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Benvenuti a Furbettopoli
Paura che torni Mani pulite. Mutazioni genetiche dei
partiti, al servizio degli affari. La Lega trasformata in
Guardia di Ferro della coppia Fiorani-Fazio. E i vertici
Ds a tifare per Giovanni Consorte, il Furbetto rosso
di Gianni Barbacetto
Uno spettro saggira
per lItalia. La paura di una nuova Tangentopoli.
Anzi, a essere precisi con le parole, di una nuova Mani
pulite che riapra una stagione dindagini sullillegalità
come sistema, che riprenda gli arresti in serie, che arrivi
ai piani alti della politica. Le manette scattate ai polsi
del banchiere Gianpiero Fiorani e dei suoi sodali e le indagini
sui furbetti del quartierino hanno innescato una sindrome
Mani pulite che serpeggia nei palazzi romani del potere.
A leggere certi resoconti dei più attenti tra i cronisti
politici, sembra di essere tornati al 1992, al totomanette,
allattesa del disastro. Tanto che il direttore del
Corriere della sera si è sentito in dovere di tranquillizzare
il Paese, rassicurando, nelleditoriale del 16 dicembre,
che non siamo alla vigilia di una nuova Tangentopoli.
Si passerà dai furbetti ai loro padrini di partito?
Le celle si apriranno anche per chi aveva dei conti molto
speciali nella banca di Lodi e per chi da Roma sosteneva,
tifava, tramava? Oppure la bufera passerà lasciando
solo i soliti strascichi di polemiche tra i partiti? Per
ora sappiamo solo che Donato Patrini, lassistente
di Fiorani, in un interrogatorio davanti ai magistrati di
Milano ha spiegato: «Fiorani indicava il nome del
politico, i recapiti, limporto del finanziamento o
del fido che Popolare di Lodi doveva erogare. Io compilavo
i documenti, raccoglievo la firma del parlamentare, aprivo
il conto ed erogavo i denari. Ero lufficiale di collegamento
con i politici. Per due anni siamo andati avanti così».
È levoluzione della tangente, senza quella
sgradevole sensazione delle buste che passano o delle valigette
che girano.
Quanto sallargherà lo scandalo lo sapremo nelle
prossime settimane. Ma comunque vada, il problema resta:
non soltanto perché è curioso che una vicenda
giudiziaria semini il panico in Parlamento, ma perché
le vicende dei furbetti hanno reso visibile una nuova specie
di Tangentopoli ancora senza nome, un inedito sistema di
rapporti perversi tra affari e politica, una Partitopoli,
una Furbettopoli che non può certo essere lasciata
come problema da risolvere alla magistratura.
Anzi, i giudici non hanno alcuna competenza sulle omissioni,
sui sostegni silenziosi, sulle complicità inconfessate,
sui patti non scritti tra la finanza e i politici. Eppure
sono questi ultimi che nobilitano le illegalità dei
furbetti, le innalzano dal quartierino e le fanno diventare
sistema. A destra come a sinistra. Le indagini giudiziarie
potranno indicare le illegalità più evidenti,
potranno al massimo rendere visibili le connessioni più
esplicite, ma poi dovranno essere la politica e la comunità
degli affari a rompere il sistema, a fare pulizia, a cambiare
rotta: se vorranno.
Profezie realizzate. Manette o no, la nuova Furbettopoli
comincia a delinearsi. Uno che se ne intende, Sergio Cusani
finanziere di Tangentopoli, imputato di Mani pulite
e oggi impegnato nel volontariato nonché consulente
finanziario del sindacato laveva profetizzata.
Lo va dicendo da qualche anno: altro che 1992, i veri intrecci
di potere sono quelli che oggi la finanza e le banche hanno
costruito proprio sulla base della debolezza di imprese
e partiti usciti sfiancati da Tangentopoli.
Intendiamoci, le antiche, gloriose tangenti continuano a
esserci, anche se governate da un diverso sistema: ai vecchi
partiti-dogana, con le loro regole inflessibili, i loro
imprenditori di riferimento, i loro cassieri segreti, si
sono sostituiti dice Cusani centri più
informali, sistemi più flessibili. Come dimostrano
le mille storie di corruzione venute alla luce negli ultimi
tempi (pur senza alcun clamore mediatico), i nuovi protagonisti
sono i feudatari che presidiano i valichi di passaggio della
spesa pubblica, i tanti vassalli e valvassori di una nuova
corruzione che, al passo con i tempi, non è più
«centralista» ma «federalista».
Al di sopra di questa rete, però, resta liperuranio
dei grandi affari, dei grandi intrecci, dei grandi poteri.
Le banche, le telecomunicazioni, il gas... È questo
lancora inesplorato mondo della nuova Partitopoli
su cui le indagini Fiorani cominciano a mostrare qualche
elemento.
Un altro che Tangentopoli, quella vera, lha conosciuta,
lex democristiano Bruno Tabacci, oggi esponente dellUdc
e presidente della commissione Attività produttive
della Camera, da tempo va ripetendo che si sta affermando
una nuova degenerazione dei rapporti tra affari e politica.
Tabacci la racconta così: la politica ha perso peso,
la finanza ha preso il comando. Risultato: i furbetti del
quartierino fanno quello che vogliono. Sulla pelle di milioni
di risparmiatori raggirati e derubati. Bipop Carire, Banca
121, Cirio, Parmalat, i bond argentini... Ora la Popolare
di Lodi.
«Massimo DAlema dice che questa storia delle
banche non interessa alla gente, agli elettori. Ma comè
possibile continuare a minimizzare così?»,
sindigna Tabacci. «Stiamo vivendo una stagione
vergognosa in cui la politica non esiste più e i
furbetti da anni fanno ciò che vogliono. Dallopa
Telecom a oggi, i nomi che girano sono sempre quelli».
Già. Da subito Chicco Gnutti, Giovanni Consorte,
poi Gianpiero Fiorani, Stefano Ricucci e la nuova compagnia
di giro degli immobiliaristi. Tutti allombra del Number
One, come lo chiamavano confidenzialmente, lex governatore
di Bankitalia Antonio Fazio che voleva diventare il nuovo
Cuccia, ma suonando la carica della finanza cattolica contro
laici e massoni.
Oggi la magistratura è arrivata a indicare quella
del banchiere di Lodi come unassociazione a delinquere.
E sono scattati gli arresti. «Un epilogo inevitabile.
Doveroso. Ma non mi rende allegro», commenta Tabacci.
«Non si volta pagina con le inchieste della magistratura,
con i rinvii a giudizio. Serve la politica. Salterà
Fiorani, salterà Ricucci, salterà Consorte.
Ma fin quando DAlema dirà che queste cose non
importano alla gente, non si cambia».
Già nel luglio 2005 era possibile capire lessenziale
sulle gesta della banda Fiorani e sulle distrazioni del
governatore Fazio. Lo scrivevano i giornali (compreso Diario).
Lo poteva capire la politica. Ma nessuno si mosse per raddrizzare
la situazione, prima che fosse costretta a intervenire la
magistratura.
Bruno Tabacci, implacabile, retrodata i tempi in cui era
possibile intrevenire: già nel gennaio 2005. Il Parlamento
era al lavoro per approvare la riforma sul risparmio, che
conteneva anche il mandato a termine per il governatore
e il passaggio allAntitrust del controllo sulle concentrazioni
bancarie. Nelle commissioni parlamentari le novità
passarono, con il consenso determinante della Lega. «Poi
venne da me Fiorani», racconta Tabacci a Diario. «Mi
disse che il salvataggio che stava facendo di Credieuronord,
la banca della Lega, aveva spostato gli equilibri. Io andai
avanti per la mia strada, ma effettivamente, quando la riforma
arrivò nellaula della Camera, la Lega votò
contro e tutto si fermò». Ma, secondo Tabacci,
anche i Ds avevano intanto cambiato atteggiamento: «Fiorani
era passato anche da loro, come ha confermato il capogruppo
alla Camera Luciano Violante. I Ds sono rimasti incerti
fino allultimo su come votare: avevano annunciato
lastensione, poi votarono con me, quando videro che
tanto ero stato messo in minoranza e che le riforme erano
bloccate».
I furbetti hanno rapporti e coperture a destra e a sinistra
e padrini in tutti i partiti. Le indagini su Furbettopoli
sembrano dare ragione alle intuizioni di Cusani e alle denunce
di Tabacci: nel sistema, in primo piano sono gli uomini
degli affari; i politici ci sono, ma al servizio dei primi.
Un tempo era la politica a decidere la strategia. Sceglieva
gli affari e le imprese, poi passava a riscuotere. Oggi
è leconomia a mettere al suo servizio (e a
volte a libro-paga) la politica.
Evidentemente Silvio Berlusconi ha fatto scuola. Ma ora
il partito-azienda non è più uno solo. Così
la Lega si è legata mani e piedi e si è consegnata
ai disegni di Fiorani e Fazio. E, anche a sinistra: quanto
hanno pesato le decisioni di Consorte sulle prese di posizione
di Piero Fassino e dei Ds? Proviamo a fare una prima analisi,
incrociando indagini giudiziarie e cronaca politica.
La Lega transgenica
La Lega nord di Umberto Bossi non cè più.
È finita. Lo scandalo Fiorani ne ha decretato la
fine. Non nel senso dei voti e del potere: per i voti, vedremo
tra qualche mese; quanto al potere, la Lega non ne ha mai
avuto tanto come oggi. Però si è trasformata
in qualcosa di diverso. Dovè finito il movimento
che tuonava contro Roma ladrona, che in nome del popolo
del Nord e del suo lavoro criticava il sistema dei partiti
e i poteri forti? Dopo pochi anni di vita «romana»
(e di governo), la Lega in trasferta nella capitale è
diventata lancella di un progetto finanziario altrui,
la Guardia di Ferro del Bel Banchiere di Lodi, anzi peggio:
il braccio armato del romanissimo governatore Fazio.
Lhanno convinta il sogno «politico» della
banca padana, certo, ma hanno aiutato molto i soldi. Quelli
con cui Fiorani, con la regia di Fazio, ha salvato la Credieuronord,
per esempio, la traballante banchetta della Lega affondata
dallincompetenza e dalle illegalità con cui
è stata gestita, fino a conquistarsi il record di
unica banca al mondo che in soli tre anni è riuscita
a perdere quasi per intero il capitale sociale. Soldi prestati
senza alcuna garanzia a pochi clienti eccellenti, che li
hanno dissipati. Finanziamenti alla Bingo.net di Maurizio
Balocchi, il tesoriere della Lega, finiti in un buco senza
fondo.
Poi è arrivato Fiorani a salvare lonore padano.
Ma non a restituire i soldini dei tanti leghisti che ci
avevano messo lanima e i loro risparmi. Curioso: la
piccola banca della Lega ha fatto, in piccolo, quello che
tante potenti banche italiane hanno fatto, in grande, nei
crac Cirio e Parmalat: salvare la faccia ai numeri uno e
lasciare nella melma i piccoli risparmiatori. Come la signora
Estella Gabello, il socio Adriano Rossi, la socia Corinna
Zanon e infiniti altri leghisti che nel gorgo Credieuronord
hanno perso, in un colpo solo, due cose uniche nella vita:
il loro piccolo capitale e il grande amore per la Lega di
Bossi. Da questa brutta storia il partito padano esce geneticamente
mutato. Il suo popolo ha perso linnocenza, per sempre.
E basta leggere i verbali dellultima assemblea dei
soci Credieuronord per convincersene. In più, non
aiuta sapere che il ministro Roberto Calderoli aveva avuto
dal Fiorani un bel fido di 13 mila euro, uno di quegli specialissimi
fidi lodigiani che sembrano tanto un regalo. Certo, secondo
quanto è emerso finora, il Calderoli non ne ha mai
approfittato e fino a oggi ha lasciato dormire i soldini
nel generoso conto della Popolare di Lodi.
Ma resta il fatto ed è perfino più
grave di un eventuale uso personale che il partito
ha subìto proprio una mutazione genetica: la Lega
ha perso la sua autonomia di giudizio e di comportamento,
ha dimenticato quanto era stata dura con Fiorani e Fazio
in occasione dei crac Cirio e Parmalat, ha dimenticato i
tanti piccoli risparmiatori del Nord imbrogliati non solo
diceva allora la Lega da Sergio Cragnotti
e Calisto Tanzi, ma anche dai banchieri che hanno scaricato
sui risparmiatori la loro esposizione nei confronti di Cirio
e Parmalat.
Tra quei banchieri cera anche Fiorani, ma la nuova
Lega se lè dimenticato. La nuova Lega è
la Lega di governo che ha preso il posto di quella Lega
di lotta che oggi non cè più. I nuovi
politici padani hanno modulato gran parte delle scelte degli
ultimi mesi sulle esigenze degli ex nemici Fiorani e Fazio.
Da loro si sono fatti imporre lagenda. Fino a farsi
diventare sopportabile persino il Ricucci Stefano, che più
romano non si può: ma, si sa, gli amici dei miei
amici sono anche miei amici...
Negli altri partiti del centrodestra, i furbetti si erano
garantiti, grazie ai conti molto speciali, il sostegno di
alcuni uomini. Sono già emersi i nomi di Ivo Tarolli
dellUdc, di Luigi Grillo e Romano Comincioli di Forza
Italia, di Aldo Brancher, ufficiale di collegamento tra
Forza Italia e la Lega e «reclutatore» di Fiorani...
«Lobbismo puro», spiega in un interrogatorio
Fiorani a proposito di Grillo.
Ma anche qui: al di là della valutazione morale sui
soldi accettati dagli uomini dei partiti, la novità
è costituita dal fatto che la politica è ridotta
a mero apparato di sostegno, pubbliche relazioni e lobbismo,
dei progetti di qualcun altro. Con Silvio Berlusconi che,
nellombra, sta a vedere come vanno a finire le scalate
e se si riesce a destabilizzare il Corriere...
Il furbetto rosso
Quanto ai Ds, è paradossale, ma sintravvede
qualcosa di simile, di speculare a quella che appare come
la mutazione genetica della Lega. Saltando in tuttaltro
contesto, cambiando schieramento, storia, ideologia, cultura
politica, sembra purtuttavia di notare lirresistibile
attrazione che scelte fatte altrove (in via Stalingrado
a Bologna) esercitano sul Botteghino. Una parte del vertice
Ds il presidente Massimo DAlema, il segretario
Piero Fassino, lex ministro Pierluigi Bersani, oltre
a esponenti di rilievo come, tra gli altri, il senatore
Nicola Latorre e il tesoriere Ugo Sposetti hanno
passato molto tempo degli ultimi mesi a difendere, spiegare,
sostenere, giustificare le decisioni di Giovanni Consorte.
Ed è mai possibile che lintero vertice di un
partito politico abbia come prima preoccupazione quella
che si rilasci in fretta lautorizzazione a unopa?
Nel bel mezzo della bufera mediatica seguita alla notizia
che anche Consorte è indagato, Pierluigi Bersani,
Gavino Angius, Vannino Chiti sono andati avanti per giorni
a insistere: ma quando ci dite se questopa si può
fare o no?
Una volta, ai tempi del vecchio Pci, era il partito a decidere:
la linea politica, ma anche i comportamenti negli affari
e finanche la moralità degli iscritti. Ora soprattutto
Fassino sembra invece affaticato alla rincorsa di una materia
che pare non padroneggiare del tutto. Ha passato lestate
2005 a difendere il partito dagli attacchi: in realtà
a difendere Consorte e le sue scelte finanziarie. Ha dovuto
moltiplicare le interviste e gli interventi anche perché
doveva via via rettificare, precisare, spiegare, correggere
se stesso. Con il mal di pancia crescente di settori del
partito e di elettori del centrosinistra che non capivano
perché tante parole ed energie fossero spese dal
segretario per affermare che un misterioso odontotecnico
con tanti soldi e strani giri immobiliari ha la stessa dignità
imprenditoriale di chi rischia il suo capitale per creare
ricchezza e posti di lavoro.
Certo, Stefano Ricucci è alleato di Giovanni Consorte
e Consorte è forse il più grande finanziatore
del partito. Le iniziative dei Ds e i festival dellUnità
sono sponsorizzati da Unipol. Ma basta questo per far diventare
buona ogni sua scelta? E questo al netto della correttezza
e a prescindere da eventuali reati commessi. Nel partito,
nel sindacato, nel movimento cooperativo, molti dirigenti
e militanti non capivano e continuano a non capire perché,
visto che il movimento cooperativo ha dei soldini, li deve
mettere proprio in una banca.
E non per pregiudizio anticapitalistico, per ingenua e antimoderna
paura della finanza, quasi si trattasse di uno strumento
del demonio. Non è affatto in discussione la legittimità
di fare finanza, di farla anche a sinistra, né tantomeno
il diritto per Unipol di comprare una banca. No. Le domande
che sono maturate dentro il mondo dei Ds anche se
faticano a trovare espressione pubblica per paura di danneggiare
il partito in una fase ormai già pre-elettorale
sono di tuttaltra natura. Non riguardano la legittimità
della finanza in generale, ma da una parte la specificità
delloperazione in corso e la sua opportunità
strategica e industriale, dallaltra leventuale
illegalità dei metodi usati. Ecco le domande.
La prima: perché il movimento cooperativo,
in un momento di declino e di grave crisi industriale del
Paese, punta tutto su un investimento finanziario?
La seconda: perché rischiare così tanto
in un investimento (Bnl) che, come hanno sostenuto i «cugini»
del Montepaschi già nella primavera scorsa, potrebbe
non dare i risultati sperati e anzi appesantire di debiti
lintero movimento cooperativo?
La terza: ma siamo sicuri che la scalata di Consorte
a Bnl non sia stata fatta violando le regole, in una concertata
partita doppia con lassalto ad Antonveneta di Fiorani
e sotto la benevola ala protettiva di Fazio?
La quarta: come mai Consorte e il suo vice, Ivano
Sacchetti, hanno ricevuto affidamenti milionari dalla Popolare
di Lodi e hanno realizzato strane plusvalenze da operazioni
sui derivati?
Per rispondere a queste domande, conviene cominciare ad
ascoltare il ragionamento di uno che non solo si sente Ds
fin nel midollo, ma che si dice anche innamorato del movimento
cooperativo: Carlo Ghezzi, ieri sindacalista e oggi presidente
della Fondazione Di Vittorio della Cgil.
1. Perché proprio una banca? «LItalia
è il Paese di Silvio Berlusconi, imprenditore anomalo,
rentier senza mercati. I suoi settori dintervento
sono la televisione, ledilizia, le assicurazioni...
Mercati protetti, fuori dalla vera competitività
internazionale». La prende larga, Ghezzi. «Dunque
è normale che il governo di Berlusconi attui una
politica favorevole alla rendita. Così aggrava sempre
più la crisi dellItalia, che esce via via dai
settori produttivi e dalla competizione internazionale.
Invece, per cercare dinvertire questa tendenza, la
politica dovrebbe interessarsi di dove va la nostra economia
e dovrebbe favorire lo sviluppo delle forze produttive.
Il programma del centrosinistra va in questa direzione.
Cambia la direzione di marcia. Ma allora, in questItalia
in declino, è un errore strategico per il mondo cooperativo
puntare sulla finanza, invece di progettare un piano di
sviluppo per il Paese. È una sciocchezza dire che
tutti i settori sono uguali, che tutti gli operatori economici
sono uguali, purché rispettino le regole. Chi produce
e crea ricchezza per tutti non è uguale a chi vive
sulla rendita. E un governo di centrosinistra dovrà
premiare chi produce e crea ricchezza per il Paese e non,
come ora, chi si arricchisce con la speculazione senza rischi
di competizione».
Ghezzi prosegue il suo ragionamento: «È poi
un errore tattico quello di puntare in odio al capitalismo
italiano, straccione, assistito, furbacchione su
personaggi che sono il peggio della finanza italiana. Regalando
ad altri i rapporti con il capitalismo dei cosiddetti salotti
buoni». Più in generale, continua poi Ghezzi,
«una riflessione vera dovrà essere fatta, in
questo contesto, anche dentro il mondo delleconomia
cooperativa. È un mondo che va meglio del resto delleconomia
italiana. E allora, io sono convinto che sia giusto che
cresca. Che faccia finanza. Che si doti anche di una banca.
Ma come crescere? Con gli stessi trucchi, le stesse furbizie,
le stesse scatole cinesi del capitalismo familiare italiano?
Mettendosi nelle mani di un Cuccia di sinistra che blinda,
rastrella, sindebita? Dicendo che i vecchi salotti
del capitalismo fanno schifo e poi facendo noi le stesse
cose?». Tutto questo, naturalmente, al netto di eventuali
irregolarità. «Do per scontato», conclude
Ghezzi, «che se ci sono illegalità e reati,
allora il discorso cambia».
«Ma anche a prescindere da eventuali reati, per cominciare
dobbiamo almeno farla finita con il cesarismo di manager
che diventano padri padroni della loro cooperativa o della
loro impresa, manager che non rispondono a niente e a nessuno.
Dobbiamo inventarci una nuova governance e un nuovo rapporto
tra soci e manager».
Le cooperative, che sulla carta sono le strutture produttive
più democratiche del mondo, si sono trasformate nella
realtà in entità monarchiche dove il carisma
del manager pesa più di ogni altra cosa. Larchitettura
societaria di Unipol è un castello dei destini incrociati
di cui, alla fine, solo il presidente riesce ad avere leffettivo
controllo. Consorte, certamente, ha il merito di aver salvato
la compagnia dal fallimento, di averla risollevata e lanciata
nellempireo della finanza italiana. Tutto il mondo
cooperativo (e tutti i Ds) gli devono molto. Ma basta questo
a mandar giù ogni sua scelta?
2. Unoperazione antieconomica?
Sono stati i Ds di Siena, che controllano la Fondazione
che a sua volta controlla il Montepaschi, a dire che il
re è nudo: loperazione Bnl non conviene. È
troppo costosa e rischia di appesantire di debiti il compratore.
Certo, i senesi parlavano della loro convenienza a entrare
nelloperazione. Ma, sotto, il ragionamento è
questo: quella di Consorte è più unoperazione
di potere che un business. Lancia Consorte al centro della
finanza italiana, ma allitaliana: con una banca non
proprio florida da ristrutturare e con debiti da pagare
per anni. Ne vale la pena? Fa davvero bene al mondo cooperativo?
Appena la scalata Bnl si profilò allorizzonte,
il presidente di Unicoop Firenze Turiddo Campaini sentenziò:
«Non mi piace, è unoperazione inutile
e rischiosa».
Ma a questo punto le domande sullopportunità
delloperazione Consorte lasciano posto alle domande
sulle eventuali illegalità.
3. Una scalata contro le regole?
Lordinanza del giudice preliminare Clementina Forleo
parla chiaro: Fiorani e la sua «associazione a delinquere»
«si erano da anni impadroniti del controllo della
banca... gestendo il loro complessivo operato in pieno arbitrio».
Per fare questo, aggiunge, «erano occorsi lappoggio
di importanti finanzieri italiani», «quali Consorte
Giovanni e Sacchetti Ivano, rispettivamente presidente e
amministratore delegato di Unipol». Basta rileggere
i resoconti delle telefonate intercettate ai protagonisti
delle scalate estive per rendersi conto che qualcosa non
quadra. I rapporti Consorte-Fiorani sono strettissimi. Le
due scalate, su Antonveneta e su Bnl, sembrano una cosa
sola. Un unico, grande concertone. «Gianni, io mi
sento sangue del tuo sangue... Tu sai che io sono sempre
pronto e disponibile e lavoro anche un po sottacqua,
come tu hai capito bene», dice Fiorani a Consorte
il 19 luglio 2005.
I giochi erano cominciati molti mesi prima, nel dicembre
2004. Consorte e Sacchetti avevano ottenuto un prestito
da 4 milioni di euro ciascuno, senza garanzie, il 28 dicembre,
tra Natale e Capodanno. Subito dopo parte il rastrellamento
sotterraneo e incrociato delle azioni Antonveneta e Bnl.
Unipol compra il 3,5 per cento di Antonveneta, mentre Lodi
mette insieme l1,4 di Bnl. Ben prima che le due scalate
fossero dichiarate al mercato: miracoli della preveggenza.
Le azioni Bnl proprio come quelle Antonveneta
sono rastrellate dagli «amici» ben prima delle
autorizzazioni. E Consorte fa parte del gruppo dei rastrellatori
di Antonveneta, ricorda lodinanza di custodia cautelare
del giudice Forleo, che aggiunge: «Si trattava di
persona particolarmente fidata, tantè che ci
si era rivolti a lui anche per la vicenda Earchimede...».
Cioè la più importante delle operazioni fittizie
messe in piedi da Fiorani per far apparire a posto i coefficienti
patrimoniali della banca, che invece a posto non erano affatto.
Non solo. Fiorani, come dimostra la telefonata con bacio
in fronte a Fazio della notte del 12 luglio, ha una linea
diretta con larbitro che in realtà è
il capo della tifoseria. Ma anche Unipol, pur con meno smancerie,
ha la sua linea diretta con la Banca dItalia. Lo stesso
12 luglio il vice di Consorte, Ivano Sacchetti, riferisce
al capo che ha parlato con Francesco Frasca, il capo della
Vigilanza di Bankitalia, per dirgli che è tutto a
posto, «che nessuna banca ha dei problemi».
Poche ore dopo, Consorte in persona chiama direttamente
Frasca. Sono le 18.21: «Gianni gli dice che ha bisogno
di lui», annota il brogliaccio della guardia di finanza.
Alle 19.01 è Frasca a chiamare Consorte per dirgli
che «il governatore voleva incontrarlo per capire
bene tutta la struttura». Il giorno seguente, altri
contatti per fissare il primo incontro, che sarebbe avvenuto
alle 19 del 13 luglio.
Rastrellamento delle azioni condotto in modo sotterraneo
e fuori dalle regole. Complicità nella falsificazione
dei coefficienti patrimoniali della Popolare di Lodi. Rapporto
privilegiato con Bankitalia. In che cosa, allora, la «scalata
buona» (Bnl) si differenzia dalla «scalata cattiva»
(Antonveneta)? Anzi, Consorte aveva anche lasso nella
manica: una «talpa» dentro il palazzo di giustizia,
un giudice che (almeno a quanto dice Consorte, intercettato,
ai compagni di scalata) avrebbe pensato lui ai giudici di
Roma...
4. Operazioni personali? Non occorre essere geni della finanza
per capire subito che i conti molto speciali di Consorte
e Sacchetti (come quelli di tanti altri clienti molto speciali
di Fiorani) erano regali mascherati, tangenti postmoderne.
Che brutte le buste piene di soldi, le valigette 24 ore,
le banconote impacchettate nella carta di giornale (come
ai tempi di Mario Chiesa...). Sorpassati anche i conti allestero
e le società offshore (una volta si chiamavano Levissima,
o Gabbietta, o All Iberian...). Ora i soldi arrivano con
operazioni sui derivati. Agli amici si apre un conto a Lodi.
Lo si riempie con un bellaffidamento senza garanzie.
Lo si rimpingua con soldi provenienti da complesse operazioni
finanziarie fatte dalla banca (sui derivati, appunto) senza
che il cliente muova neanche un dito. I derivati sono strumenti
delicati, fanno guadagnare, ma anche perdere (Raul Gardini,
per dirne uno che ci sapeva fare, ci si è rovinato).
Ma niente paura: i clienti speciali vincono sempre.
Consorte e Sacchetti ricevono 4 milioni di euro a testa,
così, esattamente un anno fa. Soldini impiegati per
vendite di opzioni put, di cui si occupano Akros e Barclays,
su incarico della Popolare di Lodi. Ma nessun rischio, nessuna
preoccupazione: i clienti stanno tranquilli a casa loro,
e alla fine Fiorani fa arrivare sui due conti gemelli un
guadagno di circa 1,7 milioni di euro a testa. Consorte
affida il malloppo a Teti finanziaria, gestita da un prestanome.
Sacchetti ripara il suo presso la Im immobiliare. Operazioni
finanziarie personali e perfettamente lecite, sostengono
i due in una nota diffusa il 14 dicembre dal loro legale
Filippo Sgubbi. Non sembra pensarla così il giudice
preliminare, che scrive di «clienti privilegiati»,
di «anomali affidamenti», di «operazioni
parallele e sovrapponibili»... Appare davvero strano
che i guadagni siano stati realizzati con vendite di opzioni
put a prezzi molto più alti di quelli di mercato
e con prelievo dei premi molto prima della scadenza delloperazione.
Insomma: cera qualcuno che garantiva il guadagno,
comunque fosse andata a finire lavventura delle opzioni.
E comunque Consorte solo sette giorni prima, il 7 dicembre
2005, al Sole 24 ore aveva dichiarato tuttaltro: «Quelle
sul mio conto sono operazioni di trading azionario che risalgono
al 2001 e 2002... Noi con la Lodi, sia come azienda che
come persone, non abbiamo fatto mai nessuna operazione.
Neanche una». Ma quali sono, allora, le operazioni
di trading azionario fatte nel 2001 e 2002? E perché
ha negato i giochi sui derivati del 2005? Fatti i conti
in tasca al numero uno di Unipol, si può calcolare
che abbia portato a casa 14 milioni di euro, in quattro
anni di operazioni sui titoli realizzate nella banca di
Fiorani. Nel 2002 aveva raggiunto, senza garanzie, un fido
di 7 milioni di euro: quanto lutile mensile della
Popolare di Lodi.
Le carte poi raccontano di altri giochi di sponda. Come
quello che potremmo chiamare «operazione Quarto Oggiaro»:
un favore fatto allamico Fiorani, un giochetto senza
perdite né guadagni. Nel marzo 2003 un prestanome
di Fiorani, Eraldo Galetti, amministratore della società
Liberty, ottiene dalla Popolare di Lodi, senza garanzia
alcuna, un fido di 2,4 milioni di euro. Lo usa il 1 aprile
per finanziare Liberty, che acquista la villa di Fiorani
a Cap Martin. Ma così provoca uno scoperto di conto.
Ripianato il 29 aprile con un assegno di 2,9 milioni di
euro proveniente da Unipol, agenzia di Quarto Oggiaro. Che
cosera successo? Fiorani aveva telefonato a Consorte,
chiedendogli di concedere al suo prestanome un affidamento
di 2,9 milioni. Consorte aveva subito eseguito: ironia della
sorte, aveva scelto, per facilitare lacquisto della
villa di Fiorani in Costa Azzurra, lagenzia Unipol
di uno dei più noti e meno attrezzati quartieri periferici
milanesi.
Qualche giorno dopo, dicono le carte, il braccio destro
di Fiorani, Gianfranco Boni, compiva la magia: faceva transitare
sul conto di Galetti cinque operazioni di compravendita
titoli, che fruttavano un capital gain, al netto, di 2,915
milioni. Da lì, bonifico verso il conto Unipol, per
rientrare dellaffidamento concesso da Consorte. Con
tanti ringraziamenti da Lodi.
Appare ben più discutibile, anche se ancora sotto
giudizio, loperazione realizzata da Consorte nel 2002
sulle obbligazioni Unipol: un episodio sul quale è
in corso a Milano un processo per insider trading, in cui
sono imputati, insieme a Consorte, il suo vice Ivano Sacchetti
e il finanziere bresciano Emilio Gnutti. Un caso mai visto
nella storia della finanza italiana: nessuna azienda vorrebbe
mai rimborsare le obbligazioni emesse, la compagnia assicurativa
bolognese invece aveva deciso di rimborsarle tre anni prima
della scadenza naturale. Perché questa scelta apparentemente
inspiegabile?
Consorte risponde: volevamo ridurre lindebitamento,
è stata la compagnia stessa a ricomprare, per risparmiare.
«Ma lunica spiegazione possibile è che
si voleva favorire qualcuno, che sapeva del rimborso imminente»,
ribatte Beppe Scienza, autore del volume Il risparmio tradito.
«Sono andato a spulciare le compravendite di quei
titoli e ho scoperto movimenti interessanti. I due titoli
in questione erano poco trattati, con volumi giornalieri
bassissimi. Il 28 febbraio 2002 viene annunciato il rimborso,
a 100 lire al titolo. Nelle settimane precedenti, le transazioni
simpennano. Passano di mano volumi per milioni di
euro di uno dei due titoli (il 24 gennaio 2002 addirittura
20 milioni). Laltro titolo aveva ancora meno mercato,
ma il 28 gennaio ne passano di mano 9,8 milioni. Curioso
che in quelle settimane siano spuntati come funghi misteriosi
investitori che hanno comprato milioni di euro di queste
obbligazioni che prima non voleva nessuno. Chi comprava
quei titoli, a prezzi inferiori alle 100 lire, doveva sapere
in anticipo dellimminente rimborso a 100 lire. Così
chi ha comprato ha realizzato buone plusvalenze, mentre
a perderci sono stati i risparmiatori che avevano comprato
le obbligazioni e i soci dellUnipol, che hanno perso
14 milioni di euro».
Se in quelloperazione del 2002 cè stato
insider trading, lo deciderà il tribunale. Certo
è che, dal 2002 a oggi, Consorte si è sempre
più integrato nel gruppo dei furbetti, con Gnutti
e la sua corte bresciana prima, poi con Fiorani e i suoi
amici lodigiani e poi ancora con i mattonari romani alla
Ricucci. Di quel gruppo pronto a nuovi arrembaggi, per rinverdire
i fasti dellopa Telecom del 1999, è diventato
la sponda a sinistra: il «furbetto rosso».
La Coop sei tu. Quanto costa la scalata
Bnl al movimento cooperativo
Quanto è costata al movimento
cooperativo la scalata a Bnl? I conti non sono facili. Ma,
usando i documenti ufficiali, una stima, per difetto, si
può fare.
Innanzitutto bisogna calcolare i costi della prima crescita
fin sotto la soglia del 15 per cento, chiesto da Unipol
e autorizzato da Bankitalia nel luglio 2005 in soli 15 giorni
(mentre i baschi del Banco di Bilbao hanno dovuto aspettare
due mesi per poter salire dal 15 al 30 per cento).
Unipol entro il 18 luglio 2005 compra 305,5 milioni di azioni
Bnl sborsando 852,8 milioni di euro (prezzo medio per azione
2,79 euro). Contemporaneamente, anche Aurora, controllata
Unipol, compra 146,3 milioni di azioni Bnl, pagando 387,7
milioni (prezzo medio 2,65). Totale di Unipol e Aurora,
per arrivare al 14,92 per cento di Bnl: 451,8 milioni di
azioni, con una spesa di 1,240 miliardi di euro (prezzo
medio per azione 2,75 euro).
A questo punto arriva il capolavoro di Consorte. Unipol
ufficialmente non compra più neppure unazione,
ma in tempi da record stringe una serie di patti con soggetti
diversi (cooperative, banche e finanziarie italiane, banche
straniere) che comprano Bnl e le mettono a disposizione
della cordata capitanata da Consorte. Questi soggetti sono
la Hopa di Chicco Gnutti, la Carige di Vito Bonsignore,
la Popolare italiana di Fiorani, la Popolare di Vicenza,
la Sias di Marcellino Gavio, Alvaro Pascotto, Nomura.
Le cooperative che entrano nel gioco sono quattro: Talea,
Estense, Adriatica, Novacoop. Ciascuna acquista un 1 per
cento di Bnl (pari a 30,250 milioni di azioni), con un esborso
di 81,6 milioni. Le quattro coop dunque pagano un totale
di 326,7 milioni di euro.
Poi però Unipol, per affrontare la scalata, deve
fare un aumento di capitale di 2,6 miliardi di euro. Quanto
ha pesato sulle finanze delle cooperative? Si può
cercare di calcolarlo individuando limpegno nellaumento
di capitale sostenuto da Holmo (la finanziaria che raggruppa
46 coop). Poiché Holmo deve mantenere il 52 per cento
di Finsoe che controlla poco più del 50 per cento
di Unipol, si può calcolare che Holmo (e cioè
le coop) abbia dovuto sborsare almeno 460 milioni di euro.
A questa cifra bisogna plausibilmente aggiungere le quote
inoptate del Montepaschi, che si è sfilato dallaffare
(circa 230 milioni).
Dunque, sommando il costo delle azioni Bnl comprate da Unipol,
più le azioni comprate dalle quattro coop, più
la quota coop e Mps dellaumento di capitale, il costo
totale sostenuto dalle cooperative dovrebbe essere almeno
di 2,257 miliardi di euro. A questi andrebbero aggiunte
altre voci minori (aumento di capitale Unipol Banca, acquisto
azioni privilegiate non optate eccetera...).
Con un rischio minusvalenze: le azioni comprate a 2,70,
a opa finita (se andrà in porto), scenderanno a 2,10,
con una perdita di 60 centesimi per azione: 1,8 miliardi
di minusvalenze che i nuovi criteri contabili Ias obbligano
a mettere nel bilancio 2005.
Diario, 23 dicembre 2005
Luglio 2005: le dimissioni
di Fazio e Consorte
Scenario impossibile. Come sarebbe andata se chi poteva
intervenire lo avesse fatto, prima dei magistrati? (E già
quest'estate si poteva capire tutto...)
Hanno avuto tutti molto tempo per capire, per reagire, per
intervenire. Ma non lo hanno fatto. Oggi è chiaro:
Gianpiero Fiorani il banchiere della Bassa è in galera,
la sua banda è ufficialmente unassociazione
a delinquere; una mafia che rubava ai clienti piccoli
e anche ai clienti morti per dare agli amici e compagni
di avventure criminal-finanziarie; una consorteria che trattava
con un occhio di riguardo alcuni politici (Luigi Grillo
e Aldo Brancher, Forza Italia; Ivo Tarolli e Vito Bonsignore,
Udc; Roberto Calderoli, Lega...), che incassava solidarietà
anche a sinistra (Giovanni Consorte e i suoi sostenitori...)
e riempiva di regali il Number One, come lo chiamavano tra
di loro, cioè il governatore di Bankitalia Antonio
Fazio.
Hanno avuto tutti molto tempo per capire, per reagire, per
intervenire. Lo hanno avuto le istituzioni finanziarie,
quelle di controllo che non hanno controllato e le grandi
banche che, per spuntare generose commissioni, facevano
finta di non vedere. Lo ha avuto la politica, che era impegnata
in altre faccende (depenalizzare il falso in bilancio e
addirittura la bancarotta, attaccare lindipendenza
della magistratura, aggiustare i processi di qualche imputato
eccellente, accarezzare il pelo alla rude razza padana e
alla furba razza romana, sdoganare i furbetti del quartierino,
che mica channo la rogna...).
Ha avuto tempo, la politica, per capire. Dallestate
2005, poi, la trama del grande colpo tentato dai furbetti
era emersa, era stata raccontata su tutti i giornali. A
quel punto, i particolari raccapriccianti ancora non si
conoscevano, ma lessenziale sì. Si sarebbe
potuto intervenire, seppure già un po in ritardo,
e cercare di risanare lambiente.
Immaginiamo uno scenario, una specie di sogno possibile,
in un Paese normale: il Parlamento, convocato durgenza,
approva unefficace riforma del risparmio e della Banca
dItalia; il governatore è subito sostituito
da una personalità che restituisce prestigio e credibilità
allistituzione; le scalate avviate con metodi truffaldini
sono bloccate dalle autorità di controllo per ritornare
alla trasparenza e alla correttezza; Fiorani e amici escono
rapidamente di scena, sostituiti da nuovi amministratori
non collusi; le grandi banche internazionali plaudono il
rinnovamento, dopo essersi rifiutate di entrare in operazioni
che puzzavano di illegalità lontano un miglio; la
maggioranza di governo dimostra con i fatti di non avere
alcun collegamento sotterraneo con gli scalatori di banche
e del Corriere della sera; lopposizione di centrosinistra
dichiara solennemente che le regole valgono per tutti e
si rifiuta di parteggiare per qualunque consorteria.
A proposito: per motivi dopportunità, Giovanni
Consorte si dimette dalla presidenza di Unipol, che avvia
una profonda riorganizzazione per ritornare a una governance
più trasparente, meno «monarchica», più
nelle mani delle cooperative che la controllano. I vertici
Ds convocano una grande assemblea sulla trasparenza negli
affari e sui rapporti tra industria e finanza, produzione
e speculazione. Insomma, a fine luglio 2005, lintrigo
dei furbetti è già sgonfiato.
È un mondo di Alice? Un impossibile scenario di fiaba,
pensabile soltanto da inguaribili ingenui? Forse. Certo
che quel che è avvenuto nella realtà non gli
somiglia neppur lontanamente. Anzi, è esattamente
lopposto.
Antonio Fazio è ancora al suo posto. Silvio Berlusconi
non ha dissipato i dubbi sul suo ruolo quantomeno attendista,
se non collusivo, nellassalto al Corriere. Una pattuglia
di politici e parlamentari della Repubblica erano a libro
paga di Fiorani (seppur con il metodo postmoderno dei conti
privilegiati e delle operazioni sui derivati). Una parte
del centrosinistra ha fatto a gara per sostenere Consorte,
ha fatto contorcimenti da kamasutra per cercare di dividere
la scalata buona dalla scalata cattiva e non ha nascosto
la sua simpatia per i nuovi arrivati sulla scena dellesangue
e traballante capitalismo italiano, gente che ha pari dignità
con quegli smorfiosi dei salotti buoni (e comunanza daffari
con il campione della finanza rossa, Giovanni Consorte).
Vi piacciono tanto gli animal spirit della nuova finanza?
Eccoveli. Prendeteveli tutti. Se vi piace la forza creativa
e la spregiudicatezza dei nuovi arrivati, prendetevi anche
linsider trading, le spartizioni 40 a me 60 a te,
i furti dai conti correnti e dal caveau, i fondi accumulati
allestero per una serena vecchiaia...
Non dite, adesso, che voi la riforma sul risparmio la volevate
fare, che siete per la correttezza, che non sapevate...
Sapevate tutto, come sapevate delle tangenti che tenevano
in piedi la Prima Repubblica. Hanno dovuto muoversi i magistrati,
anche questa volta, per bloccare lillegalità
che era diventata sistema. Non chiamatela nuova Tangentopoli,
ma certo è un sistema integrato politica-affari.
Anzi. Forse non siete intervenuti non perché non
sapevate, ma proprio perché sapevate. Perché
le consorterie creano solidarietà trasversali, esigono
silenzi, impongono complicità.
Con questo clima, come andremo alle elezioni? Come potrà
il centrosinistra indicare ai cittadini unalternativa
di correttezza e trasparenza al berlusconismo del partito-azienda
e dei conflitti dinteresse?
Diario, 16 dicembre 2005
Benvenuti a Furbettopoli.
Dopo il caso Consorte.
E se l'incauto Fassino lasciasse
(con il silenzioso D'Alema)
il vertice del partito?
C'è
una triste aria di crepuscolo,
nella vicenda dei Ds assediati per i furbetti rossi che
avevano in casa. Certo, si può continuare a ripetere
che è in corso un attacco politico strumentale: da
parte di Berlusconi (e da che pulpito
vien la predica sui rapporti tra politica e affari!); da
parte del centrodestra; da parte dei "concorrenti"
del centrosinistra che vogliono, come ha detto Vannino Chiti,
«spolpare l'osso»
(elettorale) dei democratici di sinistra. Sarà anche vero,
ma restano, purtroppo, i fatti. Questa volta l'"attacco
strumentale" non è a base di prediche contro
il comunismo sovietico o Pol Pot. I fatti degli ultimi mesi
sono sotto gli occhi di tutti. Riassumiamoli. Il più rappresentativo
e potente dei manager dell'area ds è accusato di
associazione a delinquere e un'altra quantità di reati da
far invidia ai manager di Berlusconi. Nell'attesa dei processi,
ha già ammesso di aver ricevuto
decine di milioni di euro in strane "consulenze";
di non averle dichiarate al fisco; di aver avuto conti cifrati
all'estero; di aver fatto rientrare soldi illegali in Italia
grazie allo scudo fiscale; di aver sanato i reati fiscali
con il condono tombale. Queste ammissioni sono
più che sufficienti per esprimere un giudizio netto
e definitivo sull'ingegner Giovanni Consorte. Le spiegazioni
che ha aggiunto (i 50 milioni sono "consulenze",
il conto all'estero era per aiutare un amico malato...)
sono dello stesso livello di quelle
dell'avvocato Cesare Previti. Ma il peggio è
che per sostenere Consorte e le sue operazioni finanziarie
si sono impegnati fino allo spasimo i vertici
del suo partito: il presidente Massimo D'Alema, il
segretario Piero Fassino, il tesoriere Ugo Sposetti, il
responsabile economico Pierluigi Bersani... Se mettiamo
in fila tutti gli interventi, le dichiarazioni, le interviste
di questi e altri notabili ds dal maggio 2005 a oggi, in
difesa non solo di Consorte e della sua opa, ma anche di
Ricucci e della "pari dignità" degli immobiliaristi,
otteniamo un libro nero dei ds che oggi va a pesare come
un macigno sulla credibilità del partito. Anche senza aggiungere
le imbarazzanti telefonate private tra Fassino e Consorte
(a cui si dovranno aggiungere quelle di Consorte con Nicola
Latorre e D'Alema). Non lo sapevamo,
non conoscevamo la doppia vita di Consorte: questa la giustificazione.
«Quando lei va aprendere il caffé con una persona e non
sa che quella persona ha commesso degli illeciti, sbaglia
a prendere il caffé? Noi non sapevamo né potevamo sospettare
che Consorte commettesse illeciti, sempre che le accuse
siano fondate»: così Luciano Violante sul Corriere
del 5 gennaio 2006. L'argomentazione è quella
che i dc siciliani usavano per difendersi dalle accuse
di contiguità con personaggi mafiosi, ma questa è
solo la forma retorica. La sostanza è che la politica
deve accettare di essere responsabile, anche a
prescindere dal piano penale. Se ci sono corresponsabilità
penali (cioè passaggi di soldini tra Consorte ed
esponenti ds, a proposito di una "consulenza"
che assomiglia tanto a una "provvista" di quelle
che giravano ai bei tempi di Tangentopoli) lo sapremo, forse,
nelle prossime settimane. Ma già adesso, per favore, la
politica si assuma le sue responsabilità: un segretario
di partito che poteva restarsene zitto e tranquillo, in
attesa di vedere come andava a finire una operazione finanziaria
opinabile, forse buona, forse cattiva, con sostenitori ma
anche detrattori dentro il suo stesso partito ha invece
buttato nella vicenda il peso del partito, oltre che la
sua onorabilità. Ha schierato il partito dietro Giovanni
Consorte (mentre i suoi interlocutori, in segreto, dicevano:
ma al buon segretario non raccontiamoglieli, i particolari...).
Non è sufficiente tutto ciò per dire che Fassino
ha commesso un imperdonabile errore politico? D'Alema, dopo
tante difese dei furbetti, ha dichiarato al Corriere,
il 3 settembre, che le cooperative di Consorte sono una
«riserva di etica protestante». Non è sufficiente
per dire che D'Alema ha commesso un imperdonabile errore
politico? Lasciamo stare, per carità, le responsabilità
penali, di cui si occupano i magistrati. Ma
i vertici ds hanno il senso delle responsabilità politiche?
Sentono le voci di tanti loro iscritti, militanti, simpatizzanti,
elettori demoralizzati e delusi per il coinvolgimento anche
dei "loro" nelle imprese dei furbetti bianchi
e rossi? Perché non hanno ascoltato le voci di chi, già
dalla primavera scorsa, dentro la loro area politica,
aveva lanciato l'allarme e chiedeva almeno più prudenza?
Non si rendono conto che, limitandosi a denunciare gli "attacchi
strumentali", rischiano di trascinare nel crollo, come
Sansone, non solo i Ds, ma tutto il centrosinistra? La linea
dei Ds è: difendiamo le cooperative, che sono una
grande ricchezza economica e anche ideale di questo Paese.
Vero, ma proprio per questo sono ancora più gravi
le responsabilità di Consorte e della consorteria
che lo ha sostenuto al vertice del partito. I più
spregiudicati si spingono a dire che per battere Berlusconi
bisogna sporcarsi le mani con la finanza. Difese che ricordano
quelle di Craxi (e di parte del Pds) ai tempi di Mani pulite:
dobbiamo mettere le mani nel fango per battere la Dc. Non
era vero allora, dato che le tangenti erano spartite insieme
con la Dc (a Milano c'era il cassiere unico che provvedeva
a dividere le mazzette tra i partiti, di destra e di sinistra).
E non è vero oggi: ma che strano modo di combattere
Berlusconi, alleandosi con lui
come ha fatto Consorte in quella Bicamerale degli affari
che si chiama Hopa e in quella bella congrega bipartisan
di furbetti del quartierino. A questo punto, per
salvare un partito che resta sano, per proteggere
le speranze e gli ideali di milioni di persone, non sarebbe
meglio che l'incauto Fassino e il silenzioso D'Alema si
facessero da parte, prima che sia troppo tardi? (gb,
5 gennaio 2006)
Manualetto per intervistatori distratti.
Le domande che nessuno ha fatto
a Berlusconi, Tremonti, Fassino, D'Alema
(gb)
Le vicende di Furbettopoli continuano a tenere le prime
pagine. E alla tv non mancano gli spazi dove sono affrontati
i temi delle scalate bancarie e delle conseguenti polemiche
politiche. Eppure i tg, i programmi giornalistici e gli
innumerevoli talk show non sempre riescono a centrare il
problema. A volte la distrazione o, chissà, la polemica
politica strumentale fanno perdere per strada le questioni
che potrebbero far capire qualcosa di più delle vicende
dei Furbetti. Ecco un prontuario di domande per conduttori
distratti. Per riuscire a destreggiarsi in Furbettopoli
senza perdere la bussola.
A Silvio Berlusconi.
"Ma scusi, lei era socio di Consorte. Non si era accorto
di nulla?". Fininvest e Mediaset mantengono per anni,
a partire dal 2002, una partcipazione in Hopa, la "bicamerale
della finanza" fondata da Chicco Gnutti in cui siedono,
insieme, i "rossi" di Unipol e di Montepaschi
e gli uomini di Berlusconi, oltre a Stefano Ricucci e ai
rappresentanti della Popolare di Lodi. E Ubaldo Livolsi,
banchiere di fiducia di Berlusconi, per tre anni ha avuto
in mano un grosso pacchetto di azioni Hopa grazie a complessi
contratti finanziari e senza sborsare un euro.
Solo a gennaio 2006 Berlusconi ha annunciato luscita
di Fininvest e Mediaset da Hopa: non solo perché
questa, dopo il fallimento delle scalate, è ormai
finanziariamente traballante, ma perché si è
reso conto che era davvero ridicolo attaccare, appunto,
un socio con cui aveva fatto bisboccia per anni.
Quanto al "collateralismo", Berlusconi deve spiegare
ancora tutto dei suoi rapporti con i Furbetti del quartierino,
dei suoi incontri e accordi con Emilio Gnutti, con Gianpiero
Fiorani, con Stefano Ricucci. E deve spiegare ancora il
"tifo" fatto per la destabilizzazione del Corriere
e il contributo concreto a quella destabilizzazione, attraverso
i buoni uffici di un Ubaldo Livolsi che aveva appositamente
indossato i panni di advisor dello scalatore Ricucci.
Certo, Consorte il Furbetto rosso aveva cominciato a trescare
con la compagnia della "rude razza padana" già
ai tempi della scalata Telecom. Ma spieghi allora, Berlusconi,
il suo ruolo anche nella seconda fase di quella scalata,
quando Roberto Colaninno fu "tradito" da Gnutti
e Consorte, che vendettero a Marco Tronchetti Provera: Colaninno
voleva costruire una grande rete televisiva da integrare
con la compagnia telefonica e oggi dice che in Italia "chi
tocca la tv muore". E del resto, dopo che Colaninno
fu estromesso da Telecom, il nuovo padrone Tronchetti Provera
non fu convinto a strangolare La7 nella culla?
Ma torniamo al presente: non è imbarazzante che il
presidente del Consiglio, i suoi familiari e cinque membri
del suo governo abbiano ricevuto da Fiorani finanziamenti
per almeno 68 milioni di euro? Non saranno consulenze,
come i 60 milioni di Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti,
ma sono sempre soldi che sarebbe meglio spiegare: quasi
65 milioni arrivati direttamente a Silvio Berlusconi e famiglia,
sotto forma di finanziamenti a Forza Italia, alla società
Medusa, al Milan, al Foglio di Giuliano Ferrara (4,5 milioni
di euro) e al fratello Paolo (30 milioni per pagare la supermulta
record con cui è uscito dal processo per la discarica
di Cerro); oltre 2 milioni di euro a Pietro Lunardi e alle
sue società di famiglia (Rocksoil, Stone, Inteco,
TreEsse...); una cifra non ancora precisata, ma attorno
ai 400 mila euro, al sottosegretario per le Riforme Aldo
Brancher, di Forza Italia, e alla sua compagna; poi 200
mila a "zio Romi", come Stefano Ricucci chiamava
il senatore Romano Comincioli; 200 mila al coordinatore
di Forza Italia in Lombardia Paolo Romani; e 250 a Luigi
Grillo, senatore forzista e capo della lobby fazista; poi
ancora 300 mila euro a Ivo Tarolli, fazista targato Udc;
e, per finire, 13 mila euro al ministro leghista Roberto
Calderoli.
Ultima domanda: come mai oggi Unipol per Berlusconi è
come il demonio, ma quando ha deciso di assicurare i suoi
dipendenti Mediaset, pur avendo in casa Mediolanum, ha scelto
proprio polizze Unipol?
A Giulio Tremonti.
Non si può non riconoscere il ruolo giocato dal ministro
dellEconomia nellopposizione al governatore
di Bankitalia Antonio Fazio, gran protettore dei Furbetti.
Tremonti è stato il grande nemico di Fazio dopo i
crac Cirio e Parmalat. Ma proprio per questo, come non chiedergli
come spiega il fatto di essere stato tirato per i capelli
nel sostegno della scalata Bnl?
È Giovanni Consorte a tirarlo in ballo, in una telefonata
del 21 luglio 2005, quando ormai è sicuro di avere
la Bnl in tasca. Il numero uno di Unipol chiama Claudio
Zulli, commercialista associato allo studio Tremonti, a
cui ha chiesto una consulenza. Tremonti, dice Zulli, è
a conoscenza delloperazione e "si è mosso
e ha seguito questa vicenda con molta ammirazione",
anzi, ha addirittura "fatto il tifo". Consorte
gli è grato: "Tu sai che il governo ci ha dato
una mano e sai come ragiono io, la riconoscenza va data
al punto giusto". Nellappunto della guardia di
finanza, lungo due pagine, si legge tra laltro che
"Consorte dice che la settimana successiva andrà
a Milano e gli chiede di mettersi daccordo per incontrare
il professor Tremonti per ringraziarlo e spiegargli due
o tre cosette". Consorte poi chiede a Zulli "che
cosa il professore avesse detto della loro operazione".
Il commercialista risponde che il professore "gli ha
tirato la giacca dicendo: prendiamo qualcosa". Giura
che Tremonti "è contento".
Consorte dice che si sentiranno il giorno dopo per fissare
lappuntamento, ma precisa di volerlo incontrare "come
professore, non come ministro". E poi aggiunge: "Gli
devo spiegare un po di roba perché mi deve
dare una mano, ma su cose importanti". Zulli chiede
a Consorte che, a operazione conclusa, "il professore
dia limprimatur e poi lui stesso si potrebbe occupare
della parte operativa". Consorte acconsente e dice:
"Tu sai che il governo ci ha dato una mano e sai come
ragiono io, la riconoscenza va data al punto giusto"...
Il commercialista "dice che il professore si è
mosso e ha seguito questa vicenda con molta ammirazione.
Consorte risponde che il professore faceva il tifo per loro
e Zulli conferma". Poi aggiunge: "Se comunque
avevano suonato il campanello anche gli spagnoli, li aveva
maltrattati".
Consorte concorda: "Bisogna che sia chiaro, gli spagnoli
avevano deciso di vuotarla, la banca. Il buon Tremonti è
uno che capisce, non è mica cretino...". A questo
punto il presidente di Unipol dice di voler raccontare a
Tremonti come è nata loperazione. I due scherzano:
"Tremonti capisce tutto". E poi Zulli dice: "limportante
è che ci siano i ricavi". Consorte risponde
che con loro i ricavi ci sono: "È con Gnutti
che dovrò intervenire pesantemente". Zulli afferma
che anche su "quellaltra roba è stato
fatto un gran lavoro": "probabilmente si riferiscono
ad Antonveneta", conclude il brogliaccio.
Dunque: il governo (Berlusconi) ha dato una mano alle scalate
e a Unipol, dice Consorte, e Tremonti (anche lui!) "ha
fatto il tifo": e "tu sai come ragiono io, la
riconoscenza va data al punto giusto". Qual è
il "punto giusto"?
A Piero Fassino.
Il segretario dei Ds si lancia, tra la primavera e lestate
2005, in una incomprensibile serie di interviste e interventi
in cui difende la scalata di Consorte a Bnl e si sbilancia
in ragionamenti avventati sulla "pari dignità"
tra chi fa soldi scambiando immobili e chi produce valore
per il paese. Perché avventurarsi su questi terreni
poco conosciuti dal segretario dei Ds? Perché buttare
il peso del partito in una vicenda aperta e piena dincognite?
Una parte importante, dentro la stessa area Ds, ha subito
espresso dubbi e contrarietà alle operazioni in corso:
uomini di partito con esperienza nelle faccende finanziarie
come Franco Bassanini e Giuliano Amato; politici provenienti
dalla storia delle cooperative come Lanfranco Turci; leader
coop come Turiddo Campaini e Silvano Ambrosetti; sindacalisti
come Guglielmo Epifani e Domenico Moccia. Un no deciso lo
hanno detto anche quelli del Monte dei Paschi di Siena,
che di esperienza nelle banche ne hanno (dal 1472!). Perché
Fassino, pur messo in guardia, non ha mai avuto un dubbio
e si è messo in mezzo in una vicenda che mostra oltretutto
di non conoscere "nei dettagli"? Perché
non è stato più prudente?
Quando poi Consorte, a cose (quasi) fatte, gli ha spiegato
di aver messo insieme il 51 per cento di Bnl prima dellopa,
perché non gli ha ribattuto: ma non è contro
le regole concertare una maggioranza sottobanco, prima di
lanciare una regolare offerta pubblica dacquisto,
uguale per tutti gli azionisti, grandi e piccoli?
A Massimo DAlema.
Perché sostenere a spada tratta la scalata di Consorte
e soci, discutibile e discussa e criticata anche dentro
larea Ds? Perché spendere tante parole, tra
la primavera e lestate 2005, per sostenere le imprese
di uomini come Fiorani e Gnutti? Perché poi sostenere
addirittura i nuovi immobiliaristi della razza mattona,
gente come Stefano Ricucci, Danilo Coppola, Giuseppe Statuto,
dai capitali ignoti e dalle origini incerte?
Ma le scalate del 2005 hanno la loro radice in quella del
1999: la madre di tutte le opa, lassalto a Telecom
della rude razza padana con la quale, per DAlema,
fu subito colpo di fulmine. È lì che ha origine
la "consulenza" di Consorte, qualunque cosa sia.
Per questo è ancor più importante capire oggi
che cosa successe allora. Quando Colaninno andò dal
presidente del Consiglio Massimo DAlema, accompagnato
da Pierluigi Bersani, ad annunciargli la scalata Telecom?
Fu prima del Natale 1998, come scrisse Enrico Cisnetto in
un libro che non spiacque a DAlema, tanto che alla
sua uscita lo presentò alla stampa insieme allautore
(Il gioco dellopa, Sperling & Kupfer, 2000)? O
fu due giorni prima del lancio dellopa, come racconta
oggi Colaninno nel suo libro (Primo tempo, Rizzoli, 2006)?
Lalternativa è cruciale: perché è
nel periodo tra il Natale 1998 e il febbraio 1999 che deve
aver operato, se ha operato, chi, entrato a Palazzo Chigi,
doveva togliersi le pezze al culo. Certo è
che il primo giorno utile dopo le feste, il 7 gennaio 1999,
Gianni Consorte entrò nella partita, acquistò
una quota poi lievitata fino al 6 per cento della società
lussemburghese Bell e si accomodò così al
tavolo degli scalatori di Telecom, a fianco della rude
razza padana.
Il 10 aprile successivo andò in scena lultimo
tentativo di fermare gli scalatori, con lassemblea
straordinaria di Telecom a Torino. Il tentativo fallì,
perché lassemblea non raggiunse il quorum del
30 per cento del capitale. DAlema ripete che il suo
governo fu neutrale. Ma importante, se non determinante,
fu lassenza di un azionista pesante come il ministero
del Tesoro. Mario Draghi, allora direttore generale del
Tesoro, fu obbligato a non partecipare dal presidente del
Consiglio. Pretese un ordine scritto, una lettera dindirizzo,
che DAlema inviò. E che poi sparì.
Dovè finita quella lettera? E dovè
finita la neutralità del governo DAlema?
(Micromega, 21 febbraio 2006)
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Nanni
Moretti
Ora che ci siamo ritrovati non perdiamoci di vista
Nanni Moretti
Con questi politici non vinceremo mai
Il regalo di Berlusconi
a Bin Laden
Business Week
(del 22 ottobre 2001) scrive: dopo l'11 settembre, c'è
un Paese che marcia in direzione opposta all'Occidente: è
l'Italia del Cavaliere
Storia
del Signor Savoia
Biografia non autorizzata di un erede al trono d'Italia,
piduista e manager di affari oscuri, che mentre tutti ritornano,
vorrebbe tornare anche lui
Milano
da bere,
atto secondo
Un altro politico di Forza Italia arrestato. Mille indagati
per vicende di corruzione. Le tante indagini sulla Regione
del "governatore" Roberto Formigoni. Tangentopoli
non è mai finita
Piccole
bombe crescono
Una galassia nera dietro l'attentato al Manifesto.
E ora, anche l'ultradestra comincia la campagna elettorale.
Stringendo contatti con uomini della Lega, di An, di Forza
Italia...
Rinasce
«Società civile»
Questa volta nel web,
ecco di nuovo i ragazzacci di Società civile.
Riprende vita, via internet, uno storico mensile milanese
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