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Approvata la controriforma

Il Senato vara la nuova legge sull'ordinamento giudiziario. Ecco la vendetta contro i magistrati. Da oggi siamo tutti meno liberi


E' una giornata triste per la giustizia e per il Paese. Il Senato, sostanzialmente senza alcuna discussione, approva una pessima contro-riforma dell'ordinamento giudiziario per larghi versi incostituzionali e inapplicabile, che non risponde ai rilievi del Capo dello Stato e che provocherà gravissimi danni all'organizzazione giudiziaria, impedirà il regolare funzionamento dell'autogoverno, diminuirà l'indipendenza, interna ed esterna della magistratura, contribuirà ad una ulteriore dilatazione dei tempi dei processi, inciderà sulla vita professionale quotidiana dei magistrati. I profili di ingestibilità della contro-riforma,
inutilmente denunciati dall'Associazione, provocheranno una sostanziale paralisi dell'apparato giudiziario.

Il diritto dei cittadini ad una giustizia rapida, efficiente e indipendente viene ulteriormente compromesso. Il Paese ha bisogno di riforme che rendano ragionevole la durata dei processi, per la tutela dei diritti di ciascuno.

L'A.N.M. auspica che la Camera dei deputati voglia approfondire i temi che la magistratura e la cultura giuridica hanno posto, anche nelle recente Manifestazione del 25 giugno scorso, ed esaminare le proposte che l'Associazione ha formulato per ciascuno dei punti toccati dalla riforma, facendo prevalere l'esigenza di un esame sereno e completo del progetto di legge, che è mancato nei lavori del Senato.

La Giunta Esecutiva Centrale, in adempimento del mandato ricevuto dal C.D.C. procede agli adempimenti formali per la indizione dell'astensione dall'attività giudiziaria dei magistrati per la giornata del 14 luglio 2005. In tal modo la magistratura italiana intende esprimere il dissenso più fermo e la protesta più netta per il contenuto della proposta di contro-riforma e per il metodo adottato nell'approvarla.

Roma, 28 giugno 2005.

La Giunta Esecutiva Centrale
dell'Associazione nazionale magistrati



Lo scontro in Senato


Gli interventi in aula di Nando dalla Chiesa

28 giugno 2005 - Con 146 voti favorevoli, 106 contrari e un astenuto, il Senato ha approvato il ddl recante delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario (decentramento del Ministero della giustizia, modifica della disciplina concernente il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, nonché emanazione di un testo unico).
Si tratta del provvedimento già approvato dal Parlamento e poi rinviato alle Camere con un messaggio del Presidente della Repubblica. Il testo passa ora all'esame della Camera.
Ecco gli interventi fatti il 27 giugno in Aula dal senatore Nando dalla Chiesa.


DALLA CHIESA (Mar-DL-U) - Il disegno di legge risponde solo parzialmente ai profili di costituzionalità segnalati dal Presidente della Repubblica: è infatti parziale la soluzione in ordine al potere di intervento in Parlamento del Ministro sui programmi della giustizia, mentre è assolutamente insufficiente la risposta per quel che riguarda i poteri del CSM e la separazione tra Esecutivo e giudiziario. La legge intacca la Costituzione perché svuota i poteri del CSM e rafforza ulteriormente la prassi instaurata in questa legislatura di diretto intervento del Parlamento nella carriera dei magistrati. È quindi auspicabile che la Camera dei deputati possa condurre un esame imparziale del provvedimento, che il Presidente della Repubblica possa esprimere un nuovo sindacato sulla costituzionalità della legge come modificata, ed in ogni caso la sua approvazione rappresenta una vittoria solo apparente della maggioranza, che dovrà scontare le pronunce contrarie della Corte costituzionale nonché una pletora di ricorsi ai tribunali amministrativi. L'unico elemento effettivamente innovativo, che può contribuire ad una maggiore efficienza del sistema è l'introduzione del manager giudiziario, frutto di un emendamento presentato dall'opposizione, che nel corso della discussione non si è limitata alla critica, ma ha fatto precise proposte per premiare il merito di magistrati, tipizzare gli illeciti disciplinari e valorizzare il ruolo dei cittadini.
[...]
DALLA CHIESA (Mar-DL-U) - Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DALLA CHIESA (Mar-DL-U) - Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, siamo alla parziale conclusione di un iter che è stato lungo - e lo sarà ancora prevedibilmente - e complicato, rispetto al quale ci siamo affrontati, ciascuno portando avanti e dichiarando più volte le sue posizioni.
Pertanto, non credo siano possibili equivoci su quelle che sono state le attese o gli orientamenti maturati anche nell'opposizione di fronte alla proposta di una riforma dell'ordinamento giudiziario.
Eravamo favorevoli ad introdurre più efficienza nell'amministrazione della giustizia; eravamo favorevoli a valorizzare il merito nella selezione dei magistrati; eravamo favorevoli anche alla tipizzazione degli illeciti disciplinari dei magistrati ed eravamo favorevoli alla valorizzazione delle attese dei semplici cittadini di fronte alla giustizia.
Dunque, se questi erano gli scopi che oggi rivendica come obiettivi della propria riforma il centro-destra, non erano differenti da quelli che animavano allora il centro-sinistra.
Tuttavia, non possiamo tacere sulla ragione profonda per la quale stiamo di nuovo discutendo qui in Senato di questo disegno di legge, vale a dire che il Presidente della Repubblica ha rinviato il provvedimento al Parlamento indicando quattro punti di incostituzionalità palese e anche un problema di "fattura" della legge, di coerenza tra il modo in cui la legge è predisposta e i principi che devono sorreggere il nostro ordinamento e le nostre funzioni parlamentari.
Il problema di cui discutere è se le ragioni per le quali il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere questo disegno di legge sono superate. Non si può tornare al dibattito che si svolse due o tre anni fa.
Noi, per una ragione precisa, alla fine del 2004 abbiamo ascoltato, attraverso le parole del Presidente del Senato, il messaggio che il Presidente della Repubblica ci inviava. Quei quattro punti di incostituzionalità sono stati solo parzialmente superati. Uno, quello relativo al monitoraggio è stato totalmente superato, mentre quello relativo all'intervento in Parlamento del Ministro della giustizia sui programmi relativi all'amministrazione della giustizia lo è stato solo parzialmente.
Due questioni rimangono, invece, per intero irrisolte: quella dei poteri di cui è stato svuotato il Consiglio Superiore della Magistratura, e che gli sono conferiti in base all'articolo 105 della Costituzione, e quella che riguarda la netta separazione tra il potere giudiziario e quello politico, sia nella sua funzione esecutiva che legislativa.
Queste questioni restano ancora aperte e se noi oggi esprimeremo voto contrario alla nuova versione del provvedimento è perché riteniamo che esso, per via ordinaria, intacchi la Costituzione. E' del resto la stessa ragione per cui il Presidente della Repubblica ha rinviato il provvedimento alle Camere.
Non si tratta ormai più di un dibattito sulla funzionalità e l'efficienza, perché di questi aspetti ne abbiamo già discusso; il problema è capire se quelle osservazioni fondate, e che avevamo già sottolineato nel corso del primo dibattito sul disegno di legge qui in Senato, rimangano nella loro pregnanza o no.
Purtroppo si è effettuato un piccolo ritocco formale al testo in quanto la norma rimane così come è stata scritta; utilizzando le parole del Ministro della giustizia, essa è stata scritta in ostrogoto, ma almeno ha avuto il pregio di convincerci, essendo stata redatta da magistrati, che forse è vero che è altamente consigliabile, anzi è necessario un test psico-attitudinale per l'ingresso in magistratura, se questo è quanto viene scritto da magistrati nel pieno esercizio delle loro funzioni!
Questa legge, ripeto, resta scritta in ostrogoto e continua ad essere quella congerie disordinata e farraginosa di indicazioni che imprigionano anche il governo dell'amministrazione giudiziaria attraverso quella sarabanda di percentuali fissate per indicare chi può essere promosso in una casella o nell'altra. Ma soprattutto permangono gli elementi di fondo.
Questa legge tocca il Consiglio superiore della magistratura e lo svuota dall'interno, lasciandone solo la buccia esterna; infatti, l'attività relativa a promozioni, o di indirizzo delle carriere dei magistrati o di assegnazione di incarichi direttivi viene mediata da agenzie esterne al Consiglio stesso, il quale si limita in molti casi a ratificare decisioni prese al suo esterno.
Rimane, altresì, il problema di un Ministro che può interferire sulle nomine relative all'assegnazione degli incarichi direttivi. Al riguardo, credo che sia doveroso ricordare - l'ho affermato in una precedente occasione e qualche collega della maggioranza se n'è lagnato - che un Parlamento non può arrogarsi il diritto di nominare i responsabili degli uffici giudiziari o di contrastare la nomina di responsabili degli stessi.
Abbiamo approvato provvedimenti che, con una tempistica singolare, mandavano in pensione ora questo, ora quell'altro magistrato, o prolungavano la carriera di questo o dell'altro magistrato; provvedimenti che prorogavano la durata in un ufficio particolare di un certo magistrato e provvedimenti contenuti anche in questa legge - di nuovo siamo in presenza di una norma ad personam - che impediscono ad un magistrato, specificatamente indicato, di accedere e di essere nominato ad una determinata carica.
Stiamo interferendo su piani che non ci riguardano e stiamo invadendo un campo che non è nostro. Stiamo manomettendo, attraverso una legge ordinaria, la Costituzione: questo è il problema che intendiamo sollevare e che non ci sembra un fatto secondario.
Spero quindi che la maggioranza, quando il presente provvedimento passerà all'esame della Camera dei deputati, qualche rinsavimento lo manifesti. Spero che ci sia finalmente qualcuno che guardi, con animo imparziale, a questa legge, non accecato dalla voglia di farla approvare a tutti i costi e quindi si confronti con le obiezioni che sono state sollevate dal Presidente della Repubblica.
Auspico che lo stesso Presidente della Repubblica, visto che tornerà al suo vaglio un testo diverso rispetto a quello che gli era stato trasmesso la prima volta, possa esercitare il suo sindacato di nuovo nel merito e restituircelo.
Sono convinto che la Corte costituzionale non potrà accettare la legge nel testo che ci accingiamo ad approvare.
Sono altresì convinto - lo ha affermato in una precedente occasione, purtroppo inascoltato, il collega senatore Fassone - che i TAR saranno sommersi da ricorsi di magistrati che vengono lesi nei loro diritti soggettivi dalla norma ad personam che abbiamo introdotto.
Credo, dunque, cari colleghi, che sia una vittoria di Pirro quella che la maggioranza si accinge a conquistare; avrà l'ennesimo trofeo da esporre sulla propria parete e l'ennesimo magistrato nei confronti del quale scatterà il provvedimento vendicativo, e quindi, come nelle baite di montagna si espongono le teste di animali uccisi, in questo caso ci saranno quattro o cinque teste di magistrati odiati che finalmente verranno colpiti con norme ad personam.
Quello che noi abbiamo introdotto, e che testimonia che non abbiamo guardato con animo pregiudizialmente ostile a questa legge, è lì, è la figura del manager giudiziario, unico inserimento in questa legge volto a garantire davvero l'efficienza della macchina giudiziaria, nato da un nostro emendamento. Altro che sostenere: l'opposizione non ha saputo far altro che dire di no! L'unica proposta seria che entra nel merito dell'efficienza organizzativa ed è in questa legge, ed è anche merito del Ministro averla saputa accettare, è quella che riguarda il manager giudiziario.
Purtroppo, signor Presidente, non è stata accolta la proposta di un'anagrafe informatica giudiziaria, che avrebbe potuto garantire ben altra efficienza e rispetto dei diritti dei cittadini.
In conclusione, voglio anche dare atto al Ministro di non avere conculcato i diritti del Parlamento nell'ambito di una discussione che è stata dura, aspra e lunga e di aver avuto più rispetto del Parlamento di quanto non ne abbiano avuto i suoi sostenitori nella maggioranza.
A questo punto - lo ripeto - consapevoli di avere fatto tutto il possibile perché una legge incostituzionale, di nuovo incostituzionale, non passasse, con la coscienza di aver fatto il nostro dovere, noi rassegniamo questa legge per intanto alla Camera, poi al Presidente della Repubblica, quindi alla Corte costituzionale. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U).



Oltraggi di governo

di Nando dalla Chiesa


l'Unità, 29 giugno 2005


Alla fine è passata, almeno al Senato. Una legge "scritta in ostrogoto", come spiegò mesi fa, voce dal sen fuggita, il ministro Castelli a un pubblico convegno. Una legge palesemente incostituzionale, come spiegò in modo ancora più pubblico il presidente Carlo Azeglio Ciampi rispedendola al parlamento dopo la prima approvazione delle Camere. Quella volta, era dicembre, il presidente indicò con linguaggio assai incisivo, perfino tagliente nel suo incedere, tutti i punti di incostituzionalità.

Quando il ministro ne apprese il numero (quattro), tirò un sospiro di soddisfazione, un po' come gli avvocati dell'onorevole Previti quando il loro assistito viene condannato a "soli" cinque anni. E commentò compiaciuto che sarebbe potuta andare pure peggio, che insomma la legge aveva retto alla prova-finestra. Un piccolo lifting e sarebbe andato tutto a posto.

Quella legge ora torna alla Camera sempre scritta in ostrogoto e sempre incostituzionale. Quanto al primo vizio, visto che la stesura del testo "più pazzo del mondo" e il suo più appassionato, cieco sostegno sono stati opera di magistrati, il ministro un punto almeno al suo attivo ce lo mette: ha convinto anche l'opposizione, anche i più diffidenti, che un test psicoattitudinale per entrare in magistratura (e restarci) è davvero raccomandabile. Quanto al secondo vizio invece, quello di incostituzionalità permanente, esso serve una volta di più a dipingere con giottesca maestria la maggioranza andata nel 2001 al governo del paese. Il dispregio per la carica più alta della Repubblica, e per i valori ai quali essa richiamava, non poteva essere più plateale. Se ne era già avuta una anticipazione nei fischi e negli sberleffi che avevano accompagnato in Senato la lettura che il presidente Pera aveva dato del messaggio giunto dal Quirinale.

Si è dispiegato poi attraverso l'opera di travestimento della legge che ha fatto seguito ai precisi rilievi presidenziali. Il risultato è davvero paradossale. Perché da un lato abbiamo un nuovo testo della Costituzione che mette mano a una cinquantina di articoli della seconda parte della Carta ma quasi non tocca il titolo quarto, ossia quello relativo alla magistratura. Dall'altra parte abbiamo una legge ordinaria che entra invece a piedi uniti sulla Costituzione puntando a cambiare lettera e spirito proprio di quel titolo quarto, rimodellando i rapporti tra potere politico e magistratura. Legge incostituzionale dunque (ecco la differenza rispetto alla Bossi-Fini) non perché violi principi costituzionali, ma perché punta a cambiarli stabilmente, a sventrare gli equilibri tra i poteri.

E lo è specificamente su due punti. Primo, sulla funzione di autogoverno del Consiglio superiore della magistratura, che viene depressa, svuotata della polpa per lasciare in piedi, con un procedimento di chimica legislativa, solo la buccia, la recitazione formale. Secondo, sulle prerogative del ministro, che ora interviene direttamente (sia pure "per contrasto") sulle nomine agli incarichi direttivi, riservandosi un diritto di impugnazione che litiga radicalmente con il principio della divisione dei poteri.

Poteva mancare in un contesto così goloso il nuovo emendamento eccentrico ma capace di togliersi, già che ci siamo, uno sfizio in più? Non sia mai. Ogni lasciata è persa, come dicono gli studenti universitari (e non solo loro). Ecco così l'ennesima norma ad personam. Non a favore, ma contro qualcuno. Ecco la norma che rispecchia alla perfezione lo spirito vendicativo della legge, la ciliegina sulla torta per ricordare la premiata pasticceria in cui la si è prodotta. Ecco insomma la legge anti-Caselli, rivendicata apertamente più volte come cosa buona e giusta dal relatore Luigi Bobbio magistrato.

Ultima di una lunga fila di norme volte a trasformare in trofei le facce dei magistrati scomodi, quasi fossero da mostrare ai visitatori come si usa nelle baite di montagna con le teste imbalsamate degli animali abbattuti. Ora non c'è più dubbio: questo parlamento fa invasione di campo, arruola nelle sue facoltà anche quella di nominare i giudici, non solo quella di farli evitare agli amici per legittimo sospetto. Ricordate? Una legge è stata fatta con tempistica perfetta per mandare in pensione nei tempi desiderati Francesco Saverio Borrelli e Gerardo D'Ambrosio e prolungare invece il servizio di alcuni magistrati di Cassazione che non hanno ricambiato il favore come si sperava. Una legge è stata fatta per riportare in servizio a vita Corrado Carnevale. Una legge è stata fatta per prorogare d'imperio l'incarico di Pierluigi Vigna a procuratore nazionale antimafia. Una legge viene fatta per impedire a Giancarlo Caselli di diventarlo.

Volete sapere se in questa congerie di previsioni vi sia una norma che punta in forma semplice e ragionevole a dare più efficienza all'amministrazione della giustizia? Sì, una c'è, è quella che introduce la figura del manager giudiziario; ed è stata proposta dall'opposizione, quella stessa opposizione che viene accusata di avere saputo dire solo dei no e che inutilmente si è battuta anche per istituire l'anagrafe informatica nazionale dei processi e delle posizioni processuali.

Tra grida e insulti, dopo essersi disimpegnata tra pianisti e fischi al Capo dello Stato, la legge incostituzionale riprende ora il suo cammino senza promettere nulla in efficienza o snellezza di servizio al cittadino. Chi anzi volesse avventurarsi tra le strampalate percentuali con cui, con la incosciente voluttà di un piccolo chimico, si sono stabilite le proporzioni toccanti a questa o quella categoria (e sotto-categoria; e sotto-sotto-categoria) di magistrati per partecipare o vincere un concorso, troverebbe davvero di che preoccuparsi sullo stato di salute della Repubblica.

Ci sarà tempo per riparlarne. Ieri sera il nuovo round si è chiuso con baci e abbracci ed effusioni varie intorno a Roberto Castelli. Baci moderati, da prima comunione, sia ben chiaro. Forse perché anche la maggioranza annusa o sa che si tratta di una vittoria di Pirro. Ora c'è la Camera. Poi di nuovo il Presidente. Poi la Corte Costituzionale. Poi le fatiche d'Ercole per farla funzionare. E una valanga di ricorsi ai Tar contro la sua incostituzionalità. Autori tutti i magistrati colpiti, in massa, dalla norma anti-Caselli. Quando si dice la cultura di governo...

Perché uno sciopero dei giudici

di Paolo Enrico Carfì
Presidente della Giunta dell'Associazione nazionale magistrati, sezione di Milano
14 luglio 2005


Cari colleghi,
alcuni di voi, in questi giorni, si interrogano se valga ancora la pena scendere nuovamente in agitazione per la quarta volta in tre anni. Alcuni ritengono questo sciopero "inutile" a fronte di una chiara volontà del Parlamento di procedere in tempi rapidissimi alla approvazione di quella che ormai tutti considerano una vera e propria "controriforma" (e alla quale seguirà , ciliegina finale sulla torta, la legge Cirielli in tema di prescrizione); qualcun altro, al contrario, ha dubbi sull' aderire o meno, ritenendolo uno strumento troppo blando e di scarsa efficacia.

Senza avere certamente la presunzione di convincere i dubbiosi (nutrendo al massimo qualche speranza), io credo che il motivo per cui la adesione alla giornata di sciopero del 14 luglio sia ancora oggi "utile" e doverosa, riposa su questa, solo apparentemente, paradossale considerazione:

Noi scioperiamo perchè
siamo e vogliamo rimanere - nel senso più alto del termine - servitori dello Stato ma non vogliamo trasformarci in servi di questa o quella parte politica, qualunque essa sia, che negli anni a venire governerà questo nostro Paese: perchè questa, per i motivi che tutti sanno, è la vera finalità della legge che il Parlamento si appresta a licenziare.

Noi scioperiamo perchè
non vogliamo che si possa dire da parte di alcuno che la Magistratura Italiana, è rimasta indifferente o, peggio, si è resa complice di fronte al definitivo scempio del sistema giustizia (e di quel che rimane del "senso" della giustizia) di questo nostro Paese.

Noi scioperiamo perchè
chi si sta per assumere la responsabilità di cancellare di fatto quei valori che hanno guidato la vita professionale di tutti noi (e tra questi in primo luogo - che sia questo il nostro errore? - quello rappresentato dalla scritta che ogni giorno ci sovrasta nelle nostre aule: "la legge è uguale per tutti"), se la assuma pienamente ed in via esclusiva - senza alibi alcuno - di fronte alla storia di questo nostro Paese.

A me, che come tanti di noi , alle volte sento la stanchezza rischiare di prendere il sopravvento, sembrano, questi, motivi semplici ma validi per dimostrare ancora una volta, con l' unico mezzo che abbiamo, tutta la nostra contrarietà ad una riforma fatta (non nascondiamoci dietro ad un dito ) "in odio" alla Magistratura ma che comporterà - cosa assai più grave - danni assai peggiori per la convivenza civile.

Il Presidente della Giunta di Milano Paolo Enrico Carfì





 

 
 
 

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