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Diario
delle scalate/1
La rude razza romana va all'assalto
Chi è Stefano Ricucci, limmobiliarista venuto
dal nulla che ha dato lassalto al Corriere della
sera. Come ha fatto a diventare, con Danilo Coppola
e Giuseppe Statuto, il nuovo campione del capitalismo italiano.
Perché piace tanto a Silvio Berlusconi. E a Massimo
DAlema
di Gianni Barbacetto
La rude razza romana ha iniziato
lassalto al sistema. Due grandi banche, Antonveneta
e Bnl, sono sotto scalata da parte di una composita compagnia
di finanzieri di provincia e dimmobiliaristi romani,
che dicono di volerle salvare dagli stranieri (gli olandesi
di Abn Amro, i baschi del Banco di Bilbao). E la Rcs, editrice
del principale quotidiano italiano, il Corriere della sera,
è sotto attacco da parte di Stefano Ricucci, il più
nuovo di quegli immobiliaristi. Con Danilo Coppola e Giuseppe
Statuto forma un trio del mattone che sembra aver rivestito
i panni delle truppe dassalto. Dietro di loro si muovono
i battaglioni di banchieri come Gianpiero Fiorani, presidente
e amministratore delegato della Popolare di Lodi; di manager
come Giovanni Consorte, il boss di Unipol; di finanzieri
come Emilio Gnutti, già protagonista nel 1999 della
madre di tutte le nuove scalate, lopa su Telecom.
È lattacco al cuore dello stato di cose presente.
LItalia vive una crisi strutturale, la grande industria
è in declino, la piccola ha perso competitività,
le Grandi Famiglie del Nord sono al crepuscolo, non cè
più un Enrico Cuccia a fare da centro del sistema.
Dopo la «rude razza padana» di Chicco Gnutti
e dei suoi amici, che tanto era piaciuta a Massimo DAlema,
ecco savanza la rude razza romana dei nuovi padroni
del mattone. Espugnata Rcs, potrebbe cadere Mediobanca.
E lobiettivo seguente sarebbero le Generali, la cassaforte
più preziosa del sistema.
Fantascienza, per ora. Ma intanto Ricucci annuncia di avere
in mano (quando scriviamo) almeno il 18,5 per cento di Rcs
e insidia i fragili equilibri del patto di sindacato che
tiene per ora insieme, dentro Rcs, i rappresentanti di quella
che fu lala nobile del capitalismo italiano, più
qualche nuovo arrivato.
Le prime reazioni sono state dure: chi è mai questo
Ricucci, da dove viene, come ha fatto i soldi? Le maldicenze
sulle origini della razza mattona e le domande sulle fortune
degli immobiliaristi si sono moltiplicate. I più
benevoli sussurrano che sono figli dello scudo, riferendosi
al cosiddetto «scudo fiscale» che dal 2001 ha
permesso il rientro anonimo e a buon mercato dei capitali
nascosti allestero. I più malevoli accennano
a loschi traffici di ogni sorta, ma senza portare mai uno
straccio di prova. Le domande sono rimbalzate dai salotti
buoni alle pagine di giornali come il Sole 24 ore, il Mondo,
Lespresso. Con seguito di proteste, rettifiche, querele.
Anche il presidente di Confindustra Luca Cordero di Montezemolo,
allassemblea annuale dellassociazione, il 26
maggio, ha toccato largomento, quando a proposito
della «malintesa battaglia per litalianità
delle banche», ha detto: «Ne sono seguiti incontri
più o meno riservati presso le autorità, manovre
incrociate, emersione di nuovi soggetti e di capitali misteriosi,
rastrellamento di azioni sul mercato, scalate clandestine,
sospetti e accuse di insider trading, denunce di azioni
di concerto, interventi della magistratura. Niente di più
lontano da produzione e lavoro».
Gastone e Cenerentola. «Aridaje!», ripete
Ricucci ogni volta che sente parlare di «capitali
misteriosi» e ogni volta che gli viene chiesto come
abbia fatto i soldi. E poi parte in quarta a spiegare la
sua storia di mattoni e successo, aiutato da una fidanzata
esuberante e comunicativa come Anna Falchi, che il prossimo
2 luglio, allArgentario, diverrà sua moglie.
«Tra di noi ci chiamiamo Cenerentola e Gastone»,
ha confidato Anna Falchi a Monica Setta per Gente. «Veniamo
dalla stessa esperienza: Stefano ha cominciato come odontotecnico,
io sono cresciuta con la mamma e mio fratello in un Paese
come lItalia che mi era sconosciuto. Non è
stato facile per nessuno dei due». Poi la nipote del
pastore luterano finlandese cresciuta in Italia senza padre
è diventata attrice e ha conquistato le copertine.
E il ragazzo di borgata è diventato ricco e famoso.
«Sì, lui è Gastone. Gastone Paperone,
quello dei fumetti che fa diventare oro tutto ciò
che tocca».
Come Gastone, evidentemente, deve avere una fortuna sfacciata.
Perché davvero non è facile arrivare a 43
anni e possedere, secondo quanto dichiara, un patrimonio
di oltre 2 miliardi di euro: 910 milioni in immobili e circa
1.400 milioni in partecipazioni (tra cui 450 in Rcs, 420
in Antonveneta, 450 in Bnl, 50 in Bipielle). Stefano Ricucci,
infatti, non nasce ricco. Suo padre è autista dellAtac,
lazienda dei trasporti pubblici di Roma, sua madre
è casalinga. Dopo il diploma, lavora come odontotecnico
in un laboratorio dentistico di Centocelle. Per arrotondare,
in estate fa il cameriere.
La leggenda delle origini narra del primo affare immobiliare
a 19 anni: un terreno della madre scambiato con tre appartamenti;
poi racconta di compravendite di negozi a Zagarolo, che
a molti italiani ricorda per lo più «lultimo
tango» di Franco e Ciccio. Nel 1984 il giovane Stefano
fonda la sua prima società: per la gestione di ambulatori
e laboratori clinici, lui che era solo lultimo dei
tecnici. Lanno seguente, il primo affare di peso:
acquista un immobile a San Cesareo, alle porte di Roma,
e lo rivende racconta guadagnando 246 milioni
di lire. Da allora non si ferma più. Da Zagarolo
e Grottaferrata passa a Roma e Milano.
Mente veloce, gran lavoratore, uomo fortunato. Ma la sua
fortuna più grande è incrociare la bolla immobiliare:
in unItalia in cui lindustria declina, il mattone
cresce ininterrottamente di valore; e il cambio di regime
monetario con larrivo delleuro aumenta la propensione
agli investimenti immobiliari (anche perché costringe
a mettere in circolo i soldi indichiarabili). Negli ultimi
anni (ottobre 1998-ottobre 2004, secondo dati di Nomisma)
le abitazioni incrementano il loro valore in media del 65
per cento, gli uffici del 59 per cento, i negozi di oltre
il 57 per cento. Ma i palazzi di pregio a Milano e Roma
in alcuni casi raddoppiano o addirittura triplicano il loro
valore. Ricucci, per esempio, compra nel 1999 un centro
residenziale a Talenti, vicino a Montesacro, per 17 miliardi
di lire e lo rivende subito dopo a 50. Lanno dopo
per 37 miliardi compra Palazzo Bonaparte, in piazza Venezia
a Roma, e lo rivende a 90. A Milano possiede un palazzo
in via Borromei valutato 120 milioni di euro, un altro in
piazza Durante che vale 118 milioni, un terzo nella centralissima
via Silvio Pellico, a ridosso della Galleria Vittorio Emanuele,
che viene valutato 60 milioni.
Lavora soprattutto con le banche, stringe rapporti e alleanze,
compra e vende grandi immobili, realizza operazioni di vaste
dimensioni. Fino a diventare il re della rude razza romana.
Ha fatto affari con la Fingruppo di Chicco Gnutti e con
la Capitalia di Cesare Geronzi, restando poi con entrambi
in rapporti non proprio affettuosi, secondo i bene informati.
Ma realizzando comunque ottime plusvalenze.
Quando, nel 1989, ha fondato la sua holding, lha chiamata
Magiste, sommando le prime lettere dei nomi dei suoi genitori,
Matteo e Gina, e del suo, Stefano: tutto casa e famiglia.
Ma lha domiciliata in Lussemburgo, al riparo da sguardi
indiscreti. Si attornia solo di uomini fidati, tra cui Luca
Pompei, un giovanotto di 30 anni, nipote di Giorgio Almirante
e di Donna Assunta, che è di casa a casa Ricucci.
E nelle sue operazioni non tutte proprio un esempio
di trasparenza entrano finanziamenti misteriosi (come
quello da 1,8 miliardi di euro ottenuto in Lussemburgo:
in cambio di quali garanzie patrimoniali? e messe a disposizione
da chi?) e teste di legno, come nella migliore tradizione
italiana. Il signor Ezio Candela, per esempio, è
un pensionato ottantunenne esperto in fallimenti (ne ha
sei sul groppone) a cui Ricucci il 30 dicembre 2004, per
la cifra di soli mille euro, ha passato la società
Immobiliare il Corso. Ovvero una scatola in cui erano passati
immobili di Ricucci venduti a Gnutti, poi finita alla banca
di Fiorani. Candela gli era già stato utile, come
ricostruisce Vittorio Malagutti sullEspresso, quando,
indossati i panni dellamministratore unico, aveva
preparato il passaggio al curatore fallimentare di unazienda
del primo Ricucci, il centro odontostomatologico Arcadia.
Archiviati i denti e raggiunta la ricchezza, ora, con addosso
una nuvola di Rush (Gucci eau de toilette), sogna il riconoscimento
sociale e insegue la promozione culturale. Una laurea se
lè già presa, in Economia, presso una
certa Clayton University di San Marino, non proprio la Sorbona.
Dove una laurea lha portata a casa anche Anna Falchi,
in Letteratura. Adesso il suo obiettivo è diventare
cavaliere del lavoro. Ci tiene proprio. «Qual è
il problema? Lavoro da 23 anni», ha dichiarato al
settimanale Economy, «e per diventare cavaliere ne
occorrono 20. Ho un gruppo che paga le tasse in Italia.
E ho creato ricchezza...». E ha aggiunto tenero: «Io
chiedo solo una chance. Chiedo solo di essere rispettato
per il lavoro che faccio. È troppo?».
«È il re della matematica», dice di lui
Anna Falchi, «a volte provo a fargli fare a mente
dei calcoli complicatissimi e non sbaglia mai». Per
il resto, vita tranquilla. «Stiamo in casa e io mi
metto ai fornelli per lui». Piatto preferito: lasagne
al ragù. «Non frequentiamo i salotti mondani
né i circoli esclusivi, ma solo gli amici di sempre»:
lattrice Lorenza Indovina e lo scrittore Niccolò
Ammaniti, per esempio, «che hanno deciso di sposarsi
dopo di noi»; o il presidente della Confcommercio
Sergio Billè, probabile testimone di nozze.
Tra amici, Stefano si lascia andare e fa il simpatico: «Con
quellaccento romano e le sue freddure sembra Alberto
Sordi», racconta Anna Falchi. Che ama cucinare e vuole
che il marito faccia il maschio, ma pretende un suo ruolo
anche fuori dalla cucina: «Non per niente mi chiamano
Lady Finanza: quando siamo a cena intervengo e so quello
che dico». Per ora si accontenta di fare la produttrice
cinematografica, ha fondato una società che si chiama
A-Movie Productions e vuole realizzare un film da Oscar
con Dustin Hoffman. Domani si vedrà.
Chi non lo ama dipinge Ricucci come uno dei tanti operatori
spregiudicati che riescono a emergere in tempi di crisi,
senza aver creato nuove imprese o nuovi prodotti; spalleggiati
e utilizzati da banchieri altrettanto spregiudicati, hanno
solo spostato in Borsa, drogando il listino, i soldi guadagnati
col mattone. «Ricucci non ha alcun fascino, zero magnetismo.
Neppure la fierezza, tutta siciliana, di un altro che si
è fatto dal niente come Salvatore Ligresti»,
racconta un grande banchiere che ha avuto a che fare con
lui («Ma mi raccomando, niente nomi»).
Lui ripete fino alla noia di essersela invece meritata,
la sua fortuna. E che «dietro Ricucci cè
solo Ricucci, che ha fatto strada lavorando duramente e
grazie a tanti amici che hanno creduto in lui. Punto».
Siccome poi nei salotti buoni non lo invitano, è
entrato di forza in uno dei migliori, quello di Rcs, buttando
sul piatto una cifra valutata tra i 450 e i 700 milioni
di euro. E subito tutti a interrogarsi: perché vuole
il Corriere della sera? chi cè dietro? di chi
sta facendo il cavallo di Troia? La sua risposta è
la solita: dietro Ricucci cè solo Ricucci,
io non sono un prestanome di lusso. Quando la scalata era
solo agli inizi, del resto, a proposito dei giornali aveva
rilasciato una dichiarazione che oggi è da rileggere
attentamente: «Non ce lho con chi scrive. Mi
dà fastidio però la malafede, la censura sui
fatti, i conflitti di interesse tra editori e giornalisti.
Chiedo rispetto. E regole uguali per tutti: dagli Agnelli
a Ricucci. Perché si smetta di distribuire patenti
di credibilità a chi vende scarpe, negandole a chi
vende immobili». Capito? Ma comunque, dato che i protagonisti
di questa storia non aiutano a capire molto di più,
non resta che raccogliere indizi, seguire piste. A cominciare
dal volo del calabrone.
Il patto del calabrone. Il patto di sindacato che scade
nel 2007 e controlla il 58 per cento di Rcs è un
calabrone: non si sa come riesca a volare, eppure vola.
Tiene insieme, infatti, 15 soggetti che hanno scarse motivazioni
a stare insieme. Banchieri e imprenditori di quella che
una volta era lala nobile del capitalismo italiano
(Mediobanca, Generali, Fiat, Pirelli, Pesenti, Gemina, Edison,
Mittel, Merloni, Intesa, Capitalia...), più un paio
di nuovi arrivati accettati non senza fatica (Diego Della
Valle e Salvatore Ligresti). È questo calabrone che
gestisce il Corriere, magari anche stando a guardare attonito
chi come Francesco Gaetano Caltagirone, palazzinaro
romano di più antica tradizione stava fuori
dal patto, ma tenendosi stretto un bel 2 per cento di azioni
Rcs che avrebbe voluto far contare di più. Con questo
calabrone che ronza ma non disturba, il Corriere negli ultimi
anni è andato per la sua strada, cambiando più
volte direttore ma dimostrando nella sostanza di essere
difficilmente condizionabile dai poteri. Per quanto tempo
ancora, però, riuscirà a volare il calabrone?
Un indizio da cui partire è la questione dei prezzi.
Il titolo Rcs, spinto dagli acquisti, è cresciuto
di oltre l80 per cento in un anno, raggiungendo una
quotazione 60 volte gli utili netti del 2004, mentre la
media europea di settore è di 16 volte. Insomma:
Ricucci, malgrado le sue ripetute dichiarazioni in linguaggio
tuttoborsaefinanza, ha comprato a prezzi fuori mercato,
spendendo più di 450 milioni di euro al 6 giugno,
quando ha annunciato di avere in tasca il 18,5 per cento.
«Sa cosa vuol dire Rcs? Vuol dire Ricucci-Coppola-Statuto».
È solo una battuta, ma siccome circola dentro le
mura del Corriere della sera fa un certo effetto. E allora
la prima pista da seguire per capire che cosa sta succedendo
è quella degli immobiliaristi. Ricucci sta rastrellando
titoli per Caltagirone, si diceva nella prima fase della
scalata, magari contando sullaiuto, dallinterno
del patto, di Salvatore Ligresti e del suo nuovo mentore,
il banchiere di Capitalia Cesare Geronzi. Ma poi Caltagirone,
il 26 maggio, ha annunciato di aver venduto il suo 2 per
cento, realizzando una bella plusvalenza di 38 milioni,
ma soprattutto lanciando un segnale: io non centro
con questi nuovi arrivati della razza mattona. (A meno che
non sia tutta una finta, un depistaggio per non scoprirsi
come il vero scalatore).
La seconda pista passa per il banchiere preferito da Ricucci,
cioè quel Gianpiero Fiorani che è il vero
regista delle altre due scalate in corso, su Antonveneta
e su Bnl. Fiorani è forte del rapporto intenso e
diretto, molto diretto, con il governatore della Banca dItalia
Antonio Fazio. Ma è fragile perché, dopo tante
acquisizioni realizzate ma non ancora digerite, la sua indebitatissima
Popolare di Lodi o riesce a compiere il grande salto e diventa
una banca di prima fila, oppure rischia miseramente di implodere:
lindicatore che misura la sua solidità patrimoniale
(Tier 1) è sceso sotto il 2 per cento, non era mai
successo a nessuna banca italiana.
La terza pista è la più cervellotica: a sostenere
Ricucci sarebbe addirittura Giovanni Bazoli, il banchiere
di Intesa, uno che con Ricucci non troverebbe parole comuni
neppure per parlare del tempo, ma a cui sarebbe utile un
assalto ai confini per riuscire a manovrare i rapporti di
forza allinterno del patto; e a realizzare una sorta
di guerra preventiva, rastrellando quote di Rcs per annullare
così i rischi di vere scalate ostili. O di defezioni
temute, come quella di Fiat, che in Rcs ha una delle quote
più pesanti (oltre il 10 per cento), ma così
tanti problemi a Torino da rendere prevedibile, prima o
poi, un suo ritiro da Milano. Bazoli ha però smentito
seccamente ogni suo coinvolgimento nella vicenda e il patto
del calabrone ha dato ripetuti segnali di compattezza. Si
è consolidato salendo, il 30 maggio, dal 57,4 al
58,08 per cento. E poi si è blindato, inventando
il 5 giugno una clausoletta salvacalabrone secondo cui,
in caso di opa, i soci simpegnano a comprare loro
le quote di chi voglia vendere.
Inseguendo indizi, si scopre che tra i finanziatori di Ricucci
ci sono la Popolare dellEmila Romagna di Guido Leoni,
la Popolare di Vicenza e la genovese Carige guidata da Vito
Bonsignore, tre istituti molto vicini al governatore Fazio
e tutti e tre impegnati a difendere, con Fiorani, «litalianità»
di Bnl contro gli spagnoli. Ma anche in ambienti impensabili
si scovano indizi che portano a Ricucci. In Banca Intermobiliare,
per esempio, boutique finanziaria torinese controllata dalla
famiglia Segre e da sempre vicina a Carlo De Benedetti.
Oggi ha tra i suoi clienti più affezionati proprio
Stefano Ricucci, Danilo Coppola e Giuseppe Statuto, cui
ha offerto servizi e finanziamenti, anche in relazione alla
scalata Bnl.
Altri indizi portano ad Arnaldo Borghesi, amministratore
delegato di Lazard Italia e membro di board cari a Bazoli
come quello di Mittel e della Fondazione Giorgio Cini. È
ladvisor preferito di Fiorani e, secondo voci diffuse
durante la prima fase della scalata, era al lavoro anche
per conto di Ricucci. Leditoria, del resto, a Borghesi
piace, vista la sua vicinanza al quotidiano economico Finanza
& Mercati diretto dal suo amico Osvaldo De Paolini,
gran sostenitore degli affari di Fiorani e compagnia. Ma
Ricucci ha poi dovuto smentire espressamente di aver affidato
incarichi a Lazard «e specificamente a Borghesi».
Anche Francesco Micheli, finanziere-musicista ormai defilato,
ha smentito di avere una parte in questo giallo con troppi
indiziati e con piste che, anche se cadute, possono essere
state vere per qualche momento o potranno diventar vere
in futuro. Anche perché, seppure lavesse iniziata
da solo, oggi lavventura Rcs non può più
essere gestita in solitaria da Ricucci e comunque è
destinata a sfuggirgli di mano. Il 30 maggio ha cominciato
a parlare di opa: ma unofferta pubblica dacquisto
su Rcs, che per legge farebbe sciogliere il patto del calabrone,
obbligherebbe a mettere sul piatto almeno 3 miliardi e mezzo
di euro e a spenderne effettivamente almeno la metà.
Too much anche per la rude razza romana.
La pista rossa. Poi cè la pista rossa.
E qui gli indizi si moltiplicano. La banca più impegnata
con Ricucci è la Deutsche Bank e il banchiere a lui
più vicino (se si esclude Fiorani, naturalmente)
è Vincenzo De Bustis, oggi numero uno di Deutsche
Italia e vecchia conoscenza di Massimo DAlema fin
dai tempi eroici della Banca del Salento e di Banca 121.
Sono firmati Deutsche e Société Générale
giganteschi finanziamenti a Ricucci (per un totale di 1,8
miliardi di euro) su cui anche la Consob ha chiesto chiarimenti.
De Bustis comunque sostiene di non saperne nulla: sono operazioni
decise dal trading desk della sede di Londra. Ma il desk
di Londra non fa investimenti senza relazione del desk di
Milano. E poi la Deutsche è partner di Magiste anche
nella gara in corso per la gestione dellimmenso patrimonio
immobiliare Enasarco (valore: 3 miliardi di euro) in cui
Ricucci si scontra con concorrenti del calibro di Generali
e Pirelli Real Estate. La pista rossa, dunque, porta ad
ambienti vicini a DAlema. Chi lo conosce è
pronto a giurare che a DAlema piace lattacco
al cuore dello stato di cose presente sferrato dai nuovi
capitani coraggiosi, dalla rude razza romana.
La pista rossa, del resto, è confermata anche da
altri più sostanziosi indizi. Chi è il grande
alleato di Fiorani (e dunque di Ricucci) in tutte le partite
più rischiose che ha in corso? È Giovanni
Consorte, il finanziere creativo di Unipol, luomo
che ha trasformato il vecchio mondo delle cooperative rosse
in una macchina da guerra da scatenare nelle operazioni
finanziarie più spregiudicate: dalla madre di tutte
le opa lanciata da Chicco Gnutti su Telecom, fino agli odierni
arrembaggi a Bnl e Antonveneta. Consorte sembra aver stretto
una sorta di patto informale con Fiorani e Gnutti, con cui
fa cordata in molte operazioni benedette dal governatore
Fazio. In casa, invece, Consorte si è assicurato
il controllo della galassia Unipol grazie a unarchitettura
societaria così arzigogolata e autoreferenziale,
piena di scatole cinesi e partecipazioni incrociate (lha
raccontata Mario Gerevini sul Corriere nellaprile
2004), da far invidia perfino alla «costruzione gotico-castrense»
delle holding berlusconiane. Alla faccia della trasparenza
che ci si aspetterebbe dal movimento cooperativo.
Non è un mistero che il nume tutelare politico di
Consorte sia Massimo DAlema, con tutta la rete degli
amministratori locali Ds (necessari, per esempio, per stipulare
grandi contratti pubblici con Unipol, o per concedere licenze
edilizie a una Coop in grande espansione. Ma utili anche
allespansione dei nuovi palazzinari). Il mondo dalemiano
è in grande fermento ed espansione, dopo le ultime
vittorie elettorali del centrosinistra alle amministrative.
Tra i dalemiani spicca Pierluigi Bersani, ministro allepoca
della scalata Telecom da parte dei «capitani coraggiosi».
Allora nelloperazione fu coinvolta anche la «banca
rossa», il Monte dei Paschi di Siena, che pochi anni
prima, nel 1996, era stata convinta da un suo consigliere
damministrazione (Silvano Andriani, molto legato a
DAlema) ad acquistare una partecipazione in Mediaset
decisiva per il successo del collocamento in Borsa della
holding televisiva di Berlusconi. Oggi il Monte dei Paschi
ha invece resistito alle pressioni politiche ed è
rimasto neutrale rispetto alle scalate Bnl e Antonveneta.
E nel mondo delle cooperative si è ormai formata
una fronda anti-Consorte. Ma lui va avanti imperterrito.
Tanto che anche Montezemolo, allassemblea annuale
di Confindustria, ha lanciato uninattesa stoccata
alla pista rossa. Dopo aver attaccato «la malintesa
battaglia per litalianità delle banche»
e aver criticato, senza giri di parole, «lemersione
di nuovi soggetti e di capitali misteriosi», Montezemolo
ha alzato per un attimo gli occhi dai fogli che stava leggendo
e, a braccio, ha aggiunto: «E nel Paese, soprattutto
nella sinistra, abbiamo sentito troppi silenzi».
La frecciata era rivolta ai dalemiani. Reazione scandalizzata
di Pierluigi Bersani: «Passaggio gratuito».
E qualche giorno dopo, a proposito delle ipotizzate vicinanze
Ricucci-DAlema: «Mi sembrano palloni che si
fanno girare per coprire la realtà dei fatti».
Ma Franco Bassanini, ex ministro della Funzione pubblica,
commenta con Diario: «Luscita di Montezemolo
forse era ingenerosa, visto che a sinistra qualcuno aveva
parlato, eccome». Romano Prodi, Francesco Rutelli,
Giuliano Amato e lo stesso Bassanini, esprimendosi apertamente
per lapplicazione delle regole di mercato, avevano
criticato le cordate di Fiorani e amici. «E del resto
da destra, più che silenzi, sono arrivati sostegni
forti ed espliciti agli scalatori», continua Bassanini,
«vedi il comportamento di Luigi Grillo, presidente
della Commissione lavori pubblici del Senato».
Detto questo, però, Bassanini non si scandalizza
per la critica di Montezemolo. E ammette che i silenzi,
a sinistra, ci sono stati. Anzi, altro che silenzi. DAlema
a Porta a porta ha parlato e si è schierato, quando
si è lasciato sfuggire: «Io sono per il mercato,
ma lItalia non può avere solo filiali».
Ora Bassanini replica: «A unopa si deve rispondere
con unaltra opa, non rastrellando azioni con operazioni
poco trasparenti che alla fine danneggeranno i piccoli azionisti
e faranno guadagnare i soliti noti». Su questi temi
il Corriere ha da tempo chiesto unintervista a Massimo
DAlema, ma per ora non ha ricevuto risposta.
A meno che... A meno che la pista rossa si sussurra
nei palazzi della politica non sia uninvenzione
centrista, un complotto anti-Ds messo in circolo da Della
Valle e Montezemolo, con alle spalle Francesco Rutelli...
La pista B. Ma a proposito di opa, se davvero, alla
fine, arrivasse a lanciare unofferta pubblica dacquisto
su Rcs, allora Ricucci darebbe linnesco a una rivoluzione.
Il patto di sindacato sarebbe sciolto e ognuno correrebbe
per sé. Funzionerà la clausoletta salvacalabrone?
Certo che a quel punto i soldi necessari sarebbero davvero
tanti e piste diverse, allora, potrebbero arrivare a sommarsi.
E potrebbe magari palesarsi qualcuno che ha tanti soldi
e tanta voglia di togliersi uno sfizio: fare finalmente
i conti con quei rompiscatole del Corriere, sempre pronti
a criticare il governo. Di personaggi con tanti soldi (magari
per aver appena venduto un 17 per cento di Mediaset, con
un ricavo di 2,2 miliardi di euro) e con conti politici
in sospeso con il quotidiano di via Solferino ce nè
uno solo in Italia, e si chiama Silvio Berlusconi.
A voler guardare, qualche piccolo indizio che porta alla
pista B. si è già materializzato. Nella lista
stilata da Ricucci con i nomi per il consiglio damministrazione
di Antonveneta nel caso fosse respinto lo straniero, compariva
Ubaldo Livolsi: oggi è consulente di Ricucci, però
è noto che Livolsi, dopo essere stato manager di
Berlusconi, è diventato finanziere in proprio ma
sempre in unarea contigua al suo ex capo, tanto da
essere membro del consiglio damministrazione di Fininvest.
E in questa storia fa capolino anche il banchiere napoletano
Federico Imbert, responsabile per lItalia di Jp Morgan,
in affari con Fiorani e Gnutti oltre che con lUnipol
di Giovanni Consorte, ma anche regista del collocamento
del 17 per cento di Mediaset appena venduto da Berlusconi;
il 25 maggio Imbert è stato ricevuto a Palazzo Chigi,
secondo quanto annunciato da un comunicato della presidenza
del Consiglio che non spiega i motivi della visita.
Soldi sporchi e avventurieri. E così stiamo assistendo
allennesimo arrembaggio lanciato contro il fragile
capitalismo italiano. In passato ci hanno provato in tanti,
i Sindona, i Calvi, i Parretti... Anche allora circolavano
le maldicenze su capitali misteriosi, i sussurri su affari
sporchi. E in qualche caso è emerso che i rapporti
con la criminalità organizzata cerano davvero.
I due più grandi banchieri privati italiani sono
morti in circostanze misteriose, dopo crac clamorosi, lasciando
scie di soldi che puzzavano di mafia. Raul Gardini, con
la Calcestruzzi, era diventato tecnicamente socio di Cosa
nostra. Salvatore Ligresti fu indagato (ma senza alcun risultato)
«ai fini di uneventuale proposta per lapplicazione
di misure di prevenzione». E il braccio destro di
Berlusconi Marcello DellUtri non è stato forse
condannato a nove anni in primo grado per i suoi rapporti
con la mafia? La storia italiana è fatta così.
In queste storie del passato molti avevano abbozzato, altri
si erano opposti, qualcuno ci aveva rimesso la vita.
«Sempre nei momenti di crisi entrano in campo capitali
strani», comincia a ragionare un grande banchiere
(anche lui: «Ma noi non ci siamo neanche visti»).
Grandi speculazioni in tempo di declino dellindustria,
grandi capitali che tornano a casa grazie allo scudo fiscale.
Oggi, in più, cè una novità radicale,
anche rispetto alle brutte storie del passato: la crisi
è strutturale e non cè più nessuno
che possa fare barriera. Il grande capitalismo italiano
è ridotto a utilities e immobiliare. I vecchi equilibri
sono saltati, non cè più un Cuccia a
fare il buttafuori e i nuovi arrivati spingono per entrare.
I barbari premono ai confini, vogliono essere accettati
nei vecchi salotti buoni. E con quali argomenti si può
tenerli fuori? «In quei salotti stanno ormai signori
che comandano senza avere i soldi. Da dove attingono la
loro legittimazione le Grandi Famiglie ormai in declino,
o i banchieri che comandano senza aver mai messo una lira
di tasca propria? In nome di che cosa vantano una supremazia
morale? Come possono dire a chi arriva con grandi capitali:
voi non meritate di entrare?».
E allora che cè di strano se qualcuno sinnamora
dei barbari, della rude razza padana, poi della rude razza
romana, animal spirits senza storia e senza cultura, ma
vitali e solvibili? Ne subisce il fascino anche Massimo
DAlema, uno che a Milano si trova a disagio e per
questo ci viene raramente, che nei suoi salotti si sente
in imbarazzo, che non ama i «poteri forti»,
così privi di ogni deferenza verso la politica. Certo,
una volta la sinistra lanciava i «patti tra i produttori»
e alla rendita preferiva il profitto, lindustria alla
finanza, non civettava con chi la produzione non sa che
cosa sia ed è più interessato alla speculazione
che allinnovazione e alla ricerca. Ma le cose, evidentemente,
cambiano.
Anche lex palazzinaro Berlusconi come Ricucci
passato in fretta dallago al milione, e poi dallimmobiliare
alla tv e alla politica in fondo non ama Milano,
la Milano delle grandi banche e dei grandi giornali che
lha sempre guardato con sufficienza. Quando dice che
l80 per cento della stampa è comunista, non
pensa certo allUnità, ma al Corriere della
sera, al Sole 24 ore. E in un certo senso ha ragione: il
capitalismo nobile non ha mai amato gli outsider; li ha
sempre disprezzati e messi alla porta, magari dopo aver
concluso con loro qualche vantaggioso affare.
Oggi tutto questo potrebbe saltare. Una dozzina danni
fa, la stagione chiamata Mani pulite è stata per
un attimo, un attimo soltanto, anche egemonia culturale,
possibilità di raddrizzare i conti dello Stato e
i metodi degli affari. «Allora qualcuno si è
illuso che fosse possibile introdurre anche in Italia il
capitalismo di tipo anglosassone, un capitalismo delle regole»,
continua a ragionare il banchiere. «Oggi è
chiaro che quel progetto è fallito». I barbari
hanno i loro circuiti offshore e i loro rappresentanti in
politica, hanno tanti soldi e metodi spregiudicati. Potrebbero
sostituire del tutto un capitalismo nobile che, se mai cè
stato, ormai non cè più.
Avrà ragione il banchiere pessimista?
Scalatori mascherati. La Consob accusa
La variopinta compagnia degli scalatori (da Gianpiero
Fiorani a Emilio Gnutti, da Giovanni Consorte a Stefano
Ricucci) è oggetto di una serie di inchieste giudiziarie
per reati societari. La procura di Roma, per esempio, sta
indagando sulla scalata Bnl, i magistrati di Milano Giulia
Perrotti ed Eugenio Fusco stanno invece indagando su Antonveneta.
Si comincia così a sollevare qualche velo sui finanziamenti
occulti e sulla rete di società, alcune delle quali
domiciliate nelle Isole Vergini e in altri paradisi fiscali,
da cui quei finanziamenti sono transitati. Fiorani inoltre
è il protagonista anche per due ardite operazioni
di salvataggio, quelle che hanno strappato dal crac Credieuronord,
la banca della Lega, e Hdc-Datamedia, la società
di sondaggi di Luigi Crespi (per questo è anche indagato).
Anche la Consob ha posto sotto osservazione gli scalatori.
E nel rapporto del 10 maggio 2005 sullaffare Antonveneta
ricostruisce minuziosamente i flussi di denaro entrati nella
partita. Dimostrando che Fiorani e i suoi amici hanno cominciato
a rastrellare azioni della banca di Padova ben prima del
3 febbraio 2005, data in cui la Popolare di Lodi (Bipielle)
ha chiesto a Bankitalia lautorizzazione a salire fino
al 15 per cento. Si erano già mossi, dice il rapporto
Consob, 38 soggetti che avevano acquistato più del
22 per cento del capitale di Antonveneta. È così
dimostrato che «il progetto Bipielle fosse già
da tempo esistente e strutturato» e che «lamministratore
delegato di Bipielle avesse posto in essere contatti e incontri,
anche con soci italiani aderenti al patto, finalizzati ad
acquisire una partecipazione in Antonveneta». In spregio
alle regole, dunque, Fiorani e gli scalatori (tra cui Ricucci
e Coppola) hanno stretto accordi sotterranei e non dichiarati,
hanno organizzato una cordata segreta e sottratta a ogni
controllo, hanno costituito un patto di sindacato occulto.
Senza darne comunicazione al mercato e alle autorità
di controllo, Consob e Bankitalia.
Di questo patto di sindacato occulto di cui fanno parte,
secondo Consob, «38 soggetti», 18 appartengono
al gruppo bresciano di Chicco Gnutti, 12 al gruppo dei lodigiani
legati a Fiorani, cinque sono immobiliaristi (tra cui Stefano
Ricucci e Danilo Coppola) e tre trader. I 38 soggetti, grazie
alle informazioni riservate ricevute da Fiorani, hanno anche
realizzato consistenti plusvalenze, perché hanno
comprato sotto traccia titoli Antonveneta prima dellinizio
ufficiale della scalata, rivendendoli poi alla Popolare
di Lodi quando i prezzi erano considerevolmente lievitati.
Al reato ipotizzato di false comunicazioni si aggiunge così
quello di insider trading. È ipotizzabile inoltre
anche il reato di aggiotaggio, perché gli scalatori
avrebbero manipolato i meccanismi di mercato facendo salire
i prezzi di Antonveneta ben oltre i 25 euro ad azione offerti
dagli olandesi di Abn-Amro, facendo così fallire
la loro opa.
Ma Fiorani non ha solo passato preziose informazioni agli
amici, li ha anche generosamente finanziati, con cifre variabili
da 10 a 50 milioni di euro a testa, con un esborso totale
di 1.118 milioni di euro. In 31 casi su 38 si è trattato
di finanziamenti, scrive la Consob, con «profilo di
rischio elevatissimo». Ricucci, secondo il rapporto,
è un caso a sé. «Ha avuto nel medesimo
periodo una significativa crescita del suo affidamento complessivo
con la banca», anche se «non direttamente collegabile
agli acquisti in questione». Ma sappiamo che la sua
Magiste era impegnata anche in altre partite, tra cui spicca
la scalata Rcs.
Quali e quanti soldi sono passati da Bipielle Suisse a misteriose
società dei Caraibi e poi arrivati a Ricucci che
li ha utilizzati per il suo shopping milionario? Sulla base
di quali garanzie patrimoniali? E fornite da chi? Domande
ancora senza risposta, che le indagini dovranno cercare
di trovare. (gb)
Diario, 10 giugno 2005
Diario delle scalate/2
"Sì, i lanzichenecchi ci piacciono"
"Diario" ha posto un problema: i rapporti tra
la composita compagnia degli scalatori e la "finanza
rossa". Sono arrivate smentite. Ma anche una conferma:
gli outsider non sono peggio degli altri. Ricucci "non
ha la rogna". Intanto giungono nuove informazioni
sullo scalatore del "Corriere". E Berlusconi...
Compagno Ricucci?
Nel numero scorso, "Diario"
ha allineato gli indizi sul campo,
nel tentativo di comprendere
la scalata Rcs, un giallo con troppi indiziati. Nellultima
settimana, sono arrivati commenti, smentite, conferme,
arricchimenti, nuove scoperte... Ma, come nei gialli,
è capitato che alcuni indiziati, sentendosi gli
occhi addosso, abbiano fatto un passo falso: hanno dichiarato
di amare
gli outsider, i lanzichenecchi,
la rude razza romana. Intanto
si rafforza unaltra pista indicata da "Diario",
quella che fa capo
a un ricco imprenditore italiano,
forte anche in politica, con fedeli alleati Oltralpe.
Nei gialli capita che gli indiziati, sentendosi gli occhi
addosso, facciano un passo falso. Chissà se è
quello che è successo a proposito del grande assalto
alla finanza italiana raccontato nel numero scorso da
Diario. Volevamo capire e illustrare i movimenti in corso
su Rcs, Bnl, Antonveneta, Mediobanca, Fiat, Generali...
Poiché sono movimenti in gran parte sotterranei,
per niente trasparenti, con soldi che non si sa da dove
vengono e protagonisti che non mostrano il loro volto,
Diario ha scelto di allineare indizi. Ha raccontato diverse
piste, tra cui la "pista Berlusconi" e la "pista
rossa" (in copertina si leggeva: "Compagno Ricucci").
La reazione di Massimo DAlema e degli uomini a lui
vicini è stata inaspettata. Ci si poteva immaginare
una secca smentita, accompagnata da un elogio della trasparenza
e del mercato. La prima cè stata, il secondo
no. Anzi. "Non conosco nessuno di quei personaggi
che si citano. Io questo Ricucci non so neanche chi sia",
dichiara DAlema il 10 giugno 2005 allUnità.
Cè da credergli. Ma poi aggiunge: "Certe
campagne si concludono perché, immagino, si vogliono
tutelare degli interessi specifici, di persone che ritengono
che i loro interessi personali sono una nobile battaglia
in difesa degli interessi del mercato, mentre gli interessi
degli altri sono un ignobile complotto dietro cui si cela
un qualche Belzebù". Dunque gli assalti finanziari
in atto sono invece, per DAlema, un corretto scontro
di mercato a cui assistere con distacco, tanto una parte
vale laltra, e vinca il migliore.
Claudio Velardi, che fu il braccio destro di DAlema
a Palazzo Chigi (anche se oggi, civettando un po,
si definisce un "disilluso del dalemismo"),
parla ancora più chiaro. L11 giugno sul Corriere
della sera ammette che sì, DAlema quando
era presidente del Consiglio avrebbe fatto meglio a stare
zitto, a non dire in pubblico ciò che pensava dei
protagonisti dellopa su Telecom ("Avrebbe dovuto
risparmiarsi quella frase sui capitani coraggiosi").
Ma poi gli scappa che cosa pensa, oggi, dei nuovi capitani
coraggiosi, della rude razza romana degli immobiliaristi
dassalto: "Effettivamente Caltagirone è
un grande imprenditore. Ma Ricucci cosha, la rogna?".
Ce ne vorrebbero di più. Il giornale
di cui Velardi è editore, il Riformista, è
più esplicito e afferma (nelleditoriale del
7 giugno) che "gli outsider, i lanzichenecchi, gli
immobiliaristi, i redditieri" non sono un problema
per il capitalismo italiano. Anzi, ce ne vorrebbero di
più. "Il problema italiano è proprio
quello di una certa carestia di outsider; sì, proprio
di gente che viene dal nulla e si fa da sola, e mentre
si fa da sola produce sviluppo, pil e benessere".
Come Michele Sindona? Come Roberto Calvi? Come Giancarlo
Parretti e tanti altri outsider della finanza italiana
(i fratelli Canavesio, Florio Fiorini, Orazio Bagnasco,
Paolo Federici, Vincenzo Cultrera, Luciano Sgarlata, Gianmario
Borsano, Giorgio Mendella, Virgilio De Giovanni e tanti
altri il cui elenco completo riempirebbe pagine e pagine)?
Pierluigi Bersani, ministro di DAlema allepoca
della scalata Telecom da parte della "rude razza
padana" (riunita attorno al finanziere bresciano
Chicco Gnutti), ha dichiarato che è un "ragionamento
preistorico" affermare di vedere lo zampino della
"finanza rossa" dietro le operazioni in corso,
solo perché "fra i player cè
una cooperativa": perché è una cooperativa
che "agisce sul mercato nel modo che ritiene più
appropriato, senza chiedere il permesso a nessuno".
Bene. Benissimo. Ma allora come mai i banchieri "rossi"
o considerati "dalemiani" (Giovanni Consorte,
Vincenzo De Bustis) agiscono liberamente sul mercato,
mentre invece chi li critica è certamente eterodiretto,
parte di un complotto?
"E che dubbio cè? Non siamo mica nati
ieri", ha dichiarato infatti DAlema. "Conosciamo
i salotti e le persone che contribuiscono a tutto questo".
Non si fanno nomi, ma si può ipotizzare che il
complotto sia stato architettato sullasse Montezemolo-Della
Valle-Rutelli. O forse i salotti evocati sono quelli di
Giuliano Amato e Franco Bassanini? Il tutto con la compiacenza,
evidentemente, del Corriere della sera, forse del Sole
24 ore e, buon ultimo, di Diario. Ma questo tracciar complotti
non è un "ragionamento preistorico"?
Allora forse è meglio lasciarli stare, i complotti,
da una parte e dallaltra. E ragionare serenamente
sul solo materiale che abbiamo a disposizione, per ora:
gli indizi, i rapporti, le alleanze.
1. È vero che nelle diverse partite in corso cè,
schierato a geometria variabile, un composito gruppo che
riunisce soggetti diversi. Banchieri di provincia che
stanno tentando lestremo azzardo, la mano di poker
da cui dipende la loro vita o la loro morte. Finanzieri
della "rude razza padana", anchessi un
po in affanno dopo il colpo grosso della scalata
Telecom che non ha avuto repliche. Oscuri immobilieri
della "rude razza romana" di cui si conosce
più la vita privata che il curriculum professionale.
Insomma, tanto per non far nomi, Gianpiero Fiorani della
Popolare di Lodi, Chicco Gnutti con la sua Hopa e Stefano
Ricucci, Danilo Coppola, Giuseppe Statuto e compagnia
mattona...). Il tutto, sotto lincredibile ala di
colui che dovrebbe essere larbitro della partita,
e invece fa il giocatore e il padrino: il governatore
della Banca dItalia Antonio Fazio.
2. È vero che una parte di questi player sono variamente
legati alla cosiddetta finanza rossa. Sarà anche
"preistorico" dirlo, ma così è.
Tanto che dentro alla finanza rossa medesima si sta oggi
combattendo una guerra silenziosa in cui alcuni (per esempio
Pierluigi Fabrizi del Monte dei Paschi, o Turiddo Campaini
di Unicoop) stanno differenziando i loro comportamenti
e non stravedono certo per le avventure finanziarie del
boss di Unipol Giovanni Consorte. E tanto che perfino
la stessa Unipol sta lentamente cambiando la sua architettura
di controllo e il suo sistema delle alleanze: meno scatole
cinesi e partecipazioni incrociate, più separazione
dai capitali di Chicco Gnutti.
3. È vero, infine, che questa "finanza rossa"
come dimostrato dalle dichiarazioni di questi giorni
ama i lanzichenecchi, subisce il fascino degli
animal spirits della nuova razza mattona.
Non è in questione soltanto lindicazione
del puparo di Ricucci (Se cè. E se Ricucci,
spalleggiato dai suoi amici lodigiani e bresciani, non
gioca in proprio, con laiuto di uno stratega vero,
magari made in Lodi, e con la speranza di vendere, al
momento buono, al miglior offerente). Ma si potrà
pur ragionare sulle frequentazioni, le alleanze, i metodi
e le subalternità culturali di una parte della
sinistra?
Daccordo, nessuno crede alla favola del vecchio
Capitalismo Sano, delle Grandi Famiglie, dei Salotti Buoni.
Non è però un buon motivo per buttarsi nelle
braccia dei nuovi avventurieri. Non viviamo in Svezia,
da noi in genere gli outsider si sono fatti spazio con
i soldi non è trendy dirlo, ma è
così della mafia. E anche senza andare tanto
in basso, gli attuali protagonisti (almeno quelli che
si vedono, per gli altri chissà) sono oggi sotto
indagine per una fila di comportamenti contro il mercato
che farebbe impallidire qualunque finanziere di un normale
Paese dEuropa o dAmerica: aggiotaggio, insider
trading, finanziamenti a rischio concessi agli amici e
agli amici degli amici, false comunicazioni al mercato
e alle autorità di vigilanza, creazione di un patto
di sindacato occulto... È questo il modello che
piace tanto?
Un vecchio leader del Pci siciliano, Michelangelo Russo,
mentre attorno a lui crescevano gli affari di Cosa nostra
e chi si opponeva veniva ammazzato, diceva che "non
si può fare le analisi del sangue alle imprese".
Più recentemente, un altro leader comunista, Emanuele
Macaluso, spiegava che non cè motivo di stupirsi
se uomini come Giulio Andreotti o Silvio Berlusconi hanno
avuto rapporti o hanno fatto affari con la mafia. E chi
si stupisce, ormai, se il Teatro Lirico a Milano sarà
gestito dal senatore Marcello DellUtri, condannato
in primo grado a nove anni per concorso esterno a Cosa
nostra?
Bruno Tabacci, uomo che di politica e finanza se ne intende,
ribadisce a Diario che "la politica non conta più
un piffero". Che ormai non crede alla politica che
guida la finanza: semmai è il contrario. Appunto:
non è che sta succedendo questo anche a sinistra?
Attenzione, però: anche chi, dallaltra (?)
parte, lancia lodi ad altri soggetti in campo, non fa
certo un bel servizio alla politica. Così Francesco
Rutelli, quando dichiara al Corriere, il 10 giugno, che
"Francesco Gaetano Caltagirone è un imprenditore.
Anzi, un grande imprenditore", cancella in un attimo
tutte le cose belle declamate fino a quel momnento. Nulla
contro il Calta, per carità, ma "la politica
dovrebbe preoccuparsi solo delle regole e della trasparenza",
commenta Tabacci. Che poi aggiunge: "Qui non abbiamo
più arbitri, solo tifosi. E penso anche al governatore
di Bankitalia".
Intanto, nellultima settimana, agli indizi allineati
da Diario se ne sono aggiunti altri. Che però peggiorano
la situazione. Per esempio: Ricucci sarebbe meno ricco
e meno pulito di quello che vuol far credere. E accanto
al suo gioco piccolo si è ormai avviato il gioco
grande della finanza internazionale, con la discesa in
campo, per la conquista di Mediobanca e Generali, di finanzieri
come Tarak ben Ammar, grande alleato e amico di Silvio
Berlusconi. Ecco dove porta il gioco degli apprendisti
stregoni, commenta un finanziere milanese. Evocano forze
più grandi di loro e finiranno per esserne stritolati.
A meno che il nuovo arrivato, alla fine, non si ricordi,
grato, di loro.
Pista siciliana. Ricucci? "Panna montata",
ha dichiarato Carlo De Benedetti a Venezia, in margine
a un convegno della Fondazione Cini. Un vero "maestro
del bluff", secondo Claudio Gatti del Sole 24 ore.
Dichiarazione dei redditi 1995 (a 32 anni, mica a 18):
5 milioni di lire. Poco, per un grande immobiliarista
già in affari. Anche oggi, conti alla mano, il
patrimonio di oltre 2 miliardi di euro si smagrisce parecchio,
malgrado le repliche di Ricucci. Le valutazioni degli
immobili risultano gonfiate. Le acquisizioni sono spesso
complicate operazioni ricche di contratti di leasing e
dinterventi bancari, ma povere di soldi veri. Le
banche sono la vera bacchetta magica di Gastone, come
lo chiama la promessa sposa Anna Falchi. Ma non tutte
le banche: alcune, come Credito italiano e Cariplo, lo
depennano dallelenco dei clienti perché non
si fidano di lui; altre, come la Banca agricola mantovana
e poi la Popolare di Lodi, invece lo gonfiano di soldi
e stanno dietro alle sue operazioni.
Quanto alla fedina penale, non è brillante. Quella
che Ricucci ha inviato al Sole 24 ore è candida
come la neve, ma è quella per usi amministrativi.
Quella per usi di giustizia, invece, scovata da Claudio
Gatti, racconta di due pazienti che denunciarono lodontotecnico
Ricucci per truffa (nel 1986) e per esercizio abusivo
della professione dentistica (nel 1988). Sostenendo che,
dopo essersi presentato come dentista, aveva sbagliato
intervento: una sua iniezione aveva provocato una "semi-paresi
dellocchio sinistro, della guancia e del collo".
Storie vecchie, cancellate dallamnistia del 1989.
Più imbarazzante una vicenda del 2002: Ricucci
è stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale.
Processo, patteggiamento per quattro mesi di detenzione,
pena sospesa.
Ma le storie più preoccupanti vengono dalla Sicilia.
Uno degli uomini di fiducia di Ricucci è Guglielmo
Fransoni, avvocato quarantenne: è il tributarista
che presenta la sua faccia quando cè da trattare
con le banche. Fransoni opera a Roma; insegna Diritto
tributario alluniversità di Foggia, in Puglia;
è nato a Vibo Valentia, in Calabria. Però
gli affari lo portano spesso a Messina. Tanto che nel
1997, scrivono Peter Gomez e Vittorio Malagutti sullEspresso,
nella città siciliana Fransoni è stato denunciato
per riciclaggio. Colpa di alcune società domiciliate
nel suo studio, tra cui la Telecom Sicilia spa, e di un
suo cliente, Giuseppe Cuminale, che nel 2003 stava per
essere arrestato dalla procura antimafia. La Cassazione
bloccò il provvedimento, ma confermò la
gravità degli indizi raccolti. Il metodo era ottenere
sostanziosi appalti da Telecom Italia per la posa di cavi,
far fallire le società che avevano ottenuto gli
appalti, far sparire i soldi degli appalti (con un vorticoso
giro di denaro e opere darte) grazie allaiuto
di uomini di Messina e di Barcellona Pozzo di Gotto considerati
dagli investigatori legati a Cosa nostra.
Oggi Fransoni si occupa di tuttaltro. È nel
consiglio damministrazione di Magiste International,
la holding di Ricucci domiciliata in Lussemburgo. Ed è
stato fermato al valico di Chiasso, il 21 febbraio scorso,
dal Nucleo valutario della Guardia di finanza: nella Mercedes
su cui viaggiava in compagnia di un altro uomo di Ricucci,
Luigi Gargiulo, cerano preziosi documenti finanziari
su società offshore e operazioni riservate. Stavano
prendendo la strada dellestero e invece ora sono
al vaglio dei magistrati di Milano Giulia Perrotti ed
Eugenio Fusco.
Assalto alla cassaforte. La faccenda intanto
si è estesa. Dopo la scalata Rcs, si sono palesati
movimenti su Mediobanca e Generali. È davvero iniziato
il grande assalto al cuore del (debole) capitalismo italiano
che Diario ha ipotizzato nel numero scorso. Ma se gli
eventuali protagonisti dietro Ricucci e i suoi amici sono
invisibili nel blitz sul Corriere, quelli che stanno comprando
titoli Mediobanca e Generali sono imprendibili. "Non
capiamo che cosa sta succedendo", confessa un grande
banchiere del Nord. "Non vedo una strategia, da nessuna
parte. Forse ci sono solo movimenti opportunisti, nel
senso che uno o più soggetti si stanno muovendo
cogliendo le opportunità che si presentano, senza
un vero piano".
Ha smentito con decisione di essere dietro a qualunque
operazione su Mediobanca e Generali Vincent Bollorè,
socio francese della banca daffari che fu guidata
da Enrico Cuccia. "Io non vedo nessun attacco",
ha dichiarato anche laltro grande sospettato, Tarak
ben Ammar. Il finanziere franco-tunisino è al centro
di una complessa rete di rapporti che tiene insieme George
Bush e i capitali arabi, Rupert Murdoch e Silvio Berlusconi.
Fu Tarak, la sera del 24 novembre 1995, che tirò
fuori dai guai lamico Silvio. Con unintervista
al Tg5 di Enrico Mentana in cui dichiarò che i
15 miliardi di lire versati su conti esteri da Berlusconi
erano pagamenti di diritti televisivi allestero.
Era una balla: risulterà che erano la più
grande tangente mai pagata in Italia a un singolo uomo
politico, Bettino Craxi. Si può credere a questuomo?
o
Per la laurea, paga a Hong Kong
Stefano Ricucci potrà appendere al muro i certificati
che attestano la conquista dei titoli di "Bachelor"
e "Doctor" in Economia (7.640 euro investiti,
per un totale di 36 esami e due tesi finali). La sua signora
non è da meno: Anna Falchi si è laureata
su Pasolini grazie a un corso da "Doctor Degree"
(costo variabile fra i 10 e i 13 mila euro) e pare che
ora miri a specializzarsi in Storia del cinema. Lo sfizio
di avere un "Dott." sul biglietto da visita,
entrambi se lo sono tolti grazie alla Clayton University,
università con base a Hong Kong che sul suo sito
si definisce "il padre dellapprendimento a
distanza". Nata nel 1972, oggi la Clayton si vanta
di avere studenti in ogni parte del mondo. Chi clicca
per compilare i formulari discrizione (tutto online)
può parlare giapponese, italiano, francese o urdu.
Gli esami sono scritti, ma da spedire per posta. Gli iscritti
devono studiare con un tutor scelto da loro, ma la cui
esistenza non viene mai verificata dalluniversità
(Anna dice di aver studiato con la sua tutor tre volte
a settimana). Oltre ai corsi canonici in Business administration
o Scienze sociali, alla Clayton si può studiare
Psicofisiologia, Fitoterapia ed Erbologia, o Pianificazione
ambientale. I titoli rilasciati non sono riconosciuti
in Italia e nemmeno negli Stati Uniti, quasi tutto si
svolge online e gli accrediti delle rette finiscono sulla
Hong Kong and Shanghai Banking Corporation di Hong Kong,
banca nota per essere stata assolutamente impenetrabile
alle rogatorie italiane durante le indagini di Tangentopoli.
Se nonostante tutto questo non siete ancora perplessi,
lindirizzo per voi rimane www.culhk.com.
Diario, 17 giugno 2005
Diario delle scalate/3
Se
il Biscione mangia il Leone
Ricucci apre la strada, poi arriverà uno con soldi
e strategia.
La profezia di Ubaldo Livolsi, uomo di Silvio
Un grande banchiere del Nord dice a Diario: «Se
perde le elezioni e torna a occuparsi dei suoi affari
a tempo pieno, ne vedremo delle belle. Quello ha i soldi
e le capacità per comprarsi lItalia».
Quello è Silvio Berlusconi. E lalternativa
che si apre, di qui a un anno, è secca. O vince
le elezioni e governa lItalia, trasformando profondamente
(in peggio) le regole della democrazia e mettendo in salvo
per sempre i beni per le sue famiglie. Oppure le elezioni
le perde, e allora si scatena: il capitalismo italiano
è a una svolta, i vecchi poteri non tengono più,
gli ex salotti buoni (da Rcs a Mediobanca, fino a Generali)
sono sotto attacco e non potranno resistere a lungo, se
agli immobiliaristi della rude razza romana si unirà
chi ha soldi, strategia e alleanze per far saltare il
banco.
Berlusconi ci aveva già provato, a entrare nel
cuore del capitalismo italiano. Come ha ricordato Alberto
Statera, nel 1979 tentò di mettere sul piatto una
trentina di miliardi di lire per comprare un 3-4 per cento
di Generali ed entrare nel consiglio damministrazione.
Gli rispose, per iscritto, Cesare Merzagora: no grazie,
noi del Leone di Trieste non vogliamo palazzinari. Da
allora il Biscione è sempre stato tenuto fuori
dai circoli della grande finanza del Nord. Lunico
pezzo dItalia che Berlusconi non è ancora
riuscito a conquistare.
Ora i giochi si sono riaperti e il Biscione potrebbe saldare
vecchi conti in sospeso. Ad avviare le danze sono stati
i nuovi outsider. Il Gianpiero Fiorani di Lodi, di professione
banchiere creativo, che per assaltare Bnl e Antonveneta
mette a rischio la sua Bipielle e poi chiede i soldi ai
clienti, offrendo warrant e abbonamenti al Touring club.
E il Chicco Gnutti di Brescia, «capitano coraggioso»
dellassalto a Telecom. E il Giovanni Consorte di
Unipol, banchiere rosso vicino a Massimo DAlema.
E, per finire in gloria, Stefano Ricucci detto Gastone,
ex odontotecnico che si spacciava per dentista e ora si
spaccia per finanziere alla conquista del Corriere (e
in tanti, anche a sinistra, gli danno credito).
Di una compagnia così male assortita non ci sarebbe
bisogno di preoccuparsi, se non fosse che i salotti buoni
oggi sono così malmessi che qualunque Ezechiele
lupo, con il suo soffio, può riuscire a far crollare
la casa.
Ci aveva tentato un certo Michele Sindona, con i soldi
del Vaticano e di Cosa nostra, ed era stato respinto da
Enrico Cuccia. Appena in tempo: finì in bancarotta,
con una condanna per omicidio (del commissario liquidatore
delle banche sindoniane, Giorgio Ambrosoli) e una dose
di stricnina nel caffè (aveva scelto partner daffari
molto severi, inflessibili).
Aveva scalato la finanza italiana anche il ragionier Roberto
Calvi, successore di Sindona in certi riciclaggi di soldi
a rischio: finì anchesso in bancarotta, terrorizzato
e in fuga, infine appeso a un ponte sul Tamigi con qualche
mattone in tasca.
Ci riusciranno ora, e senza le precedenti disavventure,
Ricucci, Fiorani e appendice rossa? Riusciranno a nobilitare
se stessi e a cambiare volto al capitalismo italiano?
Certo quel che non si vede allorizzonte è
uno straccio di progetto strategico, che strappi questo
Paese al destino di declino dellindustria. LItalia
sembra avviata a diventare il campo in cui scorrazzano
vecchi e nuovi finanzieri, producendo ricchezza per sé
ma non valore per il Paese. In questo quadro, Berlusconi,
una volta che la razza mattona avrà fatto da ariete,
rinuncerà a raccogliere i risultati, buttando alla
fine sul piatto gli unici soldi veri di tutta questa storia?
Il Biscione, questa volta, potrebbe mangiarsi il Leone.
E non ci sarà alcun Cuccia a mediare, alcun Merzagora
a bloccare.
Che Silvio potrebbe essere della partita è annunciato
da più dun segnale. Il più lampante?
Lintervista di Aldo Livolsi al Sole 24 ore, il 21
giugno, che decreta la fine dello status quo, quello delle
grandi famiglie ormai tramontate e delle banche arroccate
a difendere un mondo che non cè più;
e annuncia larrivo di una radiosa era nuova per
il capitalismo italiano. Si presentano sulla scena «nuovi
attori»: Ricucci, certamente (di cui Livolsi è
advisor). E poi?
Livolsi lo spiega in una frase: «Ricucci può
inizialmente essere luomo che apporta i primi capitali,
che dà una scossa per valorizzare gli asset non
pienamente sfruttati, per poi essere affiancato da uno
o più soci-industriali capaci di portare contenuti
e strategie di business». Chiaro? Ricucci sfonda,
poi arriva lo stratega. Detto da Livolsi, ex manager di
Berlusconi che ancora siede nel consiglio damministrazione
di Fininvest, sembra un piano dattacco.
Se a questo si aggiunge la possibilità che gli
acquisti di azioni Generali delle ultime settimane siano
manovrate da Tarak ben Ammar, imprenditore televisivo
franco-tunisino che già in passato ha reso preziosi
servigi a Berlusconi, il quadro è completo. Tarak
ha smentito. Ma le scalate riuscite sono quelle in cui
il cavaliere (bianco o nero?) si palesa solo alla fine.
Berlusconi, poi, avrebbe qualche problema perfino in Italia
a dire ora in pubblico che lui, padrone della politica
e della tv, di Mediolanum e della Mondadori, punta a scardinare
gli equilibri di chi lo aveva respinto, a conquistare
il maggior quotidiano italiano e una delle compagnie dassicurazioni
più grandi dEuropa.
Meglio aspettare le elezioni, poi si vedrà. Il
Leone dorme, il Biscione ha appetito.
Diario, 24 giugno 2005
Diario delle scalate/4
Dopo lintervista del 21 giugno sul Sole 24 ore al
finanziere ex Fininvest Ubaldo Livolsi («Ricucci
può inizialmente essere luomo che apporta
i primi capitali... per poi essere affiancato da uno o
più soci-industriali capaci di portare contenuti
e strategie di business»), Silvio Berlusconi in
persona come evocato dal nulla ha detto
la sua: non ho alcun contatto con Stefano Ricucci, escludo
ogni relazione «con il mio gruppo» (ma il
presidente del Consiglio non aveva risolto il conflitto
dinteressi?); però lo difendo perché
«dà fastidio ai cosiddetti poteri forti».
Quanto alle domande sulle origini dei soldi di Ricucci,
Berlusconi dice di «non essere in sintonia con le
critiche» (figurarsi, non ha ancora risposto sui
soldi suoi!).
Stesso giorno (23 giugno), stessa simpatia: anche a Piero
Fassino, segretario dei Ds, Ricucci piace: «incomprensibile
la puzza sotto il naso» che circonda i palazzinari,
dichiara a Sky Tg24. Intanto Ricucci e la sua holding
Magiste (come anche Chicco Gnutti e la sua Fingruppo)
sono indagati dalla procura di Milano per aggiotaggio.
Ma la notizia non sembra sfiorare Berlusconi né
impressionare Fassino. Non una parola sul rispetto delle
regole e sulla trasparenza. Ricucci è difeso (sul
Corriere del 22 giugno) anche da veri esperti del ramo,
come lex latitante Romano Comincioli e lindagato
per bancarotta Paolo Romani. Con questi chiari di luna,
la difesa delle regole se lassume il leader di Confindustria
Luca Cordero di Montezemolo: «Quando in Italia negli
anni passati si sono verificati fenomeni di cui non si
sapeva bene lorigine, o sono spuntati capitali ingenti
dalla provenienza misteriosa, spesso ci siamo trovati
di fronte a delle sorprese...».
Intanto, sul fronte Antonveneta, Gianpiero Fiorani (anchegli
indagato per vari reati finanziari) cambia logo alla sua
banca (da Popolare di Lodi a Banca popolare italiana),
incurante del fatto che le nuove iniziali ricordino la
tristemente famosa Banca privata italiana di Michele Sindona.
I conti del suo istituto sotto sforzo per acquisti e scalate
restano a rischio, dicono gli analisti, e dipenderanno
dal successo delle operazioni daumento di capitale.
Per quanto riguarda la «finanza rossa», il
Monte dei Paschi di Pier Luigi Fabrizi ha diviso chiaramente
le sue sorti da quelle del finanziere creativo di Unipol
Giovanni Consorte, impegnatissimo nelle scalate Bnl e
Antonveneta (e anchegli sotto osservazione delle
procure di Milano e Roma). Anche una parte del mondo cooperativo
dal toscano Turiddu Campaini al lombardo Silvano
Ambrosetti critica Consorte per le «cattive
compagnie» con cui fa affari (Fiorani, Gnutti, Ricucci,
Fininvest...).
Sotto attacco (da entità ancora senza nome) anche
Mediobanca e Generali. Da rifare la gara per le case Enasarco.
(gb)
Diario, 24 giugno 2005
Diario delle scalate/5
Assalto a Rcs. Altalena del titolo in Borsa (-4
per cento il 28 giugno). Ma Stefano Ricucci non vende.
Ormai è al 20,1 per cento e il 1 luglio respinge
la richiesta della Consob di comunicare le variazioni
di quota anche solo dell1 per cento. Sul fronte
politico, incassa il sostegno anche della Lega (dopo quello
di Berlusconi). Roberto Maroni infatti il 28 giugno dichiara:
«Ricucci mi ha ispirato unistintiva simpatia
perché è stato duramente attaccato da chi
ha spazio sui mezzi dinformazione, come è
capitato a noi della Lega». Massimo DAlema,
che già aveva sdoganato Ricucci sostenendo nella
sostanza che il capitalismo non è questione di
pedigree, il 2 luglio se la cava con una battuta sulla
(risaputa) debolezza del capitalismo italiano: «Se
degli oscuri immobiliaristi, dietro ai quali si è
finalmente appurato che non ci sono io, spaventano i salotti
buoni del capitalismo italiano, evidentemente cè
una fragilità di quegli assetti proprietari che
non ha uguali al mondo». Vittorio Merloni, invece,
rimette al centro la vera questione del capitalismo, quella
della trasparenza: «Ricucci è un mistero.
Quanto meno, si può dire che il suo percorso non
è tracciabile».
Assalto ad Antonveneta. Prosegue la scalata della
Banca popolare italiana (Bpi, ex Lodi) di Gianpiero Fiorani
ad Antonveneta. I conti (e i ratios patrimoniali) di Bpi
sono fatti quadrare con finanza creativa: prestiti mascherati
da cessioni di quote di controllate. Bankitalia non vede,
non sente, non parla. Il 28 giugno i magistrati di Milano
Eugenio Fusco e Giulia Perrotti chiedono il sequestro
di 110 milioni di euro, considerati illecito profitto
di 18 correntisti della Popolare di Lodi per compravendita
di titoli Antonveneta. Lo stesso giorno la Consob dà
il via libera allopas di Lodi a 27,5 euro (di cui
solo 4,9 in contanti), dopo averla bloccata per quattro
volte (perché non migliorativa dellopa a
26,5 euro tutta contanti di Abm Amro). Il 1 luglio Francesco
Greco interroga alla procura di Milano (che lavora su
ben 40 indagati) il finanziere italosvizzero Luigi Colnago
(già oggetto di due articoli di Diario). Ma la
bomba arriva il 4 luglio: tre funzionari di Bankitalia
sono indagati dalla procura di Roma, per aver controllato
poco e male la scalata di Fiorani.
Finanza rossa. Il numero uno di Unipol, Giovanni
Consorte, va allattacco di Bnl, malgrado i rischi
per la sua compagnia assicurativa: Bnl costa il triplo
del valore di Unipol, disavanzo e indebitamento alla fine
sarebbero enormi, la logica industriale enunciata (la
conquista di Bnl vita) sarebbe modesta nei risultati finanziari.
Consorte (con il suo 15 per cento in Bnl) cerca unintesa
con Ricucci e il fronte degli immobiliaristi (che hanno
il 27 per cento). Intanto a Siena scontro sulle fondazioni.
La commissione Finanze del Senato vota il 23 giugno,
lo stesso giorno in cui il Monte dei Paschi (Mps) abbandona
Unipol nellassalto a Bnl un emendamento al
disegno di legge sul risparmio che sterilizza al 30 per
cento il diritto di voto delle fondazioni bancarie nelle
assemblee delle banche. Un provvedimento su misura per
Mps: il suo 49 per cento è nelle mani della Fondazione
Montepaschi guidata da Giuseppe Mussari. Con le nuove
regole la Fondazione «pesa» solo il 30 per
cento. Divisione, a sorpresa, tra i Ds: votano tutti contro,
tranne due dalemiani, Massimo Bonavita e Nicola Latorre,
che si astengono. Questultimo, ex segretario di
DAlema, spiazzando anche Piero Fassino, dichiara:
«Le Fondazioni sono il simbolo della conservazione».
Voci sul possibile ritorno a Siena di Vincenzo De Bustis
(considerato dalemiano, ex numero uno di Mps e ora di
Deutsche Bank Italia, istituto che da Londra è
il grande finanziatore di Ricucci): Montepaschi sarebbe
una buona preda per la banca tedesca.
Intanto la Consob il 24 giugno commina una maximulta a
40 manager bancari (tra cui De Bustis) per non essersi
«comportati con diligenza, correttezza e trasparenza
nellinteresse dei clienti»: avevano venduto,
attraverso Banca 121 e poi Mps, prodotti bancari «strutturati»
e complessi, mascherati sotto nomi rassicuranti (MyWay,
4You, Btp-tel, Btp-index, Btp-on line...).
(Diario, 8 luglio 2005)
Diario
delle scalate/6
Siena, Ds contro i Ds
Questa settimana si scopre che Stefano Ricucci, lo scalatore
di Rcs, piace anche al segretario Ds Piero Fassino, che
il 7 luglio dichiara al Sole 24 ore: «Non cè
unattività imprenditoriale che sia pregiudizialmente
migliore o peggiore di unaltra. (...) È tanto
nobile costruire automobili o essere concessionario di
telefonia, quanto operare nel settore finanziario o immobiliare».
Gli risponde Andrea Pininfarina, vicepresidente della
Confindustria: «Non mi pare il caso di mettere sullo
stesso piano, dal punto di vista dello sviluppo di tutto
il Paese, chi fa impresa e chi di mestiere fa il raider
finanziario». Il 12 luglio dice la sua anche Mario
Baccini, Udc, ministro della Funzione pubblica: «Più
industria, meno finanza», chiede in sostanza, affermando
che quelli di Ricucci sono affari che sembrano «catene
di SantAntonio, che non producono ricchezza».
Mentre Ricucci (sposo il 9 luglio) è sotto indagine
penale e la sua trasparenza è vicina allo zero,
Fassino sembra non vedere il problema: «Spetta a
Consob, Antitrust, Autorità delle comunicazioni,
Vigilanza della Banca dItalia garantire le regole,
non a me», dice il segretario Ds. Che concede la
sua benedizione anche alla rischiosa scalata di Unipol
su Bnl. «Se le cooperative crescono, a me fa piacere»,
aggiunge Fassino.
Per conquistare Bnl, Giovanni Consorte, numero uno di
Unipol, tratta con gli immobiliaristi del contropatto,
che controllano il 27,5 per cento della banca romana.
Trattativa che si dimostra più lunga e complicata
del previsto. Consorte deve trovare i soldi, 2-2,5 miliardi
di euro per un aumento di capitale, e realizzare cessioni
che non intacchino i ratios della compagnia. Poi deve
ottenere i via libera delle autorità di controllo.
E il tempo stringe: il 22 luglio terminerà lopa
su Bnl degli spagnoli di Bbva.
Sul fronte della scalata Antonveneta, gli olandesi di
Abn Amro ottengono una proroga della loro opa tutta in
contanti fino al 22 luglio. Un comunicato di Bankitalia
il 5 luglio difende il suo direttore centrale della Vigilanza,
Francesco Frasca, indagato per non aver vigilato sulla
scalata sotterranea della Popolare di Lodi. Un comunicato
non era stato stilato neppure quando la procura di Trani
aveva indagato il governatore Antonio Fazio in persona,
per il collocamento di prodotti MyWay e 4You.
Indagati dalla procura di Roma anche Giovanni Benevento
e Gianpiero Fiorani (presidente e amministratore delegato
della Popolare di Lodi, ora Bpi) per ostacolo allattività
di vigilanza. Bankitalia non ha ancora dato il via libera
allopas di Fiorani su Antonveneta. Gli analisti
moltiplicano le domande sul modo con cui Fiorani ha ricostruito
il patrimonio primario della sua banca, ipotizzando che
le dismissioni (per 1,08 miliardi) siano prestiti mascherati.
Nel frattempo al Monte dei Paschi (Mps) arriva una doppia
condanna, dal tribunale di Firenze e da quello di Brindisi,
per mancata trasparenza proprio sui prodotti finanziari
MyWay e 4You dei tempi della Banca 121 di Vincenzo De
Bustis, oggi alla Deutsche Bank Italia. Mps questa volta
sta fuori dalla partita, non sostiene Consorte e critica
Fassino. «Il Monte con Bnl», dichiara il sindaco
di Siena Maurizio Cenni, «sarebbe stato una banca
che per tre, quattro anni non avrebbe prodotto reddito».
E Giuseppe Mussari, presidente della Fondazione Montepaschi,
dichiara, dubbioso, al Mondo: «Il punto è
capire se i capitali che sono derivati legittimamente
dalla bolla immobiliare si tradurranno poi in iniziative
imprenditoriali vere, capaci di produrre ricchezza nuova
e reale».
(Diario, 15 luglio 2005)
Diario
delle scalate/7
«Compagno Ricucci»
e Consorte
Che scandalo per quel «Compagno Ricucci»
sparato sulla copertina di Diario sei settimane fa. Proteste,
scuotimenti di teste, sorrisi di sufficienza. Per dire
cose simili, aveva dichiarato Massimo DAlema, bisogna
essere «stupidi o mascalzoni». Ora che è
partito lassalto di Unipol a Bnl, quel «Compagno
Ricucci» che semplicemente poneva sul tappeto
in modo giornalistico il problema della «finanza
rossa» e dei suoi strani alleati ha una sua
consacrazione dai fatti.
In queste sei settimane abbiamo avuto ripetute dichiarazioni
di Massimo DAlema, Piero Fassino, Pierluigi Bersani
e altri esponenti Ds in difesa degli immobiliaristi, tanto
costruire automobili vale quanto vendere case e poi Ricucci
«non cha la rogna». Qualcuno, saggiamente,
ha ribattuto che il capitalismo non sarà questione
di pedigree, ma di trasparenza sì. Inascoltato,
mentre la Consob e almeno tre Procure (Roma, Milano, Brescia)
indagano proprio sulla scarsa trasparenza di Ricucci e
compagni. Ma che importa? «È tanto nobile
costruire automobili o essere concessionario di telefonia,
quanto operare nel settore finanziario o immobiliare»,
dice Fassino senza fare un plissé.
Così, sdoganata politicamente la «rude razza
romana», alleata a geometria variabile con i «capitani
coraggiosi» che tanto piacevano a DAlema fin
dai tempi della scalata Telecom e con i «banchieri
padani» stile Gianpiero Fiorani, ora la «finanza
rossa» passa in prima linea e punta direttamente
su Bnl. Con una operazione che galvanizza una parte della
sinistra e del mondo cooperativo, ma che potrebbe essere
il primo mattone di una Torre di Babele.
Adesso chi continuava a chiedersi chi cè
dietro a Ricucci e chi gli ha dato i soldi, avrà
finalmente una risposta: «La finanza rossa»,
dice sorridendo un banchiere, indicando i 210 milioni
di euro che saranno versati a Ricucci da Unipol. La compagnia
assicurativa guidata da Giovanni Consorte, infatti, pagherà
complessivamente 1,2 miliardi di euro per il 27,5 per
cento di azioni Bnl nelle mani del cosiddetto «contropatto
degli immobiliaristi». Così Ricucci, Francesco
Gaetano Caltagirone, Giuseppe Statuto, Danilo Coppola,
Vito Bonsignore e compagni di scalata avranno carburante
per nuove avventure: lassalto a Rcs? a Mediobanca?
a Generali?
Se Ricucci ora conquisterà il Corriere, magari
chissà per offrirlo a Berlusconi,
sarà chiaro da quale Bicamerale sotterranea della
finanza sarà nata la spartizione delle spoglie
degli ex salotti buoni del capitalismo italiano in declino.
Ma questa è fantascienza, delirio complottista.
Più concreto è il meccanismo da cui lassalto
Unipol-Bnl nasce. Cè unuguaglianza
asimmetrica, nelloperazione. Gli azionisti sono
tutti uguali come dice Fassino quando si
tratta di legittimare oscuri speculatori con soldi tirati
fuori da chissà dove. Non sono tutti uguali quando
invece si tratta di pagare: ci sono gli azionisti normali
e gli azionisti furbi (quelli del «contropatto»),
ricompensati con plusvalenze da favola. Tanto le scalate,
in Italia, non si fanno con le regole, ma con manovre
di palazzo.
Come laltra scalata, quella allAntonveneta
lanciata da Gianpiero Fiorani e dalla sua Popolare di
Lodi diventata Banca popolare italiana (Bpi, la stessa
sigla guarda gli scherzi del destino della
Banca privata italiana di Michele Sindona). Fiorani trova
i soldi per andare alla conquista dellistituto padovano
con cessioni che sembrano tanto prestiti travestiti. E
con il parere negativo dei tecnici di Bankitalia (per
assenza dei requisiti patrimoniali), superato dimperio
dal governatore Antonio Fazio.
LEuropa ci guarda e allibisce. Saranno anche stranieri,
gli olandesi dellAbn-Amro e gli spagnoli del Banco
di Bilbao, ma avevano fatto offerte pubbliche chiare e
trasparenti, per Antonveneta e per Bnl, secondo le regole
che sembravano vigenti in Italia. Ora si sono accorti
che le regole non sono uguali per tutti. Che in Italia
è possibile fare scalate a debito, con cordate
occulte, mentendo spudoratamente alle autorità
di controllo e al mercato, potendo contare per di più
sul sostegno di quello che dovrebbe essere larbitro
(e cioè il governatore di Bankitalia). Se il colpo
riesce, i vincitori faranno pagare alle prede i costi
della stangata.
Gli uomini nuovi della finanza italiana fanno così,
così si muovono i Fiorani, i Consorte, i Ricucci,
a cui piace il palcoscenico e lo show più che i
conti e i bilanci. Tanto per fare un esempio, Mario Gerevini
spiega sul Corriere economia che il primo azionista della
Popolare di Lodi (con il 4,1 per cento) è il fondo
Victoria&Eagle, domiciliato alle Cayman. Chi cè
dietro? La stessa Popolare di Lodi, che ci ha investito
153,5 milioni di euro: giochetti simili non li faceva
un certo Roberto Calvi, nelle sue filiali andine? Eppure
i vertici del maggior partito della sinistra italiana
non vedono nulla di strano in questa corsa senza regole
a costruire il nuovo capitalismo nel Paese rimasto senza
un Enrico Cuccia e in pieno declino industriale.
In questo quadro, perfino Marco Follini, segretario dellUdc,
riesce a dire una cosa saggia, replicando sul Sole 24
ore a Piero Fassino: «Credo che ci sia un certo
eccesso di zelo in una cultura politica che ha scoperto
il mercato in tarda età e ha finito qualche volta
per farsi affascinare dai suoi aspetti più ambigui
e tortuosi». Ma Consorte esulta, il mondo cooperativo
è in tripudio, la sinistra è felice e si
appresta così a entrare in campagna elettorale
contro il partito-azienda di Silvio Berlusconi.
(Diario, 22 luglio 2005)
Diario
delle scalate/8
La Bicamerale della Finanza
Colpo di scena, signore e signori, in questa grande storia
italiana, anzi europea, di soldi, banche e potere che
Diario vi sta raccontando da otto settimane: lunedì
25 luglio la procura di Milano ha ordinato il sequestro
durgenza del 40 per cento delle azioni Antonveneta
in mano agli scalatori (il Gianpiero Fiorani della Popolare
di Lodi e altri sette suoi amiconi, tra cui il finanziere
bresciano Chicco Gnutti e gli immobiliaristi romani Stefano
Ricucci e Danilo Coppola).
I due ragazzi terribili della procura, Eugenio Fusco e
Giulia Perrotti, hanno messo nero su bianco che «occorre
prevenire ulteriori condotte criminose» e dunque
hanno ordinato il sequestro senza neppure aspettare un
provvedimento del giudice delle indagini preliminari.
Anche perché per mercoledì 27 era prevista,
in seconda convocazione, lassemblea degli azionisti
di Antonveneta e bisognava impedire che le quote rastrellate
contro ogni regola da Fiorani e compagni fossero usate
contro quei poveri illusi degli olandesi di Abn Amro che
avevano fatto una regolare opa su Antonveneta credendo
che in questo Paese le regole valessero per tutti.
Ma cè un colpo di scena nel colpo di scena:
nel decreto di sequestro delle azioni, ci sono alcuni
edificanti esempi di colloqui telefonici tra Fiorani e
il governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Che a parlare
con il banchiere di Lodi sia il governatore in persona
è una bomba. Anche perché Fazio, secondo
quanto risulta dalla sua stessa voce, non esita a chiamare
nella notte lamico Fiorani per annunciargli: «Ho
appena messo la firma». Sono le 00.12 del 12 luglio
e il governatore gli comunica che ha stracciato le conclusioni
negative degli ispettori della Banca dItalia e ha
dato il suo via libera alla Popolare di Lodi che si lancia
ufficialmente allattacco di Antonveneta, dopo aver
però già rastrellato in maniera occulta
consistenti pacchetti di azioni. «Tonino, io sono
commosso», risponde Fiorani a Fazio, «io ti
ringrazio... ti ringrazio... ho la pelle doca...
io, guarda Tonino, ti darei un bacio sulla fronte, ma
non posso farlo... so quanto hai sofferto... prenderei
laereo e verrei da te in questo momento se potessi!».
Che il rapporto tra i due fosse stretto era noto, ma ora
è dimostrato in diretta dai loro salamelecchi telefonici.
Il 5 luglio, quando Abn Amro, povera ingenua, chiede una
proroga alla scadenza della sua opa, Fazio dice a Fiorani:
«Allora se tu vieni da me verso le 15, le 15.30,
stiamo insieme unora, unora e mezza, ché...
diciamo... voglio verificare un insieme di cose... Lunica
cosa: passa come al solito, dal dietro... dietro di là».
E Fiorani: «Sì, va bene... sennò sono
problemi...».
Giornalismo kamikaze. Intermezzo comico. Il giorno
del colpo di scena, esilarante editoriale sulla prima
pagina del Giornale: «E se qualcuno fosse stato
in pensiero, ora può stare tranquillo. Sulla storia
delle banche siamo arrivati anche alle intercettazioni,
naturalmente fatte filtrare ad arte fuori dai palazzi
di giustizia». E ancora: «Lunedì escono
le intercettazioni, cioè qualcuno decide
che in quel giorno è il momento giusto
per farle uscire». E di nuovo, ossessivamente: «Ci
dovrebbero spiegare che bisogno cera di fare uscire
le intercettazioni...». Effettivamente le intercettazioni
«sono uscite» martedì 26 luglio. Ma
su un solo, unico quotidiano: il Giornale, per la firma
di Gianluigi Nuzzi. Un caso di scoop suicida, di giornalismo
kamikaze.
In più, leditoriale del Giornale sinterroga:
«Tra tutte le intercettazioni, fior da fiore, hanno
beccato proprio quelle con il governatore della Banca
dItalia». Ma pensa un po: quegli indiscreti
dei magistrati hanno prestato attenzione alle telefonate
di Fiorani ad Antonio Fazio, invece di quelle del banchiere
al bar o alla zia.
Che poi siano finite proprio e solo sul Giornale, malgrado
la procura avesse blindato le indagini per non farle trapelare
(e con successo, a parte il Giornale), secondo i bene
informati vuol dire che è scattata la «smagliatura
Tremonti»: lex ministro delle Finanze, grande
nemico di Fazio, ha ancora amici ai vertici della Guardia
di finanza, che sta facendo le indagini per la procura
di Milano, e ha amici anche al Giornale.
La novità (con buona pace del Giornale) è
lentrata del governatore sulla scena giudiziaria.
Che nella vicenda delle scalate Fazio fosse fazioso e
non arbitro imparziale era già noto e anche Diario
laveva variamente, nelle settimane scorse, cercato
di documentare. Questa storia, del resto, è piena
di cose già scritte di cui nessuno vuole però
prendere atto (scalatori mascherati, scalate a rischio
crac, immobiliaristi dai soldi dubbi, regole dribblate,
amnesie della sinistra, scambi di cortesie destra-sinistra...).
Il fatto è che ora ci sono le prove in presa diretta
dellincredibile «concerto» tra Fiorani
e Fazio.
Possibili conseguenze. Uno: il governatore vedrà
presto il suo nome inserito tra gli indagati per reati
finanziari, insieme a Fiorani, Ricucci e gli altri? Due:
si dimetterà? In un Paese normale la risposta alla
seconda domanda sarebbe sì, invece la Banca dItalia
ha subito emesso una nota in cui sostiene che tutto va
bene e che le autorizzazioni concesse a Fiorani erano
atti dovuti.
Del resto, chi mai chiederà seriamente le dimissioni
del governatore? Neppure il centrosinistra, preoccupato
che poi il nuovo numero uno della Banca dItalia
nasca sotto lombrello del governo Berlusconi. I
Ds, in più, di Fazio hanno bisogno, per portare
a compimento nei prossimi mesi la scalata della «rossa»
Unipol su Bnl.
Rischio crac. Anche nei giorni precedenti il gran
colpo di scena, ne sono successe di cose.
20 luglio, intervista di Massimo Mucchetti a Romano Prodi
sul Corriere («I politici pensino alle regole, non
agli affari», «Fazio non agisce da arbitro
ma da parte in gioco», «Il capitalismo si
ammala se le leggi rendono convenienti la speculazione
e non la produzione e linnovazione»).
21 luglio, intervista di Alberto Statera a Massimo DAlema
su Repubblica (con una conferma: «Ma sa che le dico?
Nei confronti dellUnipol cè una campagna
razzista»; e un aggiustamento di tiro: sulla scalata
al «Corriere è giusto chiedere maggiore chiarezza»).
22 luglio, fallimento delle offerte pubbliche degli olandesi
di Abn Amro su Antonveneta e dei baschi del Banco di Bilbao
su Bnl. 23 luglio, scoperta che lintervento dellazionista
romano Stefano Ricucci allassemblea Antonveneta
potenza della Padania era stato scritto
a mano a Lodi, negli uffici di Fiorani: che «concerto»
di idee!
Del resto, Fiorani è un banchiere creativo, che
oltre a far comprare azioni sottobanco agli amici e ai
misteriosi fondi gestiti alle Cayman da Luigi Enrico Colnago
(sempre con soldi generosamente erogati dalla sua banca),
ha saputo anche inventarsi un modo geniale per finanziare
la sua pericolosa scalata al potere: realizza cessioni
di quote di società controllate che in realtà
sono onerosissimi prestiti mascherati.
Un esempio lo ha raccontato Mario Gerevini sul Corriere.
Fiorani ha «venduto» a Deutsche Bank il 10
per cento della Cassa di Bolzano, realizzando ben 183,4
milioni di euro. Bravo, no? Peccato che una quota identica,
il 10 per cento della stessa banca bolzanina (anzi, un
10 per cento più prezioso, perché permetteva
di arrivare al 58 per cento, cioè al controllo
assoluto), fosse stata venduta esattamente un anno fa
alla Bayerische Landsbank a soli 79,2 milioni.
Dunque, Fiorani è un mago capace di valorizzare
del 120 per cento in un anno una sua partecipazione. Ma
questo lo crede solo Fazio. Chi guarda le carte, più
prosaicamente, è portato a pensare che Fiorani
parcheggi pacchetti di azioni presso banche e finanziarie
(Deutsche Bank, Dresdner, Earchimede di Chicco Gnutti)
allettate da sostanziose commissioni. Con questo sistema
porta a casa circa un miliardo di euro, da buttare nella
scalata Antonveneta. Domani, dopo aver conquistato la
banca di Padova, si dovrà riprendere le sue partecipazioni,
che aveva venduto ma con lelastico (un elastico
che in finanza si chiama opzione call).
Cè unincognita. Se non la conquista,
lAntonveneta, che cosa succederà di Fiorani?
Dove troverà i soldi per ricomprare tutte le sue
vendite con lelastico? Queste sono operazioni a
rischio crac. Oh, non ci venite a dire che siamo uccelli
del malaugurio, quando ripetiamo che le società
alle Cayman di Fiorani ricordano tanto le consociate andine
dellAmbrosiano di Roberto Calvi e che la nuova sigla
della banca di Fiorani (Bpi, Banca popolare italiana)
è la stessa di Sindona (Bpi, Banca privata italiana)...
Bicamerale della finanza. Come passerà le vacanze
il governatore Fazio? Chissà. Ma non sembra che
debba preoccuparsi troppo. Sembra blindato, a destra e
a sinistra. E qui si apre laltro capitolo, quello
sullaltra scalata: Unipol alla conquista di Bnl,
dopo il fallimento del Banco di Bilbao. Fazio ha già
fatto capire che permetterà la conquista. Così
ha portato dalla sua parte quella larga parte della dirigenza
Ds (DAlema e Fassino in testa) che tifa per Unipol
e per dare una banca al mondo delle cooperative. Aspirazione
legittima, anche se un po rischiosa dal punto di
vista finanziario per la compagnia guidata da Giovanni
Consorte e per le coop che lhanno seguito.
Meno legittimo è che la politica tifi per uno schieramento
finanziario e, in forza di ciò, abbassi il livello
critico. Accettando Fiorani (e anche Ricucci, che in fondo
«non cha la rogna») perché sia
data via libera a Consorte. Sì, questa grande storia
italiana, anzi europea, di banche e scalate e potere è
fatta di vicende diverse (Antonveneta, Bnl, Rcs, Mediobanca...),
ma ha una sua sostanziale unitarietà, una rete
unica, anche se articolata, di protagonisti e comprimari,
banchieri, finanzieri e politici, stretti attorno al governatore
Fazio, che si crede il nuovo Cuccia.
Per questo rischia di diventare una «Bicamerale
della finanza» fatta di scambi e concessioni reciproche.
Un grande accordo sotterraneo per ridisegnare il volto
del (debole) capitalismo italiano. Tangentopoli, al confronto,
è archeologia. Sembra averlo intuito Prodi, quando
si mostra preoccupato che si stia aprendo una nuova stagione
di commistioni tra politica e affari.
Ancora una volta, sono dovuti intervenire i magistrati
per svelare i giochi sporchi. E qualcuno ha già
cominciato a lamentarsi dellinvadenza dei giudici.
Peccato che, prima di loro, nessuno di chi poteva parlare
lo abbia fatto: né Bankitalia, né la politica.
Tutti impegnati a tifare e tramare, invece che a regolare.
(Diario, 29 luglio 2005)
E il finanziere rosso disse:
«Ho già capito!»
Dalle intercettazioni telefoniche esce un quadro raccappricciante
dei rapporti tra l'arbitro (Fazio) e i giocatori (Fiorani,
Ricucci e compagni), ma anche tra il banchiere che piace
tanto alla Lega (Fiorani) e il boss della finanza rossa
(Consorte). In una telefonata del 29 giugno tra Consorte
e Fiorani c'Ë, secondo i magistrati di Milano, la prova
che Fiorani abbia inscenato false cessioni di quote d'aziende
controllate dalla sua banca: servono per fare cassa e
rientrare nei parametri finanziari minimi richiesti alle
banche. In realtý sono finte vendite o vendite con l'elastico,
trucchi per ottenere prestiti.
Il trucco pi˜ smaccato, lo snodo cruciale, Ë la "vendita"
di quote alla Earchimede: una societý controllata (al
49 per cento) da Chicco Gnutti e che ha tra i soci la
stessa banca di Fiorani (11,92 per cento) e anche Consorte
(attraverso Unipol Merchant e Aurora Assicurazioni, Consorte
controlla il 14 per cento di Earchimede). Ebbene, nella
telefonata del 29 giugno, Fiorani chiede a Consorte di
intervenire presso i «suoi» uomini in Earchimede
per far passare la delibera utile alla Popolare di Lodi.
Fiorani: «Oggi c'è un consiglio Earchimede
e tu hai un tuo consigliere dentro e anche un sindaco».
Consorte: «Certo».
Fiorani: «Loro deliberano diciamo temporaneamente
con T maiuscola dell'acquisto di pìartecipazioni
nostre che sono Ducato (...) e, aspetta... Efibanca».
Fiorani: «E vengono deliberate con lo scopo di fare
un'operazione diciamo così... di...».
Consorte: «Ho già capito!».
La «talpa» a palazzo
di Giustizia
Consorte è anche l'interlocutore rassicurato dalla
"talpa" di palazzo di Giustizia. Era infatti
in contatto con il giudice Francesco Castellano (quello
che ha "prescritto" Berlusconi nel processo
Sme): più di quindici telefonate tra i due, dal
5 luglio fino al 25 del mese. Secondo quello che poi Consorte
diceva agli altri suoi interlocutori, Castellano lo avrebbe
rassicurato: state tranquilli, il giudice interviene lui
sui magistrati di Roma.
Fassino, Consorte e il governatore
«Dobbiamo stare attenti a non indebolire l'istituzione
Bankitalia», dichiara Fassino il 27 luglio. Ma l'istituzione
è indebolita dal governatore con i suoi comportamenti,
non da chi eventualmente chiedesse la sue dimissioni.
Invece la sinistra è cauta. Dai vertici Ds un silenzio
assordante per due giorni. Poi la soffice dichiarazione
di Fassino, di ritorno dalla Turchia. Da D'Alema, per
ora, neanche un soffio. Bersani: «Non possiamo aprire
adesso il tormentone estivo "Fazio sì, Fazio
no", in questo modo si va allo sfascio».
Per le puntate precedenti del Diario delle scalate
salite in questa pagina
I
furbetti del Botteghino
di Gianni Barbacetto
Strana estate, quella del 2005. Estate di patti occulti,
scalate sotterranee, finanza davventura, personaggi
spregiudicati, arbitri venduti, matrimoni da vip, feste
al Billionaire, intercettazioni telefoniche, declassamenti
dellItalia, commistioni tra affari e politica, ritorno
della questione morale, polemiche vere e polemiche
false. Le contese per conquistare un paio di banche italiane,
lAntonveneta di Padova e la Banca nazionale del lavoro
di Roma, e lassalto al principale giornale italiano,
il Corriere della sera, sono diventati il grande giallo
dellestate. Tracimati fuori dalla finanza, sono diventati
da una parte questione politica, dallaltra materia
di gossip.
Allinizio potevano sembrare tre diverse storie, tre
distinte scalate. Si sono invece presto dimostrate ununica
vicenda: un grande assalto al potere, in un momento per
lItalia di declino economico e di confusione politica;
un tentativo di ridisegnare il volto del (debole) capitalismo
italiano. Con istituzioni e partiti che, in maniera occulta,
facevano il tifo per i contendenti e intervenivano nelle
contese. Tangentopoli, al confronto, è archeologia.
E non ci sono soltanto le tre scalate ufficialmente dichiarate.
Sotto pressione, in Borsa, sono stati anche i titoli Mediobanca,
Fiat, Generali...
Ora, con lautunno, sono cadute alcune delle foglie
che coprivano protagonisti, comprimari, tifosi. Ed è
apparso il disegno, fallito ma non del tutto, dellavventura
destate. I protagonisti di prima fila sono un poker
dassi: il banchiere della Popolare di Lodi Gianpiero
Fiorani, il finanziere bresciano Emilio Gnutti, limmobiliarista
romano Stefano Ricucci, il manager di Unipol Giovanni Consorte.
Sono loro il commando dassalto che si è lanciato,
fuori da ogni regola, nelle operazioni.
Alle loro spalle: il governatore della Banca dItalia
Antonio Fazio, listituzione che rinuncia finanche
al decoro, larbitro della partita che si trasforma
in commissario tecnico di una delle squadre in campo; poi
una folla di amici, sostenitori e complici;
e infine tutta una schiera di politici, parlamentari, uomini
di partito, di destra e di sinistra, che si muovono sotterraneamente,
contando sul fatto che delle loro mosse e delle loro parole
nulla trapelerà. Invece: la professionalità
della Guardia di finanza, lintelligenza di alcuni
magistrati e soprattutto le norme europee (quelle sul market
abuse), da poco diventate legge italiana, fanno venire alla
luce almeno parte della trama.
Dei quattro campioni della compagnia scalante, ognuno ha
un suo piano da realizzare, un suo disegno di potere. Progetti
diversi, anche con margini di competizione tra di loro:
cè chi sogna la Grande Banca Padana, chi persegue
lingresso nei Salotti Buoni dopo tanto purgatorio,
chi vuole la Banca Rossa e chi, semplicemente, tanti, tanti
soldi... Ma ciascuno entra nella partita convinto che potrà
approfittare degli altri e portare a casa il suo risultato.
Antonveneta, Bnl, Rcs, poi chissà Fiat,
Capitalia...
Il governatore Fazio è il grande protettore istituzionale,
senza di lui nulla sarebbe potuto accadere. Silvio Berlusconi,
invece, è il grande beneficiario, colui che, a lungo
respinto dai salotti buoni della finanza italiana,
ha tutto da guadagnare dalla destabilizzazione degli attuali
equilibri: per normalizzare il Corriere e poi
magari puntare a due prede che gli stanno particolarmente
a cuore: Telecom e Generali. Sarebbero davvero un bel premio
di consolazione, in caso di sconfitta elettorale.
Ma cè anche la sinistra, in questa grande storia
italiana di soldi, banche, giornali e potere. Perché
se la variopinta compagnia degli scalatori cerca sponde
a destra e conta sullaiuto di Berlusconi per conquistare
Antonveneta e Corriere, ha a sinistra una sua solida sponda
per portare Bnl a Unipol. Questa sotterranea complicità
produce effetti. Il primo, già devastante: limpossibilità
per la sinistra, che ha interessi nella partita, di osservare
serenamente ciò che sta succedendo, di capire davvero,
di giudicare criticamente gli assalti.
Le parole/1. DAlema sdogana Ricucci
Questa storia destate ha una lunga gestazione. Ma
simpone allattenzione dellopinione pubblica
quando appare chiaro che un sconosciuto immobiliarista romano
noto fino ad allora per essere il fidanzato di Anna Falchi,
Stefano Ricucci, che nel 1995 (a 32 anni, mica a 18) dichiarava
redditi per 5 milioni di lire, nella primavera 2005 è
miliardario e scala il Corriere della sera. Inevitabili
le domande: Ma chi è sto Ricucci? Chi cè
dietro? Dove prende i soldi?
Ci sono i finanziamenti dellamico Fiorani, certo.
Le alchimie immobiliari della razza mattona. I capitali
scudati rientrati in Italia grazie al governo Berlusconi...
Ma qualcuno, alle soglie dellestate, suggerisce che
cè anche una pista rossa da seguire,
per tentare di rispondere a quelle domande. Il settimanale
Diario la spara in copertina già agli inizi di giugno:
«Compagno Ricucci». È un modo giornalistico
per sottolineare, in un contesto ancora in gran parte opaco
e oscuro, le strane alleanze e le cattive compagnie degli
scalatori.
Gran finanziatore di Ricucci è la Deutsche Bank,
guidata in Italia da quel Vincenzo De Bustis passato alla
storia, o almeno alla cronaca, come il banchiere vicino
a Massimo DAlema fin dai tempi della Banca del Salento.
E poi chi è il grande alleato del gruppo Ricucci-Fiorani-Gnutti
in tutte le partite più rischiose che ha in corso?
È Giovanni Consorte, il finanziere creativo di Unipol,
luomo che ha trasformato il vecchio mondo delle cooperative
rosse in una macchina da guerra da scatenare nelle operazioni
finanziarie più spregiudicate: dalla madre di tutte
le opa, lanciata da Gnutti su Telecom, fino agli odierni
arrembaggi a Bnl e Antonveneta. Consorte ha stretto un patto
di ferro con Fiorani e Gnutti, con cui fa cordata nelle
operazioni benedette dal governatore Fazio.
La pista rossa, dunque, porta ad ambienti vicini
a DAlema. Chi lo conosce è pronto a giurare
che al presidente Ds piace lattacco al cuore dello
stato di cose presente sferrato dai nuovi capitani coraggiosi.
Dopo la «rude razza padana» è la volta
della «rude razza romana»?
In tutta sincerità, alle soglie dellestate
2005, questi sono solo indizi. Ma giornalismo, quando lopacità
trionfa, è cercare di porre domande, seguire piste,
allineare indizi. A questo punto però già
succede una cosa inaspettata: quella parte della sinistra
chiamata giornalisticamente in causa sul «Compagno
Ricucci», invece di cavarsela con una secca smentita
e un bellelogio della trasparenza, sincammina
su un percorso tortuoso.
«Non conosco nessuno di quei personaggi che si citano.
Io questo Ricucci non so neanche chi sia», dichiara
DAlema il 10 giugno 2005 allUnità. Ma
poi aggiunge: «Certe campagne si concludono perché,
immagino, si vogliono tutelare degli interessi specifici,
di persone che ritengono che i loro interessi personali
sono una nobile battaglia in difesa degli interessi del
mercato, mentre gli interessi degli altri sono un ignobile
complotto dietro cui si cela un qualche Belzebù».
Dunque gli assalti finanziari in atto sono, per DAlema,
un corretto scontro di mercato a cui assistere con distacco,
tanto una parte vale laltra, e vinca il migliore.
Così DAlema sdogana Ricucci, che non è
un Belzebù. E il capitalismo non è questione
di pedigree. Torna sulla questione il 2 luglio con una battuta
sulla (risaputa) debolezza del capitalismo italiano: «Se
degli oscuri immobiliaristi, dietro ai quali si è
finalmente appurato che non ci sono io, spaventano i salotti
buoni del capitalismo italiano, evidentemente cè
una fragilità di quegli assetti proprietari che non
ha uguali al mondo». Gli risponde indirettamente Vittorio
Merloni, sostenendo che nel capitalismo non conterà
il pedigree, ma la trasparenza sì: «Ricucci
è un mistero. Quanto meno, si può dire che
il suo percorso non è tracciabile».
Claudio Velardi, che fu il braccio destro di DAlema
a Palazzo Chigi (anche se oggi, civettando un po,
si definisce un «disilluso del dalemismo»),
parla ancora più chiaro. L11 giugno sul Corriere
della sera ammette che sì, DAlema quando era
presidente del Consiglio avrebbe fatto meglio a stare zitto,
a non dire in pubblico ciò che pensava dei protagonisti
dellopa su Telecom («Avrebbe dovuto risparmiarsi
quella frase sui capitani coraggiosi»). Ma poi gli
scappa che cosa pensa, oggi, dei nuovi capitani coraggiosi,
della rude razza romana degli immobiliaristi dassalto:
«Effettivamente Caltagirone è un grande imprenditore.
Ma Ricucci cosha, la rogna?».
Il giornale di cui Velardi è editore, il Riformista,
è più esplicito e afferma (nelleditoriale
del 7 giugno) che «gli outsider, i lanzichenecchi,
gli immobiliaristi, i redditieri» non sono un problema
per il capitalismo italiano. Anzi, ce ne vorrebbero di più.
«Il problema italiano è proprio quello di una
certa carestia di outsider; sì, proprio di gente
che viene dal nulla e si fa da sola, e mentre si fa da sola
produce sviluppo, pil e benessere». Come Michele Sindona?
Come Roberto Calvi? Come Giancarlo Parretti e tanti altri
outsider della finanza italiana (i fratelli Canavesio, Florio
Fiorini, Orazio Bagnasco, Paolo Federici, Vincenzo Cultrera,
Luciano Sgarlata, Gianmario Borsano, Giorgio Mendella, Virgilio
De Giovanni e, per non parlare di Sergio Cragnotti e Calisto
Tanzi, tanti altri il cui elenco completo riempirebbe pagine
e pagine)?
Cè sempre qualcuno che resta affascinato dallassalto
dei nuovi, spregiudicati ma pieni denergie,
contro i vecchi, spompati e senza una lira.
Evviva, dunque, Ricucci, Coppola, Statuto, Fiorani, Gnutti...?
Pierluigi Bersani ministro di DAlema allepoca
della scalata Telecom da parte della «rude razza padana»
riunita attorno al finanziere bresciano Chicco Gnutti
dichiara che è un «ragionamento preistorico»
affermare di vedere lo zampino della «finanza rossa»
dietro le operazioni in corso, solo perché «fra
i player cè una cooperativa»: perché
è una cooperativa che «agisce sul mercato nel
modo che ritiene più appropriato, senza chiedere
il permesso a nessuno».
I «player rossi», dunque, si muovono liberamente
sul mercato. Chi li critica, invece, è parte di un
complotto: «E che dubbio cè? Non siamo
mica nati ieri», dichiara DAlema. «Conosciamo
i salotti e le persone che contribuiscono a tutto questo».
Il presidente Ds non fa nomi. I salotti evocati sono quelli
di Giuliano Amato e Franco Bassanini, che remano contro
le scalate? O ce lha con lasse Montezemolo-Della
Valle-Rutelli, spalleggiato da Corriere della sera e Sole
24 ore?
Fatto sta che mentre lItalia intera sinterroga
preoccupata e cerca di capire da dove venga questo Ricucci
e la sua rude razza romana, chi lo sdogana è
chi lavrebbe mai detto la sinistra dalemiana
.
Le parole/2. Fassino sdogana Ricucci
Il segretario dei Ds Piero Fassino interviene nel dibattito
il 23 giugno e, a sorpresa, scavalca lo stesso DAlema
nella difesa di Stefano Ricucci e compagnia scalante: «Incomprensibile
la puzza sotto il naso» che circonda i palazzinari,
dichiara a Sky Tg24. Lo stesso giorno diventa pubblica la
notizia che Ricucci e la sua holding Magiste, come anche
Chicco Gnutti e la sua Fingruppo, sono indagati dalla procura
di Milano per aggiotaggio.
Il 7 luglio, con unintervista al Sole 24 ore, Fassino
rincara la dose: «Non cè unattività
imprenditoriale che sia pregiudizialmente migliore o peggiore
di unaltra. È tanto nobile costruire automobili
o essere concessionario di telefonia, quanto operare nel
settore finanziario o immobiliare».
Tenta di rispondergli Andrea Pininfarina, vicepresidente
della Confindustria: «Non mi pare il caso di mettere
sullo stesso piano, dal punto di vista dello sviluppo di
tutto il Paese, chi fa impresa e chi di mestiere fa il raider
finanziario».
Ma mentre Ricucci va sotto indagine penale e la sua trasparenza
è vicina allo zero, Fassino sembra non vedere il
problema: «Spetta a Consob, Antitrust, Autorità
delle comunicazioni, Vigilanza della Banca dItalia
garantire le regole, non a me», dichiara al Sole il
segretario Ds, che concede la sua benedizione invece alla
scalata di Unipol su Bnl: «Se le cooperative crescono,
a me fa piacere».
Replica bruciante, sempre sul Sole, di Marco Follini, segretario
dellUdc: «Credo che ci sia un certo eccesso
di zelo in una cultura politica che ha scoperto il mercato
in tarda età e ha finito qualche volta per farsi
affascinare dai suoi aspetti più ambigui e tortuosi.
E non mi convince una sinistra finanziaria che benedice,
come ha fatto Fassino, leventuale opa di Unipol su
Bnl ponendo le sue mani sul mercato al modo di quei re taumaturghi
che nel Medioevo guarivano gli scrofolosi».
Il 21 luglio diventa noto che la procura di Roma sta indagando
anche sulla scalata di Ricucci su Rcs. Lo stesso giorno,
torna in campo DAlema, che dichiara ad Alberto Statera
di Repubblica: «Gnutti non lo conosco, come non conosco
quello che è stato definito il compagno
Ricucci. Compagno di chi? Falsità montate ad arte
per depistare, per difendere altri interessi. In questo
Paese è fortissimo lintreccio tra interessi
in campo e proprietà dei giornali. E il giornalismo
economico è inquinato». I nomi, gli chiede
Statera? «Non ne faccio». Subito dopo DAlema
dedica però un accenno benevolo agli immobiliaristi:
«Gli speculatori fanno plusvalenze. Se rispettano
le leggi dello Stato, perché criminalizzarli?».
Nessuno naturalmente li vuole criminalizzare per le plusvalenze.
Semmai qualcosa da dire cè sui metodi con cui
le realizzano, visto le indagini e le condanne per insider
trading. E nessuno ha mai detto o scritto che DAlema
sia il «socio» di Ricucci: la critica era semmai
rivolta al sistema delle alleanze e alle cattive compagnie.
Ma il presidente dei Ds preferisce drammatizzare, per poi
sostenere che la finanza rossa non esiste: «Lo
dimostra il fatto che su Bnl il Monte dei Paschi di Siena
ha fatto come voleva». Vero: Montepaschi ha rifiutato
di seguire Consorte nella scalata a Bnl, ma lo ha fatto
rompendo con i vertici Ds e dopo insistenti pressioni di
Roma e ripetute telefonate di Fassino.
DAlema si spinge fino a difendere Gnutti, variamente
indagato per reati finanziari e già condannato per
insider trading. L8 agosto dichiara infatti a Orazio
Carabini del Sole 24 ore: «E che cosha che non
va Gnutti? È socio anche di Olimpia (la finanziaria
che controlla Telecom Italia, ndr) e nessuno ha mai detto
niente. In queste critiche cè un evidente elemento
di ipocrisia». E poi: «Non si può fare
di ogni erba un fascio. Da una parte un capitalismo buono,
produttivo. Dallaltra quello degli speculatori legati
al mondo politico. È una rappresentazione deviante,
falsa... La verità è che il sistema è
fragile. Raffigurarlo come sano, produttivo, aggredito dallesterno
da speculatori manovrati dal mondo politico è lontano
dalla realtà. E si può fare solo perché
gran parte dei giornali fanno capo agli stessi gruppi. Purtroppo
il dibattito è inquinato perché i giornali
possono scrivere male dei politici, ma non dei loro proprietari».
E Unipol? «Io nelloperazione Unipol non centro
nulla», risponde DAlema a Statera su Repubblica.
«Quella è unazienda, una grande azienda
quotata in Borsa da anni. Se loperazione che sta facendo
sarà buona o cattiva lo giudicherà il mercato.
A me sembra unoperazione del tutto limpida, fatta
con tre grandi banche internazionali. Ma sa che le dico?
Nei confronti dellUnipol cè una campagna
razzista».
Comunque, conclude DAlema, «se ci sono profili
illeciti, intervengano le procure della Repubblica».
Qualcosa di simile aveva detto anche Fassino: «Spetta
a Consob, Antitrust, Autorità delle comunicazioni,
Vigilanza della Banca dItalia garantire le regole,
non a me». Ma la politica non ha proprio nulla da
dire, prima che arrivi la magistratura? Esistono comportamenti
che non sono reati penali, ma possono essere politicamente
inopportuni?
Le parole/3. Quanta cautela su Fazio
Lo scandalo scoppia quando le trame sotterranee vengono
svelate dalle intercettazioni telefoniche: diventano visibili
a tutti il disegno dei quattro scalatori, le connessioni
tra loro, le alleanze reciproche, lincredibile concerto
con Fazio, i rapporti con la politica. Reazioni? Una parte
della sinistra se la prende non con gli intercettati ma
con le intercettazioni. E quanta cautela, agli inizi, su
Fazio...
La situazione è più grave che dopo il più
grave crac italiano, quello Parmalat, perché questa
volta è compromessa la massima istituzione bancaria
del Paese, Bankitalia. Eppure il vertice Ds fa a gara per
tenere, per giorni e giorni, bassi i toni, per non insistere
sulle dimissioni: non si può cacciare il governatore,
sostiene una parte dei Ds, perché sennò poi,
eliminata lanatra zoppa, dovremo tenerci per chissà
quanto un nuovo e più forte governatore messo lì
da Berlusconi; e perché Fazio ma questo lo
sussurrano solo i critici interni serve anche a quella
parte della sinistra che è impegnata nella scalata
di Unipol su Bnl.
Prudenti. Cauti. Cautissimi. Dichiarazioni a scandalo caldo,
il 27 luglio. Il segretario Ds Piero Fassino: «Dobbiamo
stare attenti a non indebolire listituzione Bankitalia».
Pierluigi Bersani, europarlamentare Ds ed ex ministro di
DAlema ai tempi dei capitani coraggiosi:
«Non possiamo aprire adesso il tormentone estivo Fazio
sì, Fazio no, in questo modo si va allo sfascio».
Un altro ex ministro del governo DAlema, Vincenzo
Visco, il 3 agosto: «Dimissioni? È una decisione
che deve valutare a livello personale... No, non cè
stata una richiesta di dimissioni da parte dei Ds... Le
riforme in corso comunque non toccherebbero lattuale
governatore, intervenire sarebbe contrario al trattato della
Banca centrale europea. Leventuale mandato a termine
riguarderà il successore... Al momento, non vedo
illeciti in senso stretto».
DAlema in persona, l8 agosto, sul Sole 24 ore
dichiara che, a proposito delle dimissioni di Fazio, «la
scelta è affidata alla sua sensibilità. Non
tocca certo allopposizione». Fino al 7 settembre,
quando Bersani dichiara alle agenzie che per Fazio «andarsene
in queste condizioni sarebbe come cedere alla canea»
(anche se subito viene corretto e smentito da altri esponenti
del suo partito: ormai a sinistra è finalmente prevalsa
la linea del rigore; del resto di lì a poco lo stesso
Berlusconi giungerà a sfiduciare, almeno
formalmente, Fazio).
Le parole/4. Contro le intercettazioni
Anche le intercettazioni telefoniche e ambientali, permesse
nelle inchieste sui reati finanziari dalla nuova disciplina
europea introdotta in Italia con la Legge comunitaria del
maggio 2005, sono guardate con sospetto e fastidio da una
parte della sinistra. Eppure sono uno dei pochi metodi dindagine
efficaci per scoprire ciò che viene progettato e
realizzato in segreto, ai danni del mercato e dei risparmi
di milioni di cittadini.
Eppure, ecco come le giudica Visco il 27 luglio: Fazio ha
avuto un «comportamento discutibile, ma non bisogna
esagerare con le intercettazioni». E il 3 agosto:
«Le intercettazioni, comunque, sono assolutamente
disdicevoli...». DAlema rincara la dose: «Cè
qualcosa di violentemente impudico in quanto sta succedendo.
Intrufolarsi nelle conversazioni private della signora Fazio
è roba da tricoteuses, da voyeurs».
Fin qui, le parole. Ma ci sono anche i fatti. Ai tempi dellopa
Telecom, la madre di tutte le scalate, Guido Rossi criticò
il ruolo in quella vicenda di DAlema, che nel 1999
era presidente del Consiglio, sentenziando: «Palazzo
Chigi è lunica merchant bank dove non si parla
inglese». Ma al confronto delle scalate dellestate
2005, quella Telecom (che non è né una banca
né un giornale) era un modello di correttezza.
I fatti/1. Soldi ai mattonari
Il 18 luglio Giovanni Consorte diventa ufficialmente il
protagonista (player, direbbe Bersani) della scalata a Bnl.
Acquista le quote rastrellate sotto traccia nei mesi precedenti
dagli immobiliaristi. Così chi continuava a chiedersi
chi cè dietro a Ricucci, chi gli ha dato i
soldi, ha finalmente una risposta: «La finanza rossa»,
dice sorridendo un banchiere, indicando i 408 milioni di
euro che saranno versati a Ricucci da Unipol. I cosiddetti
contropattisti incassano infatti dalla compagnia
bolognese oltre 2 miliardi di euro e portano a casa delle
belle plusvalenze: complessivamente 1,2 miliardi: Ricucci
210 milioni di euro, Francesco Gaetano Caltagirone 255,
Danilo Coppola 230, Giuseppe Statuto 207, Vito Bonsignore
180, Ettore Lonati 105, Giulio Grazioli 42.
Così Ricucci, Statuto, Coppola, Bonsignore e compagnia
scalatante avranno carburante per nuove avventure: lassalto
a Rcs? a Mediobanca? a Generali? Commenta a caldo un banchiere
del Montepaschi: «I partner degli affari vanno scelti.
Che senso ha dare più di 2 miliardi di euro a gente
come quella? È carburante per nuovi incendi».
Continua qualche irriducibile critico: se ora Ricucci conquisterà
il Corriere, magari per offrirlo a Berlusconi o a qualcuno
dei suoi alleati, sarà chiaro da quale Bicamerale
sotterranea della finanza sarà nata la spartizione
delle spoglie degli ex salotti buoni del capitalismo italiano
in declino... Ma questa, a fine luglio 2005, era solo unipotesi,
fantascienza, delirio complottista. Nel giro di qualche
settimana, quellipotesi si è trasformata in
una possibilità concreta.
I fatti/2. Concerto rosso
Tra i protagonisti della composita compagnia di scalatori,
schierati a geometria variabile su diversi fronti, esiste
una solidarietà di fondo. I contatti tra Fiorani,
Gnutti, Ricucci e Consorte sono fittissimi. Insieme decidono
tutte le loro mosse. Si parlano e prendono decisioni solo
dopo essersi consultati. Fra i quattro del poker dassi
sembra esserci una comunicazione costante e un continuo
scambio dinformazioni.
Esiste, allora, una scalata cattiva (quella
di Fiorani su Antonveneta) e una scalata buona
(quella di Consorte su Bnl), come hanno ripetutamente affermato
Fassino («La vicenda Bnl è molto diversa dalla
scalata Antonveneta») e DAlema («Non possiamo
omologare le storie, in Antonveneta cè la magistratura
che indaga, staremo a vedere»)?
Certo, Fiorani è inarrivabile, nei pasticci che ha
creato dentro i conti della sua banca, nei prestiti agli
amici, nei fondi creati ai Caraibi, nellaumento
di capitale, nelle finte cessioni messe in scena per ricostruire
il patrimonio... Ma che le due scalate siano radicalmente
diverse è difficile da dimostrare. Non ne sono convinti
gli investigatori: scrive infatti il giudice preliminare
Clementina Forleo, nella sua ordinanza su Antonveneta, che
«dalle intercettazioni emerge lesistenza di
accordi riservati in ordine a entrambe le scalate bancarie».
Ma non ci credono neppure i diretti protagonisti, che nelle
telefonate del 23 luglio, temendo le indagini in corso,
discutono addirittura se anticipare i magistrati e dichiarare
essi stessi lallargamento del concerto
anche a Unipol: discutono cioè se ammettere formalmente
che lalleanza sotterranea Fiorani-Gnutti-Ricucci (e
compagnia scalante) è allargata anche a Consorte.
È la giornata più delicata per il manager
rosso. Ecco comè raccontata nel
brogliaccio della guardia di finanza:
Ore 19.02, Fiorani per Gnutti. Fiorani gli dice che sta
mettendo a punto un ricorso al Tar e parla di estendere
il patto a Ricucci, ma allo stesso prezzo. «Lunica
cosa che cambierebbe è che il patto parasociale è
di quattro soci e non più di tre, dichiarando che
prima non cera e che questo patto è nuovo».
A quel punto Fiorani propone di «estendere il patto
anche a Unipol».
Ore 19.25. Gnutti dice a un certo Manuele che «ieri
sera pareva che volessero concertare anche Unipol».
Manuele commenta che «è tutta politica, è
una partita che stanno giocando a colpi bassi».
Il concerto non sarà dichiarato dagli
scalatori, né richiesto dai magistrati di Milano
Eugenio Fusco e Giulia Perrotti, coordinati da Francesco
Greco (che indagano su Antonveneta, non su Bnl, su cui lavora
la procura di Roma). Ma che i rapporti tra i quattro siano
costanti e intensi è fuor di discussione.
Nella settimana tra lunedì 18 e venerdì 22
aprile (la settimana in cui, secondo la Consob, si mostra
levidenza del concerto per Antonveneta),
avvengono imponenti movimenti dazioni Bnl. Passa di
mano il 10 per cento della banca romana, per un valore di
700 milioni di euro. Ricucci, Coppola, Statuto portano pacchi
di titoli Bnl alle banche (soprattutto alla Popolare di
Lodi, ma anche a Meliorbanca, al Sanpaolo, al Banco di Sardegna
controllato dalla Popolare dellEmilia). In cambio
ottengono nuove aperture di credito, che usano per rastrellare
azioni Antonveneta. Mario Gerevini, sul Corriere della sera
del 19 maggio, scrive che è in atto una «partita
doppia» tra cordata Bnl e cordata Antonveneta. Un
doppio concerto, con connessioni pianificate
tra le due scalate, che coinvolge anche Consorte.
Un appunto della guardia di finanza, il 3 luglio riferisce
che Caltagirone (chiamato nelle telefonate «lingegnere»)
secondo Fiorani vuole troppo. Il banchiere di Lodi dice,
a questo proposito, che bisogna aiutare invece Consorte:
«Fiorani dice che lingegnere, rivendicando il
fatto di controllare loro tre e anche Lonati, vuole la presidenza
per almeno nove anni, e il diritto di veto: non vuole nessuno
che gli giri intorno, vuole mettere i suoi uomini. Fiorani
riferisce che sotto questo profilo fa fatica a dare torto
a Gianni (Consorte)». Gnutti risponde che «se
cè bisogno di aiutare Gianni non cè
nessun problema». La conclusione di Fiorani è
che prima bisogna chiudere la vicenda Antonveneta, «dopo
di che salderanno Bnl».
Il 5 luglio Consorte parla con un certo Pierluigi (Bersani?)
e a proposito dei rapporti con gli immobiliaristi del contropatto
gli dice: «Si sta mettendo bene e quindi domani tornerò
a Bologna perché bisogna convocare un po di
cooperative» (povere cooperative, ridotte a massa
di manovra per i progetti di Consorte). Pierluigi gli chiede
se usciranno tutti da Bnl. Consorte risponde che sì,
uscirà anche Caltagirone, perché tra loro,
banche, Hopa e coop hanno il 52 per cento.
Il patto segreto tra gli scalatori delle due banche, Antonveneta
e Bnl, prevede che tutti i concertisti abbiano
la possibilità di guadagnare da entrambe le operazioni.
Poi non esclude che, alla fine, alcuni degli alleati possano
lanciarsi in altri affari: lassalto a Rcs, grandi
manovre su Capitalia, unopa sulla Fiat... Giovanni
Consorte ne parla il 6 luglio con il tesoriere Ds Ugo Sposetti.
E a lui chiede di avere notizie per sapere se davvero nel
progetto di opa sulla Fiat «cè di mezzo
anche Berlusconi». Il brogliaccio annota:
«Consorte dice che ha chiuso loperazione con
quelle persone (i sette che hanno il 27,5 per cento di Bnl)
e spiega che domani sarà a Roma per definire le ultime
cose e chiudere definitivamente». Poi riferisce a
Sposetti dei contatti con i suoi interlocutori politici.
«Dice che più tardi chiamerà Fassino
per informarlo della vicenda. Spiega che Isvap e Bankitalia
gli hanno dato lautorizzazione. Dice che anche con
Berlusconi non ci sono problemi, dato che uscendo lingegnere
(verosimilmente Caltagirone) diventa unoperazione
totalmente della sinistra (Unipol, Popolari e cooperative)».
Poi si parla di una possibile nuova scalata. «Consorte
chiede a Sposetti di fare una cosa per lui e cioè
di verificare la notizia secondo la quale sembra che stiano
preparando una opa sulla Fiat, e che nellopa cè
di mezzo anche Berlusconi. Sposetti sostiene che la cosa
è molto possibile». A questo punto «Consorte
raccomanda di usare la massima discrezione perché
il conflitto di interessi è enorme».
I contatti tra Consorte, Fiorani e Gnutti restano intensi.
Si delinea lesistenza di un «progettone»
comune, si palesa la presenza di prestanome e sintuisce
la speranza di uno scambio tra i due fronti («Più
piaceri ora fanno di qua e più Gnutti potrà
chiedere di là»):
7 luglio, ore 19.29. Un certo Ettore (Lonati?) dice a Gnutti
«che hanno finito e si ritroveranno lunedì
a Roma a vedere di concludere. Ettore dice che Unipol deve
riunire i suoi per vedere di fare accettare quello che hanno
proposto. Aggiunge che non perderanno una cifra e che più
piaceri ora fanno di qua e più Gnutti potrà
chiedere di là».
10 luglio. Un certo Ugo dice che «Fazio ha dovuto
prendere le distanze da Fiorani e dai vari Geronzi e ora
si trova con persone per bene che siamo noi di Unipol. Se
non ci fossimo stati noi, Fazio sarebbe stato perso».
12 luglio. Caltagirone chiama Consorte e gli chiede di «confermare
i tre nomi romani». Consorte gli risponde che «il
terzo nome non può dirlo perché è il
prestanome di una banca».
13 luglio, ore 20.06. Consorte comunica a Gnutti che per
Bnl «è tutto fatto». Gnutti gli risponde
che anche loro per Antonveneta «hanno chiuso con i
giapponesi, con tutti, col governatore» e aggiunge
che «ora stanno chiudendo gli accordi insieme a Caltagirone
e domenica faranno tutto».
15 luglio, ore 9.02. Cirla, dirigente di Interbanca (gruppo
Antonveneta), chiede a Gnutti «se ci sono novità».
Gnutti dice che prenderanno il 5 per cento di Bnl e lo faranno
per Gianni (Consorte) perché «nel progettone
finale giustificheranno industrialmente loperazione».
Il 15 luglio alle 15.11 cè una importante conference
call sulla scalata di Unipol a Bnl. Una riunione telefonica
a cui partecipano Fiorani, Gnutti, Ricucci e altri, in cui
si accenna a un «documento segreto» che Gnutti
farà girare e poi conserverà in copia unica.
Così lassemblea via cavo è ricostruita
dalla guardia di finanza:
«Gnutti dice che gli amici di Unipol vogliono lanciare
lopa volontaria su Bnl... e che è stato chiesto
anche a loro di entrare nel patto parasociale previo acquisto
del 4,99 per cento del capitale sociale di Bnl. Dice che
prevede una call a trenta giorni a loro favore nel caso
in cui lopa non raggiunga il 51 per cento».
E poi spiega che «la firma della costituzione del
patto parasociale li coobbliga con loro nel lancio dellopa,
e che tutto quello che verrà dallopa se lo
pagheranno loro». Poi Gnutti parla di un documento
che dovrà rimanere segreto: «Gnutti dice che
farà circolare un documento che ribadirà questo
discorso e che manterrà solo lui come unico esemplare».
Limpegno su più fronti del gruppo continua.
Il 17 luglio, alle 20.48, Stefano (Ricucci) chiama Gianni
(Consorte) per chiedergli un posto nel consiglio damministrazione
della futura Bnl:
«Consorte dice che ormai sono in dirittura darrivo.
Stefano fa le sue richieste riguardo al suo posto in consiglio.
Gianni risponde che il suo posto in consiglio sarà
disponibile alla sola condizione che Bilbao non faccia blocco,
perché in quel caso ci sarebbe spazio solo per otto
consiglieri che dovrebbero essere tutti di Unipol. Stefano
convalida, dicendo che in quel caso lui sarà disposto
a dimettersi per lasciare il posto ai consiglieri Unipol».
Il 19 luglio, altre telefonate tra Consorte e Fiorani. Il
primo si rivolge al banchiere di Lodi perfino per chiedere
qualche buon nome per la presidenza della banca, dopo che
sarà conquistata:
Consorte chiede a Fiorani di «pensare a due-tre possibili
presidenti di prestigio, che loro possono avvicinare».
Fiorani dice che Montani è venuto fuori da Leoni
che avrà avuto limbeccata dal governatore.
Fiorani fa il nome di Paolillo. Consorte dice che va bene.
Poi gli dice che la settimana prossima mangeranno insieme
«così mi dici tutti i tuoi pensieri».
Che la partita in corso sia una, pur divisa su più
fronti, è confermato anche da Luigi Gargiulo, il
ragioniere di fiducia di Ricucci. Il 19 luglio, Gargiulo
conferma infatti che:
«Alla fine venderanno anche Antonveneta e poi punteranno
tutto su Rcs e che gli serve anche il titolo Capitalia».
Il 22 luglio è Fiorani ad annunciare a Gnutti che
«Bilbao ha rinunciato» a Bnl perché «Unipol
ha fatto prima di loro». Fiorani parla di Gianni Consorte
e dice di fare «un incontro la settimana prossima»:
«Gnutti dice che gli fanno dei problemi. Consorte
risponde che gli spagnoli si sono ritirati. Consorte dice
che Spinelli e gli altri hanno detto che gli danno tutti
i soldi che vuole per fare Bnl».
Il concerto destra-sinistra appare dunque evidente.
Dallinizio alla fine della battaglia.
I fatti/3. Telefono rosso
A leggerli, i testi delle intercettazioni, si capisce subito
il fastidio di alcuni politici, anche di sinistra: è
il fastidio degli intercettati. Sono infatti rimaste registrate
anche alcune loro telefonate. Non per scelta degli investigatori,
che avevano legittimamente sotto controllo alcuni banchieri
e finanzieri. Ma questi telefonavano anche a parlamentari
e uomini politici; e poi tra di loro commentavano e riferivano
quelle telefonate. Così, malgrado gli omissis di
legge subito apposti dai magistrati, sappiamo che a parlare
di affari con gli scalatori sono in molti, dal senatore
Luigi Grillo di Forza Italia al deputato Udc Ivo Tarolli,
dal presidente Ds Massimo DAlema al segretario del
partito Piero Fassino, dallex presidente della Repubblica
Francesco Cossiga al sottosegretario alla Difesa Salvatore
Cicu, dal senatore della Quercia ed ex segretario di DAlema
Nicola Latorre al senatore e tesoriere Ds Ugo Sposetti,
dal senatore di Forza Italia Romano Comincioli, compagno
di scuola e poi prestanome di Silvio Berlusconi, al presidente
della Regione Lazio Piero Marrazzo, fino a Gianni Letta,
che del governo Berlusconi è leminenza grigia...
Coinvolto direttamente nella vicenda anche il ministro Giulio
Tremonti, a cui Consorte ha chiesto una consulenza attraverso
il commercialista Claudio Zulli, socio di studio del ri-ministro
dellEconomia.
Molte intercettazioni non le leggeremo mai: perché
sono processualmente inutilizzabili, e anzi da distruggere,
tutte quelle trascrizioni in cui a parlare sono i deputati
o i senatori. Eppure, anche a fermarsi a quel che si può
legittimamente conoscere, il quadro è desolante.
In questa storia di soldi, politica, informazione e potere,
la notte tra l11 e il 12 luglio 2005 è cruciale:
è la notte in cui Fazio annuncia il suo sì
a Fiorani, ricambiato con un bacio in fronte. Quella sera
Gnutti è a cena con Berlusconi. Subito dopo lannuncio,
il quartetto delle scalate si scambia la notizia e festeggia.
Berlusconi viene subito messo al corrente della decisione
del governatore e, almeno secondo quanto dice Fiorani, si
mostra «commosso della cosa».
Che la regia delle tre scalate sia unica, quella notte appare
evidente: Gnutti riferisce a Fiorani di aver detto a Berlusconi
«che andremo avanti con Rcs e che ci deve dare una
mano», altrimenti «la sinistra prende tutto»;
e Fiorani gli risponde che però, «in questo
momento», «la sinistra ci ha appoggiato più
di quanto abbia fatto il governatore...».
Poi Gnutti riceve una chiamata da Ricucci. E infine chiama
Ivano: con tutta probabilità si tratta di Ivano Sacchetti,
il numero due di Unipol. Fiorani, Gnutti, Ricucci, Sacchetti
(dunque Consorte): nel giorno del tripudio il poker dassi
festeggia al gran completo.
Consorte in persona chiama anche Fassino. E poche ore dopo
contatta un certo Pierluigi (Bersani?). Gli annuncia che
«per domani lo ha chiamato il governatore».
Poi gli riferisce «che Letta ha chiamato Caltagirone
e si è adirato perché voleva che lui ci fosse,
perché loperazione non sembrasse di sinistra».
Consorte dice «che Gnutti ne ha parlato con Berlusconi».
Laria di Bicamerale degli affari è ormai chiarissima.
Ecco il dialogo del 12 luglio, ore 10.03, tra Ivano Sacchetti
(il numero due di Unipol) e Chicco Gnutti:
Ivano: «Ho letto sui giornali che vai a un pranzo
con Berlusconi».
Gnutti: «Ci sono già stato ieri sera».
Ivano: «Avresti dovuto parlargli di...».
Gnutti: «...Lho fatto! ...quindi a Berlusconi
ho detto che con buona probabilità andrò in
appoggio anche di là perché mi pare corretto
e giusto e Berlusconi ha detto che faccio bene... Io ho
detto a Berlusconi che a noi interessa molto appoggiare
Gianpiero perché dallaltra parte stiamo facendo
quellaltra... Per cui, per una questione di equilibrio,
si fa una per uno. Berlusconi mi ha detto che faccio bene».
Lo scambio è chiarissimo: «Per una questione
dequilibrio, si fa una per uno». Una a te, una
a me; una a destra, una a sinistra. Antonveneta a Fiorani,
Bnl a Consorte. Dunque destra e sinistra, in questa storia,
non sono alternative, ma complementari. E Berlusconi, almeno
secondo quanto riferisce Gnutti, è informato in diretta
di quel che sta accadendo. E approva.
Anche Consorte, come Fiorani, parla direttamente con la
Banca dItalia (mentre per i suoi concorrenti, i baschi
del Banco di Bilbao, i contatti sono chiusi). Il suo interlocutore
è, oltre che il governatore, Francesco Frasca, il
capo della Vigilanza. A lui riferisce, alle 18.21 del 12
luglio, le operazioni in corso. E gli chiede aiuto: «Gianni
gli dice che ha bisogno di lui», riporta il brogliaccio.
Alle 19.01 Frasca lo richiama: «Dice che il governatore
voleva incontrarlo per capire bene tutta la struttura...
Frasca gli farà sapere dellincontro con il
governatore...». I contatti proseguono nei giorni
seguenti.
Il capo della Vigilanza tira poi un sospiro di sollievo
con Fiorani e tutta la compagnia scalante
quando il 20 luglio il Tar del Lazio dà ragione agli
scalatori: «La procura di Roma prima andava su unautostrada
a sei corsie, ora ha davanti una strada di montagna».
Ma Frasca, inverità, pare preoccupato delle indagini
di Milano, non di quelle di Roma.
Il 21 luglio, alla vigilia della vittoria in Bnl, Consorte
è già subissato da sms di congratulazioni.
Ed entra in scena anche il ministro Giulio Tremonti. Consorte
chiama Claudio Zulli, commercialista associato al suo studio.
Tremonti, dice Zulli, è a conoscenza delloperazione
e «si è mosso e ha seguito questa vicenda con
molta ammirazione», anzi, ha addirittura «fatto
il tifo». Consorte gli è grato: «Tu sai
che il governo ci ha dato una mano e sai come ragiono io,
la riconoscenza va data al punto giusto». Dunque:
il governo (Berlusconi) ha dato una mano alle scalate e
a Unipol, dice Consorte. E ora arriverà la «riconoscenza».
Qual è il «punto giusto»?
I fatti/4. La Bicamerale degli affari
Il movimento cooperativo è un grande fenomeno imprenditoriale,
con 400 mila occupati, 7 milioni di soci, 45,7 miliardi
di euro di giro daffari. Non sono le cooperative ad
essere oggetto di odio «razzista». E nemmeno
Unipol, che è una grande compagnia assicurativa nata
e cresciuta in quel mondo. Ciò che viene criticato
è semmai lattivismo di Giovanni Consorte, la
sua spregiudicatezza, le sue alleanze. È impressionante
vedere la ragnatela di intrecci azionari che lega tra loro
i quattro protagonisti delle scalate destate, il poker
dassi Fiorani-Gnutti-Ricucci-Consorte.
Giovanni Consorte, cinquantasettenne ingegnere di Chieti,
è entrato in Unipol quando questa era lassicurazione
dei comunisti e lha portata a veleggiare nel
mare aperto del mercato. Lha laicizzata,
lha fatta crescere, lha collocata nel gruppo
di vertice delle assicurazioni italiane. Stringendo alleanze
prima impensabili.
Ha legami diretti (e incrociati) sia con Fiorani, sia con
Gnutti. Con il banchiere di Lodi, Consorte è stato
socio nellassalto ad Antonveneta, di cui Unipol è
giunta a controllare il 3,7 per cento. Poi, attraverso Aurora
Assicurazioni, ha una partecipazione del 5,7 per cento in
Reti Bancarie, una subholding della Popolare di Lodi. Viceversa,
la Popolare di Lodi possiede il 2 per cento di Unipol.
Vittorio Malagutti sullEspresso ha raccontato anche
il miracoloso fido di 4 milioni di euro della Popolare di
Lodi a Consorte: chiesto il 27 dicembre, tra Natale e Capodanno,
è stato concesso in ventiquattrore, senza bisogno
dalcuna garanzia. Proprio nelle settimane seguenti,
altri 38 amici di Fiorani hanno ottenuto finanziamenti
per 1,1 miliardi di euro poi utilizzati per comprare azioni
Antonveneta. E proprio in quelle settimane sono partite,
sotto traccia, le scalate incrociate: Unipol ha rastrellato
il 3,7 per cento di Antonveneta, mentre Lodi ha messo insieme
l1,4 di Bnl. Ben prima che le due scalate fossero
dichiarate al mercato: miracoli della preveggenza.
Con il finanziere bresciano Chicco Gnutti i legami di Consorte
sono più antichi e ancora più stretti. Unipol
possiede infatti il 7,1 della sua finanziaria Hopa. Daltra
parte, Hopa e Fingruppo (altra finanziaria di Gnutti) insieme
avevano il 15 di Unipol Merchant. E Hopa aveva anche il
20 per cento di Finsoe, la società che controlla
Unipol. Ma questi due legami sono stati prima annacquati,
poi azzerati. Hopa è completamente uscita da Unipol
il 1 aprile 2005. Gnutti aveva anche il 21 per cento di
Finec, la finanziaria che controllava, a cascata, Ariete,
che controllava Holmo che controllava Finsoe che controllava
Unipol. Unarchitettura societaria così arzigogolata
e autoreferenziale, piena di scatole cinesi e partecipazioni
incrociate, da far invidia perfino alla vecchia «costruzione
gotico-castrense» delle 23 holding berlusconiane.
Alla faccia della trasparenza che ci si aspetterebbe dal
movimento cooperativo.
Solo nella primavera 2005 Consorte aveva fatto ordine in
casa (in previsione della scalata Bnl?), semplificando la
catena di controllo ed eliminando i controlli incrociati.
Finec, per esempio, si era fusa in Ariete ed erano stati
allentati i rapporti con le società di Gnutti. Allentati,
ma non annullati. Hopa, per esempio, ha mantenuto un 5 per
cento in Finsoe.
Se cè una Bicamerale della finanza, questa
si chiama Hopa. È proprio in questa holding controllata
e presieduta da Gnutti che siedono insieme i protagonisti
della finanza rossa e gli amici e consiglieri
di Berlusconi. Vicepresidente di Hopa è Giovanni
Consorte, tra i consiglieri ci sono Stefano Bellaveglia
(il dalemiano vicepresidente di Montepaschi), ma anche Gianpiero
Fiorani, Stefano Ricucci e Ubaldo Livolsi (il finanziere
di Berlusconi operativo nella scalata al Corriere tentata
da Ricucci).
Nel collegio sindacale di Hopa, infine, cè
Achille Frattini, professionista di fiducia di Berlusconi,
che lha messo in una moltitudine di collegi sindacali.
È, tra laltro, presidente del collegio sindacale
di Mediaset e anche di quello di Idra, la società
che custodisce le proprietà immobiliari del Cavaliere,
prima fra tutte Villa Certosa. Insomma: Hopa, la plancia
di comando delle scalate tenuta appositamente fuori dai
movimenti dei concertisti, è il salotto
della Nuova Bicamerale.
Cerniere, punti dincontro tra i due fronti, però,
ce ne sono anche altri. Claudio Sposito, ex amministratore
delegato di Fininvest, è indicato nelle telefonate
intercettate come colui che finanzierà lavventura
di Consorte acquistando, attraverso il suo fondo Clessidra
(il più grande fondo di private equity italiano)
un buon pacchetto di Aurora Assicurazioni, controllata da
Unipol.
Federico Imbert, luomo di Jp Morgan in Italia, nellaprile
2005 ha realizzato per Berlusconi limponente collocamento
del 17 per cento di Mediaset. Ma è anche nel pool
di banche che assistono Consorte nelloperazione Bnl
e Jp Morgan possiede il 2 per cento di Finsoe, la cassaforte
che controlla Unipol. Il 25 maggio Imbert è stato
ricevuto a Palazzo Chigi, secondo quanto annunciato da un
comunicato della presidenza del Consiglio che non spiega
però i motivi della visita.
E poi cè Earchimede. E qui la faccenda si fa
delicata. La società è una subholding di Hopa
ed è presieduta da Gnutti. Ma è partecipata
da Lodi (11,92 per cento) e tra i soci ha altri concertisti
bresciani, come i fratelli Lonati (7 per cento). E poi Unipol:
Consorte, attraverso Unipol Merchant e Aurora Assicurazioni,
controlla il 14 per cento del capitale, dunque è
lazionista più importante dopo Gnutti.
Ha una strana storia, Earchimede. Nasce come incubator per
il web, per tutto il 2002 non fa granché, fatturato
minimo, perdite consistenti. Poi diventa holding di partecipazioni
e nel 2004 comincia a fare utili. Ma sempre con piccoli
affari, mentre il capitale è diventato imponente:
212 milioni. Inspiegabile un tale immobilizzo di denaro.
«A meno che si fosse in attesa del grande affare»,
scrive il Sole 24 ore il 28 luglio. E il grande affare arriva
nellestate 2005, quando a Earchimede finisce una delle
più grandi tra le cessioni fatte da Fiorani per far
quadrare, almeno apparentemente, i suoi conti patrimoniali:
le arrivano le quote di Efibanca e Bpl Ducato.
In una telefonata del 29 giugno, ore 15.10, Fiorani parla
delloperazione con Consorte. I due fanno riferimento
a un consiglio damministrazione della società
Earchimede, durante il quale dovranno deliberare «un
acquisto di partecipazioni nostre che sono Ducato».
Fiorani: «Ecco unaltra cosa! Oggi cè
un consiglio Earchimede e tu hai un tuo consigliere dentro
e anche un sindaco».
Consorte: «Sì!».
Fiorani: «Loro deliberano, diciamo temporaneamente
con la T maiuscola, dellacquisto di partecipazioni
nostre che sono Ducato».
Consorte: «Aspetta un secondo che non sento... deliberano?».
Fiorani: «Sì! Deliberano lacquisto di
due partecipazioni quota minimale di Ducato e di... e di
aspetta... Efibanca».
Consorte: «Sì!».
Fiorani: «E vengono deliberate con lo scopo di fare
unoperazione diciamo così di...».
Consorte: «Ho già capito!».
Fiorani: «Hai già capito! Tutto lì!
Dopodiché è unoperazione che però
renderà a Earchimede 2.500.000 di fees».
Consorte: «Mmmmmmmmmmm».
Fiorani: «Che è lammontare che serve
a Earchimede per avere il bilancio in utile dopo le svalutazioni
che deve fare che ha potuto fare purtroppo il fondo là
di quel di Capomolla & Company».
Consorte: «Sì!».
Fiorani: «Quindi allora sono garantiti e un utile
guadagnano te lo dico perché se tu hai dentro uno
in consiglio di amministrazione e hai un sindaco tuo».
Consorte: «Sì!».
Fiorani: «Se gli mandi un accenno che è tutto
ok».
Poco dopo, alle 17.24, Fiorani contatta Gnutti, che lo aveva
cercato perché voleva un affidamento di 30 milioni
per comprare azioni Eni. Ma prima Fiorani gli dice che la
questione Earchimede «la sta mettendo a posto Giovanni».
Concerto rosso. Roba da furbetti del quartierino.
I fatti/5. No anche dentro i Ds
Chi critica la scalata rossa (e i suoi sostenitori
dentro la politica) lo fa perché pregiudizialmente
ostile ai riformisti? Perché affetto
da girotondismo rancido? Perché fa gli
interessi di una parte del capitalismo italiano (lasse
Della Valle-Montezemolo)? O perché ha interessi di
partito e, dentro il centrosinistra, vuole sottrarre voti
ai Ds?
Alcuni partiti dellUnione, dalla Margherita allUdeur,
hanno preso a pretesto le scalate per aumentare il loro
peso nellalleanza e rosicchiare voti al primo partito
della sinistra: «Per spolpare losso dei Ds»,
dice Vannino Chiti alla Stampa il 7 agosto. È così?
Può darsi che ci siano anche queste componenti nelle
intenzioni di chi, nellestate 2005, ha voluto riaprire
la questione morale. Ma la storia dellosso
da spolpare non spiega una cosa: il vasto disagio provocato
da queste vicende dentro i Ds e il loro mondo. Molti non
lo esprimono allesterno, per timore di indebolire
il partito alla vigilia di un cruciale scontro elettorale.
Ma il disagio cè, profondo e diffuso.
Nettamente contrari agli scalatori sono Franco Bassanini,
Giuliano Amato, Roberto Barbieri, Enrico Morando, tutti
perplessi sul ruolo giocato da Unipol in questa partita.
Un no chiaro a Consorte e ai suoi piani è arrivato
dallaltro grande polo della finanza rossa,
il Monte dei Paschi, e da tutti i Ds di Siena. Cauto e insoddisfatto
si è mostrato Lanfranco Turci, in passato presidente
di Lega coop e oggi senatore Ds, che è andato significativamente
nella città tascana sede del Montepaschi e capitale
dei diessini dissidenti per un affollato dibattito
su «Siena, città della finanza». Fredda
nei confronti delloperazione Unipol-Bnl è una
parte dello stesso mondo cooperativo, da Turiddu Campaini
di Unicoop Toscana alle coop dellUmbria, fino a Silvano
Ambrosetti della Coop Lombardia.
Contrario il mondo sindacale della Cgil. A partire dal numero
uno Guglielmo Epifani, che il 19 luglio ha dichiarato: «Per
quello che riguarda la Cgil, non eravamo né siamo
convinti che questa sia la soluzione migliore per Bnl. Unipol
si caricherà di troppi debiti per unazienda,
la Bnl, che è in difficoltà da anni, che avrebbe
bisogno di una grande banca internazionale per essere rilanciata.
Questa era lopinione della Cgil, e questa resta lopinione
della Cgil. Poi Unipol agisce secondo quanto ritiene utile
pe sé».
Carlo Ghezzi, ultimo consigliere damministrazione
Unipol espresso dalla Cgil, ricorda come il sindacato decise
di uscire dalla compagnia bolognese: «Era il 1999,
lUnipol finì per partecipare alla scalata Telecom.
Fu allora che, con il segretario generale Sergio Cofferati,
prendemmo la decisione: uscire dal consiglio damministrazione.
Questa scelta, vista ora, appare lungimirante. In queste
scalate vedo solo un gran movimento di capitali che puntano
alla rendita. Legittimo, per carità. Ma dalla sinistra
mi aspetterei attenzione ai progetti innovativi per rilanciare
leconomia reale».
Netta lopposizione dei sindacati bancari. Il segretario
dellEmilia-Romagna della Fisac (i bancari della Cgil),
Giorgio Romagnoli, definisce quella di Unipol «una
cattiva soluzione, non certo un esempio di trasparenza.
Unoperazione pericolosissima, azzardata, sbagliata».
Domenico Moccia, che della Fisac-Cgil è il segretario
generale, è durissimo quando afferma che Consorte
sta mettendo a rischio il patrimonio materiale e morale
delle cooperative e che «la sinistra non può
accettare il modello Pretty Woman, film in cui il finanziere
interpretato da Richard Gere vuole distruggere unimpresa,
strangolandola finanziariamente, per poi realizzare unoperazione
puramente speculativa».
Cè insomma tutto un universo, non nemico o
concorrente, ma interno alla sinistra e alla Quercia, che
non applaude neanche un po il boss dellUnipol
Giovanni Consorte, le sue scelte e le sue cattive compagnie.
Anzi. Dentro questo mondo ci sono motivazioni e toni diversi,
ma tutti, con belle maniere, accenti differenti e modi gentili,
mostrano ununica preoccupazione: che la partita giocata
da Consorte coinvolga tutto il partito. E magari finisca
per trascinarlo nel fango.
Micromega, 5/2005, ottobre 2005
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Nanni
Moretti
Ora che ci siamo ritrovati non perdiamoci di vista
Nanni Moretti
Con questi politici non vinceremo mai
Il regalo di Berlusconi
a Bin Laden
Business Week
(del 22 ottobre 2001) scrive: dopo l'11 settembre, c'è
un Paese che marcia in direzione opposta all'Occidente: è
l'Italia del Cavaliere
Storia
del Signor Savoia
Biografia non autorizzata di un erede al trono d'Italia,
piduista e manager di affari oscuri, che mentre tutti ritornano,
vorrebbe tornare anche lui
Milano
da bere,
atto secondo
Un altro politico di Forza Italia arrestato. Mille indagati
per vicende di corruzione. Le tante indagini sulla Regione
del "governatore" Roberto Formigoni. Tangentopoli
non è mai finita
Piccole
bombe crescono
Una galassia nera dietro l'attentato al Manifesto.
E ora, anche l'ultradestra comincia la campagna elettorale.
Stringendo contatti con uomini della Lega, di An, di Forza
Italia...
Rinasce
«Società civile»
Questa volta nel web,
ecco di nuovo i ragazzacci di Società civile.
Riprende vita, via internet, uno storico mensile milanese
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