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Milano da bere, atto
secondo
Tangentopoli non finisce mai. Sono
più di mille gli indagati per vicende di corruzione
a Milano. Storia di Roberto Formigoni e della Regione Lombardia,
periodicamente scossa dagli scandali. Senza fine
di Gianni Barbacetto
Tangentopoli è finita? Il sistema della corruzione
politica appartiene ormai al passato? Basta considerare la
cronaca delle massime istituzioni politiche con sede a Milano
- il Comune, ma soprattutto la Regione Lombardia - per essere
costretti a rispondere decisamente di no. Nella patria di
Mani Pulite, a quasi dieci anni dallinizio delle inchieste
giudiziarie che avrebbero potuto cambiare in maniera duratura
lo stile dei rapporti tra politica e affari in Italia, la
corruzione continua come prima. Anzi, con in più una
spudoratezza prima sconosciuta: invece di dimettersi, gli
accusati oggi si dichiarano prigionieri politici.
In questo momento sono più di mille (!) gli indagati
per vicende di corruzione dalla procura della Repubblica di
Milano: ma questo non fa più notizia. Eppure ciò
avviene in un contesto in cui è già scoccato
il cortocircuito politica-appalti-inefficienza: basti pensare
allincredibile blocco dellaeroporto internazionale
della Malpensa, retto da un manager come Giorgio Fossa,
che sotto gli occhi di tutta Europa è andato in tilt
a Natale per una piccola nevicata.
La nuova Tangentopoli silenziosa e invisibile, dunque,
ha un migliaio di imputati a Milano e hinterland, decine di
municipi perquisiti, quintali di documenti sequestrati, oltre
30 miliardi di tangenti già recuperate. Le inchieste
più clamorose, quelle che sono riuscite a "bucare"
la soglia dellindifferenza di direttori e capiredattori,
spesso inutilmente assillati da cronisti sensibili e precisi,
sono quelle che riguardano lex presidente del Consiglio
comunale di Milano, Massimo De Carolis, di Forza Italia,
accusato di aver offerto a unimpresa informazioni riservate
sulla gara dappalto per il depuratore Milano Sud, in
cambio della promessa di un compenso di 200 milioni; e quella
che nellottobre 1998 ha portato allarresto di
Giovanni Terzi, architetto e consigliere comunale di
Forza Italia, presidente della Commissione urbanistica del
Comune di Milano, per tangenti pagate per un affare immobiliare
a Bresso, cittadina alle porte di Milano. La sera dellarresto
di Terzi, due autorevoli esponenti di Forza Italia, Ombretta
Colli e Tiziana Maiolo, si sono precipitate al
carcere di Opera, a portare solidarietà allarrestato.
"E la solita criminalizzazione di un partito politico",
dichiarò Maiolo alluscita, "il fattore scatenante
per larresto di Terzi è stata la sua appartenza
a Forza Italia".
Le altre decine di indagini e processi oggi in corso per
corruzione riguardano invece una schiera di funzionari del
Comune di Milano, centinaia di amministratori dellhinterland
(di questi, quasi 400 erano impegnati nei Comuni a sud-est
della metropoli, quasi tutti governati da giunte "rosse");
e poi politici e funzionari della Regione Lombardia. Proprio
in questultima istituzione si sono concentrati, negli
ultimi mesi, i fatti più clamorosi: unindagine
giudiziaria aperta nei confronti del presidente Roberto
Formigoni, con limputazione di abuso dufficio,
per la gestione della fondazione Bussolera-Branca, che controlla
un capitale di 168 miliardi; larresto di un assessore
(Milena Bertani), di alcuni alti funzionari e del presidente
della più importante commissione regionale (Gianluca
Massimo Guarischi); il rinvio a giudizio di un altro assessore
(Giancarlo Abelli). Lo stesso presidente della Regione,
Roberto Formigoni, era già stato raggiunto in
precedenza da un altro avviso di garanzia, per la gestione
di una discarica. Per infinitamente meno, fino a qualche tempo
fa, si facevano le valige e si toglieva il disturbo (così
fu costretto a fare, per esempio, Ciriaco De Mita e
lo stesso Bettino Craxi uscì dalla scena politica
ben prima di ottenere un condanna).
Altri tempi, altra epoca geologica, anche se erano solo
pochi anni fa. Nel resto dEuropa (la Germania di Kohl,
la Francia dellex ministro Strauss-Kahn) le dimissioni
(politiche, non giudiziarie) sarebbero normali. Non da noi,
dove, con tutto quello che sta accadendo dentro il governo
della Regione più ricca dItalia, la corruzione
non fa notizia e nemmeno lopposizione si arrischia a
chiederle fino in fondo, con forza. Ormai pulizia e trasparenza
sono evidentemente un optional e la soglia dellindignazione
si è alzata più di quella del comune senso del
pudore.
Il Sistema Guarischi
Roberto Formigoni - luomo che aspira a diventare
il successore di Silvio Berlusconi, per portare a compimento
la democristianizzazione di Forza Italia - è stato
rieletto presidente della Regione Lombardia alle scorse regionali
del 16 aprile 2000 con il 62,4 per cento dei voti. Un trionfo.
Ha funzionato bene la grande macchina acchiappavoti di Comunione
e liberazione-Compagnia delle opere e ha dato buoni risultati
il patto stretto tra Berlusconi e Umberto Bossi. I
leghisti, che fino a qualche mese prima delle elezioni erano
i più duri oppositori del potere formigoniano e non
perdevano occasione per convocare conferenze stampa per denunciarne
i presunti "abusi", hanno dimenticato in un attimo i loro
attacchi e si sono stretti attorno allex avversario.
In cambio, hanno ottenuto un Formigoni "governatore" regionale,
fautore dellautonomia lombarda, che si fa fotografare
in mezzo agli altri due "governatori" del Nord, il veneto
Giancarlo Galan e il piemontese Enzo Ghigo, con
i quali (pur con significative resistenze di Ghigo) ha avviato
la riscossa delle regioni nordiste (e poliste) contro lo Stato
centralista, romano (e ulivista). Dopo la rielezione, in un
giorno dalle reminiscenze patriottiche, il 24 maggio - ironia
della sorte - Formigoni ha chiesto alla sua squadra di pronunciare
un "solenne giuramento", rivolto "alla Lombardia e al suo
popolo". Questa volta il Piave non ha mormorato, in compenso
hanno gioito i leghisti, appena conquistati alla maggioranza.
Quel giuramento è un atto simbolico quasi secessionista,
ha protestato qualcuno. Ma il "governatore" è andato
avanti, senza curarsi troppo del galateo istituzionale.
Non erano passati neppure quattro mesi dallinedito
giuramento, e sulla nuova giunta del "governatore" si è
abbattuto il primo scandalo: il 22 settembre 2000 viene arrestato
Gianluca Massimo Guarischi, coordinatore provinciale di
Forza Italia e presidente della commissione Bilancio della
Regione. Finisce in carcere insieme ad altre otto persone,
alti funzionari (come Mario Catania, vicecommissario
per lEmergenza) o imprenditori. Tre mesi dopo, il 13
dicembre 2000, è arrestata anche Milena Bertani,
del Ccd, assessore prima ai Lavori pubblici e poi al Bilancio,
privata della libertà insieme a Mario Giovanni Sfondrini,
direttore generale del settore Opere pubbliche della Regione
Lombardia. Bertani - diploma da geometra, ex segretaria della
andreottiana Ombretta Fumagalli Carulli e poi esponente
di rilievo del Ccd di Pierferdinando Casini - era stata
scelta per il delicatissimo ruolo di assessore ai Lavori pubblici
direttamente da Formigoni. Quanto a Guarischi, Formigoni da
anni lo andava sostenendo, anche a dispetto della sua fama.
Per esempio, lo aveva imposto come commissario straordinario
dellIpab (un ricco ente assistenziale milanese) anche
quando Guarischi era stato vistosamente messo da parte dal
sindaco di Milano, Gabriele Albertini, ed escluso dalla
gestione degli enti pubblici.
Aveva dovuto sopportare non poche ironie, il povero Guarischi,
raccontato dai giornali come un ragazzetto con la faccia da
soap-opera, messo in politica dal padre (un costruttore a
suo tempo arrestato per corruzione) per garantire continuità,
dopo Mani pulite, alle aziende di famiglia. Il bel Massimo
era noto al pubblico più che altro per aver condotto
un programma in una tv di Berlusconi e per essere stato fidanzato
della modella Celeste. Ma alla fine ha dimostrato di
avere la stoffa del politico di razza e del manager di successo:
ha infatti saputo costruire e mantenere, dopo i guai tangentizi
paterni, un nuovo comitato daffari, un sistema di corruzione
complesso e articolato.
Secondo la ricostruzione dellaccusa (coordinata
dai sostituti procuratori Fabio Napoleone e Claudio
Gittardi, i più attivi e silenziosi dei magistrati
alle prese con la nuova Tangentopoli lombarda), Guarischi,
con la complicità di Bertani, faceva i miliardi sui
disastri (degli altri): frane, alluvioni, smottamenti. Il
suo sistema di relazioni e di procedure imponeva che a vincere
gli appalti regionali per la ricostruzione fossero le aziende
di famiglia: Guarischi politico affidava i lavori a Guarischi
imprenditore. Poi truffava sui materiali: piazzava tiranti
più corti del dovuto, impiantava nel terreno meno pali
e di diametro più piccolo ("Sui pali abbiamo fregato
un trenta per cento", dice uno dei complici, intercettato
dai magistrati ). Tutta la compagnia - politici, funzionari,
amministratori, imprenditori - è accusata "di aver
ridotto la Regione a una specie di mercatino", sintetizzano
a Palazzo di giustizia.
Le imputazioni ufficiali sono corruzione, frode allo Stato,
associazione a delinquere: il gruppo, secondo laccusa,
aveva messo in piedi un sistema per truccare tutte le gare
e controllare tutti gli appalti pubblici dei lavori regionali,
dalla costruzione degli argini del torrente Seveso al ripristino
delle sponde del Naviglio, dalla sistemazione delle frane
in Valbondione al ristrutturazione dei torrenti in Val Tidone,
fino al consolidamento dellAdda. Guarischi nega tutto.
Dichiara che tra gli imprenditori cera soltanto un "gentlemen
agreement".
In realtà, lintervento illecito di pubblici funzionari
per ottenere vantaggi era diventato per Guarischi un metodo
consolidato, una consuetudine assodata. Tanto che la sua famiglia
vi ricorreva, scrive il giudice per le indagini preliminari
Alessandro Rossato, "anche per le più banali
necessità". Come liscrizione della moglie di
Guarischi, Stefania Luraschi, allAlbo degli architetti:
"Si può affermare", scrive Rossato, "che il segretario
della Bertani, Paolini, sia intervenuto per favorire
la moglie del Guarischi, affinché questa superasse
lesame discrizione allalbo. lepisodio
delinea la personalità di Guarischi, sempre teso a
cercare ogni tipo di favore, in questo caso per la moglie,
che recentemente, anche grazie al titolo professionale conseguito
in modo illecito, è stata assunta presso la Regione
Lombardia".
Formigoni non si era accorto di niente? Perché
proteggeva Guarischi, perfino contro il sindaco Albertini?
Appena scoppiato lo scandalo, si è dichiarato "addolorato".
E non per la corruzione che covava nei suoi uffici, ma "per
un arresto che va assolutamente al di là di quanto
la legge prescrive". Quando poi è arrivata lalluvione
che in ottobre ha battuto la Lombardia, il "governatore" perde
unoccasione per stare zitto: "Avete visto? Le opere
sotto inchiesta hanno resistito, dunque sono fatte a regola
darte". Il giorno dopo, una delle opere incautamente
evocate da Formigoni (largine di Crotta dAdda)
crolla.
Alla seconda tornata dello scandalo, nel dicembre
2000, quando sono tratti in arresto Milena Bertani e Giovanni
Sfondrini, Formigoni reagisce rincarando le dosi contro i
magistrati: "E un atto dintimidazione. Sproporzionato,
anzi del tutto ingiustificato in base alla legge vigente".
Formigoni porta dunque tutta intera la responsabilità
politica di aver scelto e sostenuto Bertani e Guarischi. Quanto
a dirette responsabilità penali, il suo nome, a quanto
è dato sapere finora, è entrato nelle carte
dellinchiesta soltanto per una citazione che Guarischi
ha fatto al telefono (intercettato), parlando con il superfunzionario
Sfondrini: è necessario spartire la torta di un appalto
con un terzo commensale, un ex deputato dc, perché "è amico di Formigoni",
ordina Guarischi. "Dagli una roba da poco: accontendando il
professore, io e te con Formigoni siamo a posto"
Le Opere della Compagnia
Qualche giornale ha tirato in ballo,
a proposito degli appalti sulle sciagure, anche un ex assessore
regionale, Donato Giordano, socialista poi passato
a Forza Italia, dipinto come uno che di affari se ne intende.
Giordano, un tempo potente e ora emarginato, ha reagito immediatamente,
spiegando così la situazione attuale in Regione: "Dietro
a Guarischi cè la Compagnia delle Opere, cè
lassessore comunale Sergio Scalpelli, ex Pci,
che si muove come una quinta colonna dentro Forza Italia.
E cè Formigoni... Io sono stato messo da parte
proprio perché mi contrapponevo al loro gruppo...".
La lobby di Comunione e liberazione, attiva attraverso
il braccio secolare della Compagnia delle Opere e forte di
una corrente che, partito nel partito, ha conquistato gran
parte del potere dentro Forza Italia in Lombardia: è
questa la mente del nuovo sistema che regola gran parte dei
rapporti tra politica e affari in Regione. Una lobby trasversale,
che ha cooptato al proprio interno anche gli eredi dei "miglioristi",
i nipotini dei comunisti filo-craxiani egemoni a Milano fino
ai primi anni Novanta: Sergio Scalpelli, appunto, oggi
assessore al Comune, ma in uscita dalla squadra di Albertini;
Massimo Ferlini, ex assessore di Tangentopoli passato
dal Pci alla presidenza della Compagnia delle Opere di Milano;
Lodovico Festa, ex direttore del Moderno (giornale del
Pci "migliorista" finanziato da Salvatore Ligresti,
da Silvio Berlusconi e dal costruttore della Torno
Angelo Simmontacchi), oggi braccio destro di Giuliano
Ferrara al Foglio.
La Regione Lombardia è una grande dispensatrice di
miliardi. La sola spesa sanitaria è lievitata,
sotto la gestione Formigoni, di 4 mila miliardi di lire, fino
a raggiungere nel 1999 la quota record di 19 mila miliardi
(più di un terzo entrata nelle casse delle cliniche
e dei laboratori privati). Sulle forniture sanitarie è
aperta unaltra inchiesta per appalti pilotati. Poi vi
sono i servizi dassistenza (unaltra bella fetta
del budget regionale), in cui è attiva una miriade
di cooperative legate a Comunione e liberazione. Formigoni,
assistito dal suo braccio destro Nicola Sanese, diventato
ormai (benché privo di alcun mandato elettivo) una
sorta di "vicegovernatore" regionale, ha dilatato di molto
anche lapparato di comunicazione della Regione, che
in cinque anni è passato a costare da 5 a 17 miliardi.
Ha ingaggiato come consulenti personaggi interni a Cl (come
Robi Ronza, una delle menti del Meeting di Rimini)
o esterni (dallex ambasciatore Boris Biancheri
allex rettore delluniversità di Bologna
Fabio Roversi Monaco, massone). Le spese regionali sono
così cresciute fino a generare un disavanzo di 1.400
miliardi, altro record di Formigoni.
Privatizzare, imperativo categorico del "governatore",
si traduce spesso nellapportare discreti introiti alle
casse degli amici di Cl e della Compagnia delle Opere, molto
bravi a farsi trovare proprio al posto giusto al momento giusto:
imprenditori della sanità o dellassistenza privata,
ma anche del turismo, del settore fieristico, della comunicazione.
Vi è a Milano una specie di monumento visibile alla
comunicazione di marca ciellina: i caselli di Porta Venezia,
in ristrutturazione; i grandi pannelli pubblicitari che li
ricoprono (ottimo investimento) sono gestiti da Chiara e Associati,
agenzia del gruppo Santa Chiara, il club ciellino animato
da Marco Palmisano.
I grandi affari urbanistici sono unaltra partita
in cui si agitano interessi pesanti. Su questi, i Comuni conservano
competenze determinanti (a Milano, sulla poltrona di assessore
allUrbanistica siede comunque un amico di Formigoni,
Maurizio Lupi, anchegli di Cl). Ma la Regione non
rinuncia neanche in questo campo alle proprie prerogative:
ultimo esempio, la miracolosa trasformazione in aree edificabili
di un pezzo di Parco Sud, cinque milioni di metri quadri alle
porte di Milano, destinati a passare dal verde al cemento
grazie a una decisione della giunta Formigoni presa alla chetichella,
il 4 agosto 2000, approfittando della generale distrazione
estiva.
Milena Bertani, Massimo Guarischi,
Roberto Formigoni, Giancarlo Abelli
Storie nere
e rifiuti doro
Cè un caso in cui Formigoni è stato chiamato
direttamente in causa per accertare eventuali responsabilità
penali, anche prima della vicenda che riguarda la fondazione
Bussolera-Branca. Il 14 luglio 2000, mentre loperosa
Lombardia si preparava alla chiusura per ferie, un avviso
di garanzia è piovuto direttamente sulla testa del
"governatore". La reazione di Formigoni, reduce dalla vittoria
elettorale del maggio precedente, è stata durissima:
"lattacco contro di me è tutto e solo politico.
è il vergognoso colpo di coda di un sistema politico-giudiziario
agonizzante, un tentativo estremo del giustizialismo comunista
e centralista". Sembra di sentire Berlusconi e Bossi
insieme. I reati contestati riguardano la più sporca,
la più interminabile, la più intricata delle
faccende politico-affaristiche degli ultimi anni in Lombardia:
la gestione della discarica di Cerro Maggiore.
Questa è una maxi-pattumiera che ha raccolto per
anni i rifiuti di Milano, città europea ancor oggi
senza un sistema moderno di smaltimento dei rifiuti e ancora
senza un depuratore delle acque. La vicenda offrirebbe a uno
sceneggiatore tutti gli elementi per costruire un grande film
noir: miasmi e spazzatura a cielo aperto, intrighi affaristici,
mistero sui reali proprietari dellimpianto, valzer di
prestanome, politici compiacenti, un fiume di soldi, bilanci
falsificati, conti in Svizzera, un misterioso suicidio. Luigi
Ciapparelli, manager comasco, morì nel suo ufficio
allinterno della discarica il 13 febbraio 1997, per
un colpo di pistola alla nuca sparato da alcuni centimetri
di distanza. Si portò nella tomba i segreti dellaffare
di cui era socio.
La super-pattumiera di Cerro ha attraversato le stagioni,
anche quelle di Mani pulite: fu al centro di una delle prime
inchieste del pool milanese, conclusa con la condanna definitiva
di Paolo Berlusconi per una tangente di 150 milioni
versati nel 1992 al tesoriere della Dc Gianstefano Frigerio
(oggi Forza Italia). Poi Berlusconi finse di uscire dalla
Simec, la società che gestiva la discarica, vendendone
alcune quote al ragionier Ciapparelli, ma in realtà
restò, almeno fino al 1996, il vero controllore dellimpresa
e il reale interlocutore della Regione.
Nel 1995 scoppiò in Lombardia la cosiddetta "emergenza
rifiuti": non si sapeva dove mettere tutta la spazzatura
prodotta da Milano e provincia. Formigoni la indirizzò
a Cerro, che invece avrebbe dovuto chiudere, e si impegnò
a pagare a Berlusconi 300 milioni al giorno per altri due
anni: come un titolo di Borsa, infatti, il pattume da gettare
in discarica aveva più che triplicato le sue quotazioni
grazie alla sbandierata "emergenza rifiuti", schizzando da
30 a 108 lire al chilo. Nel 1996, dope lennesima protesta
degli abitanti di Cerro, la discarica fu comunque chiusa.
Ma solo nel 1999 ci fu un accordo per bonificarla. Il compito
spettava ai proprietari, Berlusconi e soci, che in cinque
anni dattività avevano realizzato, secondo un
rapporto della Guardia di finanza, "ricavi effettivi per almeno
240 miliardi": più che una discarica, una miniera doro.
Invece Formigoni permise alla proprietà di usare per
la bonifica i miliardi della fideiussione versata alla Regione.
Forse lavviso di garanzia è stato spedito a Formigoni
proprio per questo uso improprio delle fideiussioni.
Ma nel corso delle indagini, secondo quanto ha scritto
il quotidiano Repubblica, è emerso anche un appunto
scritto a mano, il verbale di una riunione tenutasi a Milano
2 alla presenza di Paolo Berlusconi e degli altri soci
della Simec. Se è stato decifrato bene dai magistrati
che indagano, il foglietto parla della costituzione, attraverso
false fatture, di fondi neri allestero per oltre 10
miliardi, preparati per pagare in nero nuove discariche e
tangenti ai politici. Sul foglietto sono indicate anche alcune
cifre ("500 milioni", "200 milioni"...) con accanto nomi o
abbreviazioni ("Form", "Pozzi"...). Chi sono "Form" e "Pozzi"?
Hanno davvero ricevuto quei soldi? Giovanni Butti,
limprenditore comasco che ha scritto quel foglietto,
tace. Luigi Ciapparelli, il ragioniere che ha gestito una
parte di quei soldi, ha finito la sua carriera con un colpo
di pistola alla testa.
Un Pozzi, di nome Giorgio, esponente di Forza
Italia ed ex assessore regionale ai Trasporti, è indagato
per tuttaltra faccenda: la trasformazione di terreni
agricoli nei pressi di Lacchiarella, a sud di Milano, in preziose
aree dove impiantare lInterporto, la stazione dincontro
e scambio dei trasporti merce su camion e su rotaia. Erano
terreni agricoli, marcite, risaie, campi sorvolati dai corvi
(valore: 8 mila lire al metro quadrato) nei pressi di Lacchiarella,
a sud di Milano, diventati preziose aree (valore: 20 mila
lire al metro quadrato) su cui la Regione ha deciso di impiantare
- non si sa perché e non si sa perché proprio
lì - il più grande Interporto del Nord Italia.
Chi ci ha guadagnato - facendo nel momento giusto incetta
di aree agricole - sono i soliti noti, gli immobiliaristi
Salvatore Ligresti, Antonio DAdamo.
I magistrati vorrebbero sapere anche come è arrivato
un finanziamento regionale di 2 miliardi e mezzo alla Ims,
il consorzio pubblico-privato che dovrebbe realizzare lInterporto
e in cui sono rappresentati le Ferrovie, gli imprenditori
privati, la Lega delle cooperative rosse.
Il dottore che faceva i regali
Cè unaltra storiaccia che coinvolge Formigoni
e i suoi uomini. è la vicenda che ha avuto per protagonista
il dottor Giuseppe Poggi Longostrevi, il medico milanese
che nel settembre 2000 si è tolto la vita. Era imputato
per aver convinto centinaia e centinaia di medici, nelleuropea
Milano, a mandare i pazienti nelle sue cliniche e nei suoi
laboratori, con conseguente aumento del fatturato, a spese
della Regione: perché lItalia è uno strano
Paese che ha privatizzato la sanità - ma solo nel senso
che a guadagnare sono i privati, mentre a pagare è
la Regione, con soldi pubblici.
Il dottor Poggi Longostrevi, che nel suo genere era un genio,
aveva però escogitato un sistema più sofisticato:
non si limitava a far mandare i pazienti presso le sue strutture
sanitarie, ma aveva convinto i medici di base a inviarglieli
con ricette che prescrivevano esami inutili, o non rimborsabili,
o più complicati e costosi del necessario, o comunque
non eseguiti. Così un fiume di soldi, uscito dalle
casse delle Regione, affluiva nelle sue tasche. Nessuno si
lamentava: i pazienti erano contenti di fare esami a raffica;
i medici erano felici di ricevere 70 mila lire a ricetta,
più qualche regalino (dalla cravatta al servizio di
porcellana di Capodimonte); le aziende di Longostrevi erano
entusiaste di lavorare a pieno ritmo, sottraendo al sistema
sanitario nazionale 700 milioni al mese, per molti anni. lunica
a pagare, alla fine, era la Regione. Cioè tutti. Cioè
nessuno.
Ma possibile che in Regione non ci fosse neppure un politico,
neppure un funzionario che si fosse accorto della truffa?
Uno, a dir la verità, se nera accorto: Giuseppe
Santagati, manager della Ussl 39 di Milano, che fece scoppiare
il caso. Controllando i conti, si era accorto che qualcosa
non quadrava. Fece uninchiesta interna, si accertò
delle irregolarità, infine le denunciò alla
procura della Repubblica. Risultato: fu licenziato. Premiato
con una poltrona da assessore, invece, fu un buon amico di
Poggi Longostrevi, Giancarlo Abelli, politico pavese
e manager della sanità lombarda. Un uomo con una lunga
storia alle spalle. Ancor prima di Mani pulite, quando era
democristiano, Abelli fu arrestato e processato. Assolto,
tornò alla politica. Esperto di sanità, con
un grande know-how in materia, fu chiamato da Formigoni come
consigliere, proprio per la sanità.
Ma Abelli era anche amico e consulente di Poggi Longostrevi,
che lo ebbe gradito ospite sul suo elicottero. Non sapeva
niente, Abelli, della grande truffa che il suo amico medico
stava attuando? In che cosa consisteva la sua "consulenza"?
E a che titolo aveva ricevuto dei soldi (almeno 70 milioni
non dichiarati) dallimprenditore delle ricette doro?
In un altro Paese europeo lo avrebbero comunque cacciato:
Abelli o era complice o, peggio, non si era accorto di ciò
che accadeva sotto il suo naso, dunque era stupido e incapace.
Ma in Italia no: Formigoni se lo è tenuto vicino come
superconsulente della sanità e, nel maggio 2000, lo
ha chiamato a fare lassessore alle Politiche sociali
(la Sanità era già saldamente nelle mani di
Carlo Borsani, An, un altro che da anni sta in quel posto
e non si accorge di niente).
Abelli (passato intanto a Forza Italia), insieme a
tutti gli altri assessori della nuova giunta formigoniana,
il 24 maggio 2000 presta il suo "giuramento alla Lombardia
e al suo popolo". Un grande ritorno alla politica. Peccato
che uno scherzo del destino gli rovini la festa: proprio quel
giorno, gli viene recapitato un rinvio a giudizio. Per aver
ricevuto quei 70 milioni da Poggi Longostrevi, che, prima
di morire, li aveva spiegati così: "Dovevo tenermi
buono un personaggio politico che nel settore contava molto".
E poi aveva aggiunto: "Alcuni sono stati costretti alle dimissioni
solo per un sospetto, altri sono stati premiati con la nomina
ad assessore".
Regione corrotta, nazione infetta
Dunque, una folla di politici, funzionari, imprenditori è
indagata a Milano e in Lombardia per vicende di corruzione.
Centinaia di amministratori pubblici sono sotto processo per
corruzione in campo urbanistico. Una quarantina di persone
è stata arrestata per mazzette versate da imprese di
pulizia e da aziende fornitrici di mense scolastiche. è
sotto indagine la joint-venture per gestire 33 aeroporti argentini
siglata dalla Sea (la società che gestisce gli aeroporti
milanesi, quella che, sotto la guida di Fossa, a Natale
non ha saputo resistere a dieci centimetri di neve). In questa
vicenda, fra laltro, è coinvolto anche Massimo
De Carolis, che secondo laccusa si è dato
da fare per oliare laffare, compenso promesso: mezzo
miliardo).
E poi cè la Sanitopoli lombarda: quella vecchia,
in cui il braccio destro di Formigoni per la sanità,
Giancarlo Abelli, aveva rapporti piuttosto intensi con
Giuseppe Poggi Longostrevi, ma anche quella nuova,
con sotto accusa (per ora) un terzetto di manager della sanità
di nomina politica (Vito Corrao del Fatebenefratelli,
Pietro Caltagirone di Niguarda, Antonio Mobilia
della Asl Milano) che erano in combutta con un fornitore,
limprenditore Franco Maggiorelli, ricco di ottime
entrature politiche (aveva buoni rapporti con lassessore
comunale ai Trasporti Norberto Achille di Forza Italia,
con lassessore regionale alla Sanità Carlo
Borsani di An, con il capogruppo regionale di Forza Italia
Fabio Minoli). Abelli ricompare anche qui: i magistrati
lo accusano di aver anticipato a Maggiorelli le nomine dei
manager e di avergli offerto i contatti giusti. Ma che importa:
tutto ciò non impedisce a De Carolis di aspettare da
Berlusconi una candidatura (sembra per il Senato) alle prossime
elezioni; ad Abelli di aspirare a cumulare lassessorato
allAssistenza con quello alla Sanità, realizzando
una concentrazione di potere nel campo sanitario-assistenziale
mai vista prima; e a Formigoni, responsabile politico delle
azioni di Abelli come di quelle di Guarischi (di De Carolis
no: appartiene a una cordata concorrente) di restare lacclamato
"governatore" della Regione, aspirante successore del lider
maximo Berlusconi.
Chissà se è vero, come va dicendo qualcuno
del suo ambiente, che tutte queste brutte vicende lo hanno
fatto un po disamorare della politica lombarda, da cui
fugge appena può con frequenti viaggi allestero,
in Iraq, in Brasile, in Cile... Certo è che ha comunque
conservato il piglio decisionista: i suoi stessi assessori
devono sottostare al suo controllo, o a quello del suo "vicegovernatore"
Sanese; e il Consiglio regionale deve accettare di essere
trasformato in unassemblea senza poteri e con ben scarse
possibilità di controllo su ciò che viene deciso
dal presidente e dai suoi fedelissimi (in cambio, ai consiglieri
hanno offerto più soldi: 63 milioni allanno per
un nuovo portaborse e 2 milioni in più di stipendio,
che già si aggira sui 15 milioni al mese).
Intanto la secessione Formigoni lha già fatta.
Non quella con le bandiere e gli squilli di tromba, ma quella
reale, sostanziale, che realizza in Lombardia sistemi di governo
in contrasto con quelli nazionali: nella sanità, nellurbanistica,
nella scuola. Il sistema sanitario lombardo, che ha trasformato
le Asl in aziende che pagano le prestazioni e i servizi di
ospedali pubblici e (in maniera crescente) di cliniche e laboratori
privati, è diverso e in contrasto con il sistema sanitario
nazionale. I criteri di calcolo degli standard urbanistici
(le aree che devono restare a verde e servizi) decisi da Formigoni
sono troppo flessibili e in contrasto con le leggi nazionali,
tanto che per due volte la legge urbanistica regionale è
stata bocciata dal governo. Sulla scuola, poi, Formigoni ha
realizzato il suo capolavoro: ha fatto passare in Consiglio
una legge formalmente accettabile (buoni-scuola per tutti
gli studenti, per tutte le spese, in proporzione al reddito
famigliare), ma poi lha ingessata con un regolamento
attuativo che di fatto realizza un finanziamento esclusivo
alle scuole private, e anche per famiglie con redditi alti.
Il Pirellone sede della Regione Lombardia, quel grattacielo
disegnato da Gio Ponti che resta oggi uno dei pochissimi
elementi che contrassegnano lo skyline di Milano, è
dunque oggi battuto da nuovi venti: quelli della strana rivolta
di Formigoni contro Roma; quelli della politica, a suo modo
"centralista", del "governatore" (la Regione decide tutto,
anche contro i Comuni). E soprattutto quelli di una serie
di infortuni giudiziari come mai prima, nemmeno negli anni
doro di Tangentopoli.
Micromega, gennaio 2001
Il
piccolo fratello
Storia di Paolo Berlusconi e della sua grande impresa:
governare i rifiuti di Milano
di Gianni Barbacetto e Paolo Biondani
Paolo Berlusconi ha sempre avuto un complesso: quello del
fratello minore. Non ha mai sopportato il nomignolo che gli
hanno affibbiato Berluschino e che riemerge
in ogni ricostruzione delle sue attività imprenditoriali,
in ogni resoconto giornalistico su di lui, anche il più
benevolo. «Non chiamatemi più Berluschino»,
implorava un vecchio articolo-intervista dellautorevole
settimanale Il Mondo. Ho una mia personalità e miei
propri business, spiegava dandosi un tono Paolo Berlusconi,
immobiliarista, editore, finanziere, nato 13 anni dopo Silvio.
Quando fu arrestato, negli anni trionfali di Mani pulite,
con laccusa di aver pagato tangenti alla Guardia di
finanza, uscì dal Palazzo di giustizia di Milano nascosto
nel bagagliaio di un furgone Fiorino, per evitare i flash
dei fotografi. Poi i paparazzi si sono rifatti, con soddisfazione
di tutti, ritraendolo al fianco di Natalia Estrada. Ma anche
quella volta del Fiorino, Paolino non riuscì a convincere
fino in fondo né i magistrati né la stampa che
fosse proprio lui il protagonista assoluto: a molti restò
il dubbio che il fratellino si fosse prestato a coprire qualcuno
più grande di lui.
Sono passati molti anni e siamo ancora lì: Paolo è
sempre inchiodato allombra del Grande Fratello. Del
resto, che Silvio sia ingombrante, come fratello, come padre,
come marito, non stupisce: è il Presidente Imprenditore,
Operaio, Artigiano, Perseguitato dalle Toghe Rosse, Napoleone
e Giustiniano...
Ora, però, basta: per Paolo è venuto il momento
della riscossa. Ha finalmente unindagine, una grande
indagine, tutta sua. Una storia complessa, sporca (tratta
di immondizie), grondante liquami e miliardi. Ci sono fiumi
di denaro che scompaiono nel nulla. Sistemi di società
da far quasi invidia alle holding del fratellone. Cè
perfino una morte oscura, un misterioso colpo di pistola alla
nuca. E poi tangenti, fondi neri, disastri ambientali, politici
compiacenti. Fino al clamoroso sequestro, deciso dai giudici
la settimana scorsa, di metà dellimpero edilizio
di Paolo Berlusconi. È la storia della discarica di
Cerro Maggiore, vicino a Legnano, Lombardia, Italia.
Per raccontare questa storia, è necessario partire
da unaffermazione quasi incredibile: Milano, grande
città europea eccetera eccetera, non ha un sistema
civile per lo smaltimento dei rifiuti. Scarica quel che può
nei fiumi attorno e quel che proprio non può lo accumula
nelle discariche o lo brucia negli inceneritori. Da anni discute
di raccolta differenziata e impianti di depurazione, ma per
ora lunica cosa concreta che ha visto sono le indagini
per le relative tangenti.
Dunque, tutti i rifiuti di Milano città europea eccetera,
e relativa provincia, dallottobre 1990 al marzo 1996
sono stati accumulati nella maxipattumiera di Cerro Maggiore:
più di un milione di tonnellate di sacchi neri, che
si traducono in 243 miliardi di incassi per la società
privata autorizzata dalla Regione Lombardia a costruire e
a gestire, in quello che gli economisti chiamano regime di
monopolio, limpianto «demergenza»
ricavato da unex cava. La società privata si
chiama Simec spa. I suoi padroni sono Paolo Berlusconi e Giovanni
Butti, commercialista a Como. A pagare i 243 miliardi è
la Regione Lombardia. Ma con i soldi di tutti i cittadini.
UN COLPO DI PISTOLA. La Simec aveva, fino a quattro
anni fa, un terzo socio: un imprenditore italiano residente
in Svizzera di nome Luigi Ciapparelli. Ma il ragionier Ciapparelli
esce tragicamente di scena il 13 febbraio 1997: lo trovano
nel suo box di lavoro, accanto alla discarica, morto per un
colpo di pistola sparato alla testa. Quel giorno, alla Procura
di Milano, è di turno il pubblico ministero Margherita
Taddei, che ha appena indagato su uno strano suicidio di un
carabiniere. Forse per la suggestione di quel precedente,
il magistrato ordina ai militari di Cerro unindagine
non di routine anche sulla morte di Ciapparelli, che pure
sembrava destinata a una rapida archiviazione, sotto la voce
«suicidio»: appariva il gesto disperato di un
dirigente dazienda che proprio in quei giorni si trovava
a fronteggiare una rivolta popolare, innescata dalla scoperta
dellimprovviso cedimento del gigantesco muro in cemento
che avrebbe dovuto contenere la montagna di rifiuti e difendere
la salute dei cittadini di Cerro e della vicina Rescaldina.
Ma lautopsia del ragioniere dà risultati sorprendenti:
il proiettile ha colpito limprenditore non alla tempia,
ma alla nuca; e sulla pelle manca il caratteristico alone
dei colpi sparati a bruciapelo. Ciapparelli, insomma, si sarebbe
sparato da qualche centimetro di distanza, puntandosi la pistola
dietro alla testa. Una manovra dicono i medici legali
anatomicamente possibile, ma senza dubbio inconsueta.
Quel freddissimo 13 febbraio 1997 i carabinieri si presentano
allospedale di Legnano, dove limprenditore era
stato portato in condizioni disperate alle 10.20 del mattino.
Basterebbe una banale «prova dello Stub» (il vecchio
«guanto di paraffina», che identifica tracce di
polvere da sparo) per dimostrare una volta per tutte che a
impugnare larma fu proprio Ciapparelli. Ma qualcuno,
in ospedale, ha già lavato le mani della vittima: così,
addio certezze.
A Cerro in quel momento nessuno sospetta un giallo, eppure
un familiare di Ciapparelli si sfoga con parole sibilline:
«Lhanno ammazzato. Lhanno ammazzato i politici».
A questo punto Margherita Taddei, invece di chiudere il caso,
convoca una fidatissima pattuglia della Guardia di finanza
e la incarica di ricostruire la situazione economica e amministrativa
della maxidiscarica. Seguono quattro anni di indagini. Con
risultati sorprendenti.
LA TANGENTE RINNOVABILE. I primi, fondamentali rapporti
investigativi sulla galassia Simec vengono consegnati alla
Procura nel 1998. Oggi questa inchiesta sui segreti societari
della discarica è finita: latto daccusa
finale è un dossier di 502 pagine a cui ha lavorato
Margherita Taddei insieme alla collega Giulia Perrotti, specialista
in bilanci, con il coordinamento del procuratore aggiunto
Corrado Carnevali. Quelle 502 pagine hanno convinto il giudice
per le indagini preliminari Rosario Lupo (il magistrato citato
a modello da Cesare Previti per aver assolto lui e Silvio
Berlusconi dallaccusa di aver corrotto il giudice romano
che assegnò alla Fininvest il controllo della Mondadori)
a sequestrare oltre 40 miliardi in contanti e sei società
di Paolo Berlusconi.
Lipotesi del giudice è che Berluschino nasconda
nei suoi conti e nelle sue aziende miliardi di fondi neri
ricavati dal business dei rifiuti. Quanto allindagine
sulla morte di Ciapparelli, è ancora da chiudere: il
magistrato non ha ipotizzato lomicidio, ma l«istigazione
al suicidio»; la Procura collega insomma quella morte
alle troppe verità inconfessabili della grande pattumiera
di Cerro, in 13 anni filati di corruzioni, riciclaggi, disastri
ecologici, coperture politiche. Una Tangentopoli dei rifiuti
che parte dal craxiano Silvano Larini per arrivare al ciellino
Roberto Formigoni. Passando da lui: Paolo, il fratello di
Silvio.
Superdiscarica, supertangenti: già nel 1992, secondo
la confessione di Paolo Berlusconi ad Antonio Di Pietro, era
stata pagata una mazzetta di 150 milioni alla Dc lombarda,
nelle persone dei suoi tesorieri Maurizio Prada e Gianstefano
Frigerio (questultimo, dopo aver confessato decine di
miliardi di tangenti, oggi è uno dei dirigenti nazionali
di Forza Italia, di cui guida il Centro studi e ricerche).
Ma sulle discariche, fin dal 1988, è stata impiantata
una Tangentopoli più ampia e più totalizzante.
Nella Tangentopoli classica, la mazzetta compra un appalto.
Qui invece è stata comprata direttamente la legge regionale,
varata nel 1990 dallultima giunta Dc-Psi, ai tempi in
cui Silvano Larini, cassiere di Bettino Craxi, era stato messo
al vertice della società pubblica Lombardia risorse.
E viene inventata la «tangente rinnovabile», che
si autorigenera e si perpetua nel tempo: tanti chili di rifiuti
da smaltire, tanti soldi da passare sottobanco ai politici,
negli anni («Un miliardo ogni 100 mila metri quadrati»,
annotano di loro pugno gli uomini della Simec).
È quanto emerge dalla documentazione sequestrata dalla
Procura. Una documentazione impressionante. In alcuni appunti
è segnata la sigla «Poz 7.5»: secondo i
magistrati si riferisce allassessore regionale Giorgio
Pozzi, di Forza Italia. Dallagenda elettronica di Luigi
Ciapparelli, poi, si ricava che il geometra scomparso aveva
avuto fin dal 1995 frequenti contatti e incontri con politici
della Regione («Pozzi» e «Formigoni»,
oltre al suo segretario «Cattaneo») e consulenti
Fininvest (un certo «Dotti» e «Francesco
Dini», che oggi è un dirigente di Mediaset con
delega ai rapporti con il Parlamento, ma che tra il 1997 e
il 1999 veniva intercettato mentre teneva i rapporti tra Paolo
Berlusconi e il presidente della Regione Roberto Formigoni).
Nellagenda di Ciapparelli non mancano annotazioni da
interpretare: «Dini X strategie Liguori e serv. a pag.
De Corato Lupi x cava lunedì ore 15 Cattan ad esito
riunione con Rob». Oppure: «Utili Simec conti
PB».
Altro che pattumiera. Per cinque anni e mezzo la discarica
di Cerro è stata una miniera doro per i suoi
gestori: la Simec mette a bilancio ricavi lordi per 243 miliardi.
Ma iscrive anche pesanti «costi di smaltimento»:
così riesce a tener alte le tariffe. Ma erano costi
veri? La Procura sostiene di no, in base al lavoro della Guardia
di finanza e alle consulenze tecniche di un professorone universitario
e di un ispettore della Banca dItalia: risultano «spese
fittizie per almeno 150 miliardi». Le uscite sarebbero
state gonfiate in due modi: con compravendite di comodo e
con fatture false. Un esempio. Nel luglio 1994 (proprio mentre
il pool Mani pulite minaccia le dimissioni contro il «decreto
salva-ladri») la Simec acquista per 30 miliardi limmobiliare
La Beffa e sei mesi dopo la rivende a soli 2 miliardi. Unoperazione
sbagliata? No, una vera beffa: la perdita di 28 miliardi è
fittizia; i soldi rientrano, in nero, sui conti di familiari,
dipendenti e prestanome. Un altro esempio. La Simec acquista
un video di propaganda pro-discariche: costo 10 miliardi e
mezzo, pagati alla società Pool e messi a bilancio
tra le uscite. Peccato che la Pool (unaltro nome-beffa?)
faccia capo a Mariella Bocciardo, la prima moglie di Paolo
Berlusconi.
Poi cè il fisco. Dalle indagini penali è
nato un parallelo procedimento tributario per evasione fiscale,
che il fratello del Cavaliere ha dovuto chiudere pagando 76
miliardi allufficio Imposte di Milano. Sistemate le
pendenze con il fisco, sui padroni della discarica continuano
a pendere le accuse di falso in bilancio e perfino di riciclaggio:
i 150 miliardi spariti dai conti della Simec, infatti, secondo
i magistrati sono fondi neri che sono stati divisi tra i soci
(«50 per cento a Paolo Berlusconi, 30 a Butti, 20 a
Ciapparelli») e sono stati poi usati per finanziare
in maniera occulta grossi affari edilizi in Italia e allestero.
La pista più vistosa porta a Como. Qui Butti, dopo
aver contribuito allelezione del sindaco di Forza Italia,
è riuscito a costruire un gigantesco centro commerciale
(che, vista lingombrante architettura, i comaschi hanno
subito ribattezzato «il Dadone»): è intestato
allimmobiliare Pessina, una delle dodici società
che già lanno scorso erano state sequestrate
dal giudice Lupo, convinto che fossero servite per il «riciclaggio
dei profitti illeciti della discarica».
Anche Paolo, a suo modo, dimostra di voler fare politica.
Infatti è agli atti una sua pressione proprio sul «Dadone»
di Como: il 12 giugno 1998 interviene (intercettato) su Mario
Gorla, consigliere comunale di Forza Italia a Como e braccio
destro di Butti alla Simec: «Parla anche tu con Gorla,
perché lui ha come obiettivo la presidenza del consiglio,
però sarebbe più utile che diventasse presidente
della commissione urbanistica... Ah, dimenticavo: abbiamo
spostato il conto da Milano 2 a Milano 3». Oggi il «Dadone»,
oltre che sequestrato, è sotto inchiesta per abusi
edilizi. Un dirigente comunale testimonia: «Dissi subito
a Butti che non era possibile ottenere quella licenza. Ma
Butti mi disse che il sindaco di Como, Alberto Botta, gli
aveva garantito la licenza».
E infine cè la strana vendita della discarica.
Tra i documenti sequestrati cè anche il contratto
con cui Paolo, nel giugno 1996, cede la propria quota di controllo
della discarica (50 per cento) a Luigi Ciapparelli. Oggi la
Procura ritiene di poter dimostrare che quella cessione fu
fasulla: tramite un faccendiere svizzero, ora ricercato per
riciclaggio, lo stesso Berlusconi avrebbe passato sottobanco
a Ciapparelli i soldi per lacquisto del proprio pacchetto
azionario. Lobiettivo della falsa vendita sarebbe stato
in parte politico (evitare al leader di Forza Italia imbarazzanti
collegamenti familiari con lo scandalo dei rifiuti), in parte
fiscale: approfittare della «residenza in Svizzera»
di Ciapparelli per realizzare una cosiddetta «estero-vestizione»
dei capitali Simec.
LA BOMBA ECOLOGICA. Se per Berlusconi e soci la pattumiera
di Cerro è una macchina per fare soldi, per i cittadini
che abitano nella zona è un incubo. Nascono comitati
che protestano per anni. Ai primi dagosto del 1995 il
presidente Formigoni, in nome dellemergenza rifiuti,
autorizza personalmente la Simec a riempire di rifiuti un
nuovo lotto. Centinaia di cittadini, esasperati, organizzano
una protesta popolare che, con tende e barricate, blocca i
camion dellimmondizia. Denunciati per blocco stradale,
sono tutti assolti dal giudice Renato Bricchetti, difficilmente
etichettabile come «toga rossa», visto che nel
1994 si era candidato alle politiche per Forza Italia.
A questo punto la Regione fa dietrofront: nel febbraio 1996
Formigoni decreta la chiusura della discarica e ordina alla
Simec di avviare la bonifica, garantita da circa 30 miliardi
di fideiussioni depositate da Paolo Berlusconi e soci. Dopo
un anno di lavori, però, il Comune di Cerro scopre
che il muraglione costruito dalla Simec per contenere la montagna
di rifiuti si è clamorosamente crepato. Il disastro
ambientale provoca, nel febbraio 1997, una nuova rivolta dei
cittadini contro la discarica. La ribellione è faticosamente
placata dalla Simec con la promessa solenne di ricostruire
il muraglione e rispettare limpegno (sancito già
dalla convenzione del 1990) per una completa «messa
in sicurezza». Il problema ecologico è serio:
la decomposizione dei rifiuti produrrà «per circa
un decennio» grosse quantità di «liquido
altamente inquinante» e di «biogas» simile
al metano che va «captato e bruciato» per evitare
«rischi di esplosione».
Avvertito di questi pericoli, Formigoni affida a un consulente
della Regione, lingegner Mario Catania, docente universitario
del Politecnico, il compito di elaborare il programma di bonifica.
Ma si scatena unincredibile confusione tra pubblico
e privato, tra controllati e controllori. Il 19 novembre,
per fare un solo esempio, Mario Gorla della Simec confida
al dirigente Mediaset Francesco Dini: «È arrivato
qui Catania dicendo papale papale: fatemi il progetto, dateci
una mano a fare il progetto. E tra le righe questo mi dice:
bisogna accontentare tutti i vicini, quindi Auchan».
Chi è Auchan? È il gruppo della grande distribuzione
che ha incredibilmente ottenuto dal Comune di Rescaldina,
che confina con Cerro, la licenza di costruire un ipermercato
di fianco alla maxidiscarica. La Procura ha recuperato foto
aeree impressionanti: la montagna di rifiuti è a meno
di 200 metri dalle mura del centro commerciale.
LA «SCENEGGIATA» CON FORMIGONI. Il professor
Catania è stato arrestato nel dicembre 2000 per unaltra
inchiesta su presunte tangenti mascherate da onorari: come
delegato di Formigoni alla gestione dellemergenza-alluvioni,
si sarebbe lasciato corrompere per favorire le aziende del
consigliere regionale Gianluca Guarischi (Forza Italia). Ma
oggi Catania è indagato anche per la discarica: Butti,
il socio di Paolo Berlusconi, gli ha allungato dei soldi,
sotto forma di «consulenze». In cambio, scrivono
i magistrati, di «continui favoritismi». Raccontati
in diretta da centinaia di intercettazioni.
Parlando con Butti di una consulenza, nel gennaio 1998, lo
stesso Catania dice: «Me ne approfitterò in tutti
i modi possibili e immaginabili». Subito dopo, Butti
tira le somme e confida a un amico: «Il professor Catania
sta lavorando per me... come tutti i grandi professori, il
suo problema è chi paga». Intanto le casse della
Simec sono prosciugate, perché sono spariti i 150 miliardi
che la Procura considera fondi neri. Ma a Butti e Gorla viene
unidea geniale: «Finanziare la bonifica riaprendo
la discarica». Così nel marzo 1998 parte la «sceneggiata»
(così viene definita negli atti giudiziari). Gorla
lanticipa a Francesco Dini: «Partirà una
proposta di mettere a dimora rifiuti secchi per farci dire
di no, quindi dare la possibilità di vittoria allente
pubblico, e ribaltarci sui rifiuti industriali che sono quelli
sui quali noi abbiamo sempre puntato». E Dini: «Allora
io inizio a fare un po di lavoro sulla presidenza».
Lobiettivo è tenere aperta la discarica.
Peccato però che proprio allora il muro di contenimento
lasci passare i suoi veleni. È emergenza. Lo capiscono
anche gli uomini di Paolo Berlusconi. Il più colorito
è Gorla: «Bisogna stare calmi. Se cominciamo
ad agitarci noi, figurati se non hanno il diritto di agitarsi
gli abitanti di Cerro, che gli pianti un milione di chili
di merda...». I soci della compagnia mista Simec-Regione
sono allarmati. Per la prima volta, i rapporti diventano tesi.
Il 25 marzo 1998 Butti teme addirittura di essere scaricato,
anche in seguito a uno «strano incontro tra Romiti e
Formigoni». Reagisce progettando di giocare lasso,
di muovere un misterioso (ma poi non tanto) alleato potente:
«Ne ho parlato con il nostro amico, bisognerebbe mettergli
in piedi un incontro con Formigoni».
Si muove Paolo. La sua Edilnord dà una garanzia di
6 miliardi per rifare il muro che perde. Poi, il 12 giugno
1998, partono le grandi manovre su Formigoni. Dini (Mediaset)
esterna a Butti (Simec): è necessario «un immediato
intervento eminentemente politico ad altissimo livello...
forti, caso mai, del fratello nostro amico per superare le
resistenze della presidenza... Bisogna parlarne al nostro
amico, magari qualcosa si muove». Paolo Berlusconi chiede
subito a Dini: «Gliela faccio una telefonata al presidente
o no?». Telefonate, pressioni e contatti si intensificano
nei mesi successivi. Poi, nellottobre 1998, cè
una svolta: il Tar (il Tribunale amministrativo regionale)
della Lombardia accoglie il ricorso di Auchan-Rinascente per
sbloccare lautorizzazione allapertura dellipermercato
(già costruito, ma ancora chiuso); e negli stessi giorni
cè un lungo «incontro diretto tra Paolo
Berlusconi e Roberto Formigoni». Nessuno dei due è
intercettato, per cui non si sa che cosa si siano detti. Da
quel momento, comunque, è il presidente della Regione
a gestire in prima persona lemergenza-discarica. Come
conferma a Paolo Berlusconi il solito Dini: «Ho visto
il grande capo, che ha una gran fretta di chiudere. Ti saluta
e poi ti racconterà». Berlusconi: «Perfetto».
Caduta ormai (a causa delle perdite del muro) ogni ipotesi
di riapertura della discarica, iniziano mesi di trattative
e di pressioni per varare un «accordo di programma»
tra tutti i soggetti pubblici e privati (Comune, Provincia,
Regione, Simec e Auchan) interessati al quesito più
importante: chi paga le spese del disinquinamento e del recupero
ambientale? Il braccio di ferro si chiude in primavera. A
comunicare il risultato a Paolo Berlusconi, alle 17.02 del
26 marzo 1999, è il telefonino di Mario Gorla: «Buongiorno
dottore, abbiamo finito!». E ride contento. Berlusconi:
«Avete chiuso bene?». Gorla: «Abbiamo chiuso
come volevamo noi... Abbiamo fatto il mille per cento degli
obiettivi che ci siamo proposti ieri con gli avvocati».
A informare il manager francese di Auchan, «monsieur
Le Saffre», ci pensa invece Fiorenzo Tagliabue, il pierre
ciellino ex portavoce di Formigoni. Le Saffre: «Tutto
a posto come previsto?». Tagliabue: «Sì,
sì, ho già in mano la delibera!». La novità
dellaccordo è che alle spese di bonifica parteciperà
anche lo Stato. Il primo a saperlo è Tagliabue, impegnato
da mesi nel pressing sulla discarica. Glielo comunica un amico,
un certo Sironi: «Lincontro a Roma è stato
decisamente positivo». Tagliabue: «Ma quanti soldi
vi danno?». Sironi: «Per tutta la Regione dovrebbero
essere 110». Una manna.
Le spese del recupero ambientale, che dovevano essere tutte
a carico di Berlusconi e soci, sono invece scaricate sullo
Stato (10 miliardi), sulla Regione Lombardia (16 miliardi)
e sul gruppo Auchan-Rinascente (13 miliardi, «condizionati
al rilascio della licenza commerciale»). A opporsi («fermamente»),
era rimasta soltanto la Provincia di Milano, allepoca
governata dal centrosinistra. Ma Formigoni salta lostacolo.
Lo spiega Gorla a un suo consulente legale: «Stanotte
è finita alle 3, dunque la situazione è questa:
Formigoni ha dichiarato che laccordo di programma va
avanti senza la Provincia». Il blitz di Formigoni entusiasma
Tagliabue, che al telefono grida: «Fantastico! Fantastico!
È un colpo dala di Formigoni». Dieci minuti
dopo, la buona novella viene annunciata al manager di Auchan.
Le Saffre: «È una buona notizia». Tagliabue:
«Caspita, ragazzi, che colpo!». Anche Gorla è
estasiato: «Hanno deliberato laccordo di programma...
fottendosene di tutto», spiffera contento a unamica,
ridendo, il primo aprile. Poi tranquillizza Butti, che è
allestero: «Fatti una vacanza tranquillissima:
hanno adottato la delibera». Il nuovo accordo di programma
diventa esecutivo il 22 settembre 1999, con un decreto di
Formigoni, che la Procura taccia di «pervicace volontà
di salvaguardare gli interessi privati a danno di quelli pubblici
e della collettività», sostenendo che «tutta
lattività della pubblica amministrazione è
stata indirizzata allassoluto favoritismo dei titolari
della Simec e principalmente di Giovanni Butti e Paolo Berlusconi».
Allinchiesta sulla discarica, che lo vede indagato anche
per unipotesi di corruzione, Formigoni ha reagito con
sdegno: «Quella bonifica è il fiore allocchiello
della mia amministrazione. Questa non è giustizia:
è la campagna elettorale dei magistrati». Ma,
oltre che dalle intercettazioni, il «governatore»
lombardo dovrà difendersi anche dalle conclusioni di
unanalisi tecnica dellaccordo di programma, che
la Procura ha affidato a un esperto di Diritto amministrativo.
«Appare evidente», recita la perizia, «che
gli obblighi posti in capo alla Simec con laccordo di
programma sono tutti ed esclusivamente obblighi che già
gravavano sulla medesima società in forza della convenzione
con la Regione dellottobre 1990». Berlusconi e
soci si erano impegnati fin dallinizio a pagare la bonifica
ambientale. Anzi, scrive il perito, la Simec non aveva rispettato
i patti, dunque Formigoni avrebbe dovuto incamerare nelle
casse regionali le «fideiussioni per oltre 30 miliardi»
garantite dalla Simec e «personalmente da Paolo Berlusconi».
E invece di bloccare quei soldi, ne ha regalati altri a Berlusconi.
Questi i fatti più importanti documentati dallinchiesta.
Per sapere se Roberto Formigoni, Paolo Berlusconi e gli altri
indagati meritino sanzioni penali bisognerà naturalmente
aspettare la sentenza definitiva della Cassazione: se ne riparlerà
verso il 2007. Nuove leggi permettendo. Comunque, Paolo Berlusconi
emerge oggi come imprenditore autonomo, con i suoi contatti,
le sue società, i suoi fondi neri, i suoi prestanome,
i suoi rapporti politici. Finalmente non è più
Berluschino. Un solo dubbio: ma sarebbe stato possibile tutto
ciò, senza lombra del Grande Fratello?
Diario, 13 aprile 2001
Paolo Berlusconi è
uscito dal processo sulla discarica in cui era accusato
di corruzione, peculato, frode nelle forniture pubbliche
con un risarcimento record, mai visto prima: 50 milioni di
euro (più di 100 miliardi di lire).

Da
grande sarò Berlusconi
Storia di Roberto Formigoni
Roberto Formigoni, luomo che aspira a diventare il successore
di Silvio Berlusconi, per far rinascere, da Forza Italia,
la nuova Dc, è stato rieletto presidente della Regione
Lombardia alle elezioni regionali del 16 aprile 2000 con il
62,4 per cento dei voti. Un trionfo. Ha funzionato bene la
grande macchina acchiappavoti di Comunione e liberazione-Compagnia
delle opere e ha dato buoni risultati il patto stretto tra
Berlusconi e Umberto Bossi. I leghisti, che fino a qualche
mese prima delle elezioni erano i più duri oppositori
del potere formigoniano e non perdevano occasione per convocare
conferenze stampa in cui denunciavano i presunti abusi, hanno
dimenticato in un attimo i loro attacchi e si sono stretti
come un sol uomo attorno allex avversario.
In cambio, hanno ottenuto un Formigoni governatore
regionale, fautore dellautonomia lombarda, che si fa
fotografare in mezzo agli altri due governatori
del Nord, il veneto Giancarlo Galan e il piemontese Enzo Ghigo,
con i quali (pur con significative resistenze di Ghigo) ha
avviato la riscossa delle regioni nordiste (e poliste) contro
lo Stato centralista, romano (e ulivista) culminata poi nella
vittoria del centrodestra alle elezioni politiche del 2001.
Ora propone allo Stato, ai ministeri, le sue riforme: sulla
sanità, sulla scuola, sulla famiglia; fate come me,
dice a Roma, io sono una lezione avanti...
Formigoni, dopo il suo personale trionfo elettorale, ha chiesto
alla squadra di assessori che ha formato di pronunciare un
«solenne giuramento», rivolto «alla Lombardia
e al suo popolo». Uno strappo, se non alla Costituzione,
almeno al galateo istituzionale. Realizzato oltretutto
ironia della sorte in un giorno dalle reminiscenze
patriottiche, il 24 maggio. Questa volta il Piave non ha mormorato,
in compenso hanno gioito i leghisti, appena conquistati alla
maggioranza. Quel giuramento è un atto simbolico quasi
secessionista, ha protestato qualcuno. Ma il governatore
è andato avanti, senza curarsi troppo degli scocciatori.
Peccato che qualcosa sia comunque caduto dal cielo, a rovinargli
la festa.
Il dottore che faceva i regali
Proprio nel giorno in cui giura «alla Lombardia e al
suo popolo» insieme a tutti i colleghi della giunta
Formigoni, lassessore Giancarlo Abelli riceve un noioso
rinvio a giudizio. I giudici di Milano gli notificano cioè
la sentenza secondo cui dovrà essere processato per
aver ricevuto 70 milioni come consulenza dal dottor
Giuseppe Poggi Longostrevi, luomo delle ricette doro.
LItalia è uno strano Paese che ha privatizzato
la sanità ma solo nel senso che a guadagnare
sono i privati, mentre a pagare è la Regione, con soldi
pubblici. E dottor Longostrevi, che nel suo genere era un
genio, aveva escogitato soltanto un buon sistema per approfittarne:
non si limitava a incentivare i medici di base a mandare i
pazienti presso le sue strutture sanitarie, ma li aveva anche
convinti a inviarglieli con ricette che prescrivevano esami
inutili, o non rimborsabili, o più complicati e costosi
del necessario, o comunque non eseguiti.
Così un fiume di soldi usciva dalle casse delle Regione
e affluiva nelle sue tasche. Ma nessuno si lamentava: i pazienti
erano contenti di fare esami a raffica; i medici erano felici
di ricevere 70 mila lire a ricetta, più qualche regalino
a Natale; le aziende di Longostrevi erano entusiaste di lavorare
a pieno ritmo, sottraendo al sistema sanitario nazionale 700
milioni al mese, per molti anni. Lunica a pagare, alla
fine, era la Regione. Cioè tutti. Cioè nessuno.
Mentre chi aveva scoperto la truffa, il dirigente Giuseppe
Santagati, era stato come abbiamo visto licenziato, Giancarlo
Abelli, amico e consulente di Poggi Longostrevi, che come
minimo si è fatto scippare molti miliardi (pubblici)
sotto il naso senza accorgersi di nulla, è stato premiato
con una bella poltrona da assessore.
Con il suo know-how in materia, Abelli puntava naturalmente
allassessorato alla Sanità, che è tra
laltro quello che ha a disposizione il budget più
mastodontico della spesa regionale. Ma ha dovuto accontentarsi,
per ora, di fare lassessore alle Politiche sociali:
la Sanità infatti è già da tempo saldamente
nelle mani di Carlo Borsani, di An, un altro che da anni sta
in quel posto e non si accorge di niente.
Formigoni, comunque, non si è fatto certo rovinare
la festa da uno stupido rinvio a giudizio: Abelli, da anni
suo consulente per la Sanità, è diventato finalmente
assessore.
Il sistema Guarischi
Non erano passati neppure quattro mesi dallinedito giuramento,
e sulla nuova giunta del governatore si è
abbattuto un nuovo scandalo: il 22 settembre 2000 viene arrestato
Gianluca Massimo Guarischi, coordinatore provinciale di Forza
Italia e presidente della commissione Bilancio della Regione.
Finisce in carcere insieme ad altre otto persone, alti funzionari
(come Mario Catania, vicecommissario per lEmergenza)
o imprenditori. Tre mesi dopo, il 13 dicembre 2000, è
arrestata anche Milena Bertani, del Ccd, assessore prima ai
Lavori pubblici e poi al Bilancio, privata della libertà
insieme a Mario Giovanni Sfondrini, direttore generale del
settore Opere pubbliche della Regione Lombardia. Unecatombe.
Bertani diploma da geometra, ex segretaria della andreottiana
Ombretta Fumagalli Carulli e poi esponente di rilievo del
Ccd di Pierferdinando Casini era stata scelta per il
delicatissimo ruolo di assessore ai Lavori pubblici direttamente
da Formigoni. Quanto a Guarischi, Formigoni da anni lo andava
sostenendo, anche a dispetto della sua fama. Per esempio,
lo aveva imposto come commissario straordinario dellIpab
(un ricco ente assistenziale milanese, già retto da
Matteo Carriera, un socialista che fu tra i primi arrestati
di Mani pulite) anche quando Guarischi era stato vistosamente
messo da parte dal sindaco di Milano, Gabriele Albertini,
che lo aveva platealmente escluso dalla gestione degli enti
pubblici. Qualche allocco aveva anche timidamente ricordato
che su Guarischi pesava un conflitto dinteressi: politico,
ma nello stesso tempo imprenditore. Formigoni va avanti come
un treno: «Abbiamo controllato, tutte le imprese appartengono
al padre». Ah be, allora...
Aveva dovuto sopportare non poche ironie, il povero Guarischi,
raccontato dai giornali come un ragazzetto con la faccia da
soap-opera, messo in politica dal padre, un costruttore a
suo tempo arrestato per corruzione, per garantire continuità,
dopo Mani pulite, alle aziende di famiglia. Il bel Massimo
era noto al pubblico più che altro per aver condotto
un programma in una tv di Berlusconi e per essere stato fidanzato
della modella Celeste, uno schianto.
Ma alla fine, a dispetto di chi lo irrideva, Guarischi jr
ha dimostrato di avere la stoffa del politico di razza e del
manager di successo: ha infatti saputo costruire e mantenere,
dopo i guai tangentizi paterni, un nuovo comitato daffari,
un sistema di corruzione complesso e articolato.
Secondo la ricostruzione dellaccusa (rappresentata dai
sostituti procuratori Fabio Napoleone e Claudio Gittardi,
i più attivi e silenziosi dei magistrati alle prese
con la nuova Tangentopoli lombarda), Guarischi, con la complicità
di Bertani, faceva i miliardi sui disastri (degli altri):
frane, alluvioni, smottamenti.
Il suo sistema di relazioni e di procedure imponeva che a
vincere gli appalti regionali per la ricostruzione dopo i
disastri ambientali fossero le aziende di famiglia. Il metodo
era semplice: Guarischi politico affidava i lavori a Guarischi
imprenditore. Poi, già che cera, truffava sui
materiali: piazzava tiranti più corti del dovuto, impiantava
nel terreno meno pali e di diametro più piccolo («Sui
pali abbiamo fregato un trenta per cento», dice uno
dei complici, intercettato dai magistrati).
Tutta la compagnia politici, funzionari, amministratori,
imprenditori è accusata «di aver ridotto
la Regione a una specie di mercatino», sintetizzano
a Palazzo di giustizia. Le imputazioni ufficiali sono corruzione,
frode allo Stato, associazione a delinquere: il gruppo, secondo
laccusa, aveva messo in piedi un sistema per truccare
tutte le gare e controllare tutti gli appalti pubblici dei
lavori regionali, dalla costruzione degli argini del torrente
Seveso al ripristino delle sponde del Naviglio, dalla sistemazione
delle frane in Valbondione al ristrutturazione dei torrenti
in Val Tidone, fino al consolidamento dellAdda. Guarischi
nega tutto. Dichiara che tra gli imprenditori cera soltanto
un «gentlemen agreement».
In realtà, lintervento illecito di pubblici funzionari
per ottenere vantaggi era diventato per Guarischi un metodo
consolidato, una consuetudine assodata. Non ne poteva più
fare a meno. Tanto che la sua famiglia vi ricorreva, scrive
il giudice per le indagini preliminari Alessandro Rossato,
«anche per le più banali necessità».
Come liscrizione della moglie di Guarischi, Stefania
Luraschi, allAlbo degli architetti: «Si può
affermare», scrive Rossato, «che il segretario
della Bertani, Paolini, sia intervenuto per favorire la moglie
del Guarischi, affinché questa superasse lesame
discrizione allalbo. Lepisodio delinea la
personalità di Guarischi, sempre teso a cercare ogni
tipo di favore, in questo caso per la moglie, che recentemente,
anche grazie al titolo professionale conseguito in modo illecito,
è stata assunta presso la Regione Lombardia».
Formigoni non si era accorto di niente? Perché proteggeva
Guarischi, perfino contro il sindaco Albertini? Appena scoppiato
lo scandalo, il governatore si è dichiarato
«addolorato». Ma non per la corruzione che covava
nei suoi uffici, bensì «per un arresto che va
assolutamente al di là di quanto la legge prescrive»:
un commento da sottile giurista.
Quando poi è arrivata lalluvione che nellottobre
2000 ha fiaccato la Lombardia, il governatore
perde unoccasione per stare zitto: «Avete visto?»,
dichiara. «Le opere sotto inchiesta hanno resistito,
dunque sono fatte a regola darte». Non lavesse
mai detto: il giorno dopo, una delle opere incautamente evocate
(largine di Crotta dAdda) crolla.
Alla seconda tornata dello scandalo, nel dicembre 2000, quando
sono arrestati Milena Bertani e Giovanni Sfondrini, Formigoni
reagisce rincarando le dosi contro i magistrati: «È
un atto dintimidazione. Sproporzionato, anzi del tutto
ingiustificato in base alla legge vigente».
Formigoni porta dunque tutta intera la responsabilità
politica di aver scelto e sostenuto Bertani e Guarischi. Quanto
a dirette responsabilità penali, il suo nome, a quanto
è dato sapere finora, è entrato nelle carte
di questa inchiesta soltanto per una citazione che Guarischi
(intercettato) ha fatto al telefono, parlando con il superfunzionario
Sfondrini: è necessario spartire la torta di un appalto
con un terzo commensale, un ex deputato dc, perché «è amico di Formigoni»,
ordina Guarischi. «Dagli una roba da poco: accontendando
il professore, io e te con Formigoni siamo a posto».
Un altro funzionario regionale poi arrestato, Emilio Galli,
in una telefonata (sempre intercettata) chiede: «Ma
lei è intervenuto sul Presidente?» (cioè
su Formigoni). E Guarischi: «Pesantissimamente».
Le Opere della Compagnia. Qualche giornale ha tirato
in ballo, a proposito degli appalti sulle sciagure in cui
era specialista Guarischi, anche un ex assessore regionale,
Donato Giordano, socialista poi passato a Forza Italia, dipinto
come uno che di affari se ne intende. Giordano, un tempo potente
e ora emarginato, ha reagito immediatamente, spiegando così
ai giornali la situazione attuale in Regione: «Dietro
a Guarischi cè la Compagnia delle Opere, cè
lassessore comunale Sergio Scalpelli, ex Pci, che si
muove come una quinta colonna dentro Forza Italia. E cè
Formigoni... Io sono stato messo da parte proprio perché
mi contrapponevo al loro gruppo...».
La lobby di Comunione e liberazione, attiva attraverso il
braccio secolare della Compagnia delle Opere e forte di una
corrente che, partito nel partito, ha conquistato gran parte
del potere dentro Forza Italia in Lombardia: è questa
la mente del nuovo sistema che regola gran parte dei rapporti
tra politica e affari in Regione.
Una lobby trasversale, che ha cooptato al proprio interno
anche gli eredi dei miglioristi, i nipotini dei
comunisti filo-craxiani egemoni a Milano fino ai primi anni
Novanta: Sergio Scalpelli, appunto, ex assessore al Comune
e ora resposabile relazioni esterne di E.Biscom; Massimo Ferlini,
ex assessore di Tangentopoli passato dal Pci alla presidenza
della Compagnia delle Opere di Milano; Lodovico Festa, ex
direttore del Moderno (giornale del Pci migliorista
finanziato da Salvatore Ligresti, da Silvio Berlusconi e dal
costruttore della Torno Angelo Simmontacchi), oggi braccio
destro di Giuliano Ferrara al Foglio.
La Regione Lombardia è una grande dispensatrice di
miliardi. La sola spesa sanitaria è lievitata, sotto
la gestione Formigoni, di 4 mila miliardi di lire, fino a
raggiungere nel 1999 la quota record di 19 mila miliardi (più
di un terzo entrata nelle casse delle cliniche e dei laboratori
privati).
Sulle forniture sanitarie è aperta unaltra inchiesta
per appalti pilotati. Poi vi sono i servizi dassistenza
(unaltra bella fetta del budget regionale), in cui è
attiva una miriade di cooperative legate a Comunione e liberazione.
Formigoni, assistito dal suo braccio destro, il direttore
generale Nicola Sanese, ex deputato andreottiano diventato
ormai (benché privo di mandato elettivo) una sorta
di vicegovernatore regionale, ha dilatato di molto
anche lapparato di comunicazione della Regione, che
in cinque anni è passato a costare da 5 a 17 miliardi.
Ha ingaggiato come consulenti personaggi interni a Cl (come
Robi Ronza, una delle menti del Meeting di Rimini) o esterni
(dallex ambasciatore Boris Biancheri allex rettore
delluniversità di Bologna Fabio Roversi Monaco,
massone). Le spese regionali sono così cresciute fino
a generare un disavanzo di 1.400 miliardi, altro record di
Formigoni.
Privatizzare, imperativo categorico del governatore,
si traduce spesso nellapportare discreti introiti alle
casse degli amici di Cl e della Compagnia delle Opere, molto
bravi a farsi trovare proprio al posto giusto nel momento
giusto: imprenditori della sanità o dellassistenza
privata, ma anche del turismo, del settore fieristico, della
comunicazione. Vi è a Milano una specie di monumento
visibile alla comunicazione di marca ciellina: i caselli di
Porta Venezia, in eterna ristrutturazione. La ristrutturazione
più redditizia di Milano: le antiche costruzioni del
dazio sono state coperte da enormi pannelli pubblicitari gestiti
da Chiara e Associati, agenzia del gruppo Santa Chiara, il
club ciellino animato da Marco Palmisano. Quando il casello
diventa un carosello...
I grandi affari urbanistici sono unaltra partita in
cui si agitano interessi pesanti. Su questi, i Comuni conservano
competenze determinanti (a Milano, la poltrona di assessore
allUrbanistica è stata comunque a lungo occupata
da un amico di Formigoni, Maurizio Lupi, anchegli di
Cl). Ma la Regione non rinuncia neanche in questo campo alle
proprie prerogative: ultimo esempio, la miracolosa trasformazione
in aree edificabili di un pezzo di Parco Sud, 5 milioni di
metri quadri alle porte di Milano, destinati a passare dal
verde al cemento grazie a una decisione della giunta Formigoni
presa alla chetichella, il 4 agosto 2000, approfittando della
generale distrazione estiva.
Sopra tutto, i miliardi Branca. Cè più
di un caso in cui Formigoni è stato chiamato direttamente
in causa anche per responsabilità penali. È
indagato davanti al giudice delle indagini preliminari per
la gestione della società regionale Lombardia Risorse
(un fallimento da 22 mila miliardi). ha ricevuto due avvisi
di garanzia per laffare della discarica di Cerro Maggiore.
Ed è rinviato a giudizio, su richiesta dei magistrati
Alberto Robledo e Fabio De Pasquale, per abuso patrimoniale
dufficio nella gestione della Fondazione Bussolera-Branca.
È una storia molto complicata, ma estremamente istruttiva.
Nel 1994, sentendo avvicinarsi la fine, Fernando Bussolera,
ricco avvocato lombardo vedovo di Lina Branca, la padrona
del Fernet, chiamò i suoi avvocati e, come nei romanzi
filantropici di fine Ottocento, li incaricò di creare
una fondazione che mantenesse viva la memoria sua e della
moglie facendo qualcosa di buono. Due sole cose prescrisse:
che la fondazione, a cui lasciava soldi, azioni e vaste tenute
agricole, valorizzasse il patrimonio rurale dellamato
Oltrepò pavese; e che lasciasse assolutamente fuori
dalla porta, per carità, i politici.
Povero avvocato Bussolera: nel giro di qualche anno le sue
ultime volontà sono state tutte ridotte a carta straccia.
Il vecchio, prima di morire, scelse i primi amministratori
della fondazione. Qualcuno di questi, come il professor Ezio
Lancellotti, prese molto a cuore lincarico: doveva gestire
per bene un patrimonio di ben 170 miliardi. Altri, morto il
vecchio, cominciarono a darsi da fare per portare a casa qualcosa.
Come in certi film americani.
Carlo Sarchi, ex manager Eni di area dc ai tempi dello scandalo
Eni-Petromin, si proclamò erede di Bussolera e intentò
una causa civile alla fondazione, con lobiettivo di
strappare un bel po di miliardi. Fabio Pierotti Cei,
ex manager della Fernet Branca e poi della Fondazione Cariplo,
che aveva ricevuto dal vecchio lincarico di vendere
un consistente pacchetto azionario della Fernet Branca per
finanziare la fondazione, prese il 38 per cento dellazienda,
lo svendette a soli 100 miliardi e in più mise nelle
sue tasche, come provvigione per la brillante operazione,
il 10 per cento, cioè 10 miliardi.
Il professor Lancellotti non credeva ai suoi occhi. Gli stavano
spolpando sotto gli occhi la fondazione prima ancora di farla
decollare. Si oppose fieramente a Sarchi che pretendeva di
diventare lerede di Bussolera. Fece causa a Pierotti
Cei chiedendogli 59 miliardi di danni per la vendita sottocosto
delle azioni. E poi pretese la restituzione dei 10 miliardi
di provvigione, oltre che di altri 870 milioni
che riteneva spariti dai conti.
DellOltrepò tanto caro al vecchio, naturalmente,
non si interessa nessuno. Quanto ai politici, piombano come
falchi a risolvere a modo loro la aggrovigliata situazione.
Formigoni partecipa nellaprile 1999 a una cruciale riunione
con lassessore regionale allAgricoltura Francesco
Fiori, il funzionario Maurizio Sala, oltre naturalmente al
suo braccio destro, Nicola Maria Sanese, potentissimo direttore
generale lombardo. Poi la Regione emette quattro delibere
miracolose che rimettono le cose a posto: alla fondazione
Bussolera-Branca è imposto di rinunciare a tutte le
cause e di accontentarsi; poi di modificare lo statuto per
far entrare nel consiglio damministrazione due nuovi
consiglieri, Giulio Boscagli, cognato di Formigoni, e Niccolò
Querci, allepoca segretario particolare di Silvio Berlusconi
e ora deputato di Forza Italia.
Risultato, una raffica di avvisi di garanzia: per Formigoni,
Sarchi, Pierotti Cei, Fiori, Sala e Sanese. Una storia difficile
da digerire.
Storie nere e rifiuti doro. Prima di questo,
un altro paio di avvisi di garanzia era piovuto sulla testa
di Formigoni per questioni di spazzatura. Il primo, per abuso
dufficio, è arrivato il 14 luglio 2000, mentre
loperosa Lombardia si preparava alla chiusura per ferie.
Quella volta la reazione di Formigoni, reduce dalla vittoria
elettorale del maggio precedente, era stata durissima: «Lattacco
contro di me è tutto e solo politico. È il vergognoso
colpo di coda di un sistema politico-giudiziario agonizzante,
un tentativo estremo del giustizialismo comunista e centralista».
Sembra di sentire Berlusconi e Bossi insieme.
I reati contestati in quelloccasione riguardano la più
sporca, la più interminabile, la più intricata
delle faccende politico-affaristiche degli ultimi anni in
Lombardia: la gestione della discarica di Cerro Maggiore.
È la maxi-pattumiera
di proprietà di Paolo Berlusconi che ha raccolto
per anni i rifiuti di Milano.
La super-discarica di Cerro ha attraversato tutte le stagioni,
da Tangentopoli a oggi: fu al centro di una delle prime inchieste
del pool milanese di Mani pulite, conclusa con la condanna
definitiva di Paolo Berlusconi per una tangente di 150 milioni
versati nel 1992 al tesoriere della Dc Gianstefano Frigerio
(oggi Forza Italia).
Finita lera della Dc, cominciò quella di Formigoni.
Nel 1995 scoppiò in Lombardia la cosiddetta emergenza
rifiuti: non si sapeva dove mettere tutta la spazzatura
prodotta da Milano e provincia. Formigoni la indirizzò
a Cerro, che invece avrebbe dovuto chiudere, e si impegnò
a pagare a Berlusconi 300 milioni al giorno per altri due
anni: come un titolo di Borsa, infatti, il pattume da gettare
in discarica aveva più che triplicato le sue quotazioni
grazie alla sbandierata emergenza, schizzando
da 30 a 108 lire al chilo.
Nel 1996, dope lennesima protesta degli abitanti di
Cerro, la discarica fu comunque chiusa. Ma solo nel 1999 ci
fu un accordo per bonificarla. Il compito spettava ai proprietari,
Berlusconi e soci, che in cinque anni dattività
avevano realizzato, secondo un rapporto della Guardia di finanza,
«ricavi effettivi per almeno 240 miliardi»: più
che una discarica, una miniera doro. Invece la proprietà
(ovvero Paolo Berlusconi) non scuce una lira. Il 28 marzo
2001 arriva a Formigoni il secondo degli avvisi di garanzia
per questa vicenda, questa volta per corruzione: secondo i
magistrati daccusa avrebbe permesso una strana triangolazione
di miliardi, una «tangente indiretta» di 11 miliardi
e 300 milioni promessa nel marzo 1999 e versata nellestate
2000, «tale da consentire al presidente della Regione
Lombardia di uscire da una situazione in grado di compromettere
la propria futura credibilità politica, ma senza arrecare
dispiaceri di sorta alle società del gruppo Fininvest».
Insomma: Formigoni avrebbe accettato una proposta indecente
dal gruppo francese Auchan, che versa i miliardi per la bonifica
della discarica al posto di Paolo Berlusconi, e in cambio
ottiene dal governatore una bella licenza per
aprire un centro commerciale proprio a ridosso della pattumiera.
Indagato, insieme al suo presidente, anche lassessore
regionale allAmbiente, Franco Nicoli Cristiani, anche
lui di Forza Italia.
Nel corso delle indagini è emerso anche un appunto
scritto a mano, il verbale di una riunione tenutasi a Milano
2 alla presenza di Paolo Berlusconi e degli altri soci della
Simec. Se è stato decifrato bene dai magistrati che
indagano, il foglietto parla della costituzione, attraverso
false fatture, di fondi neri allestero per oltre 10
miliardi, preparati per pagare in nero nuove discariche e
tangenti ai politici. Sul foglietto sono indicate anche alcune
cifre («500 milioni», «200 milioni»...)
con accanto nomi o abbreviazioni («Form», «Pozzi»...).
Chi è «Form»? Chi è «Pozzi»?
Hanno davvero ricevuto quei soldi?
Un Pozzi, di nome Giorgio, esponente di Forza Italia ed ex
assessore regionale ai Trasporti, è indagato per tuttaltra
faccenda: la trasformazione di terreni agricoli nei pressi
di Lacchiarella, a sud di Milano, in preziose aree dove impiantare
lInterporto, la stazione dincontro e scambio dei
trasporti merce su camion e su rotaia. Erano terreni agricoli,
marcite, risaie, campi sorvolati dai corvi (valore: 8 mila
lire al metro quadrato); sono diventati preziose aree (valore:
20 mila lire al metro quadrato) su cui la Regione ha deciso
di impiantare non si sa perché e non si sa perché
proprio lì il più grande Interporto del
Nord Italia.
Chi ci ha guadagnato facendo nel momento giusto incetta
di aree agricole sono i soliti noti, i costruttori
Salvatore Ligresti e Antonio DAdamo. I magistrati vorrebbero
sapere anche come è arrivato un finanziamento regionale
di 2 miliardi e mezzo alla Ims, il consorzio pubblico-privato
che dovrebbe realizzare lInterporto e in cui sono rappresentati
le Ferrovie, gli imprenditori privati, la Lega delle cooperative
rosse.
Regione corrotta, nazione infetta. Dunque, una folla
di politici, funzionari, imprenditori è indagata a
Milano e in Lombardia per varie vicende di corruzione, in
diversi settori. Si fatica a tenere a mente tutti gli scandali,
tutti nomi, tutte le ruberie. Roberto Formigoni, intanto,
si è un po disamorato della politica lombarda.
Scalpita, ha voglia di cambiare. Appena può fugge da
Milano e compie frequenti viaggi allestero, in Iraq,
in Brasile, in Cile... Ha inaugurato una politica estera per
la sua regione.
Certo è che ha comunque conservato il piglio decisionista:
i suoi stessi assessori devono sottostare al suo controllo,
o a quello del suo vicegovernatore Sanese; e il
Consiglio regionale deve accettare di essere trasformato in
unassemblea senza poteri e con ben scarse possibilità
di controllo su ciò che viene deciso dal presidente
e dai suoi fedelissimi (in cambio, ai consiglieri hanno offerto
più soldi: 63 milioni allanno per un nuovo portaborse
e 2 milioni in più di stipendio, che già si
aggira sui 15 milioni al mese). Al centralismo romano, poi,
il governatore ha sostituito un centralismo
regionale che non lascia respiro e autonomia ai Comuni.
Intanto la secessione Formigoni lha già fatta.
Non quella con le bandiere e gli squilli di tromba, ma quella
reale, sostanziale, che ha realizzato in Lombardia sistemi
di governo in contrasto con quelli nazionali: nella sanità,
nellurbanistica, nella scuola. O forse ha solo anticipato
ciò che ora Silvio Berlusconi realizzerà a livello
nazionale.
Ha varato il sistema sanitario lombardo, che ha trasformato
le Asl in aziende che pagano le prestazioni e i servizi di
ospedali pubblici e (in maniera crescente) di cliniche e laboratori
privati. Ha deciso criteri di calcolo degli standard urbanistici
(le aree che devono restare a verde e servizi) più
flessibili e in contrasto con le leggi nazionali, tanto che
per due volte la legge urbanistica regionale era stata bocciata
dal governo di centrosinistra. Ha imposto una legge lombarda
sui buoni-scuola che è il suo capolavoro: ha fatto
passare in Consiglio regionale una legge formalmente accettabile
(buoni-scuola per tutti gli studenti, per tutte le spese,
in proporzione al reddito famigliare), ma poi lha ingessata
con un regolamento attuativo che di fatto ha realizzato un
finanziamento esclusivo alle scuole private, e anche per famiglie
con redditi alti.
Ora molto probabilmente lanomalia lombarda sarà
sanata: le leggi nazionali si adegueranno a quelle di Formigoni.
Quanto alle indagini, gli arresti, gli scandali: chi se ne
ricorda più?
Aprile 2002
Formigoni e il petrolio di Saddam
Il rapporto Usa che nega le armi
di distruzione di massa conferma le assegnazioni di greggio
a politici di mezzo mondo. Anche al presidente lombardo, che
potrebbe aver indcassato da 1 a 10 miliardi di lire
di Gianni Barbacetto
Spazzatura. Per Roberto Formigoni,
presidente della Regione Lombardia, le notizie sulle assegnazioni
petrolifere a lui girate dallIraq di Saddam Hussein
sono, semplicemente, «spazzatura». Così
le aveva definite, quando, nel gennaio 2004, quelle notizie
erano rimbalzate in Italia dopo essere state diffuse da un
quotidiano iracheno. Ma ora sono state riproposte e precisate
allinterno di un rapporto ufficiale americano: quello
che certifica linesistenza delle armi di distruzione
di massa, presentato ai primi dottobre al Congresso
degli Stati Uniti dallispettore Charles A. Duelfer,
responsabile dellIraq Survey Group.
Sono 1.200 pagine, di cui una trentina dedicate agli elenchi
di chi avrebbe ottenuto petrolio durante il regime di Saddam.
In questi elenchi, ricavati da documenti ufficiali del ministero
del Petrolio di Saddam Hussein, compaiono grandi compagnie
e piccoli trader petroliferi, ma anche singole persone ed
esponenti politici di una cinquantina di Paesi del mondo.
Tra questi, Roberto Formigoni, che avrebbe ricevuto da Saddam
24,5 milioni di barili: la più massiccia tra le assegnazioni
fatte a soggetti italiani. È una storia di guerra,
pace e petrolio che vale la pena di ricostruire.
Tutto nasce con «Oil for food», il programma delle
Nazioni Unite varato per addolcire lembargo allIraq
voluto dagli Stati Uniti dopo la prima guerra del Golfo. Dal
1996 lOnu permette al Paese di Saddam di commercializzare
quote del suo petrolio, per procurarsi cibo e medicinali.
Tutto avrebbe dovuto avvenire nella massima trasparenza e
sotto il controllo delle Nazioni Unite, ma così non
è stato. LOnu stabiliva ogni sei mesi le quote
di greggio commercializzabile, poi però era di fatto
la Somo lagenzia petrolifera del regime iracheno
a stabilire a chi concedere le assegnazioni. A grandi
compagnie come Agip, Elf, Total. Ai colossi russi e cinesi.
Ma spesso erano amici del regime che venivano in questo modo
«ringraziati» per la loro vicinanza politica.
Il detentore delle assegnazioni, infatti, poteva rivendere
i suoi contratti a trader compiacenti e riservati, spuntando
di solito robusti margini di guadagno.
Come ti aggiro lembargo. I
conti sono presto fatti. Le assegnazioni irachene erano concesse
a prezzi scontati rispetto alla quotazione del «brent»
sul mercato petrolifero ufficiale. Secondo unapprofondita
inchiesta del Sole 24 Ore e del Financial Times firmata insieme
da Claudio Gatti e Mark Turner, lo sconto concesso dalla Somo
oscillava dai 2 ai 10 centesimi di dollaro a barile. Dunque
25 milioni di barili (più o meno la quota che sarebbe
arrivata a Formigoni) potevano fruttare dai 500 mila ai 5
milioni di dollari (da 1 a 10 miliardi di lire del vecchio
conio). In più, il prezzo di vendita poteva crescere
anche di molto rispetto al prezzo dacquisto pagato alla
Somo, grazie ai rialzi di mercato nei mesi successivi allemissione
dei contratti. Così il metodo delle assegnazioni finiva
per alimentare un flusso finanziario poco trasparente che
andava a creare due tipi di fondi neri, fuori dal controllo
dellOnu: il primo andava nelle tasche e nei conti riservati
degli «amici dellIraq» a cui Saddam faceva
arrivare i contratti; il secondo rimpinguava direttamente
le casse del regime, che pretendeva una parte dei guadagni.
Questi fondi venivano usati per aggirare lembargo, anche
con lacquisto illegale di armi. Secondo una commissione
del Congresso Usa, il regime di Saddam ha accumulato fondi
neri per oltre 4 miliardi di dollari.
Tra le imprese che hanno ricevuto assegnazioni petrolifere
(per la cifra record di 39 milioni di barili) cè,
del resto, la Italtech, una piccola società a responsabilità
limitata con sede a Livorno, fondata da Augusto Giangrandi,
italiano emigrato in Cile, amico del dittatore Augusto Pinochet
e grande frequentatore dei palazzi di Saddam. Lattività
principale di Giangrandi non è certo quella del petroliere:
è, semmai, il traffico internazionale darmi.
Il «vecchio amico» Tareq Aziz. Era
Tareq Aziz, secondo linchiesta Sole-Financial Times,
a gestire o comunque coordinare le assegnazioni petrolifere
agli «amici» stranieri. Lex vice-primo ministro
e ministro degli Esteri di Saddam, cattolico, aveva certamente
buoni rapporti con Formigoni, che negli anni dellembargo
ha calorosamente sostenuto la causa irachena, anche recandosi
personalmente a Baghdad. Quando poi Tareq Aziz, nellestremo
tentativo di fermare lattacco americano, fece lultimo
viaggio in Italia, il 12 febbraio 2003, Formigoni fu il primo
personaggio pubblico che incontrò: appena atterrato
allaeroporto di Roma, Aziz, saltato ogni cerimoniale,
si diresse infatti verso un ristorante tranquillo sul litorale
di Ostia, dove lo aspettava Formigoni.
Poi lincontro ufficiale avvenne negli uffici di via
del Gesù, dove la Regione Lombardia ha la sede della
sua delegazione nella capitale. «My old friend»,
mio vecchio amico: così Tareq si rivolse al presidente
lombardo, secondo le cronache dellAnsa. Toccò
infine alla scrupolosa direzione del Tg1 «ripulire»
le immagini dellincontro: nel servizio andato in onda
alle 20 (lo ricorda anche lultimo libro di Peter Gomez
e Marco Travaglio, Regime), si vede Aziz, si vede Formigoni,
ma sono censurate tutte le inquadrature in cui i due sono
insieme, e specialmente quella della calorosa stretta di mano.
Alla vigilia di una guerra ormai imminente, meglio non far
passare immagini di contatti con il «nemico».
Negli elenchi pubblicati dal rapporto Duelfer, Formigoni è
associato a Cogep. Di che cosa si tratta? Di una piccola società
a responsabilità limitata, la Costieri Genovesi Petroliferi,
di proprietà della famiglia di Natalio Catanese. Raggiunto
al telefono da Diario, Catanese si è rifiutato di rispondere
a qualsiasi domanda su Formigoni e sul petrolio iracheno.
Lipotesi che trapela dal rapporto americano è
comunque che Formigoni abbia avuto le assegnazioni petrolifere
e poi abbia girato i contratti alla Cogep, che avrebbe provveduto
a compiere materialmente le operazioni di commercializzazione
del greggio.
È davvero andata così? E ci sono poi stati finanziamenti
della Cogep al presidente lombardo? Per Catanese è
un secco «no comment». Per Formigoni è
solo «spazzatura». In mancanza di conferme dirette,
si può solo cercare di capire come funzionava il meccanismo
in generale. Diario lo ha verificato sentendo come si sono
comportati altri due personaggi presenti, con Formigoni, nellelenco
delle assegnazioni. Sono Gian Guido Folloni e Tusio De Iuliis.
Le prime conferme. Folloni è un ex senatore
democristiano, fu ministro per i Rapporti con il Parlamento
durante il governo di Massimo DAlema e oggi è
membro del dipartimento Esteri della Margherita. Aveva creato,
negli anni dellembargo, unassociazione Italia-Iraq
a cui avevano aderito parlamentari di entrambi gli schieramenti.
Conferma a Diario di aver avuto contatti diretti con le autorità
irachene. «Abbiamo segnalato, in qualche caso, gruppi
dimprese vicine alla nostra associazione, comprese alcune
che operavano in campo petrolifero».
Nel rapporto Duelfer, accanto a Folloni, che avrebbe ottenuto
assegnazioni per 6,5 milioni di barili, compare anche la sigla
Ips: dovrebbe trattarsi dellazienda di Salvatore Nicotra,
commerciante siciliano diventato tanto amico del regime iracheno
da finanziare la costruzione di un teatro allaperto
per i ragazzi della scuola Don Bosco a Santa Maria di Licodia,
un paesino in provincia di Catania. Nome ufficiale: «Lanfiteatro
dei bambini di Saddam Hussein».
«Sì», ammette Folloni, «abbiamo segnalato
anche Nicotra. Poi le imprese che noi segnalavamo sostenevano
finanziariamente lassociazione. Con quel sostegno, abbiamo
organizzato, negli anni durissimi dellembargo, cinque
voli umanitari a Baghdad, portando soprattutto medicinali».
Tusio De Iuliis è invece un abruzzese di Pescara che
ha fondato lassociazione «Aiutiamoli a vivere».
È di casa a Baghdad, dove si è recato più
volte sia prima, sia dopo linvasione americana. È
stato lui a organizzare, poco prima dellinizio della
guerra, il viaggio in Iraq a cui ha partecipato anche la rockstar
italiana Gianna Nannini. Negli elenchi americani non compare
De Iuliis, ma un certo Tuzio Bolis.
De Iuliis conferma però a Diario il suo coinvolgimento
nella vicenda: «Mi riempie donore e dorgoglio
il fatto di avere avuto delle assegnazioni. Le ho avute, certo:
non dal governo iracheno, ma dallassociazione Friendship,
Solidariety and Peace for Iraq. E naturalmente non mi sono
messo in tasca neanche una lira. Le assegnazioni erano il
riconoscimento per le azioni umanitarie e le almeno 15 missioni
a Baghdad realizzate dalla mia associazione. Mi avevano comunicato
lassegnazione di 1 milione e mezzo di barili. Io non
so niente di petrolio, si figuri che volevo donarlo al governo
cubano. Poi mi sono fatto consigliare come fare: lambasciata
irachena in Italia mi ha suggerito il nome di Salvatore Nicotra.
Alla fine, comunque, non se nè fatto niente,
perché è scattata linvasione americana».
Nega tutto, invece, laltro nome che compare nel capitolo
italiano del rapporto: padre Jean-Marie Benjamin, il sacerdote-musicista
protagonista di battaglie contro lembargo, che secondo
il rapporto Duelfer avrebbe ricevuto 4,5 milioni di barili.
È padre Benjamin ad accogliere Tareq Aziz allaeroporto
di Roma, nel febbraio 2003, e a raccontare del suo incontro
riservato con Formigoni. Poi, nel pomeriggio di quello stesso
giorno, Aziz incontra Folloni. In poche ore, tutta la lista
italiana del rapporto Duelfer.
Diario, 29 novembre 2004
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