Storia del Signor Savoia

2. Traffici internazionali d'armi

Nel giro d'affari era coinvolta, oltre l'Agusta, anche la statunitense Bell, quella degli elicotteri d'assalto Cobra. Le armi giravano il mondo, Somalia, Congo, Zaire... A vederci chiaro provò anche un giovane giudice di Trento, Carlo Palermo, che aveva messo gli occhi su un doppio traffico: armi dall'Occidente verso Oriente, droga in direzione opposta. Anche Palermo fu bloccato, e in malo modo, probabilmente proprio perché questi traffici non si possono fare senza il consenso di poteri molto forti, che per certi lavori sporchi usano i servizi segreti e che comunque non gradiscono che si metta il naso nei loro affari e che si portino alla luce i loro traffici, dove ragioni di Stato si mischiano spesso a ragioni di soldi...

Comunque Vittorio Emanuele era attorniato e ben sostenuto da una compagnia di personaggi eccellenti, come si conviene nei commerci internazionali d'armi: faccendieri, politici, militari, uomini dell'intelligence. Tra gli altri, c'erano il colonnello Massimo Pugliese, fedelissimo di casa Savoia, già responsabile del centro di controspionaggio di Cagliari; il generale Giuseppe Santovito detto Bourbon per via dei suoi gusti alcolici, direttore nientemeno che del Sismi, il servizio segreto militare; l'ex attore Rossano Brazzi, massone, approdato dal cinema all'entourage di un altro attore che aveva cambiato mestiere, Ronald Reagan. Una bella compagnia di giro, variopinta ma potente. I servizi segreti vegliavano sugli affari. Barbe finte italiane, ma anche i loro padrini della Cia e dalla Nsa, le due massime agenzie spionistiche americane. Del resto l'amministratore dei beni di Casa Savoia, l'avvocato Carlo D'Amelio, era presidente del Cmc, una filiazione della Permindex, che secondo il giudice Palermo era una «creatura della Cia, istituita per coprire i finanziamenti dei servizi segreti americani Cia-Fbi in Italia per attività anticomuniste».

Molti dei soci di questa bella compagnia avevano, come si conviene, una comune appartenenza a un club: la loggia P2 di Licio Gelli, il circolo degli oltranzisti atlantici italiani. Alla lettera S dell'elenco sequestrato nel marzo 1981 dai magistrati milanesi Giuliano Turone e Gherardo Colombo nella ditta di Gelli a Castiglion Fibocchi, si legge: «Savoia Vittorio Emanuele, casella postale 842, Ginevra». La tessera era la numero 1621. In una delle cartellette allegate agli elenchi, sempre alla lettera S, accanto a «Sindona Michele, banchiere», «Stammati Gaetano, ministro», «Santovito Giuseppe» e tanti altri (Berlusconi Silvio no, era in un altro documento), compare il nome «Savoia Vittorio, numero 516».

Il principe, si seppe poi, aveva raggiunto il terzo grado della gerarchia massonica, quello di Maestro, e oltre alla loggia P2 aveva frequentato un altro esclusivo club massonico: la superloggia di Montecarlo. Almeno secondo quanto testimonia nell'ottobre 1987 Nara Lazzerini, amica molto intima di Gelli: «Licio mi disse che della loggia facevano parte anche Vittorio Emanuele di Savoia e il principe Ranieri». Chissà se è vero. Un rapporto del Sisde (il servizio segreto civile) del 1982 informa comunque che ai vertici della Loggia di Montecarlo, insieme a Gelli, vi era Enrico Frittoli, ragioniere, titolare di una società di import-export con sede nel Principato e «uomo di fiducia del trafficante internazionale d'armi Samuel Cummings, presidente della Inter Arms di Londra». Il solito cocktail forte di politica, affari e nobiltà.

Con le logge massoniche internazionali Vittorio Emanuele ebbe a che fare anche qualche anno dopo, alla fine degli anni Ottanta, quando cadde il Muro di Berlino e alcuni circoli massonici pensarono bene di progettare il ritorno sul trono di alcuni monarchi europei. I Paesi su cui puntavano erano la Romania e l'Ungheria, Paesi da cui il re era stato scacciato dai perfidi comunisti e in cui, collassato il blocco sovietico, si poteva dunque approfittare della situazione per tentare un ritorno alla grande. Ma era stata presa in considerazione anche la possibilità di un ritorno delle famiglie reali in Italia e in Grecia. I progetti, come al solito, mischiavano politica e affari: alla fine furono realizzati soltanto questi ultimi, nelle fragili democrazie dei Paesi ex comunisti.

Ma un rapporto riservato del ministero dell'Interno del 1993 riporta le dichiarazioni informali di un collaboratore di giustizia il quale racconta di una riunione avvenuta a Barcellona, con la partecipazione di emissari delle famiglie Villaverde, Orleans, Leida d'Aragona e Savoia. Anche in Italia, in fondo, tra il 1992 e il '93 era caduto un Muro: Mani Pulite aveva fatto crollare il sistema dei partiti di Tangentopoli e per molti mesi alcune «menti raffinatissime» (come le chiamava Giovanni Falcone) avevano pensato a come approfittare della situazione. Nel calderone c'era anche qualcuno che aveva pensato di giocare la carta reale: per esempio il principe Giovanni Alliata di Montereale, siciliano, massone, piduista, legato a Cosa Nostra ma anche agli ambienti dell'intelligence Usa e dell'eversione di destra italiana, che dopo essere passato per più di un tentato golpe era stato uno dei registi della riunione di Barcellona con le famiglie reali.

Non se ne fece niente. La storia italiana prese un'altra strada, passando attraverso i momenti drammatici delle stragi del 1992 di Falcone e Borsellino e del 1993 a Firenze, Roma e Milano. Vittorio Emanuele di Savoia si limitò a chiedere, di tanto in tanto, il rientro dei Savoia in Italia: lui vivo in qualche villa di Napoli o chissà dove, i suoi parenti morti nel Pantheon di Roma. Finora non se n'è fatto niente. Domani, si vedrà: se Silvio Berlusconi dovesse vincere le elezioni, forse la comune appartenenza al club P2 potrà aiutare.
(2. continua)