Campioni d’Italia

Giancarlo Elia Valori
L’ultimo potere forte


5. Amiche toghe
Forte dei suoi rapporti particolari, Valori procede nella sua carriera di boiardo di Stato. Lo scandalo P2, nel 1981, lo colpisce, ma solo di striscio: sulle liste di Castiglion Fibocchi è scritto: «Valori Giancarlo. Professore. Espulso». La Commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi riesce a sentirlo il 7 aprile 1983, solo dopo molte insistenze di alcuni commissari, e solo in seduta segreta. Pochi i commissari che lo bersagliano di domande vere; tra questi, Rino Formica, Giorgio Pisanò e Libero Riccardelli. Formica è convinto che Valori faccia traffico d’armi per i Servizi; Pisanò e Riccardelli ritengono che Valori sia stato la mente che, per vendette interne al gruppo P2, ha fatto scoppiare lo scandalo dei petroli, fornendo le informazioni sulla truffa (già nota ai servizi segreti) a due magistrati di Treviso, Domenico Labozzetta e Felice Napolitano. Valori, come al solito, nega. Ma i commissari insistono, sono convinti che Valori sia temuto da nemici e amici perché è in grado di arrivare a dossier riservati e di scatenare indagini giudiziarie. Valori durante la seduta continua a negare, ma fuori dall’aula non gli dispiace essere temuto. Contatti con magistrati ne ha tanti, e dove non ne ha gli piace che gli altri pensino che li abbia. Del resto, proprio da un magistrato ha iniziato la sua carriera: coltivando, per incarico della Rai, le relazioni con il procuratore generale di Roma Carmelo Spagnuolo che aveva appena avocato, strappandola al magistrato naturale, un’indagine su irregolarità contabili dell’ente radiotelevisivo di Stato. I contatti tra Valori e Spagnuolo sono intensi. Al termine, l’indagine sulla Rai è archiviata. Poi per agganciare i magistrati si inventa un’associazione: l’Istituto per le relazioni internazionali, che ha organizzato convegni invitando personalità (da Guido Carli a Ugo La Malfa, da Frondizi al governatore della Banca d’Israele David Oroviz) e coinvolgendo una folla di giudici.
Temeva Valori anche Romano Prodi, due volte presidente dell’Iri e quindi suo «superiore». Il primo mandato lo definì «il mio Vietnam»: tra i vietcong che gli facevano la guerra c’era anche Valori, ai tempi vicepresidente della Sme, la finanziaria agroalimentare dell’Iri. Prodi, che non vuole piduisti attorno, nel 1984 non lo ricandida ai vertici dell’azienda. Valori riesce però a farsi collocare alla presidenza della Sirti, una società della Stet, che allora era presieduta da Michele Principe (anch’egli iscritto alla P2). E promette vendetta. è lui infatti il sospettato numero uno del siluro sparato in quegli anni contro Prodi: un’inchiesta giudiziaria del procuratore romano Luciano Infelisi su Nomisma, la società di consulenza di Prodi a Bologna. Intanto Valori nel 1987 torna alla Sme, come presidente della Gs (supermercati). E nel 1990, spinto dal nuovo presidente dell’Iri Franco Nobili, si siede finalmente sulla agognata poltrona di presidente della Sme. Poi, nel 1995, nominato dal presidente dell’Iri Michele Tedeschi durante il governo Dini, diventa il Signore delle Autostrade.
(5.continua)