Campioni d’Italia

Giancarlo Elia Valori
L’ultimo potere forte


4. Armi & agenti segreti
Nei primi anni Settanta, l’attivissimo Valori, stregato dal potere e dai suoi riti, si avvicina anche all’ambiente dei servizi segreti. Nel 1972 conosce Mino Pecorelli, giornalista che si muove in quel mondo e che dal suo giornale Op lancia messaggi, avvertimenti, ricatti. «Mi attaccava, non capivo perché», dichiarerà poi Valori alla Commissione parlamentare sulla P2. Allora lo contatta, e subito i rapporti tra i due diventano molto stretti: telefonate quotidiane, incontri frequenti. Spesso la domenica Pecorelli passa con la macchina a prendere Valori, che non guida, per serene gite nei dintorni di Roma. Ma è Pecorelli a inventare e diffondere quel soprannome allusivo, che accenna ai suoi contatti in Oriente e che lo fa andare su tutte le furie: Fiore di Loto. Sempre nel 1972, in Rai, Valori conosce Nicola Falde, ufficiale del Servizio di sicurezza militare a quell’epoca di fatto infiltrato nella Rai: «Cominciò allora la nostra frequentazione e la sua richiesta di giudizi su varie persone», ammetterà Valori molti anni dopo, nel 1996, davanti al giudice Rosario Priore, in un interrogatorio rimasto finora segreto. «Sapevo della provenienza dal Sid, Ufficio Ris, del Falde, che si occupava di conferire pareri di sicurezza circa l’esportazione di armamento». Valori diventa insomma fonte di Falde dentro la Rai, arricchisce i suoi contatti con l’estero (Cina, Corea, Romania, ma anche Stati Uniti, Canada, America Latina...) e si spiana la carriera dentro le aziende di Stato. Nel 1976, a 36 anni, è vicedirettore generale di Italstrade. «Avevo già realizzato», confessa a Priore, «che i servizi potevano avere un ruolo incisivo circa l’apertura economico,commerciale verso i mercati esteri, in particolar modo verso Libia, Iran, Algeria, Arabia Saudita e Turchia. Così nacque il mio contatto con Santovito». Giuseppe Santovito all’epoca è comandante del Comiliter di Roma e in seguito diventerà direttore del Sismi, il servizio segreto militare. è iscritto alla P2, come tanti altri amici e conoscenti di Valori in quegli anni: il magistrato Carmelo Spagnuolo, il faccendiere Francesco Pazienza, il giornalista Mino Pecorelli, l’agente Nicola Falde... «Conoscendo i rapporti che il Servizio aveva all’epoca con tutto il mondo arabo - come l’Arabia Saudita e la Libia - io chiesi al generale Santovito di tenere presente, nell’ambito della legalità e degli interessi dello Stato, la società dell’Italstrade, società a capitale Iri, per eventuali lavori da compiere in quei Paesi. Per questa ragione», dichiara Valori a Priore, «vedevo di tanto in tanto il generale Santovito e qualche volta lo sentivo per via telefonica. Sono stato, ma raramente, presso il suo ufficio in via XX Settembre e più di sovente presso la sua abitazione in via Flaminia». Spionaggio e affari. Appalti e barbe finte. In questo contesto Santovito, diventato capo del Sismi, nel 1978 presenta a Valori due libici che lo possono aiutare a ottenere commesse nei Paesi arabi: Salem Moussa e Ladheri Azzedine. In quegli anni, spiega Valori, Italstrade puntava a realizzare ponti e strade in Libia e la diga di Karakaya in Turchia. Ma evidentemente i due libici avevano in corso affari anche più pericolosi, perché Azzedine viene trovato morto, nel 1980, a Milano. «Lessi dai giornali che era morto. Certamente non di morte naturale», dichiara Valori a verbale. Ma nega di aver avuto a che fare con triangolazioni di armi: «Mai fatto da intermediario tra la Libia e la Fiat. Escludo di essermi mai interessato a commesse per la vendita di aerei o di armi alla Libia. Mai concluso affari di missili e aerei G47». Ammette però di aver mosso i primi passi all’ombra di Francesco Rota, direttore generale del San Paolo di Torino prima, della Fiat poi. E di avere, trentenne, redatto per la Fiat «analisi finanziarie internazionali sul mercato sudamericano, francese ed europeo». Ed è costretto ad ammettere di avere avuto a che fare con la società finanziaria Sophinia, in affari con il mondo arabo. «Avevo poco più di trent’anni», sottolinea Valori. «Vi ero entrato su invito di Davide Pellegrini, vecchio amico del Quirinale». Di più, non dice.
(4.continua)