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E
ora il «lodo Gasparri»
Dopo aver risolto il suo primo problema
(i processi) ottenendo l'impunità con il «lodo
Schifani», ora passa a occuparsi del suo secondo problema
(le tv). Con la legge Gasparri, che lascia a Berlusconi tutte
le sue reti e anzi gli permette di crescere ancora. Ai danni
della Rai e della stampa.

Governare conviene: rende più
ricchi. È il caso dellimprenditore Silvio
Berlusconi, che da quando nel 2001 è diventato presidente
del Consiglio ha visto schizzare verso lalto gli utili
della sua principale azienda, Mediaset (di cui controlla
direttamente il 48 per cento, senza alcuna legge, pure promessa,
che disciplini il conflitto dintessi). Lutile
di Mediaset è stato di 418,1 milioni di euro nel
2001, è salito a 497,1 nel 2002. Nel 2003 gli affari
stanno andando ancora meglio: nel primo trimestre lutile
Mediaset ha raggiunto quota 191,1 milioni di euro, un bel
5,8 per cento in più rispetto allo stesso periodo
dellanno precedente (180,6).
Luomo più ricco dItalia è
recentemente passato alla cassa, come hanno scoperto Mario
Gerevini e Vittorio Malagutti del Corriere della sera: qualche
mese fa ha intascato 194,4 milioni di euro (per capirci,
circa 376 miliardi di lire). Lo ha fatto, a partire dallottobre
2002, attraverso unoperazione di buy back (acquisto
di azioni proprie), ritirando i soldoni dalle famose 20
holding che controllano la Fininvest (che controlla Mediaset).
Da dove arriva la ricchezza dellimprenditore
Silvio Berlusconi? Principalmente dalla raccolta di pubblicità
televisiva. Arrivato a palazzo Chigi nella primavera 2001,
Berlusconi godeva già di una situazione monopolistica
impensabile nel resto del mondo occidentale (ma non nella
Russia dellamico Putin, o nellIraq del nemico
Saddam): controllava tre reti, quelle che raccolgono la
stragrande maggioranza degli spot, in un Paese in cui la
tv assorbe gran parte delle risorse pubblicitarie, togliendole
a quotidiani, periodici, affissioni, radio, cinema... In
Italia finisce in spot più della metà degli
investimenti pubblicitari (per la precisione: almeno il
57 per cento), contro il 23 per cento della Germania, il
33,5 della Gran Bretagna, il 34,5 della Francia, il 38 degli
Stati Uniti, il 41 della Spagna (fonte Zenith Media-The
Economist).
Una volta arrivato al governo e acquisito
dunque il controllo politico dellaltra grande azienda
che raccoglie spot, la Rai le cose per Berlusconi
hanno cominciato ad andare ancor meglio. È iniziata
una doppia erosione: gli inserzionisti pubblicitari hanno
aumentato gli investimenti su Mediaset, diminuendo quelli
sulla Rai e sui quotidiani. Nel 2001, Telecom ha tolto alla
Rai ben 77,5 miliardi di lire, 20 la Nestlè, 9 la
Fiat. Effetto della crisi, della generale frenata degli
investimenti pubblicitari, della recessione, dell11
settembre? Sì, ma a Mediaset Telecom ha tolto soltanto
40 miliardi, mentre la Fiat ha addirittura aumentato il
budget per le reti di Berlusconi di 7 miliardi, la Nestlé
di 5. Enel ha dato il 70 per cento del proprio budget a
Mediaset e solo il 30 alla Rai. Unilever ha investito 154
miliardi sulle reti di Berlusconi, solo 61 su quelle Rai...
Ecco un bellesempio di conflitto dinteressi:
gli imprenditori italiani e le multinazionali attive in
Italia, dovendo scegliere, finiscono per privilegiare le
tv del presidente del Consiglio. Nel 2002 e 2003 la tendenza
si conferma: i big spender della pubblicità, che
fino al 2000 dividevano i loro investimenti 50 e 50 tra
Rai e Mediaset, oggi danno oltre il 60 per cento a Mediaset
e meno del 40 alla Rai.
Rilevante anche lerosione ai quotidiani. Nel
periodo ottobre 2002-marzo 2003, confrontato con lo stesso
periodo dellanno precedente, Barilla toglie il 86,8
per cento ai giornali, aumentando invece del 20,6 linvestimento
su Mediaset; meno 65,8 dalla Martini&Rossi, che alle
reti di Berlusconi ha dato un più 65,4. Ferrero:
meno 64,5 ai quotidiani, più 3 a Mediaset. Procter&Gamble:
meno 90,5 ai giornali, più 37 a Canale 5, Retequattro
e Italia 1 (dati Nielsen, elaborazione Margherita).
Ora arriva la legge Gasparri, che dovrebbe mettere
finalmente ordine nel sistema televisivo. Ma altro che ordine:
la Gasparri peggiora le già pessime condizioni del
mercato italiano. Il politico Berlusconi, nei due campi
che gli stanno a cuore (giustizia e tv) è davvero
efficiente: dopo aver azzerato i suoi processi e conquistato
(con il «lodo Maccanico» diventato «lodo
Schifani») limmunità, ora si avvia a
sistemare limpero. Deve farlo con una (ennesima) legge
su misura e (di nuovo) con i tempi obbligati: entro il 31
dicembre 2003. Entro quella data, infatti, Retequattro dovrebbe
assolutamente andare sul satellite, come stabilito dalla
Corte costituzionale, a cui non sono piaciute le calende
greche stabilite, ai bei tempi del governo dellUlivo,
dalla legge Maccanico (ancora tu?).
Ma ecco arrivare lo Schifani delle tv, il ministro
Maurizio Gasparri. Ed ecco la geniale invenzione distillata
questa volta nei laboratori del Biscione: il Sic. È
perfino meglio del semestre italiano di guida dellEuropa:
il Sic, «Sistema integrato delle comunicazioni»,
è una specie di grande oceano, o di continente sconosciuto,
o di galassia, o di buco nero, di cui nessuno conosce i
confini. È il nuovo universo di riferimento su cui
calcolare i limiti antitrust. Fino a oggi, sono chiari:
nessun operatore può controllare più di due
(due!) reti televisive, non può assorbire più
del 30 per cento delle risorse pubblicitarie totali.
Limiti non rispettati, ma chiari. Permetterebbero
perfino di aprire il mercato ad altri operatori televisivi,
lascerebbero più risorse ai giornali. Invece, con
il «lodo Gasparri», queste barriere sono abbattute:
ogni operatore deve solo stare attento a non superare il
20 per cento del Sic. Ma quanto è grande questo Sic?
Non si sa. Comprende certamente televisione, editoria, telecomunicazioni,
libri. E poi anche il canone Rai, la pubblicità nazionale
e locale, le sponsorizzazioni, le televendite, le promozioni,
gli abbonamenti a pay tv. Ma forse anche le sponsorizzazioni,
le pubbliche relazioni, il direct marketing. E il cinema?
E le spese per le fiere?
Insomma: la galassia, come ogni galassia, ha confini
incerti. Chi li stabilisce? Berlusconi (in quanto imprenditore
o in quanto presidente del Consiglio, non sappiamo più)
ha buoni margini per dilatarli a piacere. Una cifra che
è stata fatta, comunque, è 25 miliardi di
euro. Se questo è il Sic, il 20 per cento è
5 miliardi di euro. Risultato: Mediaset non solo non dovrà
vendere niente, non dovrà mandare Retequattro sul
satellite (alla faccia della Corte costituzionale), ma potrà
ancora crescere. La moltiplicazione miracolosa dei canali
(come quella dei pani e dei pesci) grazie alla tecnologia
digitale (di cui per ora non si vede un granché)
salverà intanto i canali Mediaset e i suoi fatturati.
Poi renderà possibile lacquisizione (anche
palese) di altri media, giornali, radio e via enumerando.
E legittimerà la crescita bulimica della raccolta
pubblicitaria (magari per le nuove tv satellitari di Murdoch).
Una volta la Fininvest aveva i suoi lobbisti che
lavoravano a Roma per ottenere leggi favorevoli alle tv
di Berlusconi. Oggi Mediaset ha un intero partito, Forza
Italia. Anzi, un'intera coalizione (Gasparri è di
An). Tutti impegnati a far passare la nuova legge. Ma non
solo. Capita anche che un senatore, Luigi Grillo, presidente
dell'ottava commissione di Palazzo Madama, spinga per presentare
un suo emendamento alla Gasparri: per scorporare le telepromozioni
dal tetto (18 per cento) dell'affollamento pubblicitario
orario. Detta così sembra una diavoleria tecnica,
ma invece è una misura molto concreta: poter aggiungere
ai canali di Berlusconi, già affollatissimi di spot,
anche le telepromozioni, porterebbe a Mediaset almeno 300
milioni di euro all'anno. Grazie Grillo.
Enrico Manca, che ora presiede un fantomatico istituto
che documenta «linnovazione multimediale»,
ha dichiarato al Corriere di considerare le contestazioni
al Santissimo Sic «una battaglia di retroguardia:
non si può mettere le brache al mercato per combattere
Mediaset». Se ne intende: quandera presidente
Rai, negli anni Ottanta, smise di fare concorrenza alla
Fininvest e aprì certi strani conti in Svizzera,
con risparmi della mamma, gestiti da un avvocato di Berlusconi
di nome Cesare Previti. Casi del destino.
Ventanni dopo, il cerchio si chiude. E una
legge, il «lodo Gasparri», cerca definitivamente
di mettere una pietra (tombale) sulla libertà dinformazione.
Ma no, non solo: sulla concorrenza e il libero mercato della
comunicazione in Italia.
Diario, 27 giugno 2003
Silvio l'acchiappatutto
In un'Italia restata senza centro
economico-finanziario, Berlusconi occupa gli spazi. I protagonisti
della Gasparri: da Giancarlo Innocenzi a Luigi Grillo, fino
a Deborah Bergamini. Tronchetti Provera prigioniero, Luca
di Montezemolo battagliero
Anche Geronimo Stilton, il topo made in Italy più
amato dai bambini, è finito nelle mani di Silvio
Berlusconi. Negli anni Ottanta, Silvio fece la sua prima
crociata in nome dei Puffi: ma quella fu unideona
per trovare consenso di massa contro i pretori dassalto,
che volevano spegnere le sue tv (lo imponeva la legge dallora,
finché lamico Bettino non trovò il modo
di salvare reti e Puffi). Oggi Berlusconi ha di molto alzato
il livello dello scontro: le crociate le fa contro la magistratura
tutta, Cassazione compresa, ed eventualmente le accenna
contro lIslam e i dittatori nemici dell«amico
Bush»; e mentre con una manina compra la Piemme, la
casa editrice del topo mangiaformaggio, diventando praticamente
monopolista nelleditoria per bambini, con laltra
(una manona) porta a casa la legge Gasparri, diventando
praticamente monopolista nel settore televisivo.
Ora, dopo il voto favorevole del Senato, toccherà
alla Camera lapprovazione definitiva. E poi Berlusconi
sarà davvero linarrestabile padrone delle tv.
Solo quello? La verità è perfino più
cruda. In unItalia ormai senza centro industriale-economico-finanziario,
Berlusconi sta occupando gli spazi. Bei tempi, quando cerano
Gianni Agnelli ed Enrico Cuccia. Fiat e Mediobanca stavano
lì, come la Terra ai tempi di Tolomeo, e tutto il
resto girava attorno sotto gli occhi vigili del grande vecchio
di via Filodrammatici. Pensate che perfino il direttore
del Corriere della sera, a quei tempi, veniva scelto tra
Torino e Milano, e non a Roma. Ora gli hanno dedicato una
piazzetta, a Cuccia, ma la sua Mediobanca, la Mediobanca,
è soltanto una delle tante banche daffari,
affaticata oltretutto da contese e bufere. Quanto alla Fiat,
beh, conviene sospendere il giudizio. Restare in silenzio.
Come di fronte a un augusto paziente in prognosi riservata.
Bene, potrebbe dire un fan del libero mercato: finalmente
lItalia è diventata adulta, è entrata
nellera di un capitalismo policentrico e battagliero.
No. Il capitalismo italiano resta asfittico e arcaico, il
sistema industriale anzi è oggi più in difficoltà
di ieri, lItalia continua a perdere per strada settori
industriali (lauto, dopo la chimica, la siderurgia...).
E perde colpi anche nei campi dove si è innovato
(la telefonia, per esempio: cera una volta Omnitel,
ora inglobata dalla britannica Vodafone). In questo clima,
in controtendenza, cè un imprenditore bulimico
che guadagna, compra, sespande. È Silvio Berlusconi.
Laria di Roma gli ha sempre fatto bene: lì,
e non a Milano, è nata negli anni Settanta la sua
Fininvest; lì, da quando è presidente del
Consiglio, incrementa i suoi affari.
IL PRECEDENTE. «Da quando sono a Palazzo Chigi
non mi occupo delle mie aziende», ha più volte
ripetuto. Peccato che lo smentiscano alcuni testimoni dallinterno
di Mediaset. «Ho continuato a parlare con Berlusconi
della questione Spagna fino allestate del 1994»,
racconta invece Oliver Novick, direttore Corporate development.
«Le indicazioni per lacquisto dei diritti tv
continuavano a venire da Arcore», aggiunge Marina
Camana, ex segretaria del capo della Silvio Berlusconi Communications,
Carlo Bernasconi. Nel 1994, Berlusconi era diventato per
la prima volta capo del governo. Quelle due testimonianze
ora riposano nel faldone di due magistrati milanesi, Fabio
De Pasquale e Alfredo Robledo, che indagano su una storia
di diritti televisivi comprati e venduti con un complicato
giro di società off shore. Risultato: prezzi gonfiati
di oltre 170 milioni di dollari. Conseguenza: iscrizione
di Silvio Berlusconi nel registro degli indagati per i reati
di frode fiscale e falso in bilancio. In compagnia di dirigenti
Mediaset, banchieri svizzeri e consulenti daffari
che dovranno rispondere alle accuse, oltre che di falso
in bilancio e frode fiscale, anche di riciclaggio.
È lultima indagine aperta su Berlusconi,
di cui si è saputo soltanto a metà giugno.
Ma potrebbe diventare cruciale perché, mentre gli
eventuali reati fiscali commessi tra il 1995 e il 2000 sono
stati azzerati grazie al condono inventato da Giulio Tremonti
(ex consulente tributario di Berlusconi diventato suo ministro
dellEconomia), quelli del 1994 sono rimasti scoperti
e perseguibili. E, secondo i magistrati, «nei conti
Mediaset, a partire dal 1994, è stato sensibilmente
alterato il valore del patrimonio della società con
specifico riferimento ai diritti di trasmissione televisiva».
Poiché quelle «sensibili alterazioni»
hanno necessariamente influenzato, a catena, anche i bilanci
successivi al 1994, ne consegue che «nel 1996 Mediaset»,
secondo De Pasquale e Robledo, «è stata quotata
in Borsa sulla base di una falsa rappresentazione della
consistenza patrimoniale della società».
Unaccusa che, in un Paese normale, farebbe
tremare, insieme, Piazza Affari e Palazzo Chigi. In Italia,
niente. I sismografi non registrano la minima scossa. Tranne
una piccola mossa del ministro della Giustizia, ingegner
Roberto Castelli: il blocco delle rogatorie che i due incauti
magistrati avevano inoltrato verso gli Stati Uniti. Avevano
già in tasca il biglietto aereo per volare a Hollywood,
a interrogare i responsabili delle Majors (Warner Bros,
Paramount, Columbia Tristar, 20° Century Fox, Mca Universal
Studios) che avevano venduto a misteriose società
delle Isole Vergini i film poi miracolosamente arrivati
(a prezzi maggiorati) a Mediaset. Ma De Pasquale e Robledo
sono rimasti a Milano. In attesa degli eventi. Bloccati,
almeno per ora, i pericoli che vengono dal passato, una
piccola ma agguerrita schiera di persone si è messa
al lavoro per preparare il futuro. Con una legge nuova di
zecca, chiamata legge Gasparri.
PERSONAGGI & INTERPRETI. Lui, il ministro delle
Comunicazioni Maurizio Gasparri, ha confessato serenamente
di non capirci un granché di televisioni, affollamenti
e spot (sarà per questo che gli hanno dato il ministero?).
Ha assicurato però di aver passato lestate
2002 a studiare il problema. Ed effettivamente in autunno
ha tirato fuori dal cilindro la sua proposta, poi passata
al Parlamento.
Più ferrato in materia è il suo sottosegretario,
Giancarlo Innocenzi, che di tv ha sempre vissuto. Una storia
italiana: comincia come dipendente Fininvest, uomo di Berlusconi,
vicino a Marcello DellUtri; poi si mette in proprio,
ma sempre in orbita Fininvest, e fonda la società
di produzione Horizon. Già nel 1994 Berlusconi lo
porta con sé a Roma, in Parlamento, sui banchi occupati
dai neoeletti di Forza Italia. Lo sanno, in anticipo, anche
certi amici degli amici siciliani: in unindagine antimafia
svolta a Catania, viene intercettato Aldo Papalia, massone,
ben inserito nel mondo catanese degli affari, della politica,
dello spettacolo e della mafia. Una telefonata del 20 febbraio
1994 tra Papalia e il suo socio Franco La Rosa, intercettata
dalla Direzione investigativa antimafia, è un esempio
da manuale di commistione tra affari e politica. I due saltano
dalle considerazioni sulla campagna elettorale in corso
ai business che hanno in comune. «Sono stato con Giancarlo
Innocenzi. Presto sarà onorevole», dice Papalia.
Poi passa a parlare di un affare con la partecipazione,
tra gli altri, di Adnan Khashoggi. Infine si torna alla
politica: Marcello DellUtri, dice La Rosa, ha dei
problemi per via di certe fatture false (è infatti
sotto indagine a Torino e a Milano). «Ma sono tutte
stronzate»: il nuovo governo dovrà «mettere
un freno alla magistratura». Papalia glielo conferma:
dopo la vittoria «faranno delle belle cose».
Infine si torna a parlare di tonnellate di burro, di consegne
di pasta. Appena chiusa la conversazione, Papalia chiama
Alberto DellUtri, gemello di Marcello: «Con
laffare della pasta guadagneremo qualche miliardino»,
gli dice. Poi via, a parlare di liste elettorali in Sicilia.
Innocenzi, intanto, è passato da Publitalia
a Forza Italia ed è entrato in Parlamento. E quando
Berlusconi conquista per la seconda volta Palazzo Chigi,
è promosso sottosegretario nel ministero che più
sta a cuore a Berlusconi (con quello della Giustizia). Poiché
gli sembrava brutto continuare a dirigere la Horizon, la
passa al figlio Gianclaudio. Anche perché nel frattempo
la Horizon è passata a produrre film per la Rai (Ics,
Bartali...). Liberato almeno formalmente dal
suo piccolo conflitto dinteressi, lavora alacremente
per varare la legge più utile per il suo (ex?) datore
di lavoro.
Un altro uomo molto attivo nel ramo è il senatore
Luigi Grillo. Democristiano ligure ma da sempre grande
nemico di un altro democristiano ligure di nome Claudio
Scajola, oltre che di Giulio Tremonti viene eletto
nel 1994 nelle file del Partito popolare (alleato del centrosinistra).
Al momento del voto di fiducia al primo governo Berlusconi,
però, si assenta dallaula. Nicola Mancino,
capogruppo del Ppi al Senato, lo sospende dal partito. Lui
non fa una piega e passa al gruppo misto. Poi, in silenzio,
si mette a lavorare con Cesare Previti (con i figli dellavvocato
fonda Azzurra, società di certificazione per le imprese
che partecipano alle gare pubbliche). Per Berlusconi diventa
una specie di cacciatore di teste, specializzato nello scegliere
e piazzare nelle ex partecipazioni statali i manager di
nomina governativa. Nel 2001, passato ormai ufficialmente
a Forza Italia, diventa presidente della commissione Lavori
pubblici e relatore in Senato della legge sulle tv. In questa
autorevole veste, è illuminato da unidea geniale:
inserire nella Gasparri un emendamento che vale almeno 75
milioni di euro allanno (circa 150 miliardi di lire,
anche se qualche addetto ai lavori lo valuta il doppio).
Lemendamento Grillo scorpora le telepromozioni dal
resto degli spot: così laffollamento orario
per le reti Mediaset (18 per cento) può aumentare
aggiungendo i siparietti delle telepromozioni.
Il bello della legge Gasparri è che pensa
in grande, come è abituato a fare il padrone di Mediaset
e di Forza Italia: rilancia, aumenta la scala di riferimento.
I limiti antitrust, per esempio: sono stabiliti al 20 per
cento del numero dei canali e delle risorse. Ma il numero
dei canali è moltiplicato allinfinito dallintroduzione
del digitale (che chissà quando arriverà).
E le risorse sono allargate a una torta immensa che Berlusconi
e Innocenzi hanno battezzato Sic («Sistema integrato
delle comunicazioni») e che Grillo chiama, più
prosaicamente, «il montepremi»: comprende televisione,
editoria, telecomunicazioni, libri, pubblicità, promozioni,
sponsorizzazioni... Una torta da almeno 25 miliardi di euro,
il cui 20 per cento è 5 miliardi di euro. Così
Mediaset non solo non dovrà mandare Retequattro sul
satellite entro il 31 dicembre 2003 (come aveva intimato
la Corte costituzionale), ma potrà crescere ancora:
del 30 per cento, azzarda qualche esperto del settore. E
poi eventualmente acquisire nuove tv, e giornali, e aziende
di comunicazione. Altro che Geronimo Stilton: il topo è
solo una piccola ciliegina sulla torta, o un granellino
in una grande, immensa forma di formaggio.
RAI, DI NIENTE, DI MENO. Chissà se tra i personaggi
di questa commedia (o tragedia) è possibile inserire
anche Deborah Bergamini. Indimenticabile (ma solo per i
cultori del genere) protagonista di Zombi 3, regia di Lucio
Fulci, ha poi lasciato il cinema, restando però nel
giro: per qualche tempo è lassistente di Berlusconi,
oggi è dirigente del marketing Rai. Un disastro,
ma non può certo essere tutta colpa di Deborah: il
2003 chiuderà prevedibilmente con un secco meno 10
per cento nei ricavi della Sipra, la concessionaria che
raccoglie pubblicità per la tv pubblica. Meno spettatori,
meno spot, la Rai affonda. Tanto che due senatori di An
nei giorni della Gasparri hanno fatto votare, a futura memoria,
un ordine del giorno che impegna il governo a istituire
la cassa integrazione per i dipendenti dellazienda
in esubero: in caso di una ormai non improbabile «riorganizzazione
produttiva».
Il colpo di grazia alla Rai arriverà con lattuazione
della Gasparri, che la privatizza, ma nella maniera peggiore:
uccidendola come forte azienda pubblica e impedendole però
di diventare un forte concorrente privato. Nessuno potrà
comprare più dell1 per cento e il controllo
resterà di fatto nelle mani dei politici: quale imprenditore
potrà mai essere così pazzo da buttare i propri
soldi in unazienda in crisi e senza avere alcun potere
di gestione? Se poi qualcuno avesse ancora qualche dubbio,
gli passerà sapendo che alla Rai è fatto obbligo
di attivare al più presto otto canali digitali, che
dovranno coprire entro il 2004 il 50 per cento del territorio
nazionale, il 70 per cento entro il 2005. Un investimento
enorme in un momento di crisi, anzi: unemorragia che
potrebbe essere mortale.
Intanto Mediaset si è portata avanti: lazienda
di Berlusconi, attraverso Rti, ha negli ultimi mesi fatto
un silenzioso ma poderoso shopping, comprando per 100 milioni
di euro una serie di piccole tv in tutta Italia. Frequanze
di Quadrifoglio tv, Sei Milano, Videofirenze, Telegrosseto,
Tva, Antenna Sicilia... Così a ottobre sarà
già pronto il primo «multiplex» italiano,
cioè la prima piattaforma per costruire una rete
digitale terrestre: firmata Mediaset, che ne ha allo studio
una seconda. Intanto Rai e La7 stanno a guardare. Il digitale
moltiplica i canali quasi allinfinito, ma i siti per
creare un «multiplex» infiniti non sono. Potrebbe
finire che chi voglia averne uno sia costretto a passare
per le reti Mediaset...
TRONCHETTI PRIGIONIERO. Il nuovo centro si chiama,
dunque, Berlusconi. Lo sa bene Marco Tronchetti Provera,
che sulla carta sarebbe un potente operatore della telefonia
con la possibilità di espandersi nella tv (controlla
già La7), ma in pratica è prigioniero di quel
centauro che è al contempo padrone delle tv e padrone
della politica e dunque può scrivere le regole a
cui Tronchetti dovrà attenersi. Non solo. Per ridurre
lindebitamento contratto per scalare Telecom, Tronchetti
ha realizzato una fusione di Olivetti in Telecom. Con il
risultato di essere più esposto alle scalate: se
ieri la sua società Olimpia controllava il 28 per
cento di Olivetti che controllava il 56 per cento di Telecom,
oggi Olimpia controlla direttamente soltanto un debole 10
per cento di Telecom.
Intanto, mentre tutti guardano alle telecomunicazioni,
limpero Berlusconi si rafforza anche nel settore bancario,
assicurativo e finanziario. Nessuno, tranne qualche operatore,
ha notato unapparente incongruenza: in Mediolanum
(controllata al 35 per cento dalla Fininvest di Berlusconi)
nel 2002 sono diminuiti i capitali affidati in gestione,
ma ciò nonostante, e con i mercati in discesa, è
aumentata la redditività: grazie a un discutibile
aumento delle commissioni di performance. Ma chi ha la forza
di contestarlo a unazienda del presidente del Consiglio?
Di fronte a tanta voracità, qualche imprenditore
comincia a dare segni dimpazienza. Tra questi, perfino
Cesare Romiti e gli editori di giornali, preoccupati dalla
fuga della pubblicità dai quotidiani (oltre che dalla
Rai e dalle piccole tv private) verso Mediaset. Dopo lemendamento
sulle telepromozioni, il presidente della Federazione degli
editori, Luca di Montezemolo, reagisce: «È
una pagina nera per linformazione». Mediaset
risponde con durezza: «Maestro della disinformazione».
I fronti non sono ancora definiti, ma la guerra è
iniziata.
Diario, 25 luglio 2003
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Nanni
Moretti
Ora che ci siamo ritrovati non perdiamoci di vista
Nanni Moretti
Con questi politici non vinceremo mai
Il regalo di Berlusconi
a Bin Laden
Business Week
(del 22 ottobre 2001) scrive: dopo l'11 settembre, c'è
un Paese che marcia in direzione opposta all'Occidente: è
l'Italia del Cavaliere
Storia
del Signor Savoia
Biografia non autorizzata di un erede al trono d'Italia,
piduista e manager di affari oscuri, che mentre tutti ritornano,
vorrebbe tornare anche lui
Milano
da bere,
atto secondo
Un altro politico di Forza Italia arrestato. Mille indagati
per vicende di corruzione. Le tante indagini sulla Regione
del "governatore" Roberto Formigoni. Tangentopoli
non è mai finita
Piccole
bombe crescono
Una galassia nera dietro l'attentato al Manifesto.
E ora, anche l'ultradestra comincia la campagna elettorale.
Stringendo contatti con uomini della Lega, di An, di Forza
Italia...
Rinasce
«Società civile»
Questa volta nel web,
ecco di nuovo i ragazzacci di Società civile.
Riprende vita, via internet, uno storico mensile milanese
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