Per indebolire la lotta alla mafia
bisognava incominciare a creare un clima più rassegnato,
diciamo meno integralista. Bisognava spiegare che la nostra
economia non puÚ permettersi i ritardi richiesti da qualche
verifica antimafia, le strozzature imposte da qualche procedura
di troppo. Ma occorreva dirlo bene; ed evitare un intervento
minimalista, volto magari a indicare solo i lacci e i lacciuoli
inutili, altrimenti che messaggio si mandava? Meglio fare
vigorosamente propria, in pubblico ovviamente, la teoria che
con la mafia si puÚ e si deve convivere, se no l'economia
e i pubblici lavori e gli appalti e tutto il resto ne soffrono
troppo. Come non avevano compreso, vent'anni fa, Pio La Torre
e Virginio Rognoni. E questo è stato fatto.
Per indebolire la lotta alla mafia bisognava fare
capire che lo Stato non ha alcun senso di colpa verso i familiari
delle vittime; che questi ultimi non sono più circondati
da una specie di tutela morale legittimata dal loro dolore.
E che le loro parole hanno un valore esattamente uguale a
quelle di qualsiasi suddito. Dunque si scordino di testimoniare
a vita: devono tacere o le citeremo in tribunale. Come la
vedova Grassi, ad esempio, che crede di potere ancora liberamente
interrogare la pubblica opinione su quale sia, presso Cosa
nostra, l'effetto del messaggio mandato dal "ministro della
convivenza". La signora ha parlato proprio mentre riapriva
temerariamente la ditta del marito. Meritava di essere pubblicamente
minacciata di querela. E questo è stato fatto.
Per indebolire la lotta alla mafia bisognava far
capire che lo Stato non ritiene poi troppo disdicevole difendere
con i suoi rappresentanti di governo i killer mafiosi mandati
a giudizio nelle aule di Giustizia della Repubblica. E nemmeno
far vedere a una moglie, a un figlio, a una madre di un carabiniere
o poliziotto morti ammazzati da Cosa nostra o dalle organizzazioni
sorelle, che ci va il sottosegretario in persona e con tanto
di scorta a difendere il boss finito a processo. Sì,
proprio lui. E, diversamente dai familiari delle vittime,
senza alcun complesso di colpa. E questo pure è stato
fatto.
Per indebolire la lotta alla mafia bisognava poi
fare capire che è finita la solfa della legalità,
andata così fastidiosamente di moda agli inizi dello
scorso decennio. Ma non bisognava solo deprecare gli eccessi
prodotti da quel clima incandescente. Se no che messaggio
si manda? L'eccesso, il vero eccesso, è stato proprio
quella richiesta di legalità tanto estranea ai nostri
costumi. Dunque, adeguiamo la legge alle nostre tradizioni.
Meglio ancora se ne approfittiamo per far capire che ogni
interesse privato è sempre più legittimo dell'interesse
pubblico. L'ideale? Depenalizzare il falso in bilancio o fare
tornare praticamente gratis e in forma anonima i soldi portati
in nero in giro per il mondo. E questo è stato fatto.
Per indebolire la lotta alla mafia bisognava poi
fare capire ai magistrati che la pacchia è finita.
Che essi non possono più contare su una considerazione
e un rispetto innaffiati con il sangue dei loro colleghi uccisi.
Naturalmente non bastava stigmatizzare le singole arroganze
o ricondurre i chiacchieroni a sobrietà. Se no che
messaggio sarebbe? Molto meglio, e più diretto, far
capire a tutti che ora debbono pagare e salato- per quella
fisima del "controllo di legalità" a trecentosessanta
gradi. Che essi sono degli eversori. Sappiano ladri e assassini
che chi li persegue e li giudica non è poi infinitamente
più in alto di loro nella considerazione sociale. E
anche questo è stato fatto. Per indebolire la lotta
alla mafia bisognava ancora far capire che i magistrati, conseguentemente,
non sono più protetti come una volta. Dunque, occorreva
tagliare le scorte. Ma non solo combattendo gli abusi o gli
impieghi da status-symbol. Se no che messaggio sarebbe? Occorre
proprio tagliare. A tutti, dovunque; anche se è stato
appena scoperto un progetto di attentato contro un procuratore
antimafia. E al tempo stesso far vedere che ministri, sottosegretari
e loro nani e ballerine le scorte e le macchine di servizio
continuano ad averle. Così che sia chiaro che sono
proprio i magistrati a essere meno protetti di una volta;
e che lo Stato alla loro pelle ci tiene un po' di meno. E
anche questo è stato fatto.
Per indebolire la lotta alla mafia bisognava far
vedere che le autorità pubbliche nate da un decennio
di lotte e di paure, di umiliazioni e di speranze, sono considerate
a pieno titolo -nè più nè meno- posti
di potere da spartire, pezzi di domino nello spoil system.
Ad esempio il Commissariato contro il racket e l'usura. E
occorreva mandar via di lì il primo commerciante che
ha organizzato la ribellione contro il racket; lui con i suoi
personalissimi rapporti di fiducia con le vittime dell'usura
e del pizzo mafioso. O almeno renderlo meno autonomo e meno
forte. E anche questo è stato fatto.
Per indebolire la lotta alla mafia bisognava, infine
e ovviamente, rendere molto più difficili le investigazioni
e i processi. Per esempio intervenendo sui meccanismi di formazione
delle prove. E cercando di renderli praticamente proibitivi
per chi si azzardi a mettere il naso nei conti all'estero
dei padrini e dei loro amici e protettori. Magari arrivando
a rendere retroattive tali nuove norme di procedura penale.
E anche questo è stato fatto.
Per indebolire correttamente la lotta alla mafia
bisognerebbe ora intervenire sui meccanismi della cultura,
della scuola, dell'informazione, della partecipazione religiosa;
insomma su tutte quelle attività che sono state utili
a mobilitare per la prima volta contro la mafia milioni di
cittadini e di giovanissimi in tutta Italia. Occorrerebbe
mettere all'indice qualche giornalista libero; così,
per dare un segnale. Meglio se è il più autorevole
di tutti, un Enzo Biagi, ad esempio, che ha pure raccolto
in due libri le dichiarazioni del principe dei traditori,
Masino Buscetta. Oppure incominciare ad attaccare i "gargarismi
antimafia" che si fanno nelle scuole, magari partendo da un'audizione
parlamentare del ministro Moratti. Fatto anche questo. Ancora
-questo è vero- non si è riusciti a montare
uno scandalo contro un prete di trincea o contro una preside
troppo antimafiosa nè a impedire a qualche scrittore
troppo impegnato di vincere un premio letterario. Ma sono
passati solo cento giorni e qualche cosa. Come si dice nei
graziosi quadretti che stanno dietro la scrivania di ogni
Capo, "per l'impossibile ci stiamo ancora attrezzando".
(Il Popolo, giovedì 25 ottobre 2001)
«State strizzando l'occhio
a Bagarella»
di Nando dalla Chiesa
«Oggi qualcosa è
morto nello spirito del Parlamento: avete umiliato le Commissioni,
il Regolamento, la Costituzione...». La
dichiarazione di voto in Senato contro la legge salvaberlusconi.
«Questa è una risposta anche alle richieste
della mafia. E chi risponderà, domani, di un nuovo,
possibile bagno di sangue?»
Dichiarazione di voto del Sen. Dalla Chiesa sul disegno
di legge CIRAMI.
Modifica agli articoli 45 e 47 del codice di procedura penale
DALLA CHIESA (Margherita-DL-Ulivo).
Signor Presidente, credo che qualcosa sia morto qui oggi:
sicuramente una parte dello spirito del Parlamento. Le Commissioni
non hanno valore; il nostro lavoro di istruttoria, di discussione,
non ha valore; il Regolamento non ha valore, nonostante
i riferimenti ai precedenti, che immagino le abbiano fatto
ma che sono già stati spuntati da interventi autorevoli
dell'opposizione; gli articoli della Costituzione non hanno
valore. Non possiamo che appellarci a lei, signor Presidente,
giudicando il merito di questo emendamento.
Qualcosa è morto dello spirito del Parlamento, perché
bisogna ottenere un risultato. Però noi non possiamo assistere
inerti, come ha fatto lei; con la stessa noncuranza con
cui lei ha ascoltato i riferimenti alla nostra Carta costituzionale,
che dovrebbe essere gelosamente difesa da tutti, a partire
da lei. Vede, questo emendamento sostituisce i tre articoli
di cui abbiamo discusso in Commissione e che eravamo chiamati
a discutere in Aula. Questo, cari colleghi, è un
metodo che fa trionfare l'astuzia levantina sulla limpidezza
della nostra Costituzione. Sono due cose diverse: qualcuno
può intendere il diritto in un modo e qualcuno lo può intendere
in un altro, qualcuno trova i precedenti per l’uno e qualcuno
trova i precedenti per l'altro. Ma io credo che noi qui
dobbiamo difendere la Costituzione nella sua limpidezza,
per quello che c'è scritto sulle nostre teste: la
giustizia, il diritto, la fortezza (non la forza), che vuol
dire anche limpidezza delle proprie posizioni.
In questo articolato ritroviamo lo stesso merito con cui
ci stiamo confrontando sulla vita del Parlamento, che esce
fortemente menomato da questa vicenda. Ne è uscito
menomato già quando abbiamo affrontato il disegno
di legge Cirami, costretti a lavorare anche venti ore al
giorno, non nell'interesse dei cittadini italiani, ma, com'è
stato ricordato inequivocabilmente dal proponente, dal presidente
della Commissione e in altri due interventi in Aula oggi,
per le vicende personali e private di due imputati. Noi
siamo stati trasformati (e lo dico perché ho sofferto
quest'umiliazione) in dipendenti di un grande studio Previti,
pagato dai cittadini italiani. Ma lo spirito del Senato
lo dobbiamo far vivere lo stesso, ribellandoci a questa
visione del Senato come insieme di dipendenti, di persone
che non ne fanno parte.
Circa la forzatura dei tempi, io, vedete, sono preoccupato
di quello che ha detto il collega Fassone, di quello che
inutilmente hanno cercato di dirvi altri colleghi. Il problema
non è soltanto l'esito processuale e non tanto -
come si dice - il trasferimento a Brescia, ma il blocco
del processo; esso viene reiterato con un nuovo riferimento
al legittimo sospetto e questa è la ragione per cui
l'articolo 1 che reca questo emendamento non è soltanto
la somma dei tre articoli precedenti, ma comprende qualcosa
in più: esso ingloba anche l'articolo 49 del codice
di procedura penale, perché non ci siano dubbi che
anche la seconda rimessione potrà avvalersi del legittimo
sospetto.
Ecco, io sono preoccupato di quello che accadrà sul
versante della grande criminalità organizzata, perché,
cari colleghi (ripeto quello che ho detto in Commissione),
ho ascoltato con interesse e anche con ammirazione l'intervento
dell'onorevole Fini nella ricorrenza del decennale della
strage di via D'Amelio a Palermo, ma non si può invocare
l'onore del magistrato ucciso in quel caso e poi reintrodurre
il legittimo sospetto, in base al quale - negli anni Sessanta
e Settanta su richiesta del procuratore generale e ora si
dice, figuratevi un po', su richiesta dell'imputato - il
processo può essere trasferito!
(Vivi applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U).
Su richiesta dell'imputato! Ma voi vi immaginate cosa succederà
nel nostro sistema giudiziario, nel nostro sistema democratico?
Ma chi risponderà di questo? Si dice spesso che i
magistrati non rispondono delle loro azioni: ma di questa
vergogna chi risponderà? Chi risponderà del
nuovo bagno di sangue che ci sarà, come quello che
c'è stato negli anni Settanta e Ottanta?
(Vivi applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U. Commenti dai
banchi della maggioranza. Richiami del Presidente).
Chi ne risponderà? Allora io credo che qui ci sia
un'esigenza oggettiva di vedere dai nostri atti parlamentari
come si risponde al proclama di Bagarella. Al proclama di
Bagarella il Parlamento manda questa risposta: chi è
in carcere si tenga il carcere duro, a quelli fuori i processi
non li faranno più!
(Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U).
Questo è il messaggio che arriva da questo Parlamento!
(Commenti del senatore Novi).
Io ho la massima considerazione, non mi sono stancato di
ripeterlo.
(Reiterati commenti del senatore Novi).
Ho la massima considerazione di molti di voi e non ho credo
mai lesinato, non ho mai perduto l'occasione per riconoscere
le storie limpide, di cui non si può dire nulla, di molti
avversari della maggioranza. Però io mi riferisco a loro
perché poi sono gli atti parlamentari che parlano,
non le singole biografie: e qui gli atti parlamentari danno
la sensazione (ve ne chiedo scusa) di un reparto di lanzichenecchi
che va all'assalto della Repubblica guidato da un gruppo
di imputati. Noi di fronte a questo scenario ci troviamo
e noi a questo scenario ci opporremo. Non staremo inerti
di fronte alle violazioni della Costituzione!
Discutere di politica
per fatto personale
di Nando dalla Chiesa
Per fatto personale. Per fatto personale il parlamento
ha fatto la discussione più politica dell'intera
legislatura. In ventiquattro ore ha dibattuto della mafia
e dello Stato, della politica e dei processi, delle impunità
e delle persecuzioni, di Tangentopoli e dell'onore dei partiti.
Il teatro della democrazia che manda in scena tanto spesso
interrogazioni di quartiere e leggine di favore si è
come sollevato, facendo uscire dalle sue viscere terrene
la storia e la memoria. E ha provato a riscrivere la prima
e la seconda. Con le cose vere e con le cose false. Con
gli applausi e i silenzi, le facce contrite e le risate
beffarde (stampate su qualche viso, ci credereste?, anche
al termine dell'elenco dei morti ammazzati di mafia). Fatto
personale di Luciano Violante. Fatto personale di Giulio
Andreotti. E fatti personali di tanti deputati e senatori
per i quali anche la vita in un partito è -giustamente-
un fatto personale, anche la rivincita sui censori di tempi
lontani lo è; e anche quell'ossessionante rapporto
di potere tra partiti e giudici, cambiato in un amen nei
vortici dei primi anni novanta.
Forse per questo ieri la rappresentazione che al Senato
dava di sé una intera classe di governo (antica e
nuova) sembrava quella di una signora o di un signore assai
sformati che incontrino, per miracolo, lo specchio dei loro
sogni; lo specchio magico che restituisce a tutti snellezza
e armonie. Come si guardavano - e con quale compiacimento!
- in quello specchio magico, ossia nella assoluzione di
Giulio Andreotti, i tanti titolari dei corpi sformati di
partito. Lo applaudivano e intanto "si" applaudivano.
Sempre più forte, passando dallo specchio a se medesimi.
Per dire che la mafia non ha rapporti con la politica, che
la vendemmia tangentizia non c'è mai stata, che è
finita la stagione delle colpe e delle vergogne. Non perché
esse siano state abiurate. Semplicemente perché non
ci sono mai state. Solo favole raccontate da pifferai malvagi
scesi un dì dai boschi e messi finalmente in fuga.
Assolto, assoluzione, lo avevamo sempre detto, l'uso politico
della magistratura, la cultura giacobina dello Stato.
Fatto personale. Ha parlato, Giulio Andreotti. E ha raccontato
la sua versione. Gerardo Chiaromonte più signore
e corretto di Violante, come presidente dell'Antimafia,
benché pure lui comunista. Falcone, Ayala e la diffidenza
per certi pentiti, come quel Pellegriti che aveva cercato
di mettere di mezzo lui e Salvo Lima e che venne incriminato
subito per falsa testimonianza. Salvo Lima, certo: non una
parola su di lui, se non che la sua amicizia, testualmente,
non gli "sconsigliò" a cavallo degli anni
novanta di produrre una legislazione assai severa verso
i mafiosi; anzi, tanto severa che a una parte di esse anche
Violante si oppose per ragione di lese garanzie.
Esemplare, recitavano in molti. Lei è un esempio,
si complimentavano compunti con Andreotti. L'Italia che
si guardava in quello specchio si trovava perfetta. Perfetta
perché assolta in tribunale. Anzi, più che
perfetta: esemplare. Certo: Andreotti esempio di senatore
a vita che, a differenza dell'amico Cossiga, sta in aula,
ascolta, prende appunti e interviene. Andreotti esempio
di imputato che, a differenza di Berlusconi e Previti, non
si fa le leggi a sua misura, non si sottrae ai processi
e si difende in tribunale.
Però, come cambia il senso delle parole. Ricordo
l'esempio di Giorgio Ambrosoli, l'avvocato scelto dalla
Banca d'Italia a difendere gli interessi dei risparmiatori
di fronte alla potenza mafiosa finanziaria e piduista di
Michele Sindona, l'uomo che lo avrebbe fatto assassinare.
Sì, proprio quel Sindona definito da Andreotti "salvatore
della lira" e poi rimasto in contatto con il suo protettore,
presidente del consiglio, mentre era latitante in America,
inseguito dalla giustizia italiana. Ebbe la medaglia d'oro
al valor civile, Giorgio Ambrosoli. Oggi sono esemplari
tutti e due. L'amico di Sindona e la vittima di Sindona.
Pari opportunità, please. Medaglie d'oro e anche
funerali: una fila sconvolgente, perché magistrati
e forze dell'ordine (non tutti, ma molti sì) il loro
dovere lo hanno veramente fatto. Per uno scherzo del destino,
una coincidenza inaspettata anzi, ieri mattina il dibattito
sul terrorismo era più volte sfociato proprio nell'invito
appassionato a non dimenticare le vittime del dovere dopo
qualche tempo. Ecco fatto. Tre ore, quattro ore erano trascorsi
in quella stessa aula e già l'esempio non erano più
loro che si erano battuti - i donchisciotte, i guasconi,
i protagonisti- contro la mafia. Esempio era diventato il
referente politico di chi prendeva per certo, ossia stando
alle sentenze, i voti della mafia. Colui che per certo,
ossia secondo sentenza, aveva avuto rapporti diretti con
gli uomini di Cosa nostra. Non basta dire che non era reato.
Bisogna dire di più ormai: esemplare. Perché
sia specchio di un paese senza più debiti con la
sua coscienza.
Per fatto personale. L'ho sentita, l'ho sentita anch'io,
la voce di Andreotti incrinarsi quando, parlando infine
del doppio macigno di infamanti accuse, ha ringraziato
i colleghi deputati e senatori che non mi hanno mai
fatto sentire solo. E poiché in ciascuno di
noi vi è (per fortuna, direi) una irriducibile riserva
di amore verso il prossimo, di pietas che mai si inaridisce,
ho avvertito in me (non mi vergogno a dirlo) un inizio di
compassione. Poi è stato come se la memoria mi tirasse
in pieno viso uno schiaffo da far male. Mi sono rivisto
ventun anni fa inginocchiato accanto a un telefono alla
notizia che avevano ucciso il prefetto di Palermo. E ho
pensato ad altro, ho riavuto altra compassione. Mi sono
rivisto mentre ascoltavo e mentre leggevo, prima e dopo
la morte. Ho rivisto le frasi, la grafia minuta, il diario.
Gli andreottiani ci sono dentro fino al collo.
La famiglia politica più inquinata del luogo,
scritto su tanto di carta intestata al presidente del Consiglio
Spadolini, con riferimento proprio a quella corrente andreottiana
che lo andava pubblicamente ostacolando. Una lettera disperata.
E il passo sconvolgente del suo diario sul suo incontro
(primi di aprile dell'82) con il leader democristiano, che
al processo ribatterà, irridente, Mi avrà
confuso con qualcun altro. E poi lo scrupolo politico
e morale, etico e civile, del leader massimo della corrente
di Salvo Lima e dei cugini Nino e Ignazio Salvo (mai conosciuti,
per carità) dopo l'assassinio del prefetto.
Se è vero, come si è detto ieri parlando di
terrorismo, che le parole sono pietre e addirittura, a volte,
possono essere pallottole, ecco le parole di Andreotti ai
suoi uomini in Sicilia dopo il delitto: Voi democristiani
siciliani siete forti e per questo dicono male di voi. Se
foste deboli nessuno si curerebbe di voi. Respingiamo il
falso moralismo di chi ha la bava alla bocca mentre rafforzate
le vostre posizioni ad ogni elezione. Applausi, un
uragano di applausi. Durante il quale il leader venuto da
Roma invitò anche i presenti a smitizzare
dalla Chiesa.
Per fatto personale. Parlava ieri, Andreotti, e citava il
delitto e il processo dalla Chiesa. Ma tutto questo - immagini,
parole, ambienti, dolore - in ciò che lui diceva
non c'entrava neanche di striscio. Questi erano ricordi
esclusivamente miei, di me che mi stavo anche commuovendo
per lui sotto l'incalzare della buriana che tutto rovescia,
tutto travolge, pretendendo di riscrivere la storia. Avrei
voluto allora parlare anch'io per fatto personale. Mai,
venti anni fa, quando accusai Andreotti - politicamente,
culturalmente, si intende, e un decennio prima delle procure
-, mai avrei immaginato di vivere questi momenti in Parlamento.
Non io che gridavo le mie ragioni, ma lui che rivendicava
la sua innocenza, anche politica, nel mio assoluto silenzio
regolamentare. Già, formalmente nessuno mi aveva
offeso, quale fatto personale potevo invocare? Né
potevo parlare a nome della Margherita, trattandosi per
l'appunto di un fatto personale.
Esemplare, il vecchio leader. Lo so, lo so: almeno da un
certo punto in poi, non ha commesso reati. Eppure io ricordo
quell'intervista fattagli alla festa dell'Amicizia da Giampaolo
Pansa pochi giorni dopo il delitto. Ma lei, gli chiese Pansa,
non prova come dirigente storico di un partito di governo,
anche un senso di colpa (non di più,
badate!) di fronte all'Italia di Sindona e delle morti di
Pecorelli, di Ambrosoli, di Calvi, di Moro, di dalla Chiesa?
Andreotti, l'Andreotti che (giustamente) ci ha chiesto di
distinguere responsabilità penale da responsabilità
politica, rispose brutalmente: Nemmeno un poco!.
E quando Pansa gli accennò ai troppi funerali di
morti ammazzati in Sicilia, non rammento ora se chiedendogli
anche perché lui non fosse andato ai funerali del
prefetto di Palermo, il leader democristiano rispose così:
Preferisco andare ai battesimi. Il pubblico
rideva e applaudiva. Applaudiva lo specchio di un' Italia
senza colpe e senza vergogne dove però gli uomini
dello Stato cadevano come birilli. Scusatemi, scusatemi
davvero se ve l'ho raccontato. Anch'io, lo ammetto, per
fatto personale.
l'Unità, 7 novembre 2003
Io, Berlusconi non per ridere
ma per indignazione
di Nando dalla Chiesa
25 giugno 2003, ore 11, davanti al
Palazzo di Giustizia di Milano
Per ricordare che oggi il Presidente del Consiglio avrebbe
dovuto presentarsi davanti ai giudici, Nando dalla Chiesa
- con la voce del capo del governo - ha tenuto un monologo
processuale rivolto alla dottoressa Boccassini, raccontando
la sua verità.
Cari sudditi magistrati,
la settimana scorsa avevo promesso che il giorno 25, mercoledì,
avrei continuato la mia deposizione spontanea. Vi avevo
promesso che lo avrei fatto e sono stato di parola.
Come sapete nel frattempo il parlamento nella sua sovrana
autonomia ha varato una legge che per salvaguardare il prestigio
dellItalia sospende questo processo, e tuttavia per
senso del dovere e per rispetto nei vostri confronti io
sono venuto, concludendo così il mio calvario giudiziario.
Mi hanno accusato di essere in guerra con i magistrati.
Niente di più falso, questa è una menzogna.
Io nei confronti dei magistrati ho sempre usato il metodo
pacifico che mi insegnarono alcuni anni fa degli
amici avvocati romani e mi sono sempre trovato molto bene.
Non è dunque questo il mio atteggiamento nei vostri
confronti e tuttavia ho dovuto subire da parte vostra molti
torti. Come è stato detto autorevolmente in questa
sede la settimana scorsa, "in sette anni sono state
gettate su di me, che ho responsabilità istituzionali,
tonnellate di fango, sia da giornali che da televisioni.
Le accuse nei mie confronti sono solo fango basate su un
teorema e il processo si è svolto senza che vi sia
stato un morto né un movente per uccidere. Gettando
ombra e fango sul presidente del consiglio si buttano sullintero
paese. Un paese di cui io sono molto fiero". Eccomi
dunque qui per lultima volta. Ho colto sui giornali
linformazione che stareste accingendovi a contestare
la validità costituzionale della legge che ha sospeso
il processo. Io vi dico che questa legge è perfettamente
costituzionale, perché non è anticostituzionale
fare un lodo, non è anticostituzionale la sospensione
dei processi. Si tratta di una legge perfettamente in linea
con il dettato della nostra Costituzione; e se qualcuno
pensa io credo che voi non lo pensiate ma
se qualcuno pensa, dicevo, che questa legge sia una legge
che porta il segno di un cambiamento di regime, o addirittura
della nascita di un regime, io vi dichiaro qui che questo
non è vero.
Perché ci fosse un regime occorrerebbe che il capo
del governo avesse un controllo personale del parlamento,
e questo con tutti i partiti che ci sono, è impossibile.
Perché ci fosse un regime occorrerebbe che il capo
del governo avesse il controllo personale dellinformazione,
delle televisioni, e questo in un paese libero, con tante
televisioni, non è possibile.
Occorrerebbe che il capo del governo potesse nominare lui,
o far cambiare, i direttori dei grandi quotidiani, fare
ispezioni nelle televisioni, censurare la presenza di questo
o di quellaltro personaggio. E anche questo dove ci
sono tante testate è impossibile.
Daltra parte il nostro sistema dellinformazione
ormai si regge economicamente sulla pubblicità, e
dunque se uno volesse veramente controllare linformazione
dovrebbe avere anche il controllo della pubblicità.
E anche questo non è possibile.
Ma vengo anche alla magistratura, ai magistrati che sarebbero
gli ultimi baluardi, secondo una certa lettura, della Costituzione.
Ebbene io dico che se a dei magistrati fanno ispezioni continue;
se i magistrati vengono accusati ogni giorno sui giornali
del governo o sugli altri giornali dai ministri;
se vengono indicati come golpisti e come cancro della democrazia;
se vengono attaccati a reti unificate, in televisone, dal
presidente del consiglio;
se dopo i processi gli imputati condannati vanno in prima
serata tv ad attaccarli in loro assenza;
se vengono accusati e ricusati in continuazione ;
se si esortano i cittadini a fregargli le mogli;
se gli si tolgono le scorte e questi, nonostante tutto,
continuano a fare i magistrati, allora vuol dire che il
regime non esiste.
Perché ci fosse un regime occorrerebbe anche che
il capo del governo avesse sopra di sé un re vanesio,
un re pusillanime come Vittorio Emanuele III, ma anche questo
non è possibile perché i Savoia non ci sono
più, anche se sono tornati. Come dice il mio amico
Tremonti, in questo paese i conti non tornano ma i principi
ereditari sì.
Occorrerebbe ancora che ci fosse il culto della personalità.
Per esempio che nei temi ditaliano si dessero ai bambini
da commentare delle frasi che ho detto io, ma anche questo
se succedesse provocherebbe una rivoluzione.
Occorrerebbe, se ci fosse un regime, che il capo del governo
si interessasse direttamente di rifare la lingua italiana,
come se potesse, per esempio, diventare presidente di un
Consiglio superiore della Lingua italiana. E anche questo
non è possibile.
Occorrerebbe che il capo del governo si sottraesse per legge
a tutte le leggi. E anche questo se accadesse sarebbe veramente
al di fuori delle regole della civiltà di questo
paese.
Occorrerebbe ancora, perché un regime si formi, che
ci fosse un numero sufficientemente ampio di cretini che
continuano a dire che il regime non esiste. E questo ovviamente
in una società in cui tutti studiano non è
possibile.
Allora non di questo si tratta. Si tratta invece di fare
una riforma liberale della giustizia come quella che io
sto immaginando e porterò in parlamento tra pochi
giorni per far finire i calvari di coloro che possono subire
la mia stessa sorte.
Ho in mente una riforma come quelle che si fanno nei paesi
dove cè davvero la democrazia e la libertà
individuale. Quando un magistrato rinvierà a giudizio
un cittadino, il cittadino sarà libero di rispondere
se vuole essere processato sì o no. In questo modo
la libertà di ciascuno sarà salvaguardata,
non ci comporteremo come nei paesi comunisti, dove la legge
ti insegue in ogni angolo della tua vita, ma saremo finalmente
in un paese democratico.
Voi, cari giudici lei, dottoressa Boccassini non
mi interrompa, per favore, questa non è unintervista
dove parlo io e qualcuno cerca di parlare, ma qui esterno
soltanto io perché sono dentro un tribunale e sono
il presidente del consiglio , vi chiederete perché,
se sono innocente, non mi sono fatto processare. Devo ammettere
che questa è una bella domanda. Ma risponderò
con un classico della storia dei diritti umani, laffermazione
fatta in tribunale da Totò Riina: i giudici sono
comunisti.
Daltra parte noi lo abbiamo scoperto con le nostre
ispezioni (perché le ispezioni servono, cari cittadini,
non sono una vessazione), dicevo, noi abbiamo scoperto con
le nostre ispezioni che cosa facevano i pubblici ministeri
prima della caduta del muro di Berlino: abbiamo saputo che
la dottoressa Boccassini si recava un giorno sì e
un giorno no a fare scorpacciate di insalata russa in un
ristorante di via della Moscova. E noi la paghiamo per questo!
Abbiamo saputo che il dottor Gherardo Colombo portava tutte
le domeniche suo figlio sulle montagne russe e per questo
gli sono venuti i capelli in quel modo indecoroso per un
magistrato.
Avete creduto alla signora Ariosto che io non ho mai conosciuto
e che comunque non è una contessina; lunica
contessina che ho conosciuto è quella a cui ho fregato
la villa di Arcore per quella modica somma che tutti sanno.
Avete accusato ingiustamente il mio caro amico Cesare Previti:
con le vostre accuse e con i vostri processi, lo avete ridotto
che sembra lo zio di Califano! Io glielho detto: devi
resistere, con il solito incitamento gli ho detto: "Caro
Cesare fagliela vedere". Lui saprà difendersi
debitamente in questo processo, voi dovrete tener conto
della sua innocenza.
La vostra incompetenza, cari magistrati, mi fa paura. Mi
fa paura che non abbiate ancora saputo trovare quello che
io con i miei investigatori ho trovato: un conto in Lussemburgo
sulla vicenda Sme intestato cifrato, ovviamente,
perché si nascondono - intestato, dicevo, a Cicciobello;
un conto cifrato nel Lichteinstein, intestato a Baffino.
Certi dicono che si tratti di esponenti politici di primo
piano di cui non faccio qui il nome per responsabilità
istituzionale. E ancora due conti cifrati in Andorra intestati
ad Oscar Maria. E anche qui non posso fare il nome per mantenere
fede alle mie responsabilità istituzionali.
Voi avete pensato che davvero De Benedetti diventasse padrone
della Sme con un contratto di poche paginette, quando io
sono diventato padrone dellItalia con un contratto
di una pagina sola (sventola Il contratto con gli italiani
) che ho firmato soltanto io! Oltre alla vostra incompetenza,
mi allarma la persecuzione che si è abbattuta su
di me anche con la presenza di questo Avvocato dello Stato
di cui voglio ricordare qui alcune parole
scusate
il sudore, mi devo detergere, poi per favore Panorama elimini
queste fotografie, le compri tutte.
Dice lAvvocato dello Stato:
"che si tratti di corruzione è indiscutibile";
dice ancora lAvvocato dello Stato, che avrebbe dovuto
difendermi:
"ci sono stati passaggi di denaro tra magistrati e
avvocati che trovano la loro origine in Barilla e in Finivest..
La corruzione in atti giudiziari viene a far cadere una
delle garanzie dello Stato di diritto, la Giustizia è
uguale per tutti. La lesione alla credibilità della
giustizia è stata particolarmente pesante";
"i tempi lunghi del processo sono stati determinati
da questioni poste da alcune difese e che si sono rivelate
completamente infondate: si sono difesi dal processo e non
nel processo".
Dice ancora lavvocato dello Stato pagato dallo Stato,
pagato da voi, pagato da me: "Silvio Berlusconi è
il mandante di Italo Scalera attraverso Cesare Previti per
lofferta di 550 miliardi di lire in relazione alla
SME. E Silvio Berlusconi che si dà da fare
per organizzare la cordata. Erano anni drammatici per Fininvest,
si parlava di accensione e di spegnimento di televisioni,
alcune richieste erano ineludibili".
Ecco quello che io voglio segnalarvi: perfino lavvocato
dello Stato è arrivato a dire queste cose sul mio
conto. E per questo che democraticamente noi ci accingiamo
a fare una legge che elimini dai processi penali lavvocatura
dello Stato.
Come vedete siamo sempre vigili per difendere le regole
della nostra democrazia.
Voi avete, cari magistrati, dottoressa Boccassini non mi
guardi, non mi guardi in quel modo per lo meno, avete calpestato
la nostra dignità.
Non è vero che siamo tutti uguali, cè
qualcuno più uguale degli altri. Voi avete vinto
un concorso e basta, io rappresento la sovranità
popolare, per questo non posso girare continuamente da un
meandro allaltro di questo tribunale perché
il cittadino mi paga per governarlo e per comandare il paese,
non certo per perdere tempo per ricordare che cosa ho fatto
venti anni fa.
Mi sembra che davvero questo sia stato capito anche dal
caro amico Carlo Azelio, il quale ogni tanto con la gentile
consorte Franca avrebbe voglia di fare una specie di tumulto
dei ciampi . Ma poi io lo faccio rigare dritto e fa quello
che gli dico io.
Per la mia dignità allora io rifiuto questo processo,
un processo che ricorda quelli descritti magistralmente
dal grande filosofo africano F punto Kafka, che in francese
si dice Kafkà.
Mi dovete obbedienza dal punto di vista di quello che viene
chiamato il diritto positivo perché sono il capo
del governo, mi dovete obbedienza dal punto di vista del
diritto naturale perché, come ha detto di me - con
la conseueta misura e con la consueta assenza di piaggeria
Giuliano Ferrara, io sono una forza della natura.
Venite con me, cari magistrati, lasciate che io perdoni
quello che ho subito da parte vostra , che vi rivolga questo
invito generoso a passare dalla mia parte. Sarete ricchi
e potenti come tutti coloro che lo hanno deciso:
Io vorrei ricordare lufficiale della Guardia di finanza
Massimo Maria Berruti, che venne a fare uninchiesta
nelle mie aziende immobiliari. Gli dissi che ero un consulente
di passaggio, lui poi lasciò la Guardia di finanza,
divenne mio consulente legale, naturalmente senza alcun
rapporto con quella inchiesta, e poi venne candidato al
parlamento e divenne deputato nelle mie file.
Mi ricordo ancora quel sottufficiale dei carabinieri, Felice
Corticchia, che accusò il pool dei magistrati di
Milano, di questi signori che rubano i vostri soldi, e giustamente
raccontò quello che sapeva ai magistrati di Brescia.
Venne condannato per quello che aveva detto. Hanno trovato
misteriosamente il suo conto corrente in banca pieno di
milioni e Cattaneo, lattuale direttore generale della
Rai, quando era ancora alla Fiera lo ha assunto in quellente
prestigioso.
Ricordo ancora il giudice Metta che esaminò il Lodo
Mondadori. Dopo quella decisione sofferta e difficile andò
a lavorare allo studio Previti e non se nè
più pentito.
Quindi vi ricordo anche la carriera strepitosa del mio amico,
consulente e deputato Gaetano Pecorella, che credo non avrebbe
mai immaginato venti anni fa tanti soldi e tanto potere.
Il mio messaggio dunque è: passate dalla mia parte,
non ve ne pentirete.
Oggi, cari magistrati, la legge sono io, mettetevi in testa
che quello del giudice è un mestiere finito. Una
società come quella che sto realizzando non ha più
bisogno di magistrati. Cara dottoressa Boccassini, lei è
stata amica di un grande giudice come Giovanni Falcone,
ebbene di quei giudici lì questo paese non avrà
più bisogno, non ne avrà più bisogno
perché come si dice beata la società
che non ha bisogno di eroi. Noi non avremo più bisogno
né di eroi né di giudici.
Io sto formando una società perfetta nella quale
non ci saranno più reati per il semplice fatto che
nessun comportamento sarà più considerato
un reato.
Dunque io voglio ricordare in questo grande passaggio di
civiltà come io sia stato sempre prosciolto e come
arrivi candido a questo grande appuntamento che è
il semestre europeo, al quale ci presentiamo orgogliosi
di questo paese e delle leggi che questo paese ha saputo
sfornare.
Vi ricordo che:
Per laccusa di aver giurato il falso sulla mia appartenenza
alla P2, sono stato, è vero, dichiarato colpevole
ma lamnistia dell89, cioè un grande istituto
civile di diritto della storia dellumanità,
mi ha reso giustizia
Per le tangenti alla Guardia di Finanza sono stato assolto
in Cassazione per insufficienza probatoria, e lì
mi hanno reso giustizia per le condanne in primo grado e
per le prescrizioni in secondo grado.
Per il finanziamento illecito dei partiti (cosiddetto All
Iberian - 1) la prescrizione del reato in Appello e in Cassazione
mi ha reso giustizia della condanna in primo grado.
Per il falso in bilancio (All Iberian - 2) se verrà
respinta leccezione della Procura, godrò della
prescrizione grazie a quella riforma dei reati societari
che autonomamente, a mia insaputa e contro il mio volere,
ha fatto il parlamento, davanti alla cui sovranità
io qui mi inchino.
Per il falso in bilancio (Medusa cinematografica), lassoluzione
con formula dubitativa mi ha reso giustizia della condanna
in primo grado.
Per i terreni di Macherio, ho avuto lamnistia per
uno dei due falsi in bilancio.
Per il falso in bilancio del caso Lentini ho avuto la prescrizione
del reato grazie alla riforma dei reati societari voluta
contro la mia volontà e in piena autonomia da questo
parlamento, di fronte alla cui sovranità di nuovo
mi inchino.
Per il falso in bilancio nel consolidato del Gruppo Fininvest,
se tutto andrà bene, mi verrà resa giustizia
per prescrizione del reato, grazie alla riforma dei reati
societari, che contro la mia volontà è stata
varata da questo parlamento, di fronte alla cui sovranità
ancora mi inchino.
Per la corruzione nel Lodo Mondadori, ho avuto giustizia
giusta con la prescizione scattata grazie alle attenuanti
generiche che mi sono state riconosciute in quanto presidente
del consiglio.
E infine, per corruzione in atti giudiziari nella vicenda
Sme, il parlamento, nella sua autonomia e nella sua sovranità,
di fronte alla quale ancora mi inchino con deferenza, ha
stabilito di sospendere il processo, e di darmi finalmente
immunità assoluta e totale: per il passato, per il
presente e per il futuro.
Questa, cari magistrati, è la mia posizione. Contro
tutte le dicerie, contro tutte le malignità che sono
state profuse a piene mani da magistrati interessati.
Io esco immacolato da tutte le mie persecuzioni. Ed è
per questo che mi presenterò di fronte allEuropa
a testa alta, difendendo il prestigio del paese, difendendo
il prestigio dellItalia .
Vorrei dire due parole ancora a questi magistrati che in
questo momento continuano il loro inutile processo. Io ve
lo dico, dottoressa Boccassini, dottor Colombo, collegio
giudicante tutto, vi dico addio. Sono tornato per onorare
il mio impegno della settimana scorsa, non mi vedrete mai
più. Addio ultimi vincitori di un concorso, dora
in poi si farà tutto a trattativa privata. Addio
magistrati, specie in estinzione, questo paese nella sua
marcia verso la civiltà non ne avrà più
bisogno.
E se per cortesia istituzionale questo agosto vorrete mandarmi
una cartolina, io ve ne sarò profondamente grato.
Grazie, e con questo vi saluto cari magistrati. Saluto i
cittadini che hanno voluto presenziare a questo solenne
addio, a questa mia deposizione. Grazie a tutti.
Due parole soltanto per un dovere
di coscienza mia e non perché voi non ve ne rendiate
conto.
Questa presenza qui oggi è stata una presenza per
nulla goliardica. Noi abbiamo voluto ricordare che la settimana
scorsa un capo del governo è venuto a promettere
che sarebbe tornato a parlare ai giudici, a fare una sua
deposizione, avendo laereo dietro langolo pronto
per portarlo a Roma, dove sarebbe stata approvata una legge
che avrebbe eliminato questo processo.
Noi crediamo, io credo che sia stato colpito al cuore il
principio fondamentale delluguaglianza dei cittadini
di fronte alla legge. Questo si è voluto testimoniare
oggi qui, non altro, niente di più e niente di meno.
Ricordando che questa democrazia oggi dobbiamo difenderla
noi, con la nostra coscienza civile, politica e istituzionale.
Tranne alcuni istituti di legalità, tranne alcuni
mezzi di informazione, non cè altro più
che difenda questa democrazia, che è malata, che
sta male e chiede a tutti un supplemento di impegno e di
lavoro.
Lo dico con la massima coscienza, con la massima serietà,
la satira è il vestito di una testimonianza che oggi
ha voluto essere drammatica. Per questa ragione stamattina
non sono stato in parlamento, perché quando in parlamento
di queste leggi, di leggi che spaccano il paese, 315 senatori,
tutti insieme, possono discutere, presentare gli emendamenti
e discuterli, fare le dichiarazioni di voto in un giorno
solo, il mio diritto di parola come parlamentare non può
che essere anche al di fuori del parlamento, per fare il
lavoro che mi è stato chiesto di fare. Grazie.
Nando dalla Chiesa, Milano, 25 giugno 2003
È ancora
Carnevale
LA NUOVA LEGGE AD PERSONAM DI CUI I GIORNALI NON HANNO PARLATO:
PORTARE CORRADO CARNEVALE ALL'APICE DELLA CASSAZIONE PER
8 ANNI
SENATO DELLA REPUBBLICA XIV LEGISLATURA
MERCOLEDÌ 7 APRILE 2004
582a SEDUTA PUBBLICA - RESOCONTO STENOGRAFICO
Seguito della discussione dei disegni di legge:
(2841) Conversione in legge del decreto-legge 16 marzo 2004,
n. 66, recante interventi urgenti per i pubblici dipendenti
sospesi o dimessisi dallimpiego a causa di procedimento
penale, successivamente conclusosi con proscioglimento
(999) MASSUCCO ed altri Riparazione del danno subìto
dai pubblici dipendenti a causa di un processo penale ingiustamente
promosso nei loro confronti
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione
di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi,
credo che lemendamento 1.208, presentato dai senatori
Fassone e Bassanini, debba essere davvero colto nel suo
significato. Penso sia impossibile, in buona fede, votare
contro questo emendamento, al quale chiedo di aggiungere
la firma. Lobiezione mossa è che la fissazione
di un tetto massimo per lo svolgimento dellattività
lavorativa di un dipendente pubblico - nella fattispecie,
un magistrato - derivi da una valutazione con ogni evidenza
effettuata a tutela della qualità del servizio giustizia,
ritenendo che oltre una certa età un magistrato abbia
meno probabilità di reggere alla fatica e meno lucidità,
minori capacità di esercizio pienamente responsabile
delle proprie funzioni, che fino ai settantacinque anni
si ritiene invece possa avere.
Sappiamo tutti che le date che segnano confini sono opinabili,
ma vorrei ricordare che di recente è stato spostato
questo limite massimo dai settantadue ai settantacinque
anni, anche in questo caso portandosi dietro la riserva
mentale di favorire qualcuno. Adesso pensiamo che si possa
andare oltre i settantacinque anni.
Se immaginiamo - come possiamo immaginare - che una o più
persone abbiano ingiustamente subìto un procedimento
penale, conclusosi poi con laccertamento della loro
innocenza, si può pensare che costoro possano richiedere
allo Stato un risarcimento economico e morale, ma non possano
pretendere di portare la loro attività oltre il limite
massimo fissato dalla legge. Infatti, se quel limite è
stato fissato, una ragione ci sarà. È stato
portato il limite massimo per svolgere la funzione di magistrato
dai settantadue ai settantacinque anni e non ad ottanta,
una ragione ci sarà, cari colleghi, ed è quella
richiamata pocanzi dal senatore Fassone: la tutela
della qualità del servizio giustizia e del cittadino
che a quel servizio si rivolge.
Se si deve fare un favore a qualcuno, diciamo come deve
chiamarsi questo decreto: "decreto Carnevale".
È scritto sui giornali, lo dice lopinione pubblica,
ma qui in Parlamento, dove dovremmo assumerci le maggiori
responsabilità, non viene detto.
Cè lurgenza di fare un favore ad un magistrato.
Quindi, si assicura il principio che si possa profittevolmente
e al servizio del cittadino svolgere questa delicatissima
funzione anche oltre gli ottantanni. Non so se ci
rendiamo conto del varco che stiamo aprendo; stiamo teorizzando
che ogni volta che un pubblico dipendente deve essere risarcito
per un procedimento penale ingiustamente subito o ingiustamente
conclusosi comunque con laccertamento, in quale forma
che sia, della sua innocenza, egli ha il diritto di superare
questo tetto. Vorrei ricordare che questo tetto non è
superabile, cari colleghi, neanche per un professore universitario,
che ha funzioni meno delicate, meno cruciali per quanto
riguarda i diritti fondamentali della persona. Eppure, per
un magistrato lo si può superare. Per questa ragione,
la Margherita voterà a favore dellemendamento
in esame 1.208.
Vorrei ricordare, affinché resti agli atti, che proprio
questa parte del provvedimento dimostra lirresponsabilità
del legislatore nei confronti di coloro che si rivolgono
al servizio giustizia, al di là di tutte le parole
spese in Aula ed in Commissione in questa legislatura. Si
dimostra lintenzione, pervicace, di favorire una sola
persona. Dopo aver favorito il sindaco di Messina ieri,
favoriamo un magistrato di Cassazione oggi e chissà
quante altre leggi urgenti dovremo esaminare e varare in
Aula. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, Verdi-U e DS-U). [...]
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi,
il relatore ha offerto una sua spiegazione della lettera
e dello spirito di questo passaggio del decreto-legge e
il senatore Zancan ha replicato muovendo una serie di osservazioni
che non mi sembrano infondate.
Lattenzione particolareggiata con cui si sono previsti
i differenti casi riconducibili a questa ciambella di salvataggio
che viene offerta al Parlamento a questo punto sarebbe potuta
andare anche oltre e prevedere esplicitamente una causa
estintiva per negligenza del magistrato.
Credo ci si debba porre il problema, nel momento in cui
prevediamo che perfino una causa estintiva del reato possa
innescare il meccanismo del quale stiamo parlando, e che
dunque un pubblico dipendente che abbia effettivamente tenuto
un comportamento contrario alle leggi, contrario ai suoi
doveri di ufficio, non sanzionato perché è
intervenuta una ragione prescrittiva o genericamente estintiva
del reato e che però ha avuto questo comportamento,
noi pensiamo di poterlo
perché anche questa
fattispecie è aperta
BOSCETTO, relatore. No, perché prima deve essere
assolto.DALLA CHIESA (Mar-DL-U). In primo grado, certo;
è un dato comune sul quale ci intendiamo. Stiamo
parlando però dellappello, dove non abbiamo
un provvedimento che dichiari linnocenza di questa
persona, ma che interviene in altro modo a sottrarlo ad
un giudizio, ad una sentenza di tipo punitivo.
Allora, potremmo trovarci davanti ad un pubblico dipendente
che mette in atto una condotta contraria al proprio dovere
di ufficio, che si ritrova (per una ragione che stiamo prendendo
in considerazione, su una fattispecie non cavillosa comunque
dettagliatamente immaginata) a rientrare in servizio anche
se si è dimesso - poi interverremo anche su questo
- e che addirittura può essere promosso e restare
in servizio fino ad ottantacinque anni.
È una cosa assurda, cari colleghi, perché
non stiamo parlando di un innocente (e sarebbe assurdo già
se parlassimo di una persona di cui è stata in modo
solare acclarata linnocenza), stiamo parlando di una
persona che invece può risultare aver messo in atto
comportamenti contrari ai propri doveri di ufficio. La persona
che si è comportata in questo modo viene ripresa
in servizio, viene promossa - chissà perché
lo deve essere - e poi rimane in servizio per un numero
di anni indefinito (perché è indefinito il
numero di anni per i quali è durata la sospensione
dal servizio) arrivando magari ai novantanni di età.
Credo sia molto difficile immaginare dal punto di vista
giuridico, e rispettando tutte le fattispecie, tutte le
articolazioni del provvedimento che sono state immaginate,
un provvedimento che anche dal punto di vista morale sia
più sconcio di questo.
Si premia chi ha sbagliato rispetto ad altri che si sono
comportati correttamente, promuovendolo e consentendogli
di restare in servizio fino a 83-84 anni, quando un pubblico
dipendente o un magistrato, anche comportandosi nel modo
più leale e corretto verso le leggi dello Stato,
non può superare il limite di settantacinque anni.
Se mi è consentito usare questa espressione: stiamo
giocando a rovesciare linferno e il paradiso? Il colpevole
ha più diritti di colui che si è sempre comportato
in modo retto, perché questa è la fattispecie
che rimane tra le righe e direi anche nello spirito di questo
provvedimento. Tra le righe questa fattispecie rimane, al
di là di quanto possiamo pensare e dellabitudine
che abbiamo a cogliere i retroscena e le radici di un provvedimento
di legge. Per questa ragione voteremo a favore di tale emendamento.
7 aprile 2004