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Quel che è di Cesare
e quel che è di Silvio

Per Previti una condanna a 11 anni per corruzione.
Per aver fatto da intermediario tra i giudici corrotti romani
e il suo mandante: Silvio Berlusconi

Gli avvocati di Cesare Previti, dopo che i tre giudici del Tribunale di Milano hanno respinto la loro estrema richiesta di bloccare la sentenza, il pomeriggio del 29 aprile 2003 si sono ritirati in buon ordine. Seduti ai tavolini all’aperto del bar di fianco al palazzo di Giustizia, hanno sorseggiato una bibita, un drink. Hanno aspettato la fine, dopo anni di battaglie, d’incredibili, inenarrabili manovre per rallentare, frenare, bloccare, ingrippare il processo. Sapevano di averle provate tutte, dentro un processo in cui i difensori avevano un occhio ai codici, l’altro al calendario dei lavori del Parlamento, che ha lavorato anche di notte per approvare leggi su misura (falso in bilancio, rogatorie, legittimo sospetto...). Niente da fare: lo Stato di diritto – per ora – è più forte. Così martedì 29 aprile arriva la sentenza. Questa è la vittoria: che si sia arrivati alla sentenza. Al di là del contenuto (fosse stata anche d'assoluzione): la nostra democrazia ha dimostrato di sapere e potere resistere (per ora) alle pressioni dei potenti di turno. Ha concluso il processo forse più difficile e travagliato della storia d'Italia. È arrivata alla sentenza. Grazie a tre giudici dalla schiena dritta che in mezzo a un'incredibile bagarre hanno continuato a fare il loro lavoro: Paolo Carfì, Enrico Consolandi, Elena Balzarotti. «E ora dimenticatemi», ha detto il presidente Carfì dopo la sentenza. Punto.

La sentenza è stata di condanna.
Per tutti gli imputati, tranne che per il giudice Filippo Verde (assolto perché le prove a suo carico sono state giudicate insufficienti). Condanne pesanti ai giudici (Metta, Squillante) e agli intermediari (Previti, Pacifico). E i mandanti? Per il troncone Imi-Sir, il mandante è morto (il petroliere Nino Rovelli), ma sono stati condannati i suoi successori, la moglie e il figlio, che hanno eseguito i suoi ordini e pagato miliardi agli avvocati che gli avevano fatto vincere (con la corruzione) una causa con lo Stato da 1.000 miliardi. Per il troncone Lodo Mondadori, invece, il mandante è uscito da tempo dal processo. Si chiama Silvio Berlusconi. La Corte d'appello gli ha concesso le attenuanti generiche e in base a queste è scattata la prescrizione.

Le prove esibite nel dibattimento
sono massicce. Difficile non dar loro peso. La difesa ha provato con manovre diversive, la denigrazione del teste Omega, i giochi di prestigio con le bobine delle intercettazioni di quattro amici al bar, i cd rotti, il gioco delle tre carte sulla competenza del tribunale di Milano, no di Brescia, ma no, meglio di Perugia... I mezzi d'informazione di Berlusconi hanno costruito su questi dettagli una poderosa campagna di propaganda e disiformazione (che ha convinto anche il presidente del Senato Marcello Pera, a giudicare dalla sua intervista alla Repubblica del 4 maggio). Ma le prove sono ben altre. Alla fine, sul campo sono rimasti i soldi. I piccioli, come li chiama Ilda Boccassini. I passaggi di denaro dal mandante (chi aveva interesse a comprare una sentenza) all’intermediario (Cesare Previti, aiutato da Attilio Pacifico), fino ai beneficiari finali, i giudici che hanno scritto le sentenze comprate e vendute. Le carte bancarie arrivate dalla Svizzera sono implacabili: documentano con freddezza i passaggi di piccioli. E la legge sulle rogatorie, maledizione, non è bastata ad azzerarle. Hanno lavorato bene i magistrati dell’accusa, Gherardo Colombo, Ilda Boccassini. Hanno ingoiato in silenzio, per anni, attacchi e insulti, accuse e minacce. E ora il loro lavoro ha avuto il suggello di una sentenza: colpevoli.

Colpevole Metta, condannato a 13 anni,
che ha scritto in poche ora una monumentale sentenza: comprata e venduta. Colpevole il giudice Squillante, condannato a 8 anni e 6 mesi. Colpevoli Pacifico, Acampora, Felice Rovelli, sua madre Primarosa Battistella. Colpevole Cesare Previti, condannato a 11 anni. Ora ci sarà l’appello, poi la Cassazione. Ma soprattutto, fuori dalle aule giudiziarie, dovrà esserci la politica.

La politica: saprà prendere atto dei fatti,
senza ripetere all’infinito la favola della persecuzione giudiziaria, dell’attacco di parte, delle toghe rosse? Berlusconi sta dimostrando di no, arrivando al confine estremo dell'eversione, accusando chi ha emesso una sentenza di «criminalità giudiziaria». Eppure i fatti, sconvolgenti nella loro semplicità, sono questi: alcune sentenze, a Roma, sono state comprate a suon di miliardi di lire. Tra queste, quella che ha fatto passare la più grande casa editrice italiana, la Mondadori, da Carlo De Benedetti a Silvio Berlusconi. Berlusconi, diventato nel frattempo presidente del Consiglio, è uscito dal processo perché, avendo ricevuto da un giudice le attenuanti generiche, ha visto prescritta la sua accusa. Ma resta un problema. Non più giudiziario, ma politico e morale: Previti è stato condannato come intermediario, perché ha passato alle toghe sporche romane i soldi della corruzione. Ma c’è un mandante, che lo ha usato come intermediario e che gli ha fornito i miliardi necessari.

Nel caso Mondadori, il mandante
si chiama indubitabilmente Silvio Berlusconi. Dal punto di vista giudiziario è uscito dal processo, per il combinato disposto di attenuanti e prescrizione. Ma a questo si possono attaccare soltanto i «giustizialisti» (quelli veri, da Berlusconi a Ferrara, che vivono di sentenze – purché siano d'assoluzione). Chi guarda alla sostanza, alla politica, alla morale e ai fatti, invece, non può non vedere una semplice realtà: non c’è pagatore senza fonte del pagamento; non c’è intermediario senza mandante. E il mandante, la fonte, non può avere meno responsabilità del pagatore, dell’intermediario. Altrimenti, l’intermediario si trasformerà in capro espiatorio: entro il 2006 (anno in cui scatta la prescrizione) potrebbe arrivare una sentenza d’appello e una eventuale conferma in Cassazione. Previti lo ha ripetuto più volte: «Simul stabunt, simul cadent» («Insieme staranno in piedi, insieme cadranno»), e una volta tanto dice la verità. Come risolverà questo problema – non giudiziario, ripetiamo, ma sostanziale, politico, morale, fattuale – la politica italiana?

Potrà scatenare una guerra senza quartiere
contro i giudici: tutti prevenuti, tutte toghe rosse. Potrà dividere le carriere. Togliere strumenti di indagine. Stravolgere i codici. Ma resteranno i fatti, i passaggi di piccioli. E resterà questa condanna, che chiama in causa (penalmente) un ex ministro della Repubblica e (politicamente) il presidente del Consiglio. La politica potrà reintrodurre l’immunità parlamentare, anzi introdurre per la prima volta in Italia l’impunità per i politici, la sospensione di ogni processo per chi ha la fortuna di riuscire a entrare in Parlamento. Ma tutti gli alleati di Berlusconi sono disposti a questo, per salvare un solo uomo? E quanto sono disposti a pagare, in termini di consenso?

Pera (e tanti altri, anche nel centrosinistra)
dicono: non si può avere un presidente del Consiglio sotto processo, e magari condannato. Tanto più nel semestre di guida italiana dell'Unione europea, che inizia il 1 luglio. Dunque, si blocchino i processi per i vertici della politica italiana (cioè per Berlusconi, che è l'unico di quei vertici ad avere di questi problemi). Ma è curioso: lo scandalo è avere un giudice che processa il presidente del Consiglio, o avere un presidente del Consiglio che, con comportamenti ben precedenti al suo ingresso in politica, ha meritato di essere indagato per gravi reati e processato? E dallo scandalo si esce congelando la situazione, rendendo improcessabile il presidente del Consiglio, o liberando al più presto la nostra democrazia dell'anomalia di avere un'istituzione segnata dall'ombra della corruzione? Non si deve invertire la causa e l'effetto: per non essere processati, è bene non rubare. L'attuale maggioranza starebbe zitta e buona se fosse all'opposizione e se sotto processo ci fosse un leader del centrosinistra? Lo salverebbe con l'immunità?

Saranno queste le domande a cui dovrà rispondere,
nei prossimi mesi, la politica italiana. Anche perché sta arrivando alle ultime battute il secondo processo di Milano, quello sulla compravendita della sentenza Sme, che accanto a Previti ha come imputato, direttamente, Silvio Berlusconi. Un bel rebus per la politica italiana, alla vigilia del semestre in cui l’Italia sarà alla guida dell’Unione europea. Rinasceranno i girotondi? L’opposizione di centrosinistra la finirà di farsi dettare l’agenda da Berlusconi, o resterà prigioniera del «lodo Maccanico» (norma salvaberlusconi che blocca i suoi processi)?

Intanto questa sentenza,
la sentenza di condanna a Previti e ai suoi coimputati, emessa dopo tanti rinvii in una tiepida notte d’aprile del 2003, resta un punto fermo, che non si potrà far finta di non vedere. Uno che se ne intende, Marcello Dell’Utri, ha recentemente consigliato a chi ha processi in corso di tirare in lungo, perché nel frattempo il giudice può anche morire. Una battuta, la sua. Peccato che fino a dieci anni fa i giudici morivano davvero, in Italia: Ciaccio Montalto, Chinnici, Saetta, Scopelliti, Falcone, Borsellino... Le questioni di peso, nel nostro Paese, si risolvevano col piombo. Così è morto Mino Pecorelli, così è morto Giorgio Ambrosoli... Speriamo che quella stagione sia finita con la «prima Repubblica». Gerardo D’Ambrosio, prima di andare in pensione, a chi gli ricordava i pesanti attacchi arrivati dalla politica, rispondeva: «Ma io mi considero fortunato. Al massimo mi fanno un provvedimento disciplinare. Molti miei colleghi, invece, li hanno uccisi...».

4 maggio 2003



Previti visto dalla parte di Previti.
Per chi non legge il Foglio: sentite un po' che cosa scrivono di Cesare Filippo Facci e gli altri (Giannino, Soave, Mughini, Maglie, Marcenaro): Gli affari del signor Cesare

Previti a rischio attentati.
Le informative del Sisde del luglio 2002



«Dichiarazioni eversive»


L'appello dei giuristi contro gli attacchi di Berlusconi alla magistratura in seguito alla condanna di Previti. Primi firmatari: Sergio Chiarloni, Alfonso Di Giovine, Mario Dogliani, Paolo Ferrua, Stefano Sicardi


Noi sottoscritti professori universitari di diritto
esprimiamo allarme ed indignazione di fronte alle recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio, il quale, in diretta polemica con una sentenza emessa dal Tribunale di Milano, ha affermato che la condanna dell'on. Previti «non fa che confermare» la «persecuzione politica» di cui l'ex ministro della difesa sarebbe vittima, «già resa evidente dalle vicende dell'inchiesta, delle indagini preliminari e dell'intero processo». Persecuzione che sarebbe stata ordita da «magistrati politicizzati» che vorrebbero «scegliersi, con una logica golpista, il governo che preferiscono»: ma dal momento che «in una democrazia liberale» questo non è ammissibile, «la politicizzazione di certa magistratura, volta a condizionare la nostra vita politica, è un problema che dovrà essere risolto per il bene del Paese, delle istituzioni, dei cittadini».

Mai abbiamo sentito da un Presidente del Consiglio
- né da un leader del partito di maggioranza relativa - parole di tale spregio per le elementari regole che presidiano il nostro assetto costituzionale. Non si tratta solo della gratuita diffamazione, senza l'ombra di una prova, di singoli giudici, accusati di costituire la longa manus di una congiura politica. Si è in presenza di un inaudito attacco all'autonomia della funzione giurisdizionale, esercitata nel rispetto delle garanzie costituzionali e legislative; il tutto accompagnato dalla minaccia, che riecheggia le istanze di normalizzazione proprie dei regimi autoritari, di pesanti interventi sull'ordinamento della Magistratura, sistematicamente imputata di 'politicizzazione' se emette, a qualsiasi livello, dal giudice di primo grado alle Sezioni Unite della Cassazione, decisioni non conformi ai disegni del Presidente del Consiglio e del suo partito.

Noi professori universitari di diritto
ci rivolgiamo preoccupati alle "larghe e forti istituzioni rappresentative" del Paese (la cui autonomia, come la storia dimostra, viene prima o poi svuotata dall'autoritarismo non meno di quella della magistratura). Siamo di fronte a dichiarazioni eversive dell'ordine costituzionale dei poteri e premonitrici di un sistema dove le sentenze 'giuste' sono soltanto quelle gradite a chi si trova al governo. Il fatto stesso che si sia pensato, da parte del Presidente del Consiglio, di rendere simili dichiarazioni, di occultare con esse quanto emerso dal processo e di trarne un beneficio politico, è sintomo della deriva verso cui le istituzioni democratiche e l'informazione sono avviate. Tutti coloro che hanno a cuore la democrazia liberale, a qualunque idea, forza o schieramento si riferiscano, sono chiamati a impegnarsi per la difesa della legalità repubblicana.

4 maggio 2003



NO LODO

Le «dichiarazioni spontanee» di Berlusconi al processo Sme, seconda puntata, 17 giugno 2003. Imbroglia perfino su Totò: non voleva comprare il Colosseo ("come De Benedetti la Sme"), ma vendere la Fontana di Trevi...



Il processo contro Silvio Berlusconi,
accusato, da imprenditore, di aver corrotto giudici e comprato sentenze, si è chiuso alle ore 12 di martedì 17 giugno. Con uno show dell’imputato, che è arrivato in aula con un obiettivo preciso: occupare l’udienza con le sue «dichiarazioni spontanee» per impedire al pubblico ministero Ilda Boccassini di iniziare la sua requisitoria e formulare la sua richiesta di pena.
Costretto a tornare in aula dal pericolo-Boccassini, il presidente del Consiglio ha cercato di volgere a suo favore una situazione imbarazzante di cui avrebbe fatto volentieri a meno: e ha parlato ai media, non certo ai giudici. Alla fine se n’è andato, tra una piccola folla di fan plaudenti («Silvio!, Silvio!»), arrivati questa volta a sostenere il loro leader, che il 5 maggio era stato invece lasciato solo davanti al suo solitario contestatore («Buffone – o Puffone – fatti processare!»).

Il processo è stato aggiornato al 25 giugno
, ma in aula tutti sapevano che è una finzione: da giorni il Parlamento è all’opera per varare una nuova legge su misura, un vestito di sartoria, la più vergognosa delle leggi vergogna, il «lodo Maccanico» diventato «lodo Schifani» o, più direttamente, «lodo Berlusconi»: il presidente del Consiglio e le alte cariche dello Stato (che però non ne hanno alcun bisogno) diventeranno improcessabili. Con effetto immediato (come già la Cirami), fin dal giorno dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, senza neppure aspettare i tradizionali 15 giorni. Così il 25 giugno il tribunale presieduto da Luisa Ponti non potrà far altro che prendere atto che una nuova legge dello Stato impone di sospendere il processo all’imputato Silvio Berlusconi.
Storia finita. Per sempre: anche se nel 2006 Berlusconi non fosse più presidente del Consiglio, il processo è destinato ad arenarsi sulle secche della prescrizione perché dovrebbe ricominciare da capo, con un altro collegio giudicante. Infatti il 9 gennaio 2004 scadrà il termine massimo di applicazione al tribunale del giudice Guido Brambilla, che dovrà assolutamente passare al tribunale di sorveglianza.

L’ONORE DI SILVIO.
Tutto bene, dunque, per Silvio Berlusconi, salvato in extremis da un processo difficile, da una sentenza pericolosa? No. L’onore del presidente del Consiglio e il prestigio internazionale dell’Italia (che dal 1 luglio avrà per sei mesi la presidenza dell’Unione europea) sono salvati per legge, ma nella sostanza chiunque, in Italia e all’estero, potrà dubitare dell’innocenza di chi con una legge su misura è sfuggito al giudizio dei suoi giudici naturali.
Si può rendere l’acqua potabile innalzando per decreto i livelli legali dei veleni? Si può stabilire la verginità per legge? Si può. Ma non si può pretendere e imporre per decreto l’onore e il prestigio. Del resto, fa scandalo chi denuncia un’illegalità, o chi l’ha commessa? E il prestigio dell’Italia è incrinato da chi persegue i reati (svolgendo il proprio compito istituzionale), o da chi, eventualmente, i reati li ha compiuti?
Il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea, dunque, inizia in un clima pessimo e con il piede sbagliato. Berlusconi, anatra zoppa, già attaccato dalla Francia per il suo viaggio in Israele, si è presentato dal premier greco per il passaggio delle consegne dopo essere uscito da un’aula di giustizia in cui è accusato di aver corrotto giudici e comprato sentenze. Torna in mente l’immagine evocata dal settimanale americano Newsweek: il presidente dell’Unione parla in una riunione ufficiale, nella foga alza un braccio e... al polso appare il braccialetto elettronico dei detenuti in libertà su cauzione.

BOSSI E LE RISSE AL GOVERNO.
Se all’estero l’aria non è buona, in Italia – dopo le sconfitte elettorali del centrodestra – il clima non è migliore. Bossi alza il prezzo minacciando di lasciare il governo, An vuole più posti, i centristi cattolici non perdono occasione per dimostrarsi incompatibili con Bossi. Tornano di moda parole come «verifica» e «rimpasto», che non sentivamo dai tempi dei governi democristiani. E sulle pensioni (come ha segnalato per primo proprio Diario nel numero scorso), durante questa calda estate potrebbe andare in crisi un asse considerato inossidabile, quello tra Bossi e Tremonti.
La situazione economica è difficile, i conti non tornano, le promesse elettorali non sono state mantenute, le tasse non sono diminuite, le riforme non sono arrivate, anche la Confindustria scalpita... La buona stella di Silvio attraversa decisamente un periodo difficile.

SILVIO BERLUSCONI SHOW.
Il presidente del Consiglio, nel suo show del 17 giugno, ha continuato i suoi depistaggi, ripetendo cose già ben note, per esempio, ai lettori di Panorama: la testimone Stefania Ariosto sarebbe mitomane e falsa; l’intercettazione del colloquio tra giudici al bar Mandara di Roma sarebbe manipolata; nel «fascicolo virtuale» numero 9520 (segreto) della procura di Milano sarebbero nascosti documenti (chissà perché) essenziali per la difesa di Berlusconi... Ma i piccioli, signor presidente? Come mai dai conti Fininvest escono miliardi che finiscono sui conti dei giudici romani?
Qui Berlusconi, preso dalla foga, fa un’ammissione: la Fininvest aveva conti all’estero (finora sempre negati) «perché comperavamo film in tutto il mondo». E i versamenti a Cesare Previti? Come mai l’avvocato viene pagato dai conti esteri? È anche lui un film straniero? A proposito: Previti è un po’ scaricato dal suo vecchio datore di lavoro: «Era uno dei cento avvocati del nostro gruppo», minimizza l’amico Silvio. E i pagamenti Fininvest? Erano anticipi di parcelle: non è colpa nostra, fa capire Berlusconi, se poi Previti li faceva arrivare – chissà perché – sui conti di Attilio Pacifico, «che aveva un ufficio di import-export di denaro»...

Ma invece di spiegare, Berlusconi, abituato al fai-da-te
, si loda, si giudica e si assolve: «Non ho trovato nulla, non c’è nulla, non una prova, un indizio. Non c’è neppure il movente». E poi figurarsi – dice Berlusconi allargandosi un po’ – se avrei mai fatto operazioni illecite lasciando la firma, i segni della provenienza dei soldi... «Mi sarebbe bastato prenderli dalla mia tasca...».
Alla fine della estroversa esternazione, Ilda Boccassini tenta il colpaccio: chiede all’imputato se vuole rispondere a qualche sua domanda, visto che qualcuno (il cassiere Fininvest Livio Gironi) ha dichiarato nel processo che la Fininvest i soldi li distribuiva, all’occorrenza, proprio prendendoli da qualche capace «tasca». Berlusconi è costretto a battere in ritirata. Si capisce che di rispondere alle domande del pm non ha proprio nessuna voglia, ma non lo vuole dire. Se la cava ponendo allora una condizione impossibile per un imputato (secondo i codici): rispondo solo se venite a interrogarmi a palazzo Chigi.

Per il resto, è la solita musica:
subisco un processo che è un attacco politico, «mai vista tanta partigiana attenzione a un gruppo, dopo che mi sono impegnato in politica». Non è vero, Romiti e De Benedetti e mille altri sono stati indagati e processati e condannati. Ma la favola della persecuzione politica, a quanto pare, funziona ancora. Il presidente se ne va a testa alta. Ma la partita sul lodo Berlusconi non è chiusa. I Girotondi hanno ritrovato l’energia per protestare in tutta Italia contro la legge salvagente. L’accusa o le parti civili potranno sollevare la questione di costituzionalità davanti alla Consulta che, se risponderà in tempi brevi, potrebbe far riaprire il processo. E Di Pietro ha comunque già pronta la macchina organizzativa per raccogliere in poche settimane le firme necessarie a indire un referendum che abroghi il lodo salvagente. «E questa volta raggiungeremo il quorum», promette, «perché coinvolgeremo anche i tanti elettori del centrodestra che non sopportano i privilegi per i potenti».


Silvio, e i "piccioli"?

Le «dichiarazioni spontanee» di Berlusconi al processo di Milano, prima puntata, 5 maggio 2003. Getta fango su Prodi, ma quello è un altro processo (già fatto). Ammette di aver agito su mandato di Craxi. Ma allora ha mentito al giudice, sotto giuramento, nel 1985? Si confonde, sbaglia date e nomi. Due problemi aperti: perché non spiega le uscite dei soldi dai conti Fininvest nel 1991? E che rapporti ci sono tra Bettino, il caso Sme e il Decreto Berlusconi?



Nell’impero asburgico esisteva
la «medaglia di Maria Teresa». Era il premio ai soldati che, pur andando oltre gli ordini e la disciplina, riportavano vittorie sul nemico. Se lo sapesse, Silvio Berlusconi la vorrebbe: per aver bloccato la svendita della Sme, per aver salvato l’Italia dai comunisti... E la vorrebbe anche Giulio Andreotti: per aver governato questo Paese, per aver salvato dal logorio il potere della Dc...
Berlusconi e Andreotti, il presente e il passato di un’Italia che cambia tutto per non cambiare niente, nei giorni scorsi hanno avuto qualche incontro ravvicinato con i giudici. Berlusconi ha prima subìto le conseguenze politiche della pesante condanna inflitta al suo amico avvocato Cesare Previti nel processo toghe sporche-lodo Mondadori (vedi l’articolo a pagina 14), poi ha reagito accusando le toghe di «criminalità giudiziaria», infine è rientrato in campo (a gamba tesa) nel processo toghe sporche-Sme. Andreotti ha incassato, sornione, una (strana) assoluzione nel processo d’appello in cui era imputato per mafia a Palermo.

SILVIO BERLUSCONI ha fatto lo show
a Milano. Per tre anni si è tenuto lontano dall’aula di giustizia in cui si celebra il processo per le tangenti Sme. La mattina del 5 maggio 2003 si è materializzato, per fare «dichiarazioni spontanee». Ha parlato d’altro, rispetto al tema trattato nel dibattimento. Ha confessato di aver agito «su mandato di Craxi». E ha rivendicato di aver impedito la svendita a Carlo De Benedetti della Sme (la finanziaria di Stato che controllava le aziende alimentari con i marchi Motta, Alemagna, Cirio, De Rica). Dal punto di vista processuale, il suo monologo vale zero. Ma Berlusconi non ha parlato ai giudici, bensì ai giornali e alle tv: ha usato l’aula di giustizia per occupare la scena mediatica e gettare fango sul suo possibile avversario politico, Romano Prodi, sul quale ha proiettato le ombre di possibili tangenti.
È un altro processo, peraltro già fatto e già chiuso: Prodi ne è uscito pulito (e come mai Silvio, garantista immaginario, è così poco garantista con i suoi avversari?). A Berlusconi, populista vero, interessa non la giustizia, ma il consenso. In aula parla agli elettori, non ai giudici. Non vuol convincere il tribunale di essere innocente, ma gli elettori che anche il suo avversario non è uno stinco di santo.

È tanta la sua foga di risultare efficace
(per i media), che diventa perfino controproducente (per i giudici). Infila nel monologo una serie di errori: sostiene di aver avuto, all’epoca dei fatti, un «conto aperto con De Benedetti, che mi attaccava ogni giorno dai suoi giornali» – ma De Benedetti è diventato azionista di Repubblica solo molti anni dopo; cita Giovanni Tamburino, toga di Magistratura democratica, che gli ha dato ragione in Cassazione – ma Tamburino non è mai stato di Magistratura democratica, non è mai stato in Cassazione, non ha mai giudicato il caso Sme; chiede che il tribunale acquisisca alcune lettere di Craxi all’allora ministro delle Partecipazioni statali Clelio Darida – ma queste sono già agli atti da anni.
Infine ammette (per la prima volta) di essere intervenuto nella vicenda della vendita Sme non perché davvero interessato all’acquisto, ma soltanto per compiacere Craxi, allora presidente del Consiglio, per portare a termine una manovra politica (le privatizzazioni furono così bloccate e rinviate di un decennio): non è quello che ha dichiarato a verbale il 30 ottobre 1985, interrogato come testimone dal magistrato Luciano Infelisi, che per primo ha indagato su quelle vicende. Dunque nel 1985 Silvio ha mentito sotto giuramento?

La verità è che l’intervento di Berlusconi
«su mandato di Craxi» è del 1985. Pochi mesi prima, nell’ottobre 1984, era avvenuto un fatto che aveva suscitato qualche clamore: Craxi era intervenuto (con uno strumento di legge passato alla storia come «Decreto Berlusconi») per riaccendere le tre reti Fininvest oscurate dai pretori di Roma, Torino e Pescara, i quali applicavano la legge vigente secondo cui era illegittimo per un privato trasmettere su tutto il territorio nazionale. La scadenza del "decreto Berlusconi" è il 6 giugno 1985: Silvio interviene nel caso Sme una settimana prima...
Ciò di cui Berlusconi nel suo show non ha parlato – e che invece avrebbe dovuto affrontare, se fosse stato interrogato come imputato – è la questione cruciale del processo Sme: i piccioli, come dice Ilda Boccassini. Sono state pagate tangenti per ottenere sentenze contrarie a De Benedetti? Dove vanno a finire i soldi usciti dai conti Fininvest il 14 febbraio, il 1 marzo, il 26 aprile 1991? Come mai il 6 marzo di quell’anno, 434.404 dollari passano dal conto Ferrido (della Fininvest) al conto Mercier (dell’intermediario Cesare Previti) e arrivano al conto Rowena (del giudice romano Renato Squillante)?

GIULIO ANDREOTTI è stato assolto
a Palermo. Questa è la notizia passata sui giornali e la tv, la sera del 2 maggio 2003. Pierferdinando Casini e altri esponenti della vecchia Dc hanno subito dichiarato festosi che è finalmente restituito l’onore alla Democrazia cristiana. Sconfitti definitivamente Gian Carlo Caselli e i magistrati palermitani. Ma è davvero andata così?
La sentenza d’appello, in realtà, conferma l’assoluzione di primo grado solo a metà. Andreotti va assolto per le imputazioni del «capo b»: associazione mafiosa, per rapporti, incontri e contatti con Totò Riina e i corleonesi dopo il 1982. Evidentemente i giudici non hanno trovato convincenti le prove raccolte dall’accusa e le dichiarazioni di Balduccio Di Maggio. Ma la musica cambia per quanto riguarda il «capo a»: associazione a delinquere per aver avuto rapporti, incontri e contatti con i boss di Cosa nostra pre-corleonesi, con la mafia di Stefano Bontate e Tano Badalamenti, fino alla primavera 1980. Qui la sentenza d’appello «riforma» quella di primo grado (che era d’assoluzione), afferma che i fatti contestati sono veri, ma prende atto che nel dicembre 2002 (solo quattro mesi fa) sono scaduti i 22 anni e mezzo concessi dalla legge ed è scattata la prescrizione. Altro che onore restituito alla storia della Dc: i libri di storia potranno scrivere che Andreotti ha avuto rapporti, incontri e contatti con i boss mafiosi. Almeno fino alla primavera 1980, precisa il dispositivo della sentenza, cioè fino alla data dell’ultimo incontro in Sicilia tra «Zio Giulio» e il boss dei boss Stefano Bontate. In quegli anni Cosa nostra, in un’escalation colombiana, aveva ucciso a Palermo il capo della Mobile Boris Giuliano, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, il segretario della Dc Michele Reina, i giudici Cesare Terranova e Gaetano Costa, il presidente della Regione Piersanti Mattarella. A Roma, aveva fatto uccidere il giornalista Mino Pecorelli.

Ora, spenti i riflettori sullo show Berlusconi
e gli echi della sentenza Andreotti, l’Italia torna allo scontro politico quotidiano. La nuova trincea di Berlusconi sembra essere l’immunità. Per sé, da introdurre grazie all’idea regalatagli da un esponente dell’opposizione, Antonio Maccanico: sospensione dei processi per il capo del governo e le alte cariche dello Stato (che però non ne hanno bisogno). E per tutti i parlamentari, con conseguente salvataggio, tra gli altri, di Cesare Previti e Marcello Dell’Utri. Non sarà facile, anche per le diverse «disponibilità» degli alleati di Berlusconi. Più facile la via obliqua, già annunciata nello show, del rallentamento all’infinito del processo di Milano, a causa dei molteplici «impegni istituzionali» di Berlusconi, in Italia e in Europa (da luglio, sarà presidente di turno dell’Unione).
Come finirà questo scontro senza fine? In verità, c’è un’unica via d’uscita sana: il ricongiungimento di legge e legittimazione, oggi disgiunte, e la perdita di consenso elettorale di chi sta usando le istituzioni e la politica per salvarsi dai processi. Fino a oggi, la democrazia italiana ha tenuto. L’autonomia della magistratura ha funzionato. L’eversione non ha preso il sopravvento. Fino a dieci anni fa, in fondo, in questo Paese i conflitti di un certo livello si risolvevano a colpi di kalashnikov, o di autobomba.

7 maggio 2003



Benvenuto in Europa

Il semestre europeo del presidente italiano naufraga il primo giorno, con una frase scagliata contro un eurodeputato tedesco. Il giorno prima, in Italia, due leggi su misura avevano bloccato i processi a Berlusconi e a Previti. Sconcerto nelle opinioni pubbliche di tutta l'Unione. Una battutaccia contro Ilda Boccassini. La mano tesa di Fassino.


L'intervento di Martin Schulz, capogruppo socialdemocratico al Parlamento europeo, a cui Berlusconi ha risposto: «Lei è perfetto per un ruolo di kapò nazista in un film». E tutta la crisi minuto per minuto, dal sito www.igirotondi.it

In un giorno solo,
alla vigilia dell'avvio del semestre europeo, si bloccano i due processi contro Berlusconi e contro Previti. Grazie a due leggi su misura. La prima è nota, il lodo Maccanico (centrosinistra) riciclata da Schifani (centrodestra): sospende i processi a cinque alte autorità dello Stato, ma solo Berlusconi ne ha bisogno. Il suo processo per corruzione di giudici termina così il 30 giugno 2003, quando il tribunale di Milano sospende le udienze chiedendo alla Corte costituzionale di pronunciarsi sulla costituzionalità del lodo. Manifestamente anticostituzionale, secondo il pubblico ministero e la parte civile, poiché va contro sei articoli della Costituzione. Lede il principio d'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge; quello dell'obbligatorietà dell'azione penale; quello del diritto alla difesa (la sospensione è infatti obbligatoria, non prevede possibilità di rinuncia per chi volesse dimostrare nel processo la propria innocenza); contrasta contro la ragionevole durata del processo; viola i diritti della parte offesa che non può chiedere di ottenere giustizia; e non prevede una clausola che salvi il compimento degli atti urgenti.

In attesa che la Corte costituzionale decida
, ora tutto è rimandato alle calende greche. Ma in qualunque modo decida, il processo è morto: perché il 9 gennaio 2004 uno dei giudici a latere, Guido Brambilla, terminati i due anni di "applicazione" al tribunale, dovrà comunque lasciare il suo posto per raggiungere il nuovo incarico a cui è stato assegnato, al tribunale di sorveglianza. Il processo dovrà così ricominciare da capo, da zero, davanti ad altri giudici. Prescrizione assicurata. Ora però, a sorpresa, i giudici della prima sezione del tribunale, con presidente Luisa Ponti, hanno aggiunto un altro quesito alla Corte costituzionale: sono incostituzionali le regole del 1991 che non consentono a un giudice, trasferito altrove ma applicato a un processo, di restarvi oltre i due anni, per portarlo a termine? Se la Corte riterrà incostituzionale il lodo Maccanico-Schifani-Berlusconi, e se riterrà incostituzionale le norme sull'applicazione, allora il processo Berlusconi potrebbe riaprirsi e continuare da dove è stato interrotto.

Poi c'è la seconda legge su misura,
quella fatta per bloccare il processo a Previti. Si tratta della legge sul patteggiamento allargato, che concede agli imputati di patteggiare la pena anche per reati gravissimi, punibili con pene fino a cinque anni, ma che soprattutto concede uno stop di 45 giorni ai processi in corso, per dare modo agli imputati di riflettere se chiedere o no il patteggiamento. Una norma stravagante, che va contro la "ragionevole durata" dei processi, ma che serve a Previti per bloccare il processo per tre mesi: 45 giorni per pensare al patteggiamento (anche se ha già detto che non lo chiederà) più 45 giorni di pausa feriale estiva. Grazie a questa legge assurda – contro la quale è già stata sollevata l'eccezione d'incostituzionalità – l'intero sistema processuale italiano rischia un ingorgo senza precedenti. Ma intanto Previti ha guadagnato altri tre mesi... La prossima udienza è convocata per il 29 settembre (giorno, per uno scherzo del destino, del compleanno di Berlusconi).

Al pubblico ministero Ilda Boccassini,
che in aula ribadiva che l'accusa non concederà mai il proprio consenso (vincolante) al patteggiamento, anche perché per Previti la pena richiesta (11 anni) è ben superiore ai cinque previsti dalla legge, l'avvocato Sammarco, difensore di Previti, ha risposto: «Il pm confonde il presente con il futuro. E poi tra 45 giorni non sappiamo cosa accadrà al pm...». Una battuta, solo una battuta. Ma sinistra e agghiacciante, nell'Italia dei magistrati uccisi a colpi di kalashnikov o di tritolo, tanto più se rivolta a chi ha lavorato su importanti indagini di mafia, ha visto morire l'amico e maestro Giovanni Falcone e poi ha contribuito a farne arrestare gli assassini.

In questo bel clima, l'Italia entra
nel semestre europeo e Berlusconi arriva a Strasburgo. Preceduto da un fuoco di sbarramento dei giornali di tutta Europa, che fanno notare le anomalie di un leader politico che non ha risolto il proprio conflitto d'interessi e che vara leggi su misura per garantirsi l'impunità. Graham Watson, capogruppo liberale al Parlamento europeo, ha dichiarato: «Se l'Italia fosse un paese candidato all'adesione all'Unione europea, avrebbe qualche problema per esservi ammesso. Se l'Estonia avesse un capo di governo che fosse anche padrone di un gran numero di televisioni e buona parte della stampa, ci sarebbe una forte pressione europea. Oppure se la Slovacchia avesse un premier sotto accusa per aver corrotto dei magistrati e facesse adottare una legge per avere l'immunità, non diremmo certo che la Slovacchia è pronta è pronta per entrare nell'Unione».

Il più serafico è stato Fassino,
che fino all'ultimo ha teso la mano a Berlusconi, con una intervista al Corriere della sera alla vigilia dell'avvio del semestre, in cui prometteva sostegno bipartisan al presidente dei sei mesi dell'Unione. Poi è stato Berlusconi che ha rovesciato il tavolo (come al solito), con un'intervista durissima alla radio francese Europe 1. Perfino Fassino e compagnia hanno dovuto frenare gli intenti inciucisti. Attorno a loro, altri hanno continuato a dire: dobbiamo sostenere comunque Berlusconi, per sostenere il prestigio dell'Italia in Europa. Ma il prestigio e l'onore del paese si può sostenere ormai soltanto dissociandosi nettamente da un avventuriero che nelle repliche al suo discorso d'apertura del semestre, davanti al Parlamento di Strasburgo, infila un insulto a un parlamentare tedesco (gli consiglia di fare il kapò in un film sui nazisti) provocando un imbarazzante, gravissimo incidente diplomatico, con seguito di scuse fatte al cancelliere tedesco ma smentite dal presidente italiano. (E la Rai? Mentre i giornalisti di tutto il mondo raccontano l'incredibile gaffe di Silvio, Tg1 e Tg2 nelle loro edizioni subito dopo il fatto nascondono la notizia, come si conviene a telegiornali di regime: e perfino Galli della Loggia, sul Corriere, lo nota e rimprovera).

Dopo aver dato del kapò a Schulz
, Berlusconi tenta qualche giustificazione: «Era solo una battuta. Del resto in Italia da anni girano storielle sull'Olocausto» perché, spiega, gli italiani sanno ridere anche di «una tragedia come quella». Pezo el tacon del buso, la giustificazione peggiora la situazione: immediata reazione del portavoce della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici: «Questa è un'offesa agli italiani che si indignano di fronte a quei pochi imbecilli che raramente raccontano storielle sull'Olocausto: Berlusconi trovi il modo di riferire a quali storielle si riferiva, altrimenti questo sarebbe davvero uno scherzo di cattivo gusto».

Prima del kapò, invece, Berlusconi
nella sua replica aveva fatto un'incredibile ammissione a proposito delle leggi su misura: «Abbiamo il record di 350 disegni di legge e decreti legge... Se ci si riferisce ai tre testi adottati con gli strumenti della democrazia in risposta ad azioni derivanti dall'esercizio di un ruolo di funzionari della giustizia mirante ad attaccare, con la giustizia, i nemici politici, ebbene si tratta solo di tre casi su 350, quindi appena l'1 per cento». Quantità, percentuali: come se la democrazia fosse ricavabile da una media statistica. Se per decreto abolisse il Parlamento, sarebbe solo una legge su centinaia, una percentuale insignificante...

Berlusconi si porta a Bruxelles
, come simbolo del semestre europeo, insieme alla testa dell'imperatore Adriano, la statua di un cavallo. Per ricordare un certo stalliere, assunto ai primi passi della sua carriera?

2 luglio 2003


L'intervento di Martin Schulz, capogruppo socialdemocratico al Parlamento europeo, a cui Berlusconi ha risposto: «Lei è perfetto per un ruolo di kapò nazista in un film». E tutta la crisi minuto per minuto, dal sito www.igirotondi.it


Dossier Berlusconi


L'opuscolo "Berlusconi", tradotto in quattro lingue (francese, inglese, spagnolo e tedesco) è stato distribuito da Gianni Vattimo (su domanda del quale il libretto stesso è stato redatto) a tutti i Parlamentari europei nel pomeriggio del 2 luglio 2003, giorno della presentazione, da parte del presidente del Consiglio dei ministri italiano Silvio Berlusconi, del programma della presidenza italiana dell'Unione europea. Editing del documento (cartaceo e on line): Mario Cedrini e Stefano Cardone.



BERLUSCONI

di Marco Travaglio e Peter Gomez

INDICE:
- Lettera di presentazione di Gianni Vattimo
- Vita di Berlusconi. Cronologia
- Berlusconi e i suoi misteri
- Tutti i processi di Berlusconi
- Tutto ciò che penso di Berlusconi (di Umberto Bossi)
- Tutte le bugie di Berlusconi


Lettera di presentazione di Gianni Vattimo


Caro Collega,
il breve testo che troverà in allegato è una sommaria presentazione del personaggio che, secondo le regole della rotazione, occuperà nel prossimo semestre il posto di presidente del Consiglio Europeo. Questa presentazione è stata preparata da due giornalisti italiani, Marco Travaglio e Peter Gomez, che da tempo seguono le vicende politiche e giudiziarie di Silvio Berlusconi e ne scrivono sulla stampa italiana. Non sempre, però, queste vicende sono conosciute adeguatamente negli altri Paesi dell'Unione. So bene che proprio in questi giorni, in occasione dell'inizio del "semestre italiano", molta stampa europea ha fornito più informazioni del solito sul discusso personaggio. Ma siccome si attribuisce agli italiani, anche ai partiti di opposizione, l'intenzione di contribuire al "successo" del semestre europeo del nostro premier, io diffondo questo opuscolo informativo proprio perché non intendo contribuire in alcun modo a tale successo. Anzi, credo che un vero successo dell'Italia, e anche dell'Europa, si possa realizzare solo riducendo al minimo il danno che la democrazia, l'indipendenza dell'Europa dagli Usa, la libertà di informazione, la lotta contro la corruzione, possono ricevere dalla presidenza europea di Silvio Berlusconi. Una conoscenza dettagliata e, nonostante le apparenze, obiettiva, della sua storia affaristico-politico-giudiziaria può, spero, servire a questo scopo.
Un cordiale saluto, Gianni Vattimo

VITA DI BERLUSCONI . CRONOLOGIA


1936. Nasce a Milano il 29 settembre, primo di tre figli (due maschi e una femmina) di Luigi Berlusconi, impiegato alla Banca Rasini, e Rosa Bossi, casalinga.

1954. Prende la maturità classica al liceo salesiano Copernico e s'iscrive all'Università Statale, facoltà di Giurisprudenza. A tempo perso, vende spazzole elettriche porta a porta, fa il fotografo ai matrimoni e ai funerali, suona il basso e canta nella band dell'amico d'infanzia Fedele Confalonieri (anche sulle navi da crociera).

1957. Primo impiego saltuario nella Immobiliare costruzioni.

1961. Si laurea in legge con 110 e lode, a Milano: tesi sugli aspetti giuridici del contratto pubblicitario, e vince una borsa di studio di 2 milioni messa in palio dalla concessionaria Manzoni. Evita, non si sa come, il servizio militare. E si dà all'edilizia, acquistando un terreno in via Alciati, grazie alla garanzia fornitagli dal banchiere Carlo Rasini, che gli procura anche un socio, il costruttore Pietro Canali. Nasce la Cantieri Riuniti Milanesi.

1963. Fonda la Edilnord Sas: soci accomandanti Carlo Rasini e il commercialista svizzero Carlo Rezzonico (per la misteriosa finanziaria luganese Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag). Nel 1964 apre un cantiere a Brugherio per edificare una città-modello da 4 mila abitanti. Nel 1965 è pronto il primo condominio, di cui però non riesce a vendere nemmeno un appartamento. Poi, non si sa come, riesce a venderlo al Fondo di previdenza dei dirigenti commerciali.

1965. Sposa Carla Elvira Dall'Oglio, genovese, che gli darà due figli: Maria Elvira (1966) e Piersilvio (1969).

1968. Nasce l'Edilnord 2, acquistando terreni a Segrate, dove sorgerà Milano 2.

1969. Brugherio è completa con 1000 appartamenti venduti.

1973. Fonda la Italcantieri Srl, grazie ad altre due misteriose fiduciarie ticinesi, la Cofigen (legata al finanziere Tito Tettamanti) e la Eti AG Holding (amministrata dal finanziere Ercole Doninelli). Acquista ad Arcore, grazie ai buoni uffici dell'amico Cesare Previti, la villa Casati Stampa con tutti i terreni ad Arcore, a prezzo di superfavore. Previti infatti è pro-tutore dell'unica erede dei Casati Stampa, la contessina dodicenne Annamaria, e contemporaneamente amico di Silvio e in affari con lui.

1974. Grazie a due fiduciarie della Bnl, la Servizio Italia e la Saf, nasce l'Immobiliare San Martino, amministrata da un ex compagno di università, Marcello Dell'Utri, palermitano. In un condominio di Milano 2 nasce una tv via cavo, Telemilano 58, che passerà ben presto all'etere col nome di Canale 5. Berlusconi si trasferisce con la famiglia a villa Casati, affiancato dal boss mafioso Vittorio Mangano, assunto in Sicilia da Dell'Utri come "fattore", cioè come amministratore della casa e dei terreni. Mangano lascerà Arcore soltanto un anno e mezzo - due anni più tardi, in seguito a due arresti e a un'inchiesta a suo carico per il sequestro di un ospite della villa amico di Berlusconi.

1975. Le due fiduciarie danno vita alla Fininvest. Nascono anche la Edilnord e la Milano 2. Ma Berlusconi non compare mai: inabissato e schermato da una miriade di prestanomi dal 1968 al 1975, quando diventa presidente di Italcantieri, e al 1979, quando assumerà la presidenza della Fininvest.

1977. Appena divenuto Cavaliere del Lavoro, acquista una quota dell'editrice de Il Giornale, fondato nel 1974 da Indro Montanelli.

1978-1983. Riceve circa 500 miliardi al valore di oggi, di cui almeno una quindicina in contanti, per alimentare le 24 (poi salite a 37) Holding Italiana che compongono la Fininvest, di cui si ignora tutt'oggi la provenienza. Sono gli anni della scalata di Bettino Craxi, segretario del Psi dal 1976, al potere e della sua ascesa al governo.

1978. Si affilia alla loggia massonica deviata e occulta "Propaganda 2" (P2) del maestro venerabile Licio Gelli, a cui è stato presentato dal giornalista Roberto Gervaso. Tessera numero 1816. Di lì a poco comincerà a ricevere crediti oltre ogni normalità dal Monte dei Paschi e dalla Bnl (due banche con alcuni uomini-chiave affiliati alla P2). E inizierà a collaborare, con commenti di politica economica, al "Corriere della Sera", controllato dalla P2 tramite Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din. La P2 verrà poi sciolta, in quanto "eversiva", con un provvedimento del governo Spadolini.

1980. Berlusconi fonda, con Marcello Dell'Utri, Publitalia 80, la concessionaria pubblicitarie per le reti tv. Conosce l'attrice Veronica Lario, al secolo Miriam Bartolini, che recita in uno spettacolo al teatro Manzoni di Milano senza veli. Se ne innamora. La nasconde per tre anni in un'ala segreta della sede Fininvest in Via Rovani a Milano. Poi la donna rimane incinta e nel 1984, sempre nel segreto più assoluto, partorisce in Svizzera una bambina, Barbara. Berlusconi la riconosce. Padrino di battesimo, Bettino Craxi.

1981. I giudici milanesi Gherardo Colombo e Giuliano Turone, indagando sui traffici del bancarottiere mafioso e piduista Michele Sindona, trovano gli elenchi degli affiliati alla loggia P2. Ma Berlusconi non subisce danni dallo scandalo che travolge il governo, l'esercito, i servizi segreti e il mondo del giornalismo.

1982. Berlusconi acquista l'emittente televisiva Italia 1 dall'editore Edilio Rusconi.

1984. Berlusconi acquista l'emittente Rete 4 dalla Mondadori: ormai è titolare di tre network televisivi nazionali, e può entrare in concorrenza diretta con la Rai. Ma tre pretori, di Torino, Pescara e Roma, sequestrano gli impianti che consentono le trasmissioni illegali di programmi in "interconnessione", cioè in contemporanea su tutto il territorio nazionale. Craxi vara un decreto urgente (il primo "decreto Berlusconi") per legalizzare la situazione illegale. Ma il decreto non viene convertito in legge perché incostituzionale. Craxi ne vara un altro (il secondo "decreto Berlusconi"), minacciando i partiti alleati di andare alle elezioni anticipate in caso di nuova bocciatura del decreto. E nel febbraio '85 il decreto sarà approvato, dopo che il governo avrà posto la questione di fiducia.

1985. Berlusconi divorzia da Carla Dell'Oglio e ufficializza il legame con Veronica, che gli darà altri due figli: Eleonora (1986) e Luigi (1988). Le seconde nozze verranno celebrate, con rito civile, nel 1990, officiante il sindaco socialista di Milano Paolo Pillitteri, cognato di Craxi. Testimoni degli sposi, Bettino e Anna Craxi, Confalonieri e Gianni Letta.

1986. Berlusconi acquista il Milan Calcio e ne diviene presidente (nel 1988 vincerà il suo primo scudetto). Intanto fallisce l'operazione La Cinq in Francia, che chiuderà definitivamente i battenti nel '90. E' Jacques Chirac a cacciarlo dal suolo francese, definendolo "venditore di minestre".

1988. Il governo De Mita annuncia la legge Mammì sul sistema radiotelevisivo. Che in pratica fotografa il duopolio Rai-Fininvest, senza imporre al Cavaliere alcun autentico tetto antitrust. Berlusconi acquista la Standa. La legge verrà approvata nel 1990.

1989-1991. Lunga battaglia fra Berlusconi e De Benedetti per il controllo della Mondadori, la prima casa editrice che controlla quotidiani (La Repubblica e 13 giornali locali), settimanali (Panorama, Espresso, Epoca) e tutto il settore libri. Grazie a una sentenza del giudice Vittorio Metta, che il tribunale di Milano riterrà poi comprata con tangenti dall'avvocato Previti per conto di Berlusconi, il Cavaliere strappa la Mondadori al suo concorrente. Una successiva mediazione politica porterà poi alla restituzione a De Benedetti almeno di Repubblica, Espresso e giornali locali. Tutto il resto rimarrà a Berlusconi.

1990. Il Parlamento vara la legge Mammì, fra le polemiche: Berlusconi può tenersi televisioni (nel frattempo è entrato anche nel business di Telepiù) e Mondadori, dovendo soltanto "spogliarsi" de Il Giornale (che viene girato nel '90 al fratello Paolo).

1994. Berlusconi, ormai orfano dei partiti amici, travolti dallo scandalo di Tangentopoli, entra direttamente in politica, fonda il partito di Forza Italia, vince le elezioni politiche del 27 marzo alla guida del Polo delle Libertà e diventa presidente del Consiglio. Il 21 novembre viene coinvolto nell'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di Finanza. Il 22 dicembre è costretto a dimettersi, per la mozione di sfiducia della Lega Nord, che non condivide più la sua politica sociale e preme per la risoluzione del conflitto d'interessi.

1996. Berlusconi, indagato nel frattempo anche per storie di mafia, falso in bilancio, frode fiscali e soprattutto corruzione giudiziaria insieme a Previti, si ricandida alle elezioni politiche, ma perde. Vince il candidato del centrosinistra (Ulivo), Romano Prodi. Trascorrerà 5 anni all'opposizione, alle prese con una serie di inchieste giudiziarie e di processi, conclusi con diverse condanne in primo grado, poi trasformate in prescrizioni e (raramente) in assoluzioni in appello e in Cassazione.

2001. Il 15 maggio vince le elezioni alla guida della Casa delle Libertà e torna alla presidenza del Consiglio.

BERLUSCONI E I SUOI MISTERI


La vita e la carriera dell'imprenditore Silvio Berlusconi, nonostante le biografie autorizzate che il protagonista ha fatto pubblicare o propiziato nel corso degli anni con fini auto-agiografici, rimane costellata di buchi neri e di domande senza risposta. Piccolo riepilogo degli omissis più inquietanti.

1) La Edilnord Sas è la società fondata nel 1963 da Silvio Berlusconi per costruire Milano 2. Soci accomandatari (quelli che vi operano), oltre al futuro Cavaliere, sono il commercialista Edoardo Piccitto e i costruttori Pietro Canali, Enrico Botta e Giovanni Botta. Soci accomandanti (quelli che finanziano l'operazione) il banchiere Carlo Rasini, titolare dell'omonima banca con sede in via dei Mercanti a Milano, e l'avvocato d'affari Renzo Rezzonico, legale rappresentante di una finanziaria di Lugano: la "Finanzierungesellschaft für Residenzen Ag", di cui nessuno conoscerà mai i reali proprietari. Si tratta comunque di gente molto ottimista, se ha affidato enormi capitali a Berlusconi, cioè a un giovanotto di 27 anni che, fino a quel momento, non ha dato alcuna prova imprenditoriale degna di nota.

2) Sulla banca Rasini, dove il padre Luigi Berlusconi lavora per tutta la vita, da semplice impiegato a direttore generale, ecco la risposta di Michele Sindona (bancarottiere piduista legato a Cosa Nostra e riciclatore di denaro mafioso) al giornalista americano Nick Tosches, che nel 1985 gli domanda quali siano le banche usate dalla mafia: "In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in piazza Mercanti". Cioè la Rasini, dove - ripetiamo - Luigi Berlusconi, padre di Silvio, ha lavorato per tutta a vita, fino a diventarne il procuratore generale. Alla Rasini tengono i conti correnti noti mafiosi e narcotrafficanti siciliani come Antonio Virgilio, Salvatore Enea, Luigi Monti, legati a Vittorio Mangano, il mafioso che lavora come fattore nella villa di Berlusconi fra il 1973 e il 1975.

3) Il 29 ottobre 1968 nasce la Edilnord Centri Residenziali Sas (una sorta di Edilnord 2): stavolta, al posto di Berlusconi, come socio accomandatario c'è sua cugina Lidia Borsani, 31 anni. E i capitali li fornisce un'altra misteriosa finanziaria luganese, la "Aktiengesellschaft für Immobilienanlagen in Residenzentren Ag" (Aktien), fondata da misteriosi soci appena 10 giorni prima della nascita di Edilnord 2. Berlusconi da questo momento sparisce nel nulla, coperto da una selva di sigle e prestanome. Riemergerà solo nel 1975 per presiedere la Italcantieri, e nel 1979, come presidente della Fininvest. Intanto nascono decine di società intestate a parenti e figuranti, controllate da società di cui si ignorano i veri titolari. Come ha ricostruito Giuseppe Fiori nel libro "Il venditore" (Garzanti, 1994, Milano), Italcantieri nasce nel 1973, costituita da due fiduciarie ticinesi: "Cofigen Sa" di Lugano (legata al finanziere Tito Tettamanzi, vicino alla massoneria e all'Opus Dei) e "Eti A.G.Holding" di Chiasso (amministrata da un finanziere di estrema destra, Ercole Doninelli, proprietario di un'altra società, la Fi.Mo, più volte inquisita per riciclaggio, addirittura con i narcos colombiani).

4) Nel 1974 nasce la "Immobiliare San Martino", amministrata da Marcello Dell'Utri e capitalizzata da due fiduciarie del parabancario Bnl: la Servizio Italia (diretta dal piduista Gianfranco Graziadei) e la Saf (Società Azionaria Finanziaria, rappresentata da un prestanome cecoslovacco, Frederick Pollack, nato nientemeno che nel 1887). A vario titolo e con vari sistemi e prestanome, "figlieranno" una miriade di società legate a Berlusconi e ai suoi cari: a cominciare dalle 34 "Holding Italiana" che controllano il gruppo Fininvest. Secondo il dirigente della Banca d'Italia Francesco Giuffrida e il sottufficiale della Guardia di Finanza Giuseppe Ciuro, consulenti tecnici della Procura di Palermo al processo contro Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, queste finanziarie hanno ricevuto fra il 1978 e il 1985 almeno 113 miliardi (pari a 502 miliardi di lire e 250 milioni di euro di oggi), in parte addirittura in contanti e in assegni "mascherati", dei quali tuttoggi "si ignora la provenienza". La Procura di Palermo sostiene che sono i capitali mafiosi "investiti" nel Biscione dalle cosche legate al boss Stefano Bontate. La difesa afferma che si tratta di autofinanziamenti, anche se non spiega da dove provenga tutta quella liquidità. Lo stesso consulente tecnico di Berlusconi, il professor Paolo Jovenitti, ammette l'"anomalia" e l'incomprensibilità di alcune operazioni dell'epoca.

5) Nel 1973 Silvio Berlusconi acquista da Annamaria Casati Stampa di Soncino, ereditiera minorenne della nota famiglia nobiliare lombarda rimasta orfana nel 1970, la settecentesca Villa San Martino ad Arcore, con quadri d'autore, parco di un milione di metri quadrati, campi da tennis, maneggio, scuderie, due piscine, centinaia di ettari di terreni. La Casati è assistita da un pro-tutore, l'avvocato Cesare Previti, che è pure un amico di Berlusconi, figlio di un suo prestanome (il padre Umberto) e dirigente di una società del gruppo (la Immobiliare Idra). Grazie alla fortunata coincidenza, la favolosa villa con annessi e connessi viene pagata circa 500 milioni dell'epoca: un prezzo irrisorio. E, per giunta, non in denaro frusciante, ma in azioni di alcune società immobiliari non quotate in borse, così che, quando la ragazza si trasferisce in Brasile e tenta di monetizzare i titoli, si ritrova con una carrettate di carta. A quel punto, Previti e Berlusconi offrono di ricomprare le azioni, ma alla metà del prezzo inizialmente pattuito. Una sentenza del Tribunale di Roma, nel 2000, ha assolto gli autori del libro "Gli affari del presidente", che raccontava l'imbarazzante transazione.

6) Nel 1973 Berlusconi, tramite Marcello Dell'Utri, ingaggia come fattore (ma recentemente Dell'Utri l'ha promosso "amministratore della villa") il noto criminale palermitano, pluriarrestato e pluricondannato Vittorio Mangano. Il quale lascerà la villa solo due anni più tardi, quando verrà sospettato di aver organizzato il sequestro di Luigi d'Angerio principe di Sant'Agata, che aveva appena lasciato la villa di Arcore dopo una cena con Berlusconi, Dell'Utri e lo stesso Mangano. Mangano verrà condannato persino per narcotraffico (al maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino) e, nel 1998, all'ergastolo per omicidio e mafia.

7) Il 26 gennaio 1978 Silvio Berlusconi si affilia alla loggia Propaganda 2 (P2), presentato al gran maestro venerabile Licio Gelli dall'amico giornalista Roberto Gervaso. Paga regolare quota di iscrizione (100 mila lire) e viene registrato con la tessera 1816, codice E.19.78, gruppo 17, fascicolo 0625. La partecipazione al pio sodalizio gli procaccerà vantaggi di ogni genere: dai finanziamenti della "Servizio Italia" di Graziadei ai crediti facili e ingiustificati del Monte dei Paschi di Siena (di cui è provveditore il piduista Giovanni Cresti) alla collaborazione con il "Corriere della Sera" diretto dal piduista Franco Di Bella e controllato dalla Rizzoli dei piduisti Angelo Rizzoli, Bruno Tassan Din e Umberto Ortolani.

8) Il 24 ottobre 1979 Silvio Berlusconi riceve la visita di tre ufficiali della Guardia di Finanza nella sede dell'Edilnord Cantieri Residenziali. Si spaccia per un "un semplice consulente esterno" addetto "alla progettazione di Milano 2". In realtà è il proprietario unico della società, intestata a Umberto Previti. Ma i militari abboccano e chiudono in tutta fretta l'ispezione, sebbene abbiano riscontrato più di un'anomalia nei rapporti con i misteriosi soci svizzeri. Faranno carriera tutti e tre. Si chiamano Massimo Maria Berruti, Salvatore Gallo e Alberto Corrado. Berruti, il capopattuglia, lascerà le Fiamme Gialle pochi mesi dopo per andare a lavorare per la Fininvest come avvocato d'affari (società estere, contratti dei calciatori del Milan, e così via). Arrestato nel 1985 nello scandalo Icomec (e poi assolto), tornerà in carcere nel 1994 insieme a Corrado per i depistaggi nell'inchiesta sulle mazzette alla Guardia di Finanza, poi verrà eletto deputato per Forza Italia e condannato in primo e secondo grado a 8 mesi di reclusione per favoreggiamento. Gallo risulterà iscritto alla loggia P2.

9) Il 30 maggio 1983 la Guardia di Finanza di Milano, che sta controllando i telefoni di Berlusconi nell'ambito di un'inchiesta su un traffico di droga, redige un rapporto investigativo in cui si legge: "E' stato segnalato che il noto Silvio Berlusconi finanzierebbe un intenso traffico di stupefacenti dalla Sicilia, sia in Francia che in altre regioni italiane (Lombardia e Lazio). Il predetto sarebbe al centro di grosse speculazioni in Costa Smeralda avvalendosi di società di comodo aventi sede a Vaduz e comunque all'estero. Operativamente le società in questione avrebbero conferito ampio mandato ai professionisti della zona". Per otto anni l'indagine, seguita inizialmente dal pm Giorgio Della Lucia (poi passato all'Ufficio istruzione, da anni imputato per corruzione in atti giudiziari insieme al finanziere Filippo Alberto Rapisarda, ex datore di lavoro ed ex socio di Marcello Dell'Utri) langue, praticamente dimenticata. Alla fine, nel 1991, il gip milanese Anna Cappelli archivierà tutto.

10) Il terzo, seccante incontro ravvicinato fra il Cavaliere e la Legge risale al 16 ottobre 1984. Tre pretori, di Torino, Roma e Pescara, hanno la pretesa di applicare le norme che regolano l'emittenza televisiva e che il Cavaliere ha deciso di aggirare, trasmettendo in contemporanea gli stessi programmi su tutto il territorio nazionale. I tre magistrati fanno presente che è vietato, non si può e bloccano le attrezzature che consentono l'operazione fuorilegge. Il Cavaliere oscura le sue tv, per attribuire il black out ai giudici, poi scatena il popolo dei teledipendenti con lo slogan "Vietato vietare", opportunamente rilanciato dallo show del giornalista piduista Maurizio Costanzo. Lo slogan viene subito tradotto in legge dal presidente del Consiglio Bettino Craxi. Il quale abbandona una visita di Stato a Londra per precipitarsi in Italia e varare un decreto legge ad personam ("decreto Berlusconi") che riaccende immediatamente le tv illegali del suo compare. Lo scandalo è talmente enorme che, persino nel pentapartito, qualcuno non ci sta. E il decreto viene bocciato dall'aula come incostituzionale. Due dei tre pretori reiterano il sequestro penale delle attrezzature utilizzabili oltre l'ambito locale. Così Craxi partorisce un secondo decreto Berlusconi, agitando davanti ai riottosi partiti alleati lo spauracchio della crisi di governo e delle elezioni anticipate, in caso di mancata conversione in legge. Provvederà poi lo stesso Caf a legalizzare il monopolio illegale Fininvest sulla televisione commerciale con la legge Mammì, detta anche "legge-Polaroid" per l'alta fedeltà con cui fotografa lo status quo.

TUTTI I PROCESSI DI BERLUSCONI


Bugie sulla loggia P2 (falsa testimonianza)

La Corte d'appello di Venezia, nel 1990, dichiara Berlusconi colpevole di aver giurato il falso davanti al Tribunale di Verona a proposito della sua iscrizione alla P2, ma il reato è coperto dall'amnistia del 1989. Interrogato sotto giuramento Berlusconi aveva detto: "Non ricordo la data esatta della mia iscrizione alla P2, ricordo comunque che è di poco anteriore allo scandalo […]. Non ho mai pagato una quota di iscrizione, né mai mi è stata richiesta". Berlusconi però si era iscritto alla P2 nel 1978 (lo scandalo è del 1981) e aveva pagato la sua quota. Così i giudici della Corte d'appello di Venezia scrivono: "Ritiene il Collegio che le dichiarazioni dell'imputato non rispondano a verità […], smentite dalle risultanze della commissione Anselmi e dalle stesse dichiarazioni rese del prevenuto avanti al giudice istruttore di Milano, e mai contestate […]. Ne consegue quindi che il Berlusconi ha dichiarato il falso", rilasciato "dichiarazioni menzognere" e "compiutamente realizzato gli estremi obiettivi e subiettivi del delitto di falsa testimonianza". Ma "il reato va dichiarato estinto per intervenuta amnistia".

Tangenti alla Guardia di Finanza (corruzione)

I grado: condanna a 2 anni e 9 mesi per tutte e quattro le tangenti contestate (niente attenuanti generiche). Appello: prescrizione per tre tangenti (grazie alle attenuanti generiche), assoluzione con formula dubitativa (comma II art.530 c.p.p) per la quarta. Nelle motivazioni si legge: "Il giudizio di colpevolezza dell'imputato poggia su molteplici elementi indiziari, certi, univoci, precisi e concordanti, per ciò dotati di rilevante forza persuasiva, tali da assumere valenza probatoria". Cassazione: assoluzione. La motivazione contiene due riferimenti alla classica insufficienza di prove. La Cassazione non può entrare dichiaratamente nel merito, né dunque annullare la sentenza precedente con formula dubitativa: deve emettere un verdetto secco (conferma oppure annulla). Ma nella motivazione i giudici della VI sezione penale rimandano esplicitamente all'"articolo 530 cpv": dove "cpv" significa "capoverso", cioè comma 2 ("prova contraddittoria o insufficiente"). A 12 righe dalla fine, a scanso di equivoci, i supremi giudici hanno voluto essere ancora più chiari. Si legge infatti: "Tenuto conto di quanto già osservato sulla insufficienza probatoria, nei confronti di Berlusconi, del materiale indiziario utilizzato dalla Corte d'appello...".

All Iberian 1 (finanziamento illecito ai partiti)

I grado: condanna a 2 anni e 4 mesi per i 21 miliardi versati estero su estero, tramite il conto All Iberian, a Bettino Craxi. Appello: il reato cade in prescrizione, ma c'è: "per nessuno degli imputati emerge dagli atti l'evidenza dell'innocenza". Cassazione: prescrizione confermata, con condanna al pagamento delle spese processuali. Nella sentenza definitiva tra l'altro si legge: "Le operazioni societarie e finanziarie prodromiche ai finanziamenti estero su estero dal conto intestato alla All Iberian al conto di transito Northern Holding [Craxi] furono realizzate in Italia dai vertici del gruppo Fininvest spa, con il rilevante concorso di Berlusconi quale proprietario e presidente. […] Non emerge negli atti processuali l'estraneità dell'imputato".

All Iberian 2 (falso in bilancio)

Processo sospeso in attesa che sulla legittimità delle nuove norme in materia di reati societari approvate dal governo Berlusconi si pronuncino l'Alta Corte di giustizia europea e la Corte costituzionale italiana. Se le eccezioni sollevate da vari tribunali verranno respinte, il reato sarà dichiarato prescritto.

Medusa Cinema (falso in bilancio)

I grado: condanna a 1 anno e 4 mesi (10 miliardi di fondi neri che, grazie alla compravendita, vengono accantonati su una serie di libretti al portatore di Silvio Berlusconi). Appello: assoluzione con formula dubitativa (comma 2 art. 530). Berlusconi, secondo il collegio è così ricco che potrebbe anche non essersi reso conto di come, nel corso della compravendita, il suo collaboratore Carlo Bernasconi (condannato) gli abbia versato 10 miliardi di lire in nero. Scrivono i giudici: "La molteplicità dei libretti riconducibili alla famiglia Berlusconi e le notorie rilevanti dimensioni del patrimonio di Berlusconi postulano l'impossibilità di conoscenza sia dell'incremento sia soprattutto dell'origine dello stesso". Cassazione: sentenza d'appello confermata.

Terreni di Macherio (appropriazione indebita, frode fiscale, falso in bilancio)

I grado: assoluzione dall'appropriazione indebita e dalla frode fiscale (per 4.4 miliardi di lire pagati in nero all'ex proprietario dei terreni che circondano la villa di Macherio, dove vivono la moglie Veronica e i tre figli di secondo letto), prescrizione per i falsi in bilancio di due società ai quali "indubbiamente ha concorso Berlusconi". Appello: confermata l'assoluzione dalle prime due accuse. Assoluzione anche dal primo dei due falsi in bilancio, mentre il secondo rimane ma è coperto da amnistia. Cassazione: in corso.

Caso Lentini (falso in bilancio)

I grado: il reato (10 miliardi versati in nero al Torino Calcio in occasione dell'acquisto del giocatore Luigi Lentini) è stato dichiarato prescritto grazie alla nuova legge sul falso in bilancio. Appello: in corso.

Consolidato gruppo Fininvest (falso in bilancio)

Il gip Fabio Paparella ha dichiarato prescritti, sulla base della nuova legge sul falso in bilancio, i 1500 miliardi di lire di presunti fondi neri accantonati dal gruppo Berlusconi su 64 off-shore della galassia All Iberian (comparto B della Fininvest). Il pm Francesco Greco ha presentato ricorso in Cassazione perché la mancata fissazione dell'udienza preliminare gli ha impedito di sollevare un'eccezione d'incostituzionalità e di incompatibilità con le direttive comunitarie delle nuove norme sui reati societari e con il trattato dell'Ocse.

Lodo Mondadori (corruzione giudiziaria).

Grazie alla concessione delle attenuanti generiche il reato - che in primo grado ha portato alla condanna di Cesare Previti - è stato dichiarato prescritto dalla Corte d'Appello di Milano e dalla Corte di Cassazione. Nelle motivazioni della Cassazione, tra l'altro, si legge: "il rilievo dato [per concedere le attenuanti generiche] alle attuali condizioni di vita sociale ed individuale del soggetto [Berlusconi è diventato presidente del Consiglio], valutato dalla Corte come decisivo, non appare per nulla incongruo…".

Sme-Ariosto (corruzione giudiziaria)

A causa dei continui "impedimenti istituzionali" sollevati da Berlusconi e dei conseguenti rinvii delle udienze, la posizione del premier è stata stralciata dal processo principale. Ed è stato creato un processo parallelo, che però Berlusconi ha sospeso fino al termine del suo incarico (o sine die, in caso di rielezione o di nomina ad altra carica istituzionale) facendo approvare a tempo di record il Lodo Maccanico, proprio alla vigilia della requisitoria, delle arringhe e della sentenza, e a 40 mesi dall'inizio del dibattimento.

Sme-Ariosto (falso in bilancio)

In seguito all'entrata in vigore delle nuove norme sul diritto societario, questo capo d'imputazione contestato a Berlusconi per il denaro versato - secondo l'accusa- ad alcuni giudici, è stato stralciato. Il processo è fermo in attesa che l'Alta Corte di giustizia europea si pronunci sulla conformità tra le nuove regole e le normative comunitarie. Ma, anche in caso di risposta positiva per i giudici, resterà bloccato per il Lodo Maccanico. Come tutti gli altri procedimenti ancora in corso a carico di Silvio Berlusconi.

Diritti televisivi (falso in bilancio e frode fiscale)

Indagini preliminari in corso alla Procura di Milano (pm Alfredo Robledo e Fabio De Pasquale), a carico di numerosi manager del gruppo, più il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri e il titolare Silvio Berlusconi, il quale - secondo l'ipotesi accusatoria - avrebbe continuato anche dopo l'ingresso in politica nel '94 ad esercitare di fatto il ruolo di dominus dell'azienda. Oggetto dell'indagine: una serie di operazioni finanziarie di acquisto di diritti cinematografici e televisivi da majors americane, con vorticosi passaggi fra una società estera e l'altra del gruppo Berlusconi, con il risultato di far lievitare artificiosamente il prezzo dei beni compravenduti e beneficiare di sconti fiscali previsti dalla legge Tremonti, approvata dal primo governo dello stesso Berlusconi per detassare gli utili reinvestiti dalle imprese. Un presunto falso in bilancio che i magistrati valutano in circa 180 milioni di euro nel 1994.

Telecinco (violazione delle leggi antitrust e frode fiscale in Spagna)

Il giudice anticorruzione di Madrid Baltasàr Garzòn Real, dopo aver chiesto nel 2001 al governo italiano di processare Berlusconi o, in alternativa, di privarlo dell'immunità in modo di poterlo giudicare in Spagna, non ha ancora ricevuto risposta. Per questo il procuratore anticorruzione Carlo Castresana, nel maggio 2002, ha pregato Garzòn di rivolgersi di nuovo alle autorità italiane. Berlusconi in Spagna è accusato - insieme a Marcello Dell'Utri e ad altri dirigenti del gruppo Fininvest - di aver posseduto, grazie a una serie di prestanomi e di operazioni finanziarie illecite, il controllo pressoché totalitario dell'emittente Telecinco eccedenti rispetto ai limiti dell'antitrust spagnola, negli anni in cui il tetto massimo era del 25 per cento delle quote azionarie.

Mafia (concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio di denaro sporco)

Indagini archiviate a Palermo su richiesta della Procura per scadenza dei termini massimi concessi per indagare.

Bombe del 1992 e del 1993 (concorso in strage)

Le inchieste delle Procure di Firenze e Caltanissetta sui presunti "mandanti a volto coperto" delle stragi del 1992 (Falcone e Borsellino) e del 1993 (Milano, Firenze e Roma) sono state archiviate per scadenza dei termini d'indagine. A Firenze, il 14 novembre 1998, il gip Giuseppe Soresina ha però rilevato come Berlusconi e Dell'Utri abbiano "intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista realizzato". Cioè con il clan corleonese che da vent'anni guida Cosa Nostra, con centinaia di omicidi e una mezza dozzina di stragi. Aggiunge il giudice fiorentino che esiste "una obiettiva convergenza degli interessi politici di Cosa Nostra rispetto ad alcune qualificate linee programmatiche della nuova formazione [Forza Italia]: articolo 41 bis, legislazione sui collaboratori di giustizia, recupero del garantismo processuale asseritamente trascurato dalla legislazione dei primi anni 90". Poi aggiunge che, nel corso delle indagini, addirittura "l'ipotesi iniziale [di un coinvolgimento di Berlusconi e dell'Utri nelle stragi] ha mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità". Ma purtroppo è scaduto "il termine massimo delle indagini preliminari" prima di poter raccogliere ulteriori elementi.
Il gip di Caltanissetta Giovanni Battista Tona ha scritto: "Gli atti del fascicolo hanno ampiamente dimostrato la sussistenza di varie possibilità di contatto tra uomini appartenenti a Cosa Nostra ed esponenti e gruppi societari controllati in vario modo dagli odierni indagati [Berlusconi e Dell'Utri]. Ciò di per sé legittima l'ipotesi che, in considerazione del prestigio di Berlusconi e Dell'Utri, essi possano essere stati individuati dagli uomini dell'organizzazione quali eventuali nuovi interlocutori". Ma "la friabilità del quadro indiziario impone l'archiviazione".
C'è, infine, la sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, che il 23 giugno 2001 ha condannato 37 boss mafiosi per la strage di Capaci: nel capitolo intitolato esplicitamente "I contatti tra Salvatore Riina e gli on. Dell'Utri e Berlusconi", si legge che è provato che la mafia intrecciò con i due "un rapporto fruttuoso quanto meno sotto il profilo economico". Talmente fruttuoso che poi, nel 1992, "il progetto politico di Cosa Nostra sul versante istituzionale mirava a realizzare nuovi equilibri e nuove alleanze con nuovi referenti della politica e dell'economia". Cioè a "indurre nella trattativa lo Stato ovvero a consentire un ricambio politico che, attraverso nuovi rapporti, assicurasse come nel passato le complicità di cui Cosa Nostra aveva beneficiato".

TUTTO CIÒ CHE PENSO DI BERLUSCONI


di Umberto Bossi, ministro delle Riforme Istituzionali del governo Berlusconi

Silvio Berlusconi era il portaborse di Bettino Craxi. E' una costola del vecchio regime. E' il più efficace riciclatore dei calcinacci del pentapartito. Mentre la Lega faceva cadere il regime, lui stava nel Mulino Bianco, col parrucchino e la plastica facciale. Lui è un tubo vuoto qualunquista. Ma non l'avete visto, oggi, tutto impomatato fra le nuvole azzurre?
Berlusconi è bollito. E' un povero pirla, un traditore del Nord, un poveraccio asservito all'Ulivo, segue anche lui l'esercito di Franceschiello dietro il caporale D'Alema con la sua trombetta. Io ho la memoria lunga. Ma chi è Berlusconi? Il suo Polo è morto e sepolto, la Lega non va con i morti. La trattativa Lega-Forza Italia se l'è inventata lui, poveraccio. Il partito di Berlusconi neo-Caf non potrà mai fare accordi con la Lega. Lui è la bistecca e la Lega il pestacarne.
Berlusconi mostra le stesse caratteristiche dei dittatori. E' un kaiser in doppiopetto. Un piccolo tiranno, anzi è il capocomico del teatrino della politica. Un Peròn della mutua. E' molto peggio di Pinochet. Ha qualcosa di nazistoide, di mafioso. Il piduista è una volpe infida pronta a fare razzia nel mio pollaio.
Berlusconi è l'uomo della mafia. E' un palermitano che parla meneghino, un palermitano nato nella terra sbagliata e mandato su apposta per fregare il Nord. La Fininvest è nata da Cosa Nostra. C'è qualche differenza fra noi e Berlusconi: lui purtroppo è un mafioso. Il problema è che al Nord la gente è ancora divisa tra chi sa che Berlusconi è un mafioso e chi non lo sa ancora. Ma il Nord lo caccerà via, di Berlusconi non ce ne fotte niente. Ci risponda: da dove vengono i suoi soldi? Dalle finanziarie della mafia? Ci sono centomila giovani del Nord che sono morti a causa della droga. A me personalmente Berlusconi ha detto che i soldi gli erano venuti dalla Banca Rasini, fondata da un certo Giuseppe Azzaretto, di Palermo, che poi è riuscito a tenersi tutta la baracca. In quella stessa banca lavorava anche il padre di Silvio e c'erano i conti di numerosi esponenti di Cosa Nostra.
Bisognerebbe conoscere le sue radici, la sua storia. Gelli fece il progetto Italia e c'era il buon Berlusconi nella P2. Poi nacquero le Holding. Come potrà mai la magistratura fare il suo dovere e andare a vedere da dove vengono quei quattrini, ricordando che la mafia quei quattrini li fa con la droga e che di droga al Nord sono morti decine di migliaia di ragazzi che ora gridano da sottoterra? Se lui vuole sapere la storia della caduta del suo governo, venga da me che gliela spiego io: sono stato io a metter giù il partito del mafioso. Lui comprava i nostri parlamentari e io l'ho abbattuto.
Quel brutto mafioso guadagna soldi con l'eroina e la cocaina. Il mafioso di Arcore vuole portare al Nord il fascismo e il meridionalismo. Discutere di par condicio è troppo poco: propongo una commissione di inchiesta sugli arricchimenti di Berlusconi. In Forza Italia ci sono oblique collusioni fra politica e omertà criminale e fenomeni di riciclaggio. L'uomo di Cosa Nostra, con la Fininvest, ha qualcosa come 38 holding, di cui 16 occulte. Furono fatte nascere da una banca di Palermo a Milano, la banca Rasini, la banca di Cosa Nostra a Milano.
Forza Italia è stata creata da Marcello Dell'Utri. Guardate che gli interessi reali spesso non appaiono. In televisione compaiono volti gentili che te la raccontano su, che sembrano per bene. Ma guardate che la mafia non ha limiti. La mafia, gli interessi della mafia, sono la droga, e la droga ha ucciso migliaia e migliaia di giovani, soprattutto al Nord. Palermo ha in mano le televisioni, in grado di entrare nelle case dei bravi e imbecilli cittadini del Nord.
Berlusconi ha fatto ciò che ha voluto con le televisioni, anche regionali, in barba perfino alla legge Mammì. Molte ricchezze sono vergognose, perché vengono da decine di migliaia di morti. Non è vero che 'pecunia non olet'. C'è denaro buono che ha odore di sudore, e c'è denaro che ha odore di mafia. Ma se non ci fosse quel potere, il Polo si squaglierebbe in poche ore.
Incontrare di nuovo Berlusconi ad Arcore? Lo escludo, niente più accordi col Polo. Tre anni fa pensarono di farci il maleficio. Il mago Berlusconi ci disse: "Chi esce dal cerchio magico, cioè dal mio governo, muore". Noi uscimmo e mandammo indietro il maleficio al mago. Non c'è marchingegno stregato che oggi ci possa far rientrare nel cerchio del berlusconismo. Con questa gente, niente accordi politici: è un partito in cui milita Dell'Utri, inquisito per mafia.
La "Padania" chiede a Berlusconi se è mafioso? Ma è andata fin troppo leggera! Doveva andare più a fondo, con quelle carogne legate a Craxi.
Io con Berlusconi sarò il guardiano del baro. Siamo in una situazione pericolosa per la democrazia: se quello va a Palazzo Chigi, vince un partito che non esiste, vince un uomo solo, il Tecnocrate, l'Autocrate. Io dico quel che penso, lui fa quel che incassa. Tratta lo Stato come una società per azioni. Ma chi si crede di essere: Nembo Kid?
Ma vi pare possibile che uno che possiede 140 aziende possa fare gli interessi dei cittadini? Quando quello piange, fatevi una risata: vuol dire che va tutto bene, che non è ancora riuscito a mettere le mani sulla cassaforte.
Bisogna che Berlusconi-Berluscosa-Berluskaz-Berluskaiser si metta in testa che con i bergamaschi io ho fatto un patto di sangue: gli ho giurato che avrei fatto di tutto per avere il cambiamento. E non c'è villa, non c'è regalo, non c'è ammiccamento che mi possa far cambiare strada... Berluscoso deve sapere che dalle nostre parti la gente è pronta a fargli un culo così: bastano due secondi, e dovrà scappare di notte. Se vedono che li ha imbrogliati, quelli del Nord gli arrotolano su le sue belle ville e i suoi prati all'inglese e scaraventano tutto nel Lambro.
Berlusconi, come presidente del Consiglio, è stato un dramma.
Quando è in ballo la democrazia, a qualcuno potrebbe anche venire in mente di fargli saltare i tralicci dei ripetitori. Perché lui con le televisioni fa il lavaggio del cervello alla gente, col solito imbroglio del venditore di fustini del detersivo. Le sue televisioni sono contro la Costituzione. Bisogna portargliele via. Ci troviamo in una situazione di incostituzionalità gravissima, da Sudamerica. Un uomo ha ottenuto dallo Stato la concessione delle frequenze tv per condizionare la gente e orientarla al voto. Non accade in nessuna parte del mondo. E' ora di mettere fine a questa vergogna. Se lo votate, quello vi porta via anche i paracarri.
Se cade Berlusconi, cade tutto il Polo, e al Nord si prende tutto la Lega. Ma non lo faranno cadere: perché sarà pure un figlio di buona donna, ma è il loro figlio di buona donna, e per questo lo tengono in piedi.
Ma il poveretto di Arcore sente che il bidone forzitalista e polista, il partito degli americani, gli va a scatafascio. Un massone, un piduista come l'arcorista è sempre stato un problema di "Cosa sua" o "Cosa nostra". Ma attento, Berlusconi: né mafia, né P2, né America riusciranno a distruggere la nostra società. E lui alla fine avrà un piccolo posto all'Inferno, perché quello lì non se lo pigliano nemmeno in Purgatorio. Perché è Berlusconi che dovrà sparire dalla circolazione, non la Lega. Non siamo noi che litighiamo con Berlusconi, è la Storia che litiga con lui.

(le frasi contenute nel testo sono state pronunciate testualmente da Umberto Bossi fra il 1994 e il 1999, cioè durante le tensioni del primo governo Berlusconi, dopo la rottura fra Bossi e Berlusconi nel dicembre 1994 e prima della loro riappacificazione alla fine del 1999. Le date esatte delle dichiarazioni, tratte da giornali quotidiani e agenzie di stampa, sono le seguenti: 1,7,9,10,13 marzo 1994; 5 aprile 1994; 4,11,23,31 maggio 1994; 1,12,17 giugno 1994; 29 luglio 1994; 6,8,13 agosto 1994; 1 settembre 1994; 6,20,23 dicembre 1994; 14 gennaio 1995; 22 marzo 1995; 13 aprile 1995; 10 giugno 1995; 29 luglio 1995; 25 gennaio 1996; 14,19,25 agosto 1997; 18 giugno 1998; 22 luglio 1998; 13 settembre 1998; 3, 27 ottobre 1998; 24 febbraio 1999; 13 aprile 1999; 10 settembre 1999; 19 ottobre 1999)

Sebbene non sia stato incluso nell'opuscolo per ragioni di spazio, riportiamo anche il capitolo
"Tutte le bugie di Berlusconi", sempre ad opera dei due autori, nella sola versione italiana.

TUTTE LE BUGIE DI BERLUSCONI


"Io dico sempre cose sincere, anche perché non
ho memoria e dimenticherei le bugie. Come
ci si può fidare di chi usa la menzogna come mezzo
della lotta politica? La gente deve fidarsi solo
di chi dice la verità" (Silvio Berlusconi, 2-3-94)

Indro Montanelli, il più grande giornalista italiano scomparso nel 2001, lo conosceva bene, avendolo avuto per 15 anni come editore. E diceva: "Silvio Berlusconi è un mentitore professionale: mente a tutti, sempre anche a se stesso, al punto da credere alle sue stesse menzogne". Una pulsione incontenibile e irrefrenabile, quella del presidente del Consiglio italiano verso la menzogna. Persino in Tribunale. Infatti, il 22 ottobre 1990, la Corte d'Appello di Venezia l'ha riconosciuto colpevole di aver mentito ai giudici sotto giuramento: "Il Berlusconi - si legge nella sentenza - deponendo avanti il Tribunale di Verona, ha dichiarato il falso, realizzando gli estremi obiettivi e soggettivi del contestato delitto": cioè la falsa testimonianza, a proposito della sua iscrizione alla loggia massonica P2. Il reato, accertato, fu dichiarato estinto grazie a una provvidenziale amnistia approvata nel 1989. Negli Stati Uniti la menzogna (specie se giurata dinanzi a un giudice) comporta l'immediato impeachment: il colpevole lascia la Casa Bianca. In Italia, entra a Palazzo Chigi. E, naturalmente, continua a mentire. Come prima e più di prima. Quello che segue è un piccolo catalogo ragionato delle bugie berlusconiane.

BERLUSCONI GIOVANE
"La mia carriera canora (come cantante sulle navi da crociera, ndr) è cominciata con una tournée in Libano" (7-6-1989). Ma secondo Giuseppe Fiori, suo biografo non autorizzato, Berlusconi non è mai stato in Libano.
"Al 'Gardenia' (un locale notturno, ndr) di Milano, come poi sarebbe avvenuto a Parigi, dopo aver cantato mi buttavo in pista per ballare con le bionde" (ibidem). Ma Berlusconi non ha mai suonato a Parigi.
"Ho studiato due anni a Parigi, alla Sorbona, e per mantenermi dovevo suonare e cantare nei locali della capitale" (8-7-1989). Ma Berlusconi non ha mai studiato alla Sorbona: semmai alla Statale di Milano.
"A Parigi facevo il canottaggio ed ero campione italiano studentesco con il Cus di Milano" (luglio 1989). Parigi a parte, esistono seri dubbi sui titoli sportivi conquistati dal Cavaliere in canoa.

BERLUSCONI INCAPPUCCIATO

"Non ricordo la data esatta della mia iscrizione alla P2, ricordo comunque che è di poco anteriore allo scandalo. Non ho mai pagato una quota di iscrizione, né mi è stata richiesta" (27-9-1988, al Tribunale di Verona). Berlusconi s'iscrisse alla P2 nei primi mesi del 1978 e pagò regolarmente la quota di iscrizione di 100 mila lire. Di qui la falsa testimonianza.
"Basta con questa storia della P2: l'ho già detto, ricevetti la tessera per posta e non pagai neppure la quota d'iscrizione" (10-3-94). Ma, come ha testimoniato anche Licio Gelli, gran maestro venerabile della loggia P2, "Berlusconi ha fatto la normale iniziazione alla loggia P2".

BERLUSCONI IMPRENDITORE

"Il signor Berlusconi ha lavorato, ha rischiato, ha pagato le tasse e non ha mai chiesto alcuna lira di contributi allo Stato" (22-5-95). Ma la Fininvest è sotto processo per evasione fiscali di centinaia di miliardi; e ha ricevuto contributi pubblici, tanto per l'editoria (5 miliardi e rotti all'anno per Il Giornale, intestato al fratello Paolo, altrettanti per Il Foglio intestato alla moglie Veronica), quanto per la cassa integrazione alla Standa e alla Mondadori.
"La legge Mammì ci ha tolto la metà del fatturato" (La Stampa, 24-5-95). All'epoca della legge Mammì (che nell'agosto 1990 ha regolamentato il sistema radiotelevisivo italiano), le dimensioni del gruppo erano pressappoco le stesse del '95.
"La Mammì ci ha costretti a vendere i quotidiani e ci ha impedito di tenere le pay tv" (La Stampa, 24-5-95). I quotidiani erano uno solo: il Giornale (subito passato al fratello Paolo); le pay tv non esistevano ancora, visto che Tele+ è nata il 20 ottobre '90.
"E' una falsità, una cosa senza senso dire che dietro il signor Berlusconi ci sia Craxi. Non devo nulla a Craxi e al cosiddetto Caf, e non rinnego nulla di ciò che ho fatto" (a Mixer, Rai2, 21-2-94). Ma era stato lo stesso Berlusconi a confessare, il 13-9-93, in un raro lampo di sincerità, di aver licenziato l'anchor man Gianfranco Funari su ordine di Craxi ("Non è un mistero - aveva ammesso il Cavaliere - che Berlusconi è sempre stato schiavo del Principe, e in più di un'occasione ho dovuto tenerne conto. Un anno fa, se ricordate bene, io stavo aspettando le concessioni televisive...").

BERLUSCONI CANDIDATO

"Tutti mi chiedono di candidarmi. Ma io so perfettamente quello che posso fare. Se io facessi la scelta politica dovrei abbandonare le televisioni e cambiare completamente mestiere. Un partito di Berlusconi non c'è stato, nè ci sarà mai" (13-9-93). Due mesi dopo nasce ufficialmente Forza Italia e Berlusconi si candida alla presidenza del Consiglio.
"Se fonderò un partito? Ho sempre dichiarato il contrario, sarà la ventesima volta che lo ripeto. Lo scrive chi ha interesse a mettermi contro gli attuali protagonisti della politica. E perciò farà finta anche stavolta di non leggere la mia smentita, per cui mi toccherà di ripeterla per la ventunesima volta e chissà per quante altre volte ancora" (Epoca, 23-10-93). Come sopra.
"Il mio presunto partito esiste soltanto sulle pagine di alcuni giornali" (alla commissione Bilancio della Camera, 26-10-93). Come sopra.

BERLUSCONI PREMIER

"Il nostro futuro ministro della Giustizia è la dottoressa Parenti" (6-2-94). Invece sarà Alfredo Biondi.
"Credo che al ministero dell'Interno ci sia bisogno di una persona esperta... di un nonno" (La Stampa, 20-4-94). Infatti offre il ministero al pm Antonio Di Pietro (44 anni), ma questi rifiuta, e allora Berlusconi nomina il leghista Roberto Maroni (39 anni).
"Siamo orientati ad un governo molto snello, magari con meno sottosegretari: sarebbe una bella rottura con il passato" (12-4-94). I sottosegretari saranno 39, rispettivamente 3 e 4 in più rispetto ai precedenti governi Ciampi e Amato.
"Il criterio per l'assegnazione dei ministeri sarà assolutamente meritocratico, nessuna spartizione delle poltrone" (19-4-94). Infatti, per esempio, la latinista Adriana Poli Bortone andrà alle Risorse Agricole.
"Questo governo è schierato dalla parte dell'opera di moralizzazione della vita pubblica intrapresa da valenti magistrati. No ai colpi di spugna. Da questo governo non verrà mai messa in discussione l'indipendenza dei magistrati" (al Senato, 16-5-94). In 7 mesi di vita, il governo Berlusconi metterà quotidianamente in discussione l'indipendenza dei giudici e approverà in tutta fretta il "colpo di spugna" di Biondi, detto anche "decreto salvaladri", che vieta l'arresto per i reati di corruzione, concussione, finanziamento illecito e falso in bilancio.
"Falcone e Borsellino hanno dato la vita contro la mafia. E' nel loro nome che il governo si sente vincolato a proseguirne l'opera. Sarebbe suicida abbassare la guardia contro la criminalità. Bisogna invece dotare di strumenti migliori la polizia e la magistratura" (al Senato il 16 e alla Camera il 18-5-94). Il primo governo Berlusconi e la sua maggioranza tenteranno di smantellare la legislazione voluta (e pagata con il sangue) da Falcone e Borsellino: carcere duro per i boss (41-bis), legge sui pentiti, supercarceri nelle isole e così via.
"Vi assicuro che non ci sarà il condono edilizio" (30-5-94). "Nel Consiglio dei ministri o altrove non ho mai pronunciato la parola 'condono'. Sono i giornali che vogliono farci apparire come gli altri governi" (23-6-94). Un mese dopo il suo governo varerà il condono edilizio, e subito dopo quello fiscale.
"Alla Rai non sposterò nemmeno una pianta" (29-3-94). "Mai mi occuperò di questioni televisive, per non dare l'impressione di voler favorire i miei affari, anzi starò più dalla parte della Rai che della Fininvest" (30-5-94). Pochi giorni dopo, Berlusconi destituisce anzitempo l'intero consiglio d'amministrazione della Rai, per nominarne uno nuovo di sua fiducia, con appositi direttori di rete e tg. E proclama: "E' certamente anomalo che in uno Stato democratico esista un servizio pubblico televisivo contro la maggioranza che ha espresso il governo del Paese. Questa Rai non piace alla gente: me l'ha detto un sondaggio. Il governo se ne occuperà tra breve" (7-6-94).
"Le nonne, le mamme e le zie d'Italia stiano tranquille: non sarà toccata una lira delle pensioni attuali" (10-9-94). Poco dopo Berlusconi tenta una riforma che taglia drasticamente le pensioni, poi bloccata da una manifestazione sindacale con oltre un milione di persone e dalla dissociazione del suo ministro del Lavoro Clemente Mastella, nonché del partito alleato Lega Nord che lascia il governo e lo rovescia.

BERLUSCONI OPPOSITORE

"La par condicio ha danneggiato gravemente il Polo delle libertà" (20-4-95). L'Osservatorio dell'università di Pavia sulle televisioni dimostra, ininterrottamente dal 1995, che i politici più presenti sulle reti televisive sono Berlusconi e i suoi uomini.
"Pochi ricordano che la Thatcher ha privatizzato qualunque cosa, tranne che la British Telecom" (Liberal, 4-4-95). Ma è vero il contrario. Scrive infatti Margaret Thatcher nella sua autobiografia ("Gli anni di Downing Street", Sperling & Kupfer, 1994, pag.577): "British Telecom fu il primo servizio pubblico ad essere privatizzato. Più di qualsiasi altra, la sua vendita pose le basi del capitalismo ad azionariato popolare in Gran Bretagna... Fui più che soddisfatta quando nel novembre 1984… British Telecom fu finalmente privatizzata".
"Non so se avrò voglia di tornare a Palazzo Chigi. Troppo faticoso. La presidenza del Consiglio non la reputo essenziale, non ho questa ambizione personale" (10-2-95). "Non mi ritengo indispensabile. Sono assolutamente favorevole ad un tecnico a Palazzo Chigi, io potrei restare leader del Polo in cabina di regia" (13-4-95). "Adesso che si torna al teatrino della politica, diventa inutile che io resti in pista. Meglio tornare a curare le mie aziende" (31-5-95). "Il ruolo di regista delle riforme, come leader del Polo in Parlamento, è un ruolo che mi attira molto di più di quello di presidente del Consiglio" (10-10-95). Silvio Berlusconi avrà sempre un solo candidato per Palazzo Chigi: Silvio Berlusconi.

BERLUSCONI EDITORE

"Noi non abbiamo giornali-partito. Noi non teorizziamo né tantomeno pratichiamo l'informazione come strumento di ricatto politico. I nostri sono eccellenti prodotti editoriali, non fabbriche di consenso o, quel che è peggio, di calunnie, di derisione, di disprezzo… Non ho mai usato né mai userò i miei mezzi di comunicazione per scatenare campagne di aggressione contro un concorrente, né diffamare chi non è d'accordo con me. Lascio questi metodi ad altri" (Epoca, 20-10-93). Chiunque conosca giornali e tv berlusconiani sa che, almeno dopo l'entrata in politica di Berlusconi, sono stati trasformati in formidabili strumenti di attacco, aggressione e spesso anche di diffamazione per i magistrati e gli avversari politici del loro proprietario.

BERLUSCONI RICANDIDATO

"Dal 1995, passata all'opposizione dopo il golpe politico-giudiziario, mentre fischiavano le pallottole delle procure politicizzate, Forza Italia…" (da "Una storia italiana", l'autobiografia illustrata di Berlusconi inviata in 20 milioni di copie a tutte le famiglie italiane nell'aprile 2001, in piena campagna elettorale). Forza Italia passò all'opposizione perché, il 21 dicembre '94, Berlusconi salì al Quirinale e si dimise da presidente del Consiglio: la Lega Nord gli aveva revocato l'appoggio, votando mozioni di sfiducia insieme al Ppi di Rocco Buttiglione e al Pds di Massimo D'Alema. Le procure non c'entrano nulla.
"Io non ho nulla a che vedere con All Iberian e non possiedo società off-shore all'estero" (Silvio Berlusconi, 15-3-2000). La Cassazione ha già accertato definitivamente che All Iberian è interamente controllata dalla Fininvest. Tant'è che i suoi conti esteri venivano aperti dal tesoriere centrale del gruppo Berlusconi, Giuseppino Scabini. All Iberian è una società off-shore con sede all'estero (isole del Canale), come le altre 63 scoperte dal pool di Milano e confermate dalla società di revisione internazionale Kpmg.
"Le nostre holding erano intestate ai nostri consulenti perché si faceva così, era tutto normale: le trovavamo già pronte negli studi professionali specializzati" (26-4-2001). Le 34 holding "Italiana 1,2,3,4 eccetera" che stanno dietro alla Fininvest sin dalla fine degli anni 70 e le altre società della galassia berlusconiana nascono quasi tutte senza il nome di Berlusconi, ma intestate a prestanome: una cinquantina fra parenti, amici, casalinghe baresi, disoccupati calabresi, elettricisti, malati terminali colpiti da ictus, persino un cecoslovacco nato nel 1887. Tutto normale?
"Nessun mistero sulle origini delle mie fortune: ho cominciato con la liquidazione di mio padre: 30 milioni" (26-4-2001). Poi, però, fra il 1978 e il 1983 Berlusconi si ritrovò in tasca 113 miliardi (degli anni 70, pari ad almeno 250 milioni di euro odierni). In parte giunti in contanti. Sulla provenienza di quel fiume di denaro, Berlusconi non ha mai voluto spiegare nulla. Nemmeno quando, nel novembre 2002, il Tribunale di Palermo che sta processando il suo braccio destro Marcello Dell'Utri (parlamentare europeo e italiano, già condannato per false fatture e frode fiscale e imputato per mafia, calunnia ed estorsione), si è recato in trasferta a Palazzo Chigi per interrogarlo. In quell'occasione, alle domande sulle origini di quei quattrini e sulle ragioni che lo indussero a ospitare in casa sua per due anni un boss mafioso del calibro di Vittorio Mangano, con mansioni di "stalliere" o di "fattore", il premier ha Berlusconi ha risposto: "Mi avvalgo della facoltà di non rispondere". E i giudici sono ritornati a Palermo a mani vuote.

BERLUSCONI PREMIER/2

"Meno tasse per tutti" (slogan elettorale di Berlusconi, maggio 2001). Le tasse degli italiani resteranno le stesse, anzi aumenteranno per l'incremento sostanzioso dei tributi regionali e comunali, in conseguenza dei tagli ai trasferimenti governativi a comuni e regioni. Il 13 novembre 2001, in visita a Granada (Sagna), Berlusconi e il suo ministro dell'Economia Giulio Tremonti comunicano che "i conti pubblici non sono ancora a posto", dunque di ridurre le tasse non se ne parla. Così come della riforma delle pensioni, promessa in campagna elettorale alla Confindustria. Che subito protesta.
"Non ho mai detto che la civiltà occidentale è superiore all'Islam. E' colpa di una sinistra irresponsabile che diffonde notizie false sul mio conto" (7-9-2001). In realtà Berlusconi, soltanto il giorno prima, ha dichiarato testualmente in una conferenza stampa dalla Germania: "Noi dobbiamo essere consapevoli della superiorità della nostra civiltà, che ha dato luogo al benessere e al rispetto dei diritti umani e religiosi. Cosa che non c'è nei paesi dell'Islam... Dobbiamo evitare di mettere le due civiltà, quella islamica e quella nostra sullo stesso piano… La libertà non è un patrimonio della civiltà islamica… La nostra civiltà deve estendere a chi è rimasto indietro di almeno 1400 anni nella storia i benefici e le conquiste che l'Occidente conosce… C'è una singolare coincidenza fra gli islamici e gli anti-global nella loro opposizione all'Occidente". Poi l'incidente diplomatico internazionale, le proteste della Lega Araba ("posizioni razziste"), l'imbarazzo dell'Occidente impegnato nel tentativo di coinvolgere nella lotta al terrorismo fondamentalista delle Due Torri i paesi islamici moderati. Così il Cavaliere è costretto alla smentita, cioè all'ennesima bugia.
"Ho fatto un'esposizione sommaria della legge finanziaria e ho trovato un'ottima accoglienza sia da Prodi sia dal commissario Pedro Solbes" (10-10-2001). Così Berlusconi al termine di un incontro ufficiale a Bruxelles con il presidente Romano Prodi e gli altri membri della Commissione europea. Senonché Prodi cade dalle nuvole: "Non ne abbiamo neanche parlato". Anche Solbes lo smentisce: "Non ho espresso alcun giudizio sulla finanziaria italiana, la valuterò insieme al patto di stabilità". Berlusconi è costretto alla retromarcia: "Io ho illustrato l'azione del mio governo, Prodi e Solbes mi hanno ascoltato in silenzio". Poi, in conferenza stampa, se la prende con il "club della menzogna della sinistra" che gli attribuirebbe frasi mai dette.
"La tv pubblica è interamente nelle mani della sinistra, e anche la tv privata si sbilancia a sinistra" (30-1-2002, a Le Figaro). Appena tornato al governo, Berlusconi, che già detiene il monopolio assoluto della televisione commerciale (Canale 5, Italia 1, Rete 4), nomina suoi uomini al vertice delle tre reti pubbliche Rai (presidente Antonio Baldassarre, direttore generale Agostino Saccà). Costoro allontanano dal video i due giornalisti più famosi della Rai, sgraditi al premier - Enzo Biagi e Michele Santoro - nonché il comico Daniele Luttazzi, anche lui inviso al Cavaliere. Poi, quando il primo consiglio di amministrazione si dimette agli inizi del 2003, Berlusconi riunisce gli alleati in casa propria per decidere i nuovi consiglieri, facendo infuriare addirittura i presidenti delle due Camere, che rifiutano di ratificare le nomine. Alla fine, viene creato un nuovo Cda Rai formato da 4 esponenti del centro-destra e uno solo del centro-sinistra. Anche il direttore generale, amico di Berlusconi e del fratello Paolo, è di stretta obbedienza governativa.
"Comprare Alessandro Nesta (difensore della Lazio e della Nazionale, ndr) per il Milan? Sono cose che non hanno più nulla di economico, di morale. Nel calcio abbiamo sbagliato tutti, ora basta" (23-8-2002). L'indomani il Milan di Berlusconi annuncia l'acquisto di Nesta, avvenuto da almeno una settimana.
"Non capisco tutta questa fretta per la legge Cirami sul legittimo sospetto (che gli consente di spostare i suoi processi da Milano a Brescia, ndr)" (31-7-2002). "La legge sul legittimo sospetto è una priorità per il governo" (30-8-2002).
"E se in Irak non ci fossero più armi di distruzione di massa? Come parere personale, non credo che ci siano più quegli ordigni" (16-10-2001, al termine di un lungo incontro con Vladimir Putin). "Sono e resto con Blair, l'alleato più vicino a Bush. Non ho mai detto che Saddam non ha armi di distruzione di massa. Dico solo che potrebbe avere avuto il tempo di distruggerle o di metterle da qualche altra parte" (17-10-2002, dopo le incredule proteste di Londra e Washington).
"Mediaset non farà alcun ricorso al condono fiscale" (30-12-2002). Berlusconi smentisce le rivelazioni del quotidiano La Repubblica, il quale calcola che il condono fiscale contenuto nella legge finanziaria Berlusconi consentirà al gruppo Mediaset di chiudere la lite col fisco per il possesso di società off-shore risparmiando multe per 100 milioni di euro, pari a 200 miliardi di lire. Cinque mesi dopo, il settimanale l'Espresso scoprirà che Mediaset ha regolarmente fatto ricorso al condono, risparmiando così circa 120 milioni di euro di imposte.
"Ho assoluta fiducia nella Cassazione, fiducia che non né mai mancata. Altra cosa sono certi pm che vogliono un ruolo particolare e imbastiscono processi che finiscono nel nulla" (26 gennaio 2003).L'indomani la Cassazione gli dà torto e non sposta i suoi processi da Milano. Lui, il premier, tuona subito contro i "giudici golpisti".

BERLUSCONI IMPUTATO

"Giuro sui miei cinque figli che non so nulla di quanto mi viene contestato (le tangenti alla Guardia di Finanza, ndr). Sono vittima di una grande ingiustizia. Mi dicono che questo avviso è la risposta a quanto stiamo facendo" (23-11-94). "E' come se mi avessero mandato un avviso di garanzia accusandomi di non chiamarmi Silvio Berlusconi. Siccome sono certo di chiamarmi Silvio Berlusconi, non credo che nessun tribunale giusto al mondo possa condannarmi perché mi chiamo Silvio Berlusconi. Può esserci una condanna, ma allora non sarà un atto di giustizia, ma sovversione" (1-12-94). "Io corruttore? Sarebbe come incolpare suor Teresa di Calcutta, dopo una vita di sacrifici, se una bambina dell'istituto allungasse una mano per pigliare un quarto di mela dal fruttivendolo, non per sé, ma per darlo ad un altro" (27-10-95). "Nessuno si è reso responsabile di corruzione, il capo del gruppo non era minimamente a conoscenza di quanto gli viene addebitato. Il vero scandalo sta semmai nel fatto che la mia impresa, come quasi tutte le imprese italiane, sia stata sottoposta a pressioni concussive da parte di un corpo armato dello Stato... Siamo stati costretti a pagare da un'associazione a delinquere come la Guardia di Finanza, da elementi deviati di un corpo armato dello Stato" (16-1-96). Con buona pace dell'incolpevole prole, due dirigenti Fininvest verranno definitivamente condannati per corruzione della Guardia di Finanza, un consulente legale definitivamente per favoreggiamento, i due segretari per falsa testimonianza in primo e secondo grado, mentre Berlusconi verrà condannato dal Tribunale per corruzione, dichiarato prescritto (cioè responsabile, ma non più punibile) dalla Corte d'appello, infine assolto dalla Cassazione. Ma solo per "insufficienza probatoria".
"Publitalia non ha mai emesso fatture false, e funziona come un orologio" (31-5-95). Ma i massimi dirigenti di Publitalia, dal presidente fondatore Marcello Dell'Utri in giù, hanno patteggiato condanne per decine di miliardi di false fatture e frodi fiscali.
"Sono pronto a lasciare la guida del Polo, la Camera e la vita politica se verrà dimostrato un rapporto mio o della Fininvest o di una società del gruppo col signor Bettino Craxi, diverso da quello della pura amicizia!" (29-11-95). Craxi è colui che nel 1984 impose con il suo governo al Parlamento ben due decreti ad personam, i "decreti Berlusconi", per salvare le televisioni dell'amico finite sotto inchiesta (e minacciate di sequestro dai magistrati) perché trasmettevano illegalmente su tutto il territorio nazionale. La Corte di Cassazione, confermando la prescrizione del reato di finanziamento illecito nel processo sulla società berlusconiana off-shore "All Iberian", ha ritenuto dimostrato che Berlusconi versò illegalmente a Craxi, tra il 1990 e il 1992, ben 21 miliardi estero su estero. Ma Berlusconi non ha lasciato la vita politica.
"Non ho mai fatto alcun attacco alla magistratura" (10-10-95). "Se c'è una cosa che mi viene addebitata e che non risponde al vero è da parte mia un giudizio negativo nei confronti dei magistrati" (25-11-95). "Io sono un grande estimatore della magistratura e l'ho dimostrato nella mia attività di governo, durante la quale sono sempre stato vicino ai problemi dei giudici" (7-12-95). "Mi consenta ancora una volta di esprimere ammirazione verso la magistratura e i giudici" (23-1-96). Una costante dell'azione politica è l'attacco sistematico, scientifico, incessante alla magistratura di ogni ordine e grado: dai pm di Milano (ma anche di Palermo, Napoli, Torino: tutti quelli che si sono occupati di lui o di sue aziende) ai giudici per le indagini preliminari, da quelli di tribunale a quelli di appello, su su fino alle sezioni unite della Corte di Cassazione, massima istanza giurisdizionale del Paese.
"Le inchieste sul mio gruppo sono iniziate soltanto dopo il mio impegno in politica. Prima non avevo mai subito nulla del genere" (17-6-2003). Ma è vero il contrario: prima nascono le inchieste sulla Fininvest di Berlusconi, poi (e forse proprio per questo) Berlusconi "scende in campo" politico. La prima indagine (poi archiviata) sul Berlusconi imprenditore, per traffico di droga, fu aperta a Milano nel lontano 1983. Nel 1989 poi, sempre a Milano, Marcello Dell'Utri finì per la prima volta sotto inchiesta per mafia (prosciolto). La tesi della persecuzione politica per via giudiziaria, già esposta dal premier in una denuncia a Brescia, è stata così smontata dal gip Carlo Bianchetti nell'archiviazione del 15 maggio 2001: "Risulta dall'esame degli atti che, contrariamente a quanto si desume dalle prospettazioni del denunciante, le iniziative giudiziarie… avevano preceduto e non seguito la decisione di "scendere in campo"… [Il pool di Mani pulite ha compiuto, tra] il 27 febbraio '92 e il 20 luglio '93, ben 25 accessi presso Fininvest e Publitalia". Lo stesso Berlusconi, al momento di entrare in politica verso la fine del 1993, aveva confidato ai famosi giornalisti Enzo Biagi e Indro Montanelli (che l'hanno poi raccontato): "Se non entro in politica, fallisco e mi arrestano".
"E questo potere arbitrario e di casta è stato illiberalmente esercitato nel 1994 contro un governo sgradito alla magistratura giacobina di sinistra, governo messo platealmente sotto accusa attraverso il suo leader in un procedimento iniziato a Napoli mentre presiedeva una Convenzione delle Nazioni Unite e sfociato poi, per assoluta mancanza di fondatezza, in una clamorosa assoluzione molti anni dopo" (29-1-2003). Berlusconi si ostina a ripetere che, nel 1994, il suo governo fu rovesciato dall'invio di un "avviso di garanzia" per le mazzette Fininvest alla Guardia di Finanza, a Napoli, mentre lui presiedeva un convegno sulla criminalità organizzata. Si trattava in realtà di un "invito a comparire" (una convocazione per un interrogatorio), dovuto per legge, che non fu affatto notificato a Napoli, ma a Roma. E fu preannunciato al telefono all'interessato la sera prima (21 novembre '94) dai carabinieri. Fu dunque Berlusconi, pur sapendo di essere sospettato di corruzione, a decidere ugualmente di presiedere il convegno anche l'indomani (giorno 22), esponendo il buon nome dell'Italia al ludibrio internazionale. Ai magistrati milanesi, secondo un'informativa dei carabinieri, risultava che lui, la sera stessa del 21, sarebbe rientrato a Roma abbandonando il convegno napoletano inaugurato la mattina. Perciò inviarono i militari per la consegna a Roma, non a Napoli. Quanto alle ragioni della caduta del governo, quell'atto non ebbe alcuna conseguenza. L'hanno stabilito i magistrati di Brescia, ai quali Berlusconi aveva presentato un esposto contro i magistrati milanesi per "attentato agli organi costituzionali" (cioè al suo primo governo). Nell'ordinanza del giudice Carlo Bianchetti che il 15 maggio 2001 archivia l'inchiesta e assolve il pool di Milano, si legge: "Alla causazione del cosiddetto "ribaltone" è stata sostanzialmente estranea la vicenda dell'invito a presentarsi, dal momento che, secondo la testimonianza dell'allora ministro Maroni, la decisione della Lega Nord di "sfiduciare" il governo Berlusconi (decisione che era stata determinante nella caduta dell'Esecutivo) era stata formalizzata il 6 novembre 1994, e perciò due settimane prima; trovava comunque le sue radici in un insanabile contrasto tra la Lega Nord e gli altri partiti del Polo delle Libertà risalente a fine agosto '94, allorché l'on. Bossi era venuto a sapere dell'intenzione del capo del governo di "andare alle elezioni anticipate in autunno".
"Nel processo Sme non ci sono né indizi né prove contro di me, c'è solo il teorema della signora Stefania Ariosto, una mitomane che ha fatto dei pettegolezzi. Per la Sme mi aspetterei non un processo, ma una medaglia d'oro al valore civile per avere salvato l'Italia da una svendita di un bene pubblico per 500 miliardi quando ne valeva 2500". La teste Stefania Ariosto non parla dell'affare Sme: si limita a raccontare ciò che ha visto e sentito a proposito di Previti e della corruzione di alcuni giudici romani. In realtà, nel processo Sme, gli imputati sono sotto accusa per alcuni bonifici bancari. Il primo riguarda l'industriale Pietro Barilla (deceduto nel '93): il 2 maggio e il 26 luglio 1988 da un conto estero di Barilla partono due accrediti (1 miliardo e 800 milioni di lire) destinati all'avvocato Attilio Pacifico, braccio destro dell'avvocato berlusconiano Cesare Previti. Pacifico versa, secondo l'accusa, 200 milioni in contanti al giudice Filippo Verde, e tramite bonifico 850 a milioni a Previti e 100 al giudice Renato Squillante. Il secondo bonifico chiama invece direttamente in causa la Fininvest. Il 6 marzo 1991, dal conto svizzero "Ferrido", aperto dal capo della tesoreria Fininvest Giuseppino Scabini, vengono accreditati 434.404 dollari sul conto "Mercier" di Previti, da dove, un'ora dopo, vengono girati sul conto "Rowena" del giudice Squillante. Secondo l'accusa, il conto Ferrido (della galassia All Iberian) era alimentato con fondi personali e familiari di Berlusconi. Di qui l'accusa, per tutti, di corruzione giudiziaria. Per la Sme (la finanziaria alimentare dell'Iri), Berlusconi non sventò alcuna svendita: la quota dell'azienda in vendita da parte dell'Iri era stata valutata 500 miliardi da due esperti dell'università milanese Bocconi, e dunque Carlo De Benedetti, unico offerente nel 1985, aveva offerto quella cifra. Poi Berlusconi, su ordine di Craxi, si intromise nell'affare, rilanciando per un 10% appena: il minimo indispensabile per entrare in partita. Dunque offrì 550 miliardi, poco più di De Benedetti, poco meno di un quinto rispetto al valore che oggi egli pretende di attribuire alla Sme del 1985.
"La magistratura politicizzata, nel 1992-'93, ha cancellato cinque partiti dalla vita pubblica, risparmiando i comunisti per portarli al potere". A parte il fatto che, a Milano, il pool Mani Pulite arrestò e inquisì quasi l'intero vertice del Pci-Pds, esattamente come quelli dei partiti moderati, va detto che le prime elezioni dopo Tangentopoli non le vinsero le sinistre. Le vinse Berlusconi, occupando lo spazio lasciato libero dal pentapartito che si era sciolto per mancanza di voti dopo lo scandalo. Il 24 gennaio 1994, al momento della sua discesa in campo, il Cavaliere elogiò il pool di Milano per avere scoperchiato lo scandalo di Tangentopoli: "La vecchia classe politica è stata travolta dai fatti e superata dai tempi [...]. L'autoaffondamento dei vecchi governanti, schiacciati dal peso del debito pubblico e del finanziamento illegale dei partiti, lascia il paese impreparato e incerto...". E il 6 febbraio rincarò la dose: "Basta con i ladri di Stato, noi siamo per una politica nuova, diversa, pulita. Siamo l'Italia che lavora contro l'Italia che ruba". Subito dopo tentò di avere nel suo governo i due simboli del pool di Mani Pulite: Antonio Di Pietro al ministero dell'Interno e Piercamillo Davigo alla Giustizia. I due, però, rifiutarono. Ma evidentemente, all'epoca, Berlusconi non li considerava "toghe rosse".
"I magistrati milanesi abusavano della carcerazione preventiva per estorcere confessioni agli indagati" (30-9-2002). Anche questo cavallo di battaglia della polemica berlusconiana anti-giudici è smentita dai fatti e, soprattutto, dalla relazione consegnata al governo dai quattro ispettori ministeriali inviati contro il pool di Milano nell'ottobre 1994 dal guardasigilli Alfredo Biondi (Forza Italia, primo governo Berlusconi). Relazione resa nota il 15 maggio '95: "Nessun rilievo può essere mosso ai magistrati milanesi, i quali non paiono aver esorbitato dai limiti imposti dalla legge nell'esercizio dei loro poteri [...]. Non si è riscontrata un'apprezzabile e significativa casistica di annullamenti delle decisioni che hanno dato luogo a quelle detenzioni [...]. I provvedimenti custodiali sono stati spesso suffragati [...] dall'ulteriore e decisiva prova della confessione dell'indagato. Né è risultato che tali confessioni siano state in seguito ritrattate perché rese sotto la minaccia dell'ulteriore protrarsi della detenzione [...]. Non è possibile ascrivere quelle confessioni alle "condizioni fisiche e psicologiche disumane" nelle quali si sarebbero venuti a trovare molti indagati, alcuni dei quali suicidatisi, condizioni cui fa riferimento l'on. Sgarbi: non è stata mai segnalata l'applicazione di regimi detentivi differenziati e inaspriti rispetto alla generalità dei casi".
"I magistrati del pool di Milano avevano come obbiettivo quello di favorire la presa di potere da parte delle sinistre" (9-5-2003). A parte le considerazioni già esposte, è interessante leggere la risposta data il 23 ottobre 1996 dal ministro dell'Interno britannico Simon Brown al Parlamento britannico, per spiegare il diniego opposto al ricorso degli avvocati di Berlusconi, i quali parlavano di inchieste e reati "politici" per opporsi alla consegna dei documenti sui conti esteri della galassia All Iberian: "Se ben capisco l'argomentazione dei richiedenti [la Fininvest], essi sostengono che l'azione giudiziaria in corso in Italia per donazioni illecite di 10 miliardi al signor Craxi è politica, e che le accuse di falso contabile [...] sarebbero reato connesso. Le donazioni politiche illegali sono un reato politico? Non sono d'accordo. A me sembra piuttosto un reato contro la legge ordinaria promulgata per garantire un corretto ordinamento del processo democratico in Italia - reato in nulla diverso, diciamo, dal votare due volte alle elezioni [...]. Il reato in questione è stato commesso per influenzare la politica del governo: non si pagano clandestinamente grosse somme di denaro a un partito politico senza uno scopo [...]. Non accetto in nessun modo che il desiderio della magistratura italiana di smascherare e punire la corruzione nella vita pubblica e politica, e il conflitto che ciò ha creato tra i giudici e i politici in quel paese, operi in modo tale da trasformare i reati in questione in reati politici. È un uso scorretto del linguaggio definire la campagna dei magistrati come improntata a "fini politici", o le loro azioni nei confronti del signor Berlusconi come persecuzione politica. Al contrario, tutto ciò che ho letto su questo caso suggerisce che la magistratura stia dimostrando una giusta indipendenza politica dall'esecutivo ed equanimità nel trattare in modo eguale i politici di tutti i partiti [...]. [Il reato] non è intrinsecamente politico, né lo diviene nel caso che l'autore del reato speri di cambiare la politica del governo comprando influenza politica, e neanche se il potere giudiziario, perseguendo lui, spera di ripulire la politica. Nessuno degli argomenti dei richiedenti riesce a persuadermi in nulla che i reati in questione siano politici. Non riesco proprio a vedere i pagatori corrotti della politica come i "Garibaldi di oggi", o cercatori di libertà, o "prigionieri politici".
"I magistrati milanesi abusavano della carcerazione preventiva per estorcere confessioni agli indagati" (30-9-2002). Anche questo cavallo di battaglia della polemica berlusconiana anti-giudici è smentita dai fatti e, soprattutto, dalla relazione consegnata al governo dai quattro ispettori ministeriali inviati contro il pool di Milano nell'ottobre 1994 dal guardasigilli Alfredo Biondi (Forza Italia, primo governo Berlusconi). Relazione resa nota il 15 maggio '95: "Nessun rilievo può essere mosso ai magistrati milanesi, i quali non paiono aver esorbitato dai limiti imposti dalla legge nell'esercizio dei loro poteri [...]. Non si è riscontrata un'apprezzabile e significativa casistica di annullamenti delle decisioni che hanno dato luogo a quelle detenzioni [...]. I provvedimenti custodiali sono stati spesso suffragati [...] dall'ulteriore e decisiva prova della confessione dell'indagato. Né è risultato che tali confessioni siano state in seguito ritrattate perché rese sotto la minaccia dell'ulteriore protrarsi della detenzione [...]. Non è possibile ascrivere quelle confessioni alle "condizioni fisiche e psicologiche disumane" nelle quali si sarebbero venuti a trovare molti indagati, alcuni dei quali suicidatisi, condizioni cui fa riferimento l'on. Sgarbi: non è stata mai segnalata l'applicazione di regimi detentivi differenziati e inaspriti rispetto alla generalità dei casi".

BERLUSCONI E IL CONFLITTO D'INTERESSI

"Dire che nell'attività di governo e politica ci sia stato qualche volta un interesse personale, non solo del signor Berlusconi, ma anche di altri membri di Forza Italia, è una vergogna" (14-12-95). "La vecchia classe politica che facendo politica prendeva soldi. Io posso dire che per fare politica ne ho spesi parecchi" (15-12-95). Il primo governo Berlusconi passerà alla storia per due provvedimenti: il decreto Biondi, che vietava le custodia in carcere per corruzione alla vigilia dell'arresto di Paolo Berlusconi per corruzione; e la legge Tremonti, che ha fruttato alla Mediaset dello stesso Berlusconi (Silvio) sgravi fiscali per 243 miliardi.
"Ho dato incarico ai miei manager di avviare le dismissioni delle mie proprietà" (23-3-94). "Ho sempre riconosciuto che c'era un'anomalia da sanare... Sono il primo a proporre una soluzione di separazione drastica tra l'esercizio dei doveri di governo e l'esercizio dei diritti proprietari" (2-8-94). "Le mie aziende o le congelo o le vendo. Voglio assolutamente dividere i miei interessi privati che ho come azionista Fininvest dalla mia attività pubblica che svolgerò nell'interesse di tutti. Credo che quella del blind trust americano sia la soluzione ideale" (11-4-94). "Oggi vi annuncio che ho deciso di vendere le mie aziende, perché credo che qualcuno, quando si prende un impegno e dentro questo impegno ci sono certe condizioni che sono ostative allo svolgimento globale dell'impegno, deve avere anche il coraggio di sacrificarsi... Non sarà facile trovare un compratore, ma andremo in Borsa con la televisione e terrò una quota assolutamente non di maggioranza" (23-11-94). "Da novembre ho dato mandato irrevocabile alla Fininvest di vendere le tv" (18-3-95). "Venderò le tv ad imprenditori internazionali" (Il Giornale, 1-4-95). "Il conflitto d'interessi sarà risolto nei primi cento giorni del mio governo" (5-5-2001). Nove anni dopo il suo primo governo e due anni dopo l'avvio del secondo, Berlusconi non ha risolto il conflitto d'interessi né tantomeno ha ceduto alcuna delle sue aziende. Anzi, il 21 dicembre 2001, comunica agli italiani che "il conflitto d'interessi esiste solo nel senso che le mie aziende ci hanno rimesso da quando sono entrato in politica al servizio del Paese". E il 7 maggio 2003, ancora più esplicito: "Il conflitto d'interessi è una scusa. Tutti vedono bene che non c'è nessun conflitto d'interessi. Anzi, io non posso fare che cose sfavorevoli al mio gruppo. Non c'è stata una sola decisione assunta da questa maggioranza e da questo governo che abbia portato cose a mio favore. Da quando sono sceso in politica, il mio gruppo ha subìto soltanto danni enormi".



Silvio e Polifemo

La requisitoria di Ilda Boccassini al processo Sme con imputato Berlusconi. I soldi della corruzione arrivati al giudice Squillante sono partiti dai conti di Silvio, passati per All Iberian e poi per il conto Polifemo. Da cui sono partiti, contemporaneamente, la supertangente per Craxi (10 miliardi di lire) e il pagamento per i giudici romani


La requisitoria di Ilda Boccassini allo stralcio per Silvio Berlusconi del processo Sme, il 12 novembre 2004, ha messo in fila la pista del soldi della corruzione per i giudici romani. Non "persecuzione politica" ma fatti, ha ricordato Boccassini. I fatti documentati dai documenti bancari e dalle testimonianze raccolte in più processi. Ecco la ricostruzione.

All'inizio sono i contanti. «Chissà quant'era grande la cassaforte di Palazzo Donatelli, a Segrate», si chiede Boccassini. Ricostruisce che almeno 38 miliardi arrivano in contanti sui conti All Iberian e Polifemo. Ricorda che nel 1991 c'è un passaggio di 90 miliardi tra Italia e Svizzera, attraverso la Fiduciaria Orefici (Mandato 500) che compra titoli di Stato, li monetizza a San Marino, li fa riportare a Segrate attraverso i furgoni portavalori della Fidelitas. Poi quei soldi sono esportati in Svizzera dagli spalloni.

Per portare i contanti dall'Italia alla Svizzera, entravano in azione gli spalloni di Alfred Bossert. I soldi rimpinguano i conti segreti della Fininvest. Come quelli della società All Iberian. Proprio da All Iberian arrivano i miliardi che alimentano il conto Polifemo, attivo solo per pochi mesi del 1991 e usato per due sole operazioni.

La prima. Da Polifemo escono 10 miliardi di lire che passano al conto Costellation Financiere di Bettino Craxi: la più grande tangente mai scoperta in Italia pagata a un singolo uomo politico, quella che al processo All Iberian hanno fruttato a Berlusconi una condanna in primo grado a 2 anni e 4 mesi per finanziamento illecito ai partiti, pena poi cancellata in appello dalla prescrizione.

La seconda. Da Polifemo escono 2 miliardi che arrivano a Cesare Previti. Da questi, mezzo miliardo (434.404 dollari) transita in pochi giorni dal conto Ferrido (della Fininvest) al conto Mercier (di Previti) e poi al conto Rowena, riferimento Orologio, di Renato Squillante.

Per questo passaggio di denaro sono già stati condannati, nel processo Sme principale, Cesare Previti (5 anni) e Renato Squillante (8 anni). Sono soldi, dice ora Boccassini, che provengono dalla Fininvest, anzi provengono direttamente dal patrimonio personale di Silvio Berlusconi. Lo disse la difesa di Berlusconi al processo All Iberian, alcuni anni fa. Oggi quella dichiarazione diventa un autogol: gli stessi soldi, attraverso Polifemo, arrivano anche a Squillante.

Un altro mezzo miliardo passa da Previti all'avvocato Pacifico, che li usa per alimentare un conto svizzero del giudice Filippo Verde. Verde, estensore della sentenza che sbarrò la strada a Carlo De Benedetti che stava acquistando la Sme, è stato assolto nel processo principale Sme. Ora Boccassini torna alla carica: Verde fu corrotto da 200 milioni di lire non più per uno specifico atto contrario ai suoi doveri d'ufficio, ma per essere complessivamente a disposizione (come Squillante) della cordata Berlusconi-Barilla.

Niente attenuanti generiche per Silvio Berlusconi, chiede Boccassini (queste basterebbero a far cadere in prescrizione il reato di corruzione). Niente attenuanti perché Berlusconi ha mentito ripetutamente, ha spiato l'inchiesta (sapeva che Stefania Ariosto aveva cominciato a raccontare le corruzioni romane già nel 1995!), e ha mentito al popolo italiano.

(gb, 15 novembre 2004)




 
 
 

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