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Sinistra, la perdita dell’innocenza


«Caro Piero, oggi nessuno fa niente per niente».
Le telefonate di D’Alema e compagni.
E fin dove può arrivare la crisi della politica

di Gianni Barbacetto


Erano due anni che Massimo D’Alema aveva rotto con il principale giornale italiano: niente contatti, niente interviste. Il lungo gelo è finito domenica 20 maggio 2007. Quel giorno il Corriere della sera pubblica una lunga intervista al ministro degli Esteri che lancia un avvertimento: «È in atto una crisi della credibilità della politica che tornerà a travolgere il Paese con sentimenti come quelli che negli anni Novanta segnarono la fine della prima Repubblica».

Come spiegare il disgelo e, soprattutto, come interpretare il fosco presagio? Per riuscire a rispondere bisogna innanzitutto mettere in fila i fatti. Il primo risale a due anni fa, quando il gelo bloccò ogni rapporto tra D’Alema e Corriere: era l’estate del 2005, l’estate delle scalate, degli assalti dei furbetti del quartierino. L’allora presidente dei Ds troncò ogni contatto con via Solferino proprio perché il giornale, in quei mesi sotto attacco da parte di Stefano Ricucci che stava scalando Rcs, non mancava d’indicare che tra gli scalatori c’era anche un’ala sinistra: quella dei dalemiani e del loro braccio secolare, Giovanni Consorte, allora presidente di Unipol. Il quotidiano di via Solferino arrivò fino a dare spazio a quanto andava scrivendo Diario, che si era impegnato proprio a svelare quell’ala sinistra e che sulla sua copertina del 10 giugno 2005 aveva titolato: «Compagno Ricucci». 

Così era esplosa l’ira funesta di Massimo D’Alema, come quella di Achille offeso da Agamennone. Ci sono voluti due anni per ritessere la tela, riavviare i contatti, dimenticare le offese. Due anni dopo, D’Alema rompe l’embargo e parla. Il Corriere titola: «Politica, crisi come negli anni Novanta. La scarsa fiducia travolgerà il Paese». Nei giorni seguenti, la profezia comincia ad avverarsi: esplode prima il caso Visco, poi La Stampa scrive di uno strano ricatto sudamericano a D’Alema, infine arrivano sui giornali le telefonate tra Giovanni Consorte, Massimo D’Alema, Piero Fassino e Nicola Latorre intercettate in quella fatale estate del 2005.

Tanto all’inizio quanto alla fine del gelo dalemiano con il principale giornale italiano stanno dunque le scalate dei furbetti. I frutti avvelenati di quella stagione sono arrivati fino a oggi. E ora i nodi vengono drammaticamente al pettine: la politica si era trasformata in affari, ma gli affari sono tornati a trasformarsi in politica.

La Bicamerale segreta. «Compagno Ricucci»: quante critiche, quante offese, quante telefonate importanti abbiamo ricevuto per quel titolo. Che cosa aveva scritto Diario nel giugno 2005 e poi nei mesi seguenti? Aveva scritto che era in azione un composito gruppo di scalatori impegnati a geometria variabile ad assaltare due banche, Antonveneta e Bnl, e un giornale, il Corriere della sera. Che le tre scalate facevano parte di un unico piano che tentava di riorganizzare i poteri in vista della fine della fase di Berlusconi al governo. Che tra gli scalatori c’era la forte presenza dell’ala dalemiana. Che era in corso una Bicamerale segreta, una Bicamerale degli affari in cui pezzi della sinistra si erano accordati con pezzi della destra per preparare la nuova fase, quella dopo le elezioni, che contavano di vincere. Che l’agenda della politica era dettata dagli affari, questa volta anche a sinistra.
Allora queste erano poco più che intuizioni giornalistiche. Oggi sono diventate storia.

Ora i politici strepitano: che vergogna la pubblicazione delle telefonate! Il problema sono le intercettazioni, non quello che i politici nelle intercettazioni dicono. Ora proveranno a fare una legge per blindarsi dentro il Residence della Politica (il Palazzo pasoliniano non c’è più, con la sua drammatica grandiosità: è diventato un banale Residence cinque stelle multiservizi).

I politici coinvolti si difendono: erano solo chiacchiere e spiritosaggini, niente di penalmente rilevante. E che cosa c’è poi di male se la politica s’informa su quello che succede nella finanza? Ma resta lo sconsolante spettacolo dei vertici del maggior partito della sinistra beccati in flagrante, mentre seguono il progetto partorito da Giovanni Consorte, condito con una dose di irregolarità, scorrettezze e reati da far venire i brividi (se non ai vertici, almeno alla base del partito), che puntano tutto (la reputazione dei dirigenti, la credibilità del proprio simbolo elettorale) su un’avventura tentata insieme a una compagnia impresentabile di banchieri, palazzinari e finanzieri pronti perlopiù per la galera (per insider trading, aggiotaggio, appropriazione indebita, truffa, bancarotta fraudolenta, false fatturazioni, riciclaggio, associazione per delinquere...).

La Bicamerale segreta dell’estate 2005 era stata magistralmente riassunta da quella vecchia volpe di Clemente Mastella il 9 agosto di quell’anno: «Stiamo vivendo una strana stagione: chi vede arrivare la sconfitta elettorale prova a organizzare il proprio futuro; mentre chi pensa di vincere punta all’egemonia, a occupare spazi di potere. E lo fa direttamente o tramite chi gli è vicino». Aveva visto bene.

D’Alema merchant bank. Le scalate sono frutto di scambi multipli tra fronti diversi. «Più piaceri ora si fanno di qua, e più Gnutti potrà chiedere di là», dice il 7 luglio 2005 il finanziere Ettore Lonati. Le nuove telefonate rese note oggi confermano. D’Alema per Consorte è meglio di una merchant bank: si dà da fare con numerosi interlocutori. Il 4 luglio dice a Pierluigi Stefanini (oggi presidente di Unipol): «Ho fatto un po’ di chiacchiere anche milanesi... Insomma alla fine, se ce la fate, poi vi rispetteranno». Chi sono i «milanesi» a cui D’Alema è andato a chiedere «rispetto»?

Il 6 luglio è la volta dell’immobiliarista Francesco Gaetano Caltagirone: Giovanni Consorte chiama il senatore Ds Nicola Latorre per dirgli che Caltagirone si è defilato insieme ai suoi alleati immobiliaristi dalla scalata Bnl e vuole vendere la partecipazione del 27 per cento. Per questo Consorte chiede a Latorre l’intervento di D’Alema: «Sarebbe meglio che D’Alema chiamasse Caltagirone».

Convinto Caltagirone e amici a vendere a Unipol, c’è da convincere Vito Bonsignore, Udc. Dice D’Alema: «Ho parlato con Bonsignore, che dice che cosa fare, uscire o restare un anno? Se vi serve, resta... Evidentemente è interessato a latere in un tavolo politico...». E Consorte: «Chiaro, nessuno fa niente per niente» (14 luglio 2005).

Anche Gavio è interessato: «Come mai?», chiede Fassino, allora come oggi segretario del partito. E Consorte, paziente, glielo spiega: «Gavio entra perché ha capito che l’aria cambia e siccome lui ha l’Impregilo, vuole lavorare con le cooperative... Non c’è nessuno che fa niente per niente, Piero, a questo mondo!».

Del resto, Diario aveva raccontato già nell’agosto 2005 altre telefonate, altre pressioni: quelle di Fassino sul segretario dei Ds di Siena, Franco Ceccuzzi, perché convincesse il Montepaschi a schierarsi con Unipol. A Siena avevano resistito. Dunque si poteva dire no. Si poteva salvare almeno l’onore.    

Anche il Corriere è nel mazzo degli scambi. Il 7 luglio 2005 Piero Fassino dichiara al Sole 24 ore: «Non c’è un’attività imprenditoriale che sia pregiudizialmente migliore o peggiore di un’altra. È tanto nobile costruire automobili o essere concessionario di telefonia, quanto operare nel settore finanziario o immobiliare». Ora sappiamo che quel giorno Stefano Ricucci alle 9.37 ha già letto il Sole, chiama Nicola Latorre e ringrazia: «Ti volevo dire che ho letto qui l’intervista di Fassino... Ha fatto una presa di posizione positiva su di me e io lo volevo ringraziare...».
Dopo tutto ’sto lavorìo, dopo tutta questa pericolosa esposizione, il risultato è un pugno di mosche: le scalate sono sconfitte, Consorte deve dimettersi. «Facci sognare! Vai!», gli dice D’Alema il 7 luglio. Ma il sogno si trasforma in un incubo.

Ricatti e sindrome di Stoccolma. Le peggiori scorrettezze commesse a destra non valgono un decimo di quelle commesse a sinistra: gli elettori di sinistra, si sa, sono molto più esigenti. Così non serve allineare le telefonate degli scalatori a Silvio Berlusconi, a Salvatore Cicu, a Romano Comincioli, a Luigi Grillo... Non serve nemmeno ricordare i soldi passati dalla Banca popolare di Lodi ad alcuni politici (il leghista Roberto Calderoli, Ivo Tarolli dell’Udc, Aldo Brancher di Forza Italia...). Solo a sinistra soldi e telefonate fanno scandalo, perché è a sinistra che la reputazione ha ancora un valore.

La destra in questi anni ha fatto di tutto: ha dossierato gli oppositori, ha progettato di «neutralizzare» e «disarticolare», anche con «eventi traumatici», persone e gruppi indicati come «nemici» non delle istituzioni, ma del presidente del Consiglio allora in carica, Silvio Berlusconi; ha confezionato dossier per gettare fango su Romano Prodi, Piero Fassino e gli altri leader del centrosinistra; ha usato le Commissioni parlamentari su Telekom Serbia e sul rapporto Mitrokhin per diffondere veleni; ha permesso la costituzione di un Supersismi che incrociando servizi segreti istituzionali (Sismi e intelligence della Guardia di finanza) con apparati privati (security Telecom e agenzie investigative) ha spiato e dossierato migliaia di persone e avvelenato la politica e l’economia...

Tutto ciò ha portato l’Italia indietro nel tempo, agli anni dei dossier del Sifar, delle trame della P2. Ma con una differenza (in peggio): che allora c’era una parte del Paese e della politica che poteva dire a testa alta: «Noi, puliti, siamo le vittime di tutto questo fango». Oggi le piccole e grandi compromissioni di una parte della sinistra inquinano ogni cosa, rendono la sinistra ricattabile come la destra.
In uno dei suoi interrogatori, l’ex numero due del Sismi Marco Mancini – uno dei capi del Supersismi di Niccolò Pollari, Giuliano Tavaroli ed Emanuele Cipriani – racconta di aver ricevuto da Cipriani, «dopo il 2003», alcuni documenti sui conti esteri di alcuni politici di Ds («Dossier Oak») e Udc. Di averli portati al suo superiore, Pollari, che gli avrebbe però ordinato di portarli ai diretti interessati: Nicola Latorre, braccio destro di D’Alema, e Lorenzo Cesa, segretario Udc. Questi smentiscono. Ma se il metodo Pollari-Mancini era questo, allora si capiscono i veleni incrociati della nuova Italia dei ricatti. Del resto, per quale misteriosa sindrome di Stoccolma gli uomini della sinistra, vittime di fango e dossier, si sono tenuti per mesi, una volta arrivati al governo, i responsabili di quel fango, di quei dossier? (E ancora li difendono perfino trascinando i magistrati di Milano davanti alla Corte costituzionale).  

(Diario, 15 giugno 2007)

E Clementina disse: "Il re è nudo"


Le richieste del gip Forleo e la memoria del pm Orsi.


L'attesa è durata un paio d'anni, ma alfine il momento è arrivato. Il giudice per le indagini preliminari di Milano nel luglio 2007 chiede al Parlamento di poter utilizzare nel processo sulle scalate le telefonate degli indagati (Giovanni Consorte e altri) ad alcuni parlamentari, tra cui Massimo D'Alema, Nicola Latorre e Piero Fassino. Il gip è Clementina Forleo. Il testo della sua richiesta è esplosivo. Perché dice che i politici coinvolti non sono "passivi ricettori di informazioni", né "personaggi animati da sana tifoseria", ma "consapevoli complici di un disegno criminoso".

Scoppia la polemica: può un gip ipotizzare elementi d'accusa, al posto del pm? e può farlo nei confronti di parlamentari? Il dibattito giuridico è interessante. Ma non può far dimenticare la sostanza politica della faccenda, ben soda sotto il più morbido piano giudiziario: anche a prescindere dagli aspetti penali, è chiaro che le scalate dell'estate 2005 sarebbero state impensabili senza robuste sponde politiche, a destra e a sinistra.

Lo confermano i testi delle telefonate, disponibili per la prima volta nella loro trascrizione ufficiale, allegati alla richiesta alle Camere. A destra si fa riferimento al "Gran Capo" (Silvio Berlusconi). A sinistra il ruolo dei Ds appare determinante: Latorre è il punto di contatto tra gli scalatori (Giovanni Consorte, Stefano Ricucci) e D'Alema; D'Alema è parte attiva nelle trattative (con Francesco Gaetano Caltagirone, con Vito Bonsignore, con non meglio precisati ambienti milanesi...).

La reazione di D'Alema è perfettamente berlusconiana. A Repubblica parla di «spazzatura». E aggiunge: «Non si può crocifiggere in questo modo un cittadino, formulando un giudizio che pare già una sentenza. Così salta per aria il sistema democratico...». Al Tg5 minimizza soffermandosi solo sulla battuta ironica a Consorte del «facci sognare»: «E che è, un reato dirlo? Questo è il tema per cui viene messa sotto accusa la classe dirigente? Lasciatemi dire che è un'indecenza».

Invece non c'è solo il tifo, gli elementi d'accusa sono consistenti. Lo conferma anche la memoria del pubblico ministero Luigi Orsi, al termine dell'indagine sulla scalata Bnl. Vi si parla della «contropartita politica» che Bonsignore chiede a D'Alema per venire incontro all'Unipol di Consorte nella scalata alla Bnl. E della volontà di «essere amico» di Unipol, annunciata da Caltagirone al deputato ds Nicola Latorre.

1. Consorte (indagato per aggiotaggio informativo e manipolativo nella scalata di Unipol a Bnl) il 14 luglio 2005 chiede a D'Alema di Bonsignore, lo vorrebbe alleato. E D'Alema: «Ho parlato con Bonsignore, che dice cosa deve fare, uscire o restare un anno... Se vi serve, resta... Evidentemente è interessato a latere in un tavolo politico». «Chiaro», risponde Consorte, «nessuno fa niente per niente». Nella memoria del pm Orsi al gip Forleo, ecco come la telefonata è spiegata: «L'on. D'Alema e Consorte trattano un tema specifico: il rapporto di Unipol con uno dei contropattisti, Bonsignore. D'Alema riferisce a Consorte che Bonsignore non vende la sua quota, rimane socio di Bnl per qualche tempo ma vuole una contropartita politica».

2. In un'altra telefonata del 14 luglio, Consorte parla con Latorre: «L'on. Latorre informa Consorte d'avere ricevuto una "chiamata" da Caltagirone, il quale gli ha confermato che venderà a Unipol (le sue azioni Bnl, ndr) perché vuole esserne amico». Queste e altre telefonate sono rilevanti per «l'indagato Consorte» perché «ai suoi interlocutori, proprio nel periodo in cui il reato di aggiotaggio si sta consumando, fornisce particolari operativi». Fino a commettere al telefono, per il pm, un secondo reato, diverso dall'aggiotaggio, l'insider trading, seppure nella versione più leggera: «Il 14 luglio Consorte informa D'Alema che lunedì 18 luglio Unipol lancerà l' Opa su Bnl. Questa comunicazione riguarda una notizia riservata (informazione privilegiata) che Consorte porta a conoscenza di una persona estranea al novero di quelle legittimate a conoscerne riservatamente» in base alla legge. Per il pm, già solo «così operando, Consorte consuma un fatto di insider trading (abuso di informazioni privilegiate), e la conversazione telefonica è l'unica fonte di prova di questo fatto di reato». (suo, non di D'Alema, perché chi riceve una notizia privilegiata incorre nel reato solo se la utilizza sul mercato).

3. Ci sono poi «la conversazione del 15 luglio in cui Consorte informa Latorre di avere già il 51% e mezzo di Bnl»; e «quella del 17 luglio con l'on. Fassino» nella quale, secondo il pm Orsi, «Consorte reitera la propalazione di informazioni privilegiate, scandendo i nomi dei soci che lo affiancheranno l' indomani nel lancio dell' Opa».

4. Per insider trading su Bnl, per il pm, dovrebbe essere indagato anche Stefano Ricucci per le telefonate del 7 e 8 luglio con Latorre.

5. Nell'inchiesta sulla scalata Rcs, i pm Giulia Perrotti ed Eugenio Fusco chiedono al gip l'uso delle sue «ripetute telefonate» con un senatore di Forza Italia, Romano Comincioli, «estremamente rilevanti per chiarire il quadro delle alleanze di cui Ricucci poteva godere nella scalata e, quindi, dei concorrenti nel reato» di aggiotaggio. Sul lato destro, secondo l'accusa, si sono dati da fare per gli scalatori almeno tre parlamentari di Forza Italia: Comincioli, Grillo e Cicu.

Ma proviamo a prescindere dalle ipotesi d'accusa penali, dai complessi reati d'aggiotaggio e insider trading, che saranno i processi a verificare. Restiamo sul piano politico. Sono cristallini i comportamenti di D'Alema, Latorre e Fassino?

1. I tre hanno trascinato il più grande partito della sinistra in una brutta storia. Niente di male a volere una banca per il movimento cooperativo, ma perché farlo schierandosi a fianco del peggio della finanza italiana, sdoganando furbetti e avventurieri?

2. Niente di male a volere una banca per il movimento cooperativo, ma perché farlo appoggiando protagonisti che violano l'intero campionario dei reati finanziari?

3. Niente di male a volere una banca per il movimento cooperativo, ma perché farlo offrendo in cambio contropartite politiche e accettando una bicamerale segreta che comporta lo scambio destra-sinistra (Bnl a sinistra, Antonveneta a destra e Corriere destabilizzato...)?

(Luglio 2007)


 
 
 

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