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La rivincita degli Expo-scettici
Un anno dopo aver vinto l'esposizione universale 2015: Milano non ha fatto nulla (se non litigare per i posti in consiglio d'amministrazione). E comunque prepara una cementificazione senza precedenti
di Gianni Barbacetto
Il "killer dell'Expo" è un tranquillo signore di 71 anni con i baffetti bianchi. Chi lo direbbe mai? A vederlo, con la sua aria pacifica, non sembra proprio uomo capace di far fuori un mastino come Paolo Glisenti, il manager che avrebbe dovuto gestire con pieni poteri il business dell'Expo 2015 per conto del sindaco Letizia Moratti. Invece Dario Fruscio "il killer", zitto zitto, ce l'ha fatta. Il 31 marzo 2009 ricorre il primo anniversario della gloriosa vittoria di Milano nella gara internazionale per l'esposizione universale: è passato un anno e non si è fatto nulla, se non litigare per i posti in consiglio d'amministrazione, roba da far rimpiangere le lottizzazioni della Prima Repubblica. Per sbloccare la situazione è dovuto intervenire Silvio Berlusconi in persona, che ha convocato vassalli e valvassori nella reggia di Arcore, lunedì 16 febbraio, presente il gran ciambellano Bruno Ermolli (il Gianni Letta di Milano). Dario Fruscio aveva già tirato le sue frecce avvelenate, così è stato facile prendere atto che si doveva ricominciare tutto da capo. Letizia Moratti, facendo buon viso a cattivo gioco, ha annunciato con il suo sorriso triste che Glisenti si fa da parte. La verità è che Moratti è stata sconfitta e Glisenti epurato. E ora al vertice della società per l'Expo arriva (forse) Lucio Stanca, il non proprio indimenticabile ex ministro dell'Innovazione. Tocca a lui il difficile compito di ripartire, facendo tacere - se ci riesce - gli Expo-scettici, il cui il presidente ad honorem è ormai Giulio Tremonti, a capo del ministero che nel pieno della crisi deve trovare fiumi di soldi per l'evento.
Il vincitore segreto è lui, Dario Fruscio, sconosciuto e silenzioso, commercialista e professore universitario, amico di Umberto Bossi e nemico della politica. Intendiamoci: non ha fatto tutto da solo. Glisenti è stato il San Sebastiano a cui hanno tirato frecce tutti, da destra e da sinistra, da Milano e da Roma, dall'opposizione ma soprattutto dal governo. Certo però che Fruscio ha avuto un suo ruolo, tanto da meritarsi quel nomignolo che ora lo fa sorridere: «Killer? Io killer di Glisenti? Ma per carità... Per uccidere qualcuno bisogna conoscerlo. E io questo Glisenti neppure lo conosco». Poi però ammette: «Certo, io sono stato il presidente del collegio sindacale della società che dovrà gestire l'evento. Quindi ho avuto la responsabilità di controllare la correttezza delle attività: fin dall'inizio ho preteso il rispetto scrupoloso delle regole e ho sostenuto che una società che deve gestire oltre 12 miliardi di euro non può essere controllata da un solo uomo».
Ha le idee chiare, Dario Fruscio. È stato per trent'anni professore di Economia aziendale all'università di Pavia e consulente di aziende. Poi ha incontrato Bossi, suo vicino di poltrona su un volo Milano-Roma, ed è diventato, dal 2006 al 2008, senatore leghista. «Ma che noia stare seduto tutto il giorno ad aspettare di alzare disciplinatamente la manina senza contare niente. Una gran perdita di tempo. In Senato mi portavo il lavoro da casa, mi sedevo all'ultimo banco e cercavo almeno di lavorare. Ma era difficile, in quel guazzabuglio». In quell'altro guazzabuglio che è l'Expo, ha fatto fuori Glisenti e poi si è polemicamente dimesso: «I veri problemi iniziano ora, adesso comincia il bello!».
Bisognerà tenere insieme molti appetiti, i partiti della maggioranza, i signori della guerra della nuova politica, i gruppi d'interesse che si affollano attorno all'Expo. Letizia Moratti sperava, attraverso Glisenti, di controllare tutta l'operazione, che considera una sua vittoria personale, e invece deve fare i conti con il presidente della Regione Roberto Formigoni (Forza Italia-ala Cl), con l'ala laica di Forza Italia, con An, con gli imprenditori dell'Assolombarda, con i costruttori. Perfino con Filippo Penati, presidente Pd della Provincia di Milano. E con la Lega, Expo-scettica perché non vuole lasciare ad altri la bandiera dell'intervento su Milano, ma anche perché non vuole essere troppo coinvolta in un possibile flop.
Meno male che ci sono i "rendering", cioè le immagini video generate dal computer, più vere del vero. Meno male che riescono a rendere il non-luogo dell'Expo un paradiso meraviglioso di prati verdi, canali navigabili, edifici eleganti, bandiere al vento e felici famiglie in gita. Meno male, perché l'area prescelta è uno sbilenco trapezio a nordovest di Milano ritagliato tra il cimitero di Musocco, l'ospedale delle malattie infettive Sacco e i tristi paesotti di Pero e Baranzate. Non proprio una location capace di attirare folle di turisti entusiasti da tutto il mondo. E oggi, con la crisi che morde, a Roma in molti pensano (e qualcuno comincia a pensarlo anche a Milano) che 'sto Expo sia solo una seccatura in più, un sogno di grandezza di Lady Moratti da ridurre e ridimensionare. Il tema («Nutrire il pianeta, energia per la vita») è ecologico e globale. Ma qui gli unici sicuri di ricevere nutrimento saranno i padroni delle aree prescelte (Gruppo Cabassi e Fiera di Milano, controllata da Forza Italia-ala Cl) e i costruttori e immobiliaristi che si stanno preparando felici a una cementificazione mai vista: 25 grandi progetti oltre all'Expo, con una manciata di grattacieli per nobilitare con le firme degli archistar il nuovo sacco di Milano.
Oltre a un diluvio di case, alberghi e palazzi, dovranno essere progettati e realizzati i padiglioni dell'esposizione, le strade per raggiungerli, i nuovi musei (tra cui quello di Daniel Libeskind nell'area City Life). E magari dovranno essere mantenute anche le promesse fatte per vincere la gara: realizzando i "raggi verdi" con 50 mila nuovi alberi, i 72 chilometri di piste ciclabili, i corsi d'acqua che dai Navigli arrivino fino al periferico e sbilenco pentagono di Pero. E poi le infrastrutture attese da tempo: un paio di linee della metropolitana, la M4 e la M5 (che dovrebbero raddoppiare i chilometri della rete portandoli da 75 a 142) e le autostrade come la Pedemontana (a nord di Milano) e la Brebemi (da Milano a Brescia, per alleggerire il già esistente e superaffollato tratto della Serenissima). Riusciranno i nostri eroi a trovare i soldi per tutto? Secondo i conti fatti dal deputato Pd Emanuele Fiano, dal totale previsto (13,2 miliardi) mancano ancora almeno 2,7 miliardi di euro. E poi riusciranno ad arrivare puntuali all'appuntamento con il 2015, o finirà come per le opere dei Mondiali di Italia 90, quasi tutte consegnate fuori tempo massimo?
Certo, portare a Milano i promessi 30 milioni di visitatori in sei mesi non sarà facile, visto il calo di qualità della vita di una città precipitata dal sesto al ventesimo posto nella classifica del Sole 24 ore , ma in compenso salita al secondo posto tra le metropoli europee per inquinamento da Pm10 e biossido d'azoto. Come se non bastasse, con la scusa dell'Expo l'assessore Carlo Masseroli (Forza Italia-area Cl) ha pianificato, in accordo con la Lega, una nuova cementificazione massiccia che permetterà di costruire anche sulle aree destinate a verde. Milano è una città che a dicembre si è bloccata per dieci centimetri di neve, con le strade piene di buche, con i tram che si scontrano, i poliziotti che protestano perché hanno metà delle auto ferme (altro che sicurezza!) e i boss della 'ndrangheta che, secondo una delicatissima inchiesta in corso, si incontrano con i politici per prenotare anche loro una fetta del business Expo.
Dario Fruscio, il "killer" tranquillo, aggiunge sornione un ulteriore dubbio: «E se fra qualche mese il governo dovesse trovarsi a fronteggiare una situazione delle banche e del Paese più drammatica del previsto? Nessuno può garantire oggi che in futuro non si sia costretti a fare scelte molto difficili...». Povera Letizia, gli Expo-scettici non mollano.
Il Venerdì di Repubblica, 20 marzo 2009
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