poi si autoalimenterà. A nessuno interessa veramente il risultato, che arriverà (forse) tra vent’anni. “Treni? Qui non si parla di treni, ma di tunnel”, ripetono i funzionari delle ferrovie. L’importante è scavare, e cominciare il più presto possibile. Aprire cantieri. Far girare i soldi. Oggi, subito. Che cosa importa che il tunnel sotto la Manica sia già fallito due volte? E che l’Alpetunnel (200 chilometri complessivi) costi 15 miliardi di euro, mentre il molto più utile Gottardo (270 chilometri) ne costi solo 12? In tutto ciò, Ltf è il Pantalone che pagherà. Un Pantalone asimmetrico: benché il controllo della società sia al 50 per cento dei francesi e al 50 per cento degli italiani, per decisione presa da Lunardi gli italiani pagheranno di più, il 63 per cento della tratta internazionale (4,2 miliardi) più l’intera tratta nazionale (2,4 miliardi), per un totale di 6,6 miliardi di euro; eppure la supergalleria è solo 8 chilometri in territorio italiano e 45 in suolo di Francia.

Ma che importa? A incassare, tanto per cominciare, sarà la Rocksoil della famiglia Lunardi, incaricata dei “sondaggi” (le prime trivellazioni) in Francia: così sarà ipocritamente aggirato il conflitto d’interessi del signor ministro delle Infrastrutture. In Italia incasserà la Cmc di Ravenna, già pronta a iniziare i “sondaggi” sul territorio nazionale. Con la Cmc, cooperativa rossa, la Grande Opera diventa bipartisan. Benedetta anche dai vertici dei Ds, da Piero Fassino in giù, fino all’uomo degli affari della Quercia a Torino, il molto attivo capogruppo alla Provincia Stefano Esposito. E benedetta malgrado la fiera opposizione dei diessini della Valsusa, sindaci compresi e con in testa Antonio Ferrentino, presidente della Comunità montana Bassa Valle di Susa. Ma, del resto, responsabile nazionale delle Infrastrutture per i Ds è quel Cesare De Piccoli che fu indagato e processato (e poi salvato dalla prescrizione) per aver incassato mazzette dalla Fiat, ai bei tempi di Tangentopoli, sui conti Accademia, Carassi, Linus...

Costi (tanti) e benefici (pochi). Dunque il (poco) tempo risparmiato dai (pochi) passeggeri non giustifica un investimento così massiccio. Il promesso incremento delle merci che potranno essere trasportate con i treni non combacia con previsioni attendibili su un reale aumento delle merci da trasportare. Che cosa resta, allora, della grande impresa? Ci saranno grandi benefici ambientali, ribattono i sostenitori del tunnel, perché le merci potranno passare dai camion (inquinanti) al treno. Illusione, sostiene più d’uno studioso. Il professor Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino, consulente dei comitati NoTav, ricorda che in Italia soltanto il 17 per cento delle merci viaggia su rotaia e la quota non è purtroppo molto incrementabile. Per spostare piccoli numeri dalla gomma al ferro, bisogna sopportare costi pubblici immensi. Le ferrovie, del resto, nel loro complesso sono costate in 15 anni all’Italia quanto il Progetto Apollo agli Stati Uniti. E non abbiamo mandato nessuno sulla Luna.

Marco Ponti taglia corto: “La ferrovia è una tecnologia dell’Ottocento, è ottima per trasportare per lunghi tratti merci pesanti, che produciamo sempre meno, o grandi numeri di passeggeri nelle aree metropolitane; legname, non microchip o abiti di Armani. E poi ha bisogno di immensi finanziamenti dello Stato, che oggi non ci sono più. Ora, invece, varrebbe la pena di ridurre le emissioni differenziando i pedaggi e le tassazioni per i camion: far pagare molto quelli che inquinano di più, così da rendere economico il rinnovo del parco mezzi circolante. Così il beneficio ambientale sarebbe diffuso, non limitato a una sola tratta. Se proprio poi si volesse aumentare la capacità di trasporto merci, allora converrebbe realizzare il raddoppio del tunnel stradale del Frejus: costa un decimo e le emissioni possono essere ridotte con i pedaggi fortemente differenziati”.
Non ci saranno neppure grandi benefici occupazionali: lo scavo di tunnel è un lavoro ormai molto automatizzato. “Si metterebbe molto di più in moto l’economia e l’occupazione con un grande piano di ristrutturazione delle periferie urbane”, valuta Ponti.

I furbetti del tunnellino.
Tangentopoli ci ha insegnato che quando girano soldi pubblici, spesso c’è chi ne approfitta. L’alta velocità è la Tangentopoli del futuro, prevedeva in un suo libro, qualche anno fa, lo studioso bolognese Ivan Cicconi. Il futuro è già qui, anche se ancora non conosciamo nei particolari il nuovo sistema della corruzione. Conosciamo però il curriculum di alcuni degli uomini impegnati nella grande festa dei tunnel e delle linee ferrate. Di Lunardi, ministro e progettista, sono pubblici i coinvolgimenti nei lavori (mediante società di famiglia), anche se la Ltf li nega decisamente. Alcune inchieste giudiziarie, poi, evidenziano l’attivismo negli appalti di Ugo Martinat, esponente di An e viceministro delle Infrastrutture, gran burattinaio degli affari piemontesi ora indagato per turbativa delle gare per la Torino-Lione, oltre che per i Giochi olimpici. L’inchiesta sta evidenziando la regia discreta, negli appalti sabaudi, del costruttore Marcellino Gavio, attorniato da una cupola di ex funzionari di una delle sue aziende, la Sitaf, che oggi hanno fatto carriera in proprio e da democristiani o socialisti si sono “riposizionati” in area An.

Le intercettazioni telefoniche realizzate dalla Guardia di finanza svelano i retroscena dei maneggi compiuti da questi ex uomini di Gavio, tra cui Vincenzo Procopio, oggi titolare della Stef, la società che ha progettato l’autostrada Torino-Bardonecchia, Walter Benedetto, responsabile della direzione lavori di Ltf, e Gianni Desiderio, del comitato direttivo dell’Agenzia olimpica. Non sospettando di essere intercettati, parlano tra loro e con Paolo Comastri, numero uno italiano della società mista Ltf: chiacchiere tutte da verificare, da furbetti del tunnellino. Desiderio, per esempio, racconta al telefono che la società Stone è del ministro (vorrà dire Lunardi?) e che si è alleata con l’Alpina di Milano, una “scatola vuota” che sarebbe stata messa in campo da Gavio: “Ci ha fottuti, vi ha fottuto”, dice Desiderio a Benedetto. Procopio, che nelle conversazioni telefoniche viene definito “il cassiere di Martinat”, s’arrabbia nei confronti di Gavio, lo sospetta di brogli nelle gare e progetta di far arrivare contro di lui interpellanze in Parlamento. Poi lo va a trovare, si tranquillizza e il giorno seguente spiega la situazione a Benedetto. Infine riferisce a Desiderio “di aver appreso dai comuni amici della Metropolitana milanese che non è stato fatto un bel lavoro e che si aspettavano un aiuto più concreto”. Prosegue il rapporto dei finanzieri: “Vincenzo (Procopio) aggiunge che “serve una botta” e si rende necessario “fare un intervento”. Gianni (Desiderio) gli dice di andare a parlare con Walter (Benedetto), dato che lui è il presidente della commissione, per verificare se è necessario intervenire presso Comastri, per poi passare la cosa a Ugo (Martinat)”.

Quando Benedetto riferisce a Martinat che teme grane giudiziarie “per il cantiere di Modane” e lo informa che c’è di mezzo la Rocksoil della famiglia Lunardi, Martinat risponde: “Uh, cacchio!”. E poi: “Vabbe’, pazienza, nella vita non si vince sempre...”. Comastri e Benedetto brigano per far vincere a Procopio la gara d’appalto per la “discenderia” di Venaus (una delle gallerie d’accesso ai tunnel). Quando appare ben piazzata, invece, la società Geodata, i due sospendono la gara: “Geodata ha la maglia rossa, è vicina alla sinistra”. La Guardia di finanza va allora nella sede di Ltf a sequestrare i documenti dell’appalto, ma i due li fanno sparire: “Li mandiamo su a Chambery”. Comodo, lavorare alla frontiera.

Dalle intercettazioni emerge una certa arietta d’intese bipartisan per gli appalti ferroviari e stradali piemontesi, con Gavio ben introdotto anche negli affari che dipendono da Comune, Provincia e Regione, tutti di centrosinistra. Ma in questa storia d’appalti di rito sabaudo spunta anche l’ambasciatore Umberto Vattani, che ha contribuito a definire in sede internazionale l’architettura societaria per la gestione della Torino-Lione. E spuntano anche alcuni protagonisti della vecchia Tangentopoli. Quell’Ercole Incalza che fu travolto dallo scandalo di Lorenzo Necci (a lungo numero uno delle Ferrovie italiane), ma che fu poi subito riciclato nientemeno che come responsabile del gruppo Economia della commissione intergovernativa italo-francese che ha preparato l’iter per l’approvazione del supertunnel da parte dei rispettivi governi: oggi Incalza è consigliere del ministro Lunardi e membro del “gruppo Van Miert” in sede Ue. E quell’Emilio Maraini che insieme a Incalza fu il dirigente Fs più vicino a Necci, per anni numero uno della Italfer, la società incaricata della progettazione e della vigilanza sull’alta velocità.

Nel 1993 Maraini fu arrestato a Milano dal pool Mani pulite e negli interrogatori ammise le tangenti pagate come amministratore delegato di Ansaldo Trasporti per partecipare ai lavori delle metropolitane di Roma e di Milano. Poi, con un paio di rinvii a giudizio sul groppone, fu messo da Necci al vertice dell’Italfer, finché finì di nuovo in cella, nel 1998, per ordine dei magistrati di Perugia, in una delle tante inchieste sull’alta velocità. Forte di questo know-how, oggi Maraini è consigliere di Lunardi per gli affari internazionali.
Martinat e Gavio sospendono ogni conflittualità e fanno fronte comune quando si tratta di pretendere soldi pubblici. Martinat: “Tremonti vuol tagliare le spese. Noi sosteniamo la tesi opposta, bisogna sfondare ulteriormente. Andiamo a Bruxelles e diciamo affanculo... Abbiamo bisogno di soldi da investire quest’anno, il prossimo e quello seguente, se vogliamo vincere le elezioni! Secondo Tremonti, questo ministero dovrebbe spendere il 10 per cento in meno in strade, ferrovie eccetera”. Gavio: “Roba da matti!”. Così si decidono le grandi infrastrutture e le sorti del Paese. Le teste calde della Valsusa sono avvisate: non fermeranno il Progresso.



Tangenti ad alta velocità

La vera storia dell’appalto Tav numero uno. Gara truccata, soldi al viceministro, blocco dell’appalto. Finché non spunta la “rossa” Cmc, alleata con il costruttore “bianco”...

di Gianni Barbacetto


Egoismo localistico contro interesse nazionale. Nimby (quelli che dicono: dovunque, ma non nel mio cortile) contro i paladini della modernità e del progresso. Ma a ben guardare i conti, proprio l’interesse nazionale dovrebbe far accantonare l’alta velocità in Valsusa. Una spesa colossale (oltre 15 miliardi di euro, quattro volte l’investimento per il ponte sullo Stretto di Messina) per ottenere risultati modesti. Un’opera sostanzialmente inutile: il traffico merci tra Francia e Italia è da anni in calo costante. Se l’interesse nazionale è dunque sostenuto, in realtà, dai cittadini della Valsusa che si oppongono al più grande spreco della storia d’Italia, la parte degli egoisti è ben interpretata dalla lobby politico-affaristica del supertunnel. Che sulla Valsusa, oltretutto, ha già impiantato una nuova Tangentopoli.
Lo dimostra la storia del primo appalto per l’alta velocità in Valsusa. Importante «non tanto per l’importo», scrivono i giudici che hanno già dovuto occuparsene, «ma perché si tratta della fase iniziale di lavori ben più vasti».

Appalto pilotato. Tutto comincia a Venaus, la località della Valsusa dove dovrebbe iniziare il supertunnel di 53 chilometri che dovrebbe passare sotto la montagna e sbucare in Francia. La società che guida le danze è l’appositamente costituita Ltf (Lyon Turin ferroviaire), impresa pubblica controllata a metà dalle ferrovie francesi (Rff) e a metà da quelle italiane (Rfi). Il primo appalto Ltf è per la progettazione della discenderia di Venaus, cioè la galleria di servizio del supertunnel. Per accaparrarselo, si mette in moto una variopinta compagnia di furbetti del tunnellino.

Vincenzo Procopio, titolare della società Sti, è il vincitore designato. Ugo Martinat, viceministro delle Infrastrutture e uomo di An, è il suo santo in paradiso. Paolo Comastri, direttore generale di Ltf, e Walter Benedetto, responsabile della direzione costruzione di Ltf, sono gli angeli che scendono dal paradiso per far avverare i desideri di Procopio e Martinat.

Le indagini della procura di Torino sulla gara truccata di Venaus nascono per caso. Nel dicembre 2003, infatti, arrivano per posta quattro buste contenenti strani auguri di Natale: una cartuccia Smith & Wesson calibro 40. Due sono recapitate a Procopio, agli indirizzi di casa e dell’ufficio, una a Gianni Desiderio, del comitato direttivo dell’Agenzia olimpica, la quarta a un tale Arcidiacono. Per scoprire chi è il mittente della minaccia e proteggere i quattro destinatari, la procura mette sotto controllo i loro telefoni: non l’avesse mai fatto! Dalle conversazioni registrate, i magistrati capiscono che i quattro si stanno dando molto da fare, insieme ad altri, per gli appalti piemontesi. Ascoltano in diretta, esterrefatti, la vera storia della gara di Venaus.

Gli uomini della Ltf, Comastri e Benedetto, ma anche Desiderio, spifferano a Procopio tutti i segreti dell’appalto. Gli raccontano che alla gara è interessata la Stone, «società del ministro» (Pietro Lunardi?), che si è alleata con l’Alpina del costruttore Marcellino Gavio. Smaniano per farlo vincere.

Un regalo ad An. Procopio trova il modo di sdebitarsi. Il 19 marzo 2004 parte un bonifico di 23 mila euro. «Procopio mi ha detto di fare un versamento ad An, dicendo che il partito aveva bisogno di fondi», racconta tal Casalegno, che si occupa materialmente dell’operazione. La conferma arriva dalla stessa segreteria di Martinat: il 7 maggio 2004 Alfredo Calvani, dello staff del ministro, chiama Procopio e gli conferma che il bonifico è arrivato.

Intanto Procopio e Comastri s’incontrano anche di persona, mercoledì 24 marzo 2003. Commentano i magistrati: «È un grave indizio di turbativa e di collusione. Non vi è altro modo di valutare l’incontro riservato, pochi giorni prima della chiusura del termine per presentare le domande, tra uno dei potenziali concorrenti a un’asta pubblica e il più alto dirigente del committente».

Nella riunione, Comastri spiega a Procopio che per vincere deve associarsi con un’altra impresa, la Mm di Milano. Detto, fatto: Procopio telefona a Maria Rosaria Campitelli, della Mm, e le dice che devono unire le forze, che non può spiegare tutto al telefono, ma che la gara si può vincere. «Io volevo solamente dirti questo, siccome io ho parlato stasera e so tutto... e l’idea è venuta anche da lì... Dice: mettetevi insieme». Le fa capire che la cosa è fatta: «So tutto... ma so tutto... so tutto, perché ho parlato con persona giusta!». Insiste: «Se ti dico di farla con me, vuol dire... che ho qualche motivo...». Certo, i tempi sono stretti, le offerte devono essere presentate entro il 2 aprile, ma non c’è da preoccuparsi, perché il termine sarà prorogato.

Intanto anche Benedetto chiama Procopio e gli dice di «sposarsi con quei signori di Milano», perché il capo (Comastri) vede di buon occhio quell’unione. Poi, il 25 marzo, la previsione si avvera. Benedetto annuncia: «Scusami se ti disturbo, la scadenza è stata spostata a mercoledì 14 aprile». Procopio, riconoscente, esclama: «Madonna, vi abbraccerei tutti e due!».

A questo punto, l’allegra compagnia mette a punto l’offerta. Benedetto, nominato da Comastri presidente della commissione tecnica di gara, si mette a disposizione di Procopio. Gli spiega come fare la relazione tecnica, come calcolare i prezzi, come rispettare le regole francesi per le offerte, diverse da quelle italiane. Per evitare sorprese, la presidenza della commissione per l’aggiudicazione della gara, che dovrà far vincere la Sti di Procopio associata all’Mm, viene affidata ad Adolfo Colombo, che dell’Mm è stato direttore generale dal 1994 al 2000 e, in passato, presidente del consorzio Malpensa construction (Sea-Mm) per la costruzione del nuovo aeroporto della Malpensa nonché presidente del consorzio Mm-Sogemi per il potenziamento dei mercati all’ingrosso di Milano.

Ma il diavolo ci mette la coda. Malgrado tante cautele, l’intrallazzo naufraga: un banale errore di redazione della domanda fa escludere dalla gara l’associazione Sti-Mm. Passa avanti un’altra società, la Geodata: «Invisa al ministro perché appartiene all’opposta corrente politica» e dotata però anch’essa dei suoi santi in paradiso (l’ingegner Alessandro Macchi, membro della commissione per la gara di Venaus). Benedetto è sconfortato: «Piuttosto che far vincere Geodata e giocarci le mie palle col ministro, preferisco che vinca un altro...».

Procopio viene allertato subito: «Lo so, lo so, abbiamo fatto un po’ di corse... Ah», sospira, «conviene fare qualcosa...». Anzi: «Serve una botta». Un giro di telefonate, e la botta arriva: la gara viene annullata e si comincia tutto da capo. Così Procopio corregge gli errori e s’appresta a presentare la sua domanda. Peccato che, a questo punto, scatti la magistratura. Intervengono i sostituti procuratori Paolo Toso e Cesare Parodi, che mandano la guardia di finanza nella sede torinese della Ltf. Invano: l’impiegata presente dice di non essere in grado di trovare alcun documento sulla discenderia di Venaus. Possibile? Subito dopo, al telefono, Comastri chiama Benedetto, lo avvisa dell’inchiesta, gli ordina di far sparire al più presto il dossier chiuso nel suo armadio e di portarlo nella sede Ltf di Chambery.

Allora i magistrati torinesi provano a chiedere nei confronti di Procopio una misura cautelare meno punitiva dell’arresto, ma economicamente più efficace: chiedono che gli sia impedito di partecipare, per un periodo di tempo, alle gare d’appalto. Il giudice per le indagini preliminari dice no, anche perché ritiene che non si possa procedere nei confronti di personaggi coinvolti in una gara indetta dalla Ltf, società di diritto francese con sede a Chambery. Blindati e intoccabili, dunque, gli appalti della Valsusa: non c’è corruzione, non c’è tangente che tenga, ci pensino i francesi, se ne hanno voglia.

Ma il tribunale del riesame nel settembre 2006 ribalta la decisione. Ltf è stata incaricata dal governo italiano, oltre che da quello francese, di essere «stazione appaltante» e di indire pubbliche gare, dunque è a tutti gli effetti parte della pubblica amministrazione. È «del tutto irrilevante verificare il luogo in cui la gara è stata indetta e la legge di quale dei due Stati regolamenterà l’esecuzione dell’appalto». Se la Cassazione confermerà questa decisione, salterà la garanzia d’impunità sugli appalti della Valsusa.

Il tribunale del riesame, stabilito che la trasparenza e la correttezza delle gare devono valere anche per la Ltf, accoglie il ricorso della procura di Torino e blocca l’attività dell’ingegner Procopio. Con una motivazione durissima nei confronti della «disinvolta spregiudicatezza dimostrata e in particolare la pervicacia con la quale ha continuato a insistere nella turbativa della gara per la discenderia di Venaus, anche quando era stata quasi assegnata ad altro concorrente».

Indagato anche il santo in paradiso di Procopio, il viceministro Martinat. Ma è un parlamentare. La procura, per continuare l’indagine, ha chiesto alla Camera l’autorizzazione a utilizzare le intercettazioni telefoniche in cui compare la voce di Martinat. Ma la Camera si guarda bene dal rispondere.

Nel frattempo, però, la gara è stata rifatta e a vincere è stata una new entry: la Cmc, cooperativa rossa di Ravenna. Cambia così anche l’atteggiamento dei vertici Ds nei confronti del supertunnel della Valsusa. Mercedes Bresso, la presidente della Regione, è oggi una moderata ma ferma sostenitrice dell’alta velocità. Eppure nel 2000 dichiarava: «Non barattiamo e non spezziamo il nostro tracciato. La soluzione Alpetunnel ha un impatto sulla valle a dir poco devastante. È prevista un’uscita del tunnel che avrà effetti disastrosi. Così come la stazione di sorpasso di Bruzolo e la stessa occupazione dei terreni della parte bassa della valle. Vogliamo che ci sia un confronto tecnico e politico che vada fino in fondo. E che porti a una decisione definitiva». Parole oggi dimenticate.

Accanto a Cmc, nello stesso raggruppamento d’imprese, si trova la Cogeis. Titolare Giovanni Bertino, indagato in passato per reati ambientali a Ivrea e arrestato, nel 1991, per corruzione ad Aosta (insieme a Bruno Binasco, il braccio destro del costruttore Marcellino Gavio). L’inchiesta era quella della procura d’Aosta sugli appalti truccati per il raccordo dell’autostrada Torino-Aosta e per la statale del Gran San Bernardo. Nel corso di quella indagine, ricevette un avviso di garanzia anche il protettore politico di Bertino, Giuseppe Botta, gran signore delle tessere ai bei tempi della Dc, quando era anche presidente della commissione Lavori pubblici della Camera. Tutto finì con Botta assolto e Bertino, invece, condannato in appello a 1 anno e 6 mesi.

Oggi Giuseppe Botta ha passato il testimone politico al figlio, Franco Maria Botta, esponente dell’Udc, molto vicino a Pierferdinando Casini. Dope essere stato assessore nella giunta regionale di Enzo Ghigo, si è candidato, per il centrodestra contro Antonio Saitta, alla presidenza della Provincia di Torino. Una sfida che sapeva persa in partenza, ma che lo ha comunque portato a mantenere alta la sua visibilità. Oggi è consigliere regionale. E Giovanni Bertino? Il costruttore «bianco» è tornato agli appalti, in alleanza con i «rossi» della Cmc.
Le indagini continuano. E s’intrecciano con quelle dei lavori olimpici e autostradali piemontesi. La nuova Tangentopoli sta prendendo forma.

(Diario, 16 dicembre 2005)

La Camera ha poi risposto ai giudici: le intercettazioni di Martinat non potranno essere utilizzate.


 
 
 

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