Campioni dItalia
Edgardo Sogno
Doppio Sogno o doppio Stato?
7. I volonterosi funzionari del doppio Stato
Dopo il 74 il «partito del golpe» si scioglie o, meglio,
cambia tattica. Abbandonata quella dello scontro frontale, si avvia a
praticare nelle mutate condizioni internazionali, politiche e sociali
una più raffinata, foucaultiana occupazione dei centri di potere,
coordinandosi in quel club delloltranzismo atlantico noto come Loggia
P2. Continuità e cambiamento: tutti i protagonisti della dura stagione
passata alla storia come «strategia della tensione», compreso
Sogno, li ritroviamo nelle liste della loggia di Licio Gelli, che
del «partito del golpe» aveva fatto parte, con ruoli non marginali;
tutti gli elementi salienti di programma del «golpe bianco»
passano nel gelliano Piano di Rinascita Democratica; e Sogno compare anche
nella vicenda Sindona: con Gelli, John McCaffery, Philip Guarino, Carmelo
Spagnuolo e Anna Bonomi Bolchini è tra i firmatari degli «affidavit»
al bancarottiere, le dichiarazioni giurate che chiedevano alla magistratura
americana di non estradare Michele Sindona in Italia, poiché
qui era perseguitato dalla giustizia in quanto anticomunista. Intanto
la vicenda giudiziaria di Sogno si risolve felicemente. Un mese e mezzo
di carcere; i servizi e il governo che oppongono il segreto di Stato su
molti dei documenti che lo riguardano; il trasferimento del procedimento
a Roma; la richiesta di proscioglimento del pubblico ministero, il 7 dicembre
1977, per insufficienza di prove; la dichiarazione del giudice istruttore,
il 12 settembre 1978, di non doversi procedere per le attività
eversive di Sogno e dei suoi coimputati «perché il fatto
non sussiste». Negli anni seguenti Sogno fa sentire la sua voce
attraverso unossessiva attività pubblicistica, sempre a tinte
forti. A un saggio sulla «guerra non ortodossa» apparso su
Micromega (Gianni Barbacetto, Il Polo occulto, Micromega 8/95)
reagisce scrivendo sul Giornale che si tratta di «ripugnante cinismo
e di intollerabile aggressività totalitaria che continuano a imporci
una risposta di totale rottura». Ma non risparmia critiche neppure
alla destra, colpevole (scrive sul Foglio nel novembre 1998) di non opporsi
con sufficiente energia al comunismo, di non lavorare per quella «paralisi
totale del sistema» auspicabile per «approdare, dopo trentanni,
a un chiarimento se non col mitra, almeno britannicamente coi guantoni».
La lotta politica si sovrappone alla voglia di menare le mani, e spesso
in questa si esaurisce. Così fino alla fine, fino alla morte e
ai funerali di Stato. Comprensibile, per un volonteroso funzionario del
doppio Stato, «uomo dalla voce femminea, dal coraggio grandissimo
e dalla debole intelligenza politica», come ha scritto Giorgio
Bocca. Meno comprensibili i commenti di chi oggi lo ha descritto come
un eroe vittima di una persecuzione giudiziaria, contro le sue stesse,
orgogliose rivendicazioni: «Avevamo assunto limpegno di sparare
contro i traditori pronti a fare il governo con i comunisti», di
«impedire con ogni mezzo che il Pci andasse al potere, anche attraverso
libere elezioni», dichiara apertamente nel 1990. E nella sua ultima
lettera, estremo messaggio inviato a un gruppo di amici e sostenitori
il 13 luglio 2000: «La difesa sul piano del pensiero e della logica
non esiste al di fuori della distruzione fisica, ossia della guerra civile.
Per cinquantanni mi sono battuto per la distruzione dello Stato.
Non cè soluzione al di fuori della distruzione totale di
questa realtà». Questo è Edgardo Sogno, personaggio
chiave della «guerra non ortodossa» italiana, più di
chiunque altro (esclusi i politici, che si sono poi comunque rapidamente
riciclati) protagonista cosciente del «doppio Stato»: proprio
perché egli non era fascista, non era uno dei tanti neri che credevano
di usare gli apparati dello Stato e ne erano invece usati. Ma Sogno ha
almeno il merito di avere rivendicato orgogliosamente, senza ipocrisie
e fino allultimo, di aver combattuto e di voler continuare a combattere.
Non ha mai negato di aver compiuto le azioni per cui è stato processato,
le ha solo ritenute necessarie e meritorie. Gli rende un cattivo servizio,
dunque, chi sostiene che il processo in cui è stato imputato è
stato una «persecuzione giudiziaria». Chi, come Silvio
Berlusconi, ha scritto (sul Giornale): «Per aver combattuto
il comunismo in tempo di pace e con le armi della parola e degli scritti
egli è stato incarcerato, accusato di crimini inesistenti da parte
di una magistratura più ligia ai principi dellideologia comunista
che non a quelli dello Stato di diritto. Le vicende giudiziarie di Sogno
sono state una delle pagine più tristi dellItalia repubblicana,
e continua ad essere un vulnus della nostra storia civile il fatto che
coloro che ne furono protagonisti non hanno mai avuto il coraggio personale
e la saggezza politica di riconoscere che non si trattò di un umanissimo
errore giudiziario, ma di una persecuzione frutto, forse anche inconsapevole,
dellodio ideologico». Macché errore giudiziario, risponderebbe
Sogno, se fosse in vita. Egli aspettava un riconoscimento per quello che
aveva fatto, non una difesa per ciò che non avrebbe fatto. Lo sanno
bene, in realtà, anche i suoi amici e difensori che però,
privi della sua franchezza e bloccati dallipocrisia politica, si
guardano bene dallo scrivere la verità.
(7.continua)
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