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Digitale,
la grande truffa
Approvata la legge Gasparri. Da
oggi l'informazione è più debole, il duopolio
collusivo Rai-Fininvest più forte, l'Italia meno libera.

Preparatevi a una storia
a cannocchiale, o a matrioska, o a scatole cinesi.
Insomma, a tante storie una dentro laltra. È
naturale, visto che largomento è la televisione:
tv generalista, palinsesto onnivoro, commistione di generi,
storie disparate. Troverete dunque, dentro questa storia
fatta di storie, santi e truffatori, politici e mafiosi,
venditori di materassi e macellai, Maurizia Paradiso e Maurizio
Gasparri, Paolo Romani e Antonio Marano, Flavio Cattaneo
e Lucia Annunziata, e perfino Renato DAndria (il faccendiere
di Telekom Serbia). Ma tutto ben collegato, una scatola
dentro laltra, come in un palinsesto fatto bene. Tutto
tenuto insieme dai soldi, dalla politica, dal potere.
Il punto di partenza è una data: 31 dicembre 2003.
Entro la mezzanotte dellultimo dellanno, insieme
ai botti e ai tappi delle bottiglie di spumante, dovrebbe
saltare Retequattro. Sì, Mediaset dovrebbe buttare
dalla finestra, oltre ai piatti vecchi e ai programmi che
non hanno avuto successo, anche la rete di Emilio Fede.
O meglio, dovrebbe spararla sul satellite, insieme ai fuochi
artificiali della mezzanotte. Cioè condannarla alla
marginalità, alluscita dal mercato. Lo stabilisce,
fin dal 1994, una sentenza della Corte costituzionale. Ebbene,
si è mai vista una cosa simile? Tagliare del 30 per
cento le reti, ridurre di un terzo le tv di Berlusconi?
Tre erano e tre devono restare. Solo così funziona
alla perfezione la distribuzione (politica e di marketing)
del pubblico e la conseguente raccolta pubblicitaria.
Ecco allora che si mette in moto una poderosa macchina da
guerra per impedire lesilio su un lontano satellite,
per bloccare la trasformazione di Retequattro in stella
filante e di Emilio Fede in tricche-tracche. Lhanno
chiamata riforma di sistema, o legge Gasparri. Certo, ha
ambizioni più generali: già che ci siamo ridisegna
tutto il panorama dei media in Italia, consolida il monopolio
di Mediaset, dà qualche botta alla Rai. Ma linnesco
della bomba è lì, in quella data, in quella
notte di Capodanno da festeggiare a champagne per la più
grande delle vittorie, non da subire come la prima delle
sconfitte.
STALIN & LA DIGITALIZZAZIONE FORZATA. E dunque:
come si fa a far diventare carta straccia una sentenza della
Corte costituzionale, mantenendo tre reti tre nelle mani
di Silvio Berlusconi? Semplice: moltiplicando i canali,
facendoli diventare così numerosi da rendere (apparentemente)
senza senso la barriera antitrust dei due canali e non di
più. Niente di nuovo, intendiamoci: già negli
anni Novanta il presunto diritto a possederne tre era rivendicato
da Berlusconi in nome di una torta da dividere composta
da 12 canali. Il mondo di Berlusconia funziona così:
dal particolare al generale, prima viene la Santissima Trinità
dei Canali Fininvest, poi ci si inventa luniverso
di riferimento in grado di giustificarla. Che poi nei Paesi
civili europei come la Francia o la Spagna non si possa
possedere più di un canale, è una bazzecola
da non tenere in alcuna considerazione.
Dunque, moltiplicare i canali. Come? Con un salto nel futuro.
Con lintroduzione forzata del digitale terrestre.
Cioè una nuova tecnologia (digitale anziché
analogica) che migliora la qualità di ricezione,
ma soprattutto permette di ricevere centinaia di canali.
Tutto questo, però, solo dopo aver cambiato il parco
televisori e la foresta di antenne italiane: gli esperti
prevedono che per la trasformazione ci vogliano almeno dieci
anni. Ma i nostri liberisti e ultraliberisti sembrano tanto
Stalin, quello dellindustrializzazione forzata. Oggi
Berlusconi-Baffone (nascosto dietro il ministro Maurizio
Gasparri, che di queste cose poverino non capisce niente,
e lo ha anche confessato in qualche intervista, assicurando
che si sarebbe messo a studiare) impone la Nuova Politica
Tecnologica, la Grande Marcia nel Futuro: digitale terrestre
per tutti. A tappe forzate.
Il mercato non ne sente il bisogno? Non importa: lo si impone
per legge. I telespettatori continueranno ancora per un
decennio a sedersi davanti ai loro amati apparecchi analogici
e non hanno alcuna voglia di cambiare televisori e antenne?
Non importa: per chi trasmette, il digitale sarà
comunque obbligatorio. Entro il 1 gennaio 2004 (il giorno
dopo laltra data-limite, quella dettata dalla Corte
costituzionale) tutte le reti tv devono coprire almeno il
50 per cento della popolazione italiana con trasmissioni
in digitale. Il 70 per cento entro il 2005. Devono, altrimenti
saranno confinate nella Siberia delle tv.
Il governo Berlusconi ha trovato perfino il tempo (e i soldi)
per inserire nella Finanziaria 120 milioni di euro dincentivi
a comprare televisori digitali (più degli investimenti
per la scuola): un tempo si premiava chi dava Balilla alla
Patria, oggi chi offre teleschermi al Biscione. (A proposito,
Sony, Philips e compagnia continuano e continueranno a produrre
i televisori analogici. Come faranno i nostri liberisti
a imporre al signor Sony di cambiare strategia e spacciare
tv digitali a buon prezzo?).
A ogni buon conto Mediaset che, come dire, era già
preparata nei mesi scorsi ha fatto un ricco shopping
di frequenze e ha già brillantemente raggiunto gli
obiettivi imposti dal Partito Post-catodico del Futuro.
Anche La 7, malgrado le sue gambette da nano, si sta impegnando
valorosamente. Telecom, che la controlla, ha già
portato a casa 120 frequenze e relativi ripetitori. La Rai
invece annaspa. Durante la corsa verso il Sol dellAvvenire
è inciampata e caduta. Ma il suo direttore generale
Flavio Cattaneo ha garantito che ce la farà. E in
un comunicato diffuso dallAnsa alle ore 19,27 del
21 ottobre 2003 ha trionfalmente annunciato di aver raggiunto
lobiettivo: «Il consiglio damministrazione
della Rai, su proposta del direttore generale, ha approvato
allunanimità le proposte irrevocabili di vendita
presentate da Telecampione 6 Milano, che copre Milano e
Genova, e Teleliguria, che è ricevibile in quasi
tutta la Liguria. La Rai ha così superato lobiettivo
del 50 per cento di copertura della popolazione previsto
per il primo multiplex del digitale televisivo terrestre».
Inciso: nella legge Gasparri (che sarebbe più appropriato
chiamare legge Berlusconi, ma allora non la distingueremmo
da tante altre) salta anche un altro limite antitrust, quello
che avrebbe potuto far posto ad altri operatori imponendo
un limite nelloccupazione delle risorse, innanzitutto
pubblicitarie. Niente: in casa Berlusconi hanno inventato
il Sic («Sistema integrato delle comunicazioni»)
e hanno suggerito, come limite scusate la parola
antitrust, il 20 per cento del Sic medesimo. Ma lo
hanno fatto così elastico e accogliente, questo Sic,
da contenere di tutto (televisione, editoria, telecomunicazioni,
libri, pubblicità, promozioni, sponsorizzazioni...).
Il senatore Luigi Grillo, relatore in Senato della legge
sulle tv, lo chiama affettuosamente «il montepremi»:
una torta immensa di almeno 25 miliardi di euro. Il suo
20 per cento è 5 miliardi di euro. Buone notizie:
Mediaset potrà crescere ancora. E vincere. Fine dellinciso,
torniamo alle scatole cinesi.
Dunque: per non perdere Retequattro bisogna passare al digitale;
per passare al digitale bisogna imporlo per legge, perché
il mercato non se lo fila per niente; per imporlo bisogna
obbligare le tv esistenti a comprare, e in fretta, frequenze.
E qui arriva il bello. E si entra nel vivo della storia,
con la Rai che deve spendere le sue non molte risorse per
fare shopping di tv locali. Ma prima di arrivare al bello,
a Maurizia Paradiso, a Paolo Romani, ai macellai e materassai
trasformati in editori televisivi, è necessario fermarsi
un attimo: comprare frequenze? Ma comè possibile
comprare e vendere frequenze? Un tempo era vietato, vietatissimo.
Le frequenze, cioè letere, sono un bene pubblico,
come laria che respiriamo. Come le spiagge. I bagnini
non se le possono vendere (per ora). Ebbene, oggi non solo
è possibile comprare e vendere letere, ma è
addirittura diventato obbligatorio. Il via libera lo ha
dato una legge (la numero 66, recitano gli esperti) varata
nel 2001. Dal governo Amato, ministro delle Comunicazioni
Salvatore Cardinale, sottosegretario Vincenzo Vita. Cioè
dal centrosinistra, che invece non aveva fatto una legge
sulle tv, né sul conflitto dinteressi, né
sulle rogatorie, né... Ma chiudiamo subito questa
scatola cinese, sennò chissà dove finiremmo.
Quella delle frequenze è una storia strana, anzi
incredibile: sono di chi le ha abusivamente occupate, ai
tempi (eroici) in cui era proibito ai privati fare radio
e tv. Chi ha avuto la passione di inventarsi unemittente,
o la forza di piazzare sulla stessa frequenza un trasmettitore
più potente di quello del primo che aveva solo la
passione, dopo anni di Far West ha potuto concorrere alla
lotteria del piano di ripartizione delle frequenze che,
tra pressioni politiche e svolazzar di bustarelle, ha sanato
la primigenia occupazione abusiva e assegnato le frequenze
medesime a chi le aveva occupate. Formidabili quegli anni:
la stanza dove era depositata la documentazione proveniente
delle tv private, al ministero delle Poste e telecomunicazioni,
era chiusa a chiave e la chiave laveva in tasca un
uomo Fininvest, il mitico ingegner Mezzetti. Non solo: un
brillante giovanotto di nome Davide Giacalone, dopo aver
scritto la legge Mammì e il piano delle frequenze,
si è tolto il vestito di uomo di governo e ha indossato
il blazer blu di consulente Fininvest (compenso ricevuto:
600 milioni).
LA VENDITA DELLE INDULGENZE.
In quegli anni eroici, comunque, almeno un obbligo cera:
le frequenze non si potevano vendere, perché sono
un bene pubblico, non roba privata. Ora, per salvare Retequattro,
anche questa norma è saltata. Chi ha saputo resistere,
magari trasmettendo per ore pornopubblicità di telefoni
erotici o di sexyshop, oggi ha finalmente loccasione
di portare a casa dei bei soldi. Si vende, si può
vendere, si deve comprare. I bagnini piccoli possono arricchirsi
vendendo le loro spiaggette (che poi non sarebbero loro),
perché un certo numero di bagnini grossi deve mettere
insieme molti chilometri di spiaggia, entro il 1 gennaio
2004. In realtà non sono proprio le frequenze a essere
comprate, bensì i «rami dazienda»,
con impianti di trasmissione e relative frequenze: ma questa
è solo ipocrisia, ciò che interessa e passa
di mano sono proprio le frequenze. Se non vi piace lesempio
delle spiagge, che non calza proprio alla perfezione perché
letere non è di sabbia, potete saltare a unaltra
riflessione. Ma perché invece di permettere, anzi
obbligare, il mercatino delle frequenze, lo Stato non ha
preso e ridistribuito le frequenze libere? Così almeno
la Rai, che è lemittente pubblica, non sarebbe
stata costretta a svenarsi distribuendo soldi ai padroncini
delle tv locali per comprare letere, cioè una
cosa pubblica. Ci sono frequenze libere? Sì, suggerisce
Rosario Pacini, il direttore di Rete A: sono le due reti
terrestri di Telepiù che, ora che la pay tv è
passata sul satellite, dovrebbero essere liberate; e le
due reti di televendite (Telemarket e Hse) che hanno avuto
la possibilità di trasmettere per tre anni ma ora,
come Telepiù, dovrebbero trasferire sul satellite
quadri, tappeti e pentole e lasciar libere le loro frequenze
terrestri. Invece: le televendite continuano e Murdoch,
che si è comprato Telepiù, si è tenuto
anche le frequenze terrestri.
È chiaro che la buona idea di Pacini ormai è
irrealizzabile. Troppo tardi. Il mercatino delle frequenze
è già cominciato, anzi è già
quasi finito. Alla Rai costerà, a cose fatte, circa
120 milioni di euro, e saranno soldi persi, sottratti a
cose più importanti (fare bei programmi, per esempio,
inventare contenuti, fornire servizi) e regalati a signori
che hanno capitalizzato oggi una loro vecchia occupazione
abusiva di etere. Lo Stato diventa, tecnicamente, ricettatore:
ricompra, attraverso la Rai, roba rubata. Non gioielli,
ma frequenze. E per di più paga ai privati roba sua.
Da non credere. Come se i parcheggiatori abusivi fossero
autorizzati a vendere allo Stato le piazze in cui si sono
insediati. In queste storie cè materiale per
Dario Fo, oltre che per Marco Paolini. E speriamo che lEconomist
non le venga mai a sapere...
IL MERCATINO DELLE FREQUENZE. Qui dobbiamo aprire
una nuova parentesi, o una nuova scatola cinese. Ricordate
che cosa successe nel 2001? Il governo Berlusconi, appena
arrivato, bloccò un affare che la Rai stava concludendo:
la vendita del 49 per cento di Rai Way agli americani della
Crown Castle. Che cosè Rai Way? Per Gasparri
è una canzone di Frank Sinatra, per tutti gli altri
è la consociata Rai che controlla gli impianti di
trasmissione. Quella che oggi si deve svenare per comperare
le frequenze. Se laffare con gli americani fosse andato
in porto, non solo si sarebbe realizzato un pezzo di vera
privatizzazione della Rai, ma sarebbero entrati in cassa
400 milioni di euro, con cui la Rai avrebbe potuto farne
tre, di shopping per il digitale. Oppure molte altre cose
più utili. Invece la Rai oggi serve sottomessa ai
partiti e incapace di fare concorrenza a Mediaset. Ma richiudiamo
subito questa scatola, perché ci porterebbe molto,
molto lontano.
Torniamo invece allallegro mercatino delle frequenze.
Flashback. 29 luglio 2003. Forse contando sulla disattenzione
estiva, il direttore generale della Rai Flavio Cattaneo
presenta al consiglio damministrazione un elenco di
39 emittenti locali disposte a vendere le loro frequenze
per lemozionante avventura del digitale terrestre.
Richieste: 123 milioni di euro. Prezzo alto, perché
invece di 1 euro per abitante raggiunto dalla relativa frequenza,
le tv tentano il colpaccio e di euro ne chiedono 2, 3, perfino
10. E poi è tutto da verificare che sia vero il numero
degli abitanti raggiunti... Il cda dà a Cattaneo
una delega a trattare, ma la presidente Lucia Annunziata
lo gela: gli raccomanda di stare attento a non trattare
acquisizioni di tv possedute da politici. Il riferimento
è a Lombardia 7, fondata da Paolo Romani, oggi parlamentare
di Forza Italia.
Al successivo incontro del cda, il 7 agosto, Cattaneo lima
la sua proposta, lascia a casa lelenco delle 39 tv
e chiede di essere autorizzato a trattare almeno un accordo
pilota, limitato alle frequenze di unemittente veneta,
TvSet. Il giorno prima aveva incontrato un certo Giuseppe
Ruffoni, responsabile di quella emittente, che lo aveva
convinto a chiudere in fretta laffare. Annunziata
insiste: fa notare che TvSet ha sede a Cinisello Balsamo,
proprio come la tv di Romani. Nel dubbio, tutto si blocca,
rimandato a settembre.
A Cattaneo il colpo non è riuscito. E il giorno di
Ferragosto la vicenda esplode come una bomba: Paolo Biondani
sul Corriere della sera racconta a tutti che cosè
davvero TvSet, laffare del cuore di Flavio Cattaneo.
TvSet Veneto e Lombardia 7 tv non solo hanno la stessa sede,
non solo sono controllate dalle stesse persone, ma queste
sono anche sotto inchiesta a Monza, Bologna e Bergamo per
bancarotta, associazione a delinquere, false fatture, riciclaggio,
falso in bilancio. «Nasce indagata la tv del futuro»,
scrive Biondani. E laffare naufraga per sempre. Ma
raccontiamola dallinizio, questa brutta storia.
PAOLO ROMANI, POLITICA E TV. La vicenda nasce a Bologna,
quasi per caso. Qui un pugno di uomini della Guardia di
finanza che fanno il loro lavoro con passione simbatte
in una fattura (per la riparazione di unauto, unAudi
A4) che non li convince: troppo alta. Fanno qualche indagine
e scoprono un genio: Giovanni Sarti, quarantenne, super
villa sulle colline di Bologna e tenuta a Capoverde. Sarti
era un mago, sapeva estrarre miliardi dalla carta. Nel vero
senso della parola: vendeva carta, piccoli foglietti pieni
di numeri. Insomma produceva fatture (false, naturalmente,
per servizi mai prestati) che intestava a decine di aziende
del nord Italia.
Queste pagavano, così potevano iscrivere a bilancio
luscita e abbattere le tasse. I soldi, dopo un gran
giro di conti, finivano in qualche banca svizzera, trasformati
in fondi neri a disposizione del padrone o manager dellazienda.
Tranne un 20 per cento trattenuto da Sarti per il disturbo.
La sua «cartiera» produceva a pieno ritmo, con
soddisfazione dei numerosi clienti e ottimi profitti per
lui. Intendiamoci, questa non è lunica «cartiera»
in giro, ma Giovanni Sarti era a suo modo un artista. Una
delle sue idee più brillanti era fatturare costosissime
pagine di pubblicità sulle riviste di bordo delle
compagnie aeree americane. Naturalmente in America non ne
sapevano nulla, ma lui ai suoi clienti mandava la fattura
e anche il giustificativo: la rivista della United Airlines
Emisphere, a cui strappava la copertina e la sostituiva
con una taroccata, fatta ristampare con le pubblicità
delle aziende italiane sue clienti. Geniale.
Fatto sta che indagando sul giro delle false fatture di
Sarti, le Fiamme gialle bolognesi risalgono a Lombardia
Pubblicità srl, unazienda che raccoglie pubblicità,
ma fa anche la «cartiera» di fatture gonfiate.
È la concessionaria di una tv locale, Lombardia 7,
che dopo qualche anno di difficoltà dichiara bancarotta.
Il fallimento arriva sul tavolo di un magistrato della procura
di Monza, Walter Mapelli, che incarica di condurre le indagini
anzi, di continuarle i finanzieri di Bologna,
Seconda Compagnia, che già sapevano tutto di Giovanni
Sarti il genio e molto di Lombardia Pubblicità.
Così Mapelli e i finanzieri ricostruiscono la storia
di Lombardia 7. Ebbe un certo successo, nei primi anni Novanta,
sotto la guida di Paolo Romani. È un pioniere, Romani,
un protagonista dellera corsara della tv privata.
A metà degli anni Settanta aveva messo in piedi,
con Marco Taradash, Tele Livorno. Era stato vicino a Nichi
Grauso, in Sardegna, ai tempi eroici di Videolina. Era diventato
editore di Millecanali, rivista specializzata per lemittenza
radiotelevisiva. Negli anni Ottanta aveva lavorato per Alberto
Peruzzo al lancio di Rete A. Poi lo aveva chiamato Salvatore
Ligresti a guidare Telelombardia, da cui era uscito per
mettersi in proprio, con Lombardia 7.
Sotto la sua guida, la rete acquista una sua visibilità.
Produce un telegiornale, ha una redazione di cinque giornalisti.
Il programma forte di Lombardia 7 è però «Vizi
privati», strip caserecci condotti da una scatenata
Maurizia Paradiso. Con lingovernabile Maurizia, Romani
finisce per litigare e la leggenda dice che lo scontro sia
stato fisico e doloroso. Ma Romani, che era un giovane liberale,
resta folgorato sulla via di Arcore e nel 1994 segue Berlusconi
in Forza Italia. È subito eletto deputato. Si trasferisce
a Roma, abbandona la tv al suo destino e, almeno formalmente,
nel 1996 la cede. Ha venduto davvero? Nel mondo delle private
cè chi ne dubita, chi sussurra di falsa vendita,
di accordi di portage. Al momento dellaccordo, i nuovi
gestori di Lombardia 7, Gianni Alvisini e Mauro Ferraris,
cedono a Romani unauto e simpegnano a versargli
10 milioni al mese, fino ad arrivare a 250. Un giovane giornalista
che ha lavorato a Lombardia 7 racconta a Diario che almeno
fino al 1997 Romani veniva «in visita» alla
tv ed era ancora considerato il «padrone» a
tutti gli effetti. E certamente resta, almeno fino al 12
gennaio 1998, legale rappresentante di una società
ben più essenziale in questa storia, Lombardia Pubblicità,
di cui risulta ancor oggi azionista e proprietario del 5
per cento. Allassemblea sociale straordinaria del
febbraio 2001, Romani si è fatto rappresentare da
Mariano Bertelli, tre mesi dopo arrestato per bancarotta
a Firenze. Di unaltra società coinvolta nel
giro delle fatture allegre, Vacanze 2000, Romani è
ancor oggi socio.
Un elemento di continuità tra la vecchia e la nuova
Lombardia 7 cè: è Alessandro Piccoli,
lamministratore della tv, uomo-ombra di Romani. Le
carte comunque dicono che il 5 giugno 1996 Lombardia Comunicazione
srl, la società che controlla Lombardia 7 tv srl,
viene venduta a Gianni Alvisini. La tv non è in grande
salute, anzi, a dirla tutta è carica di debiti. Ma
nel dicembre 1997 i nuovi padroni risolvono a loro modo
il problema. Smembrano la tv: i debiti li lasciano alla
vecchia società, che viene posta in liquidazione
e si avvia serena verso il fallimento; la parte sana (con
le frequenze) viene invece venduta. La compra, per circa
3,5 miliardi di lire, una società appositamente approntata
che si chiama Telegestioni srl e che, in realtà,
è controllata dallo stesso gruppo di Alvisini, attraverso
Gianantonio Arnoldi, pezzo grosso di Forza Italia a Bergamo.
Arnoldi, titolare della concessionaria di pubblicità
Gipielle, era già entrato nel mondo delle tv grazie
a un colpo basso. Aveva messo gli occhi su una tv bresciana
non florida, ma ricca della dote di tre frequenze ottenute
dal ministero: Teleleonessa, messa in piedi da un religioso,
padre Narciso Barlera, che aveva passione per la comunicazione,
ma non grande dimestichezza con i conti. Con molte promesse
e grandi sorrisi, Arnoldi aveva alla fine scippato Teleleonessa
al suo amministratore, Edoardo Bertola, e laveva portata
sotto lombrello di Telegestioni.
Così il gruppo di persone che controlla Telegestioni
mette insieme, con incredibili giri di soldi e spericolate
operazioni finanziarie, un buon numero di tv locali: Teleleonessa,
Lombardia 7, poi arriveranno TvSet Veneto, Euromixer tv,
Tele Lupa, Canale 10 di Napoli. Delle tv in sé, dei
palinsesti, dei programmi, dei tg, allallegra combriccola
non interessa un fico secco. Al gruppo stanno a cuore solo
due cose: le frequenze, bene prezioso che prima o poi si
vende bene (e avevano ragione: è arrivata la Gasparri!);
e la pubblicità, attraverso cui, con un giro di fatture
false, ricavano parecchi miliardi. Valigiate di soldi approdavano
in Svizzera, dove erano gestite da S.A., un
cittadino elvetico in passato già coinvolto in vicende
di riciclaggio, traffici darmi, rapporti con mafiosi.
Era il custode del malloppo allestero.
Il metodo usato dal gruppo di Telegestioni era lo stesso
di Giovanni Sarti il genio, con in più la possibilità
di utilizzare le tv. La concessionaria televisiva (Lombardia
Pubblicità) fatturava miliardi alle aziende (tra
cui Foppapedretti) per spot, televendite, sponsorizzazioni.
Poi, con un giro vizioso, restituiva circa il 70 per cento.
Le aziende lo imboscavano, evadendo il fisco e creando fondi
neri. A Lombardia Pubblicità restavano attaccati
dei bei soldi, che i ragazzi della combriccola facevano
sparire con una girandola di passaggi di società.
Una parte di questi soldi (oltre 2 miliardi di lire) li
investono in una villa stile Beverly Hills sulle colline
bolognesi, piena di telecamere nascoste (intelligence o
luci rosse?). Anche gli spot di Radio Dimensione Suono subivano
il trattamento: venivano fatturati da Lombardia Pubblicità,
che con la radio non centrava niente, e poi, a catena,
dalla concessionaria di Rds, la General Advertising. Alla
fine i costi degli spot lievitavano di oltre quattro volte
il valore reale della pubblicità su Rds, ma con laccordo
delle aziende, che incameravano preziose fatture da esibire
al fisco e poi si vedevano restituire i soldi in nero.
Il gruppo riesce a razziare parecchi miliardi (almeno 81
tra il 1997 e il 2001) con il sistema delle false fatture
fatte girare vorticosamente da una società allaltra,
tanto da far venire il capogiro a chiunque cerchi di capire.
Poi fa sparire i documenti contabili e porta al fallimento
prima Lombardia 7, che «salta» nel 1999 lasciando
debiti per oltre 12 miliardi di lire, poi anche Rtv Produzioni
di Padova, che sinabissa nel luglio 2000. Risultato:
intervengono tre procure della Repubblica, quella di Bergamo,
quella di Monza, quella di Bologna.
Chi sono i ragazzi della combriccola? Gianni Alvisini il
manovratore, Alessandro Piccoli il contabile, Gianantonio
Arnoldi il politico, ma anche Mauro Ferraris il pubblicitario,
Giuseppe Ruffoni il macellaio, Salvatore Cingari la vecchia
volpe, Massimo Stella il commercialista, Giacomo Commendatore
il materassaio. Ruffoni è luomo che sincontra
con Cattaneo: a nome della società Telenord srl,
gli chiede 7,5 milioni di euro per le frequenze di TvSet
(scontabili fino a 3,5 milioni). Per quelle di Lombardia
7 aveva tentato il colpo pretendendo invece altri 24 milioni
di euro, anche se «scontabili del 70 per cento»,
ammette Cattaneo.
Chi è Ruffoni? Di mestiere sarebbe macellaio: socio
finanziatore della «Macelleria del Portico»
e della «Bottega della carne equina» a San Felice
sul Panaro, provincia di Modena. Ma ha avuto gran successo
anche nel settore televisivo, a giudicare dai miliardi raccolti.
Suo compito è soprattutto quello di «procacciare
i clienti nei cui confronti vengono emesse le fatture sovradimensionate»,
scrivono gli investigatori della Guardia di finanza. Ma
il vero capo è Giacomo Commendatore. È lui
il «proprietario effettivo delle società Telegestioni,
Euromixer e Telenord. È il Commendatore che traccia
le strategie generali di sviluppo delle società,
affidando agli altri associati il compito di porlo materialmente
in essere». Ruffoni, in fondo, è solo «il
fido esecutore degli ordini impartiti dal Commendatore».
Questi, invece, «sin dalla costituzione diventa di
fatto il socio di maggioranza di Telegestioni (60 per cento
delle quote), mentre il 40 per cento originariamente in
mani di Ferraris e Alvisini, gli viene ceduto in seguito».
Entrato nel giro come cliente delle tv (per le televendite
dei suoi materassi Eminflex), diventa il padrone di fatto
e si muove per «costituire un polo televisivo attraverso
lacquisizione di varie televisioni locali».
ANDARE AI MATERASSI. Limpero ereditato da Giacomo
Commendatore, il leader italiano dei materassi, comprende
la Eminflex e la Permaflex, lazienda per cui lavorava
Licio Gelli. Lazienda di materassi più telepubblicizzata
dItalia ha alle spalle una storia intricata. Lo zio
di Giacomo Commendatore, Carmelo, si è fatto 13 anni
di galera per sequestro di persona, realizzato nel 1971
in concorso con Luciano Liggio. Fino al 1982 a tenere i
conti dellazienda era uno strano contabile: Giacomo
Riina, zio di Totò Riina. E negli anni Novanta un
rapporto investigativo sosteneva che la Eminflex realizzasse
riciclaggio di denaro sporco: accusa mai provata e dunque
caduta (dei Commendatore, Diario ha scritto nellottobre
2001:
un'inchiesta di Giuseppe Bascietto). Malgrado il suo
ruolo così centrale, il giudice per le indagini preliminari
ha respinto la richiesta darresto per Commendatore,
come anche per Ruffoni e Stella. In cella finiscono soltanto
Piccoli, Alvisini e Ferraris. Questultimo, fisico
da giocatore di rugby, è nipote del sindaco di Bergamo,
Cesare Veneziani, di Forza Italia. Era anche console onorario
dellUganda, ma non gli è servito a evitare
larresto. Gli altri protagonisti di questa vicenda
sono Salvatore Cingari, siciliano trapiantato a Genova,
pioniere della tv privata e gran conoscitore del business
delle frequenze, vecchio proprietario di Telemixer. Massimo
Stella è il commercialista che «si occupava
di gestire di fatto e in maniera sicuramente occulta gran
parte delle società cosiddette infragruppo, ufficialmente
amministrate da prestanomi, pluripregiudicati e altri personaggi
per lo più stranieri che, una volta terminato il
ciclo di utilizzo delle società, scomparivano così
come le scritture contabili».
È citato nei verbali anche Antonio Marano, il leghista
direttore di Raidue, un tempo proprietario di una tv privata
di Varese chiamata Rete 55. «Voglio altresì
riferire», dichiara Mauro Ferraris al magistrato,
«che Alvisini mi aveva incaricato di pagare in nero
un certo Marano Antonio, per crediti da lui suppostamente
vantati in relazione alla cessione nei primi anni Novanta
di Rete 55 a Lombardia 7 tv».
E Paolo Romani? È diventato un personaggio politico
importante: deputato azzurro dal 1994, è coordinatore
di Forza Italia in Lombardia, presidente della commissione
parlamentare sulle Comunicazioni e membro della commissione
di vigilanza sulla Rai. Oggi è indagato per bancarotta
fraudolenta e false fatture, ma è prevedibile che
esca indenne dallinchiesta, anche per effetto della
nuova legge berlusconiana sul falso in bilancio. In un Paese
normale il suo coinvolgimento in questa vicenda sarebbe
sufficiente a renderlo «unfit» (inadatto) alla
politica. Ma siamo in Italia, dunque farà ancora
carriera.
Su Romani, il direttore generale della Rai Flavio Cattaneo,
sentito come persona informata sui fatti dal magistrato
di Monza Walter Mapelli il 25 agosto 2003, ha raccontato
la sua versione: «Il consiglio damministrazione
della Rai mi raccomandò, per ragioni dopportunità,
di fare attenzione a trattare acquisizioni di emittenti
con quote azionarie di personaggi politici». Attorno
a Lombardia 7 ruotano ben due parlamentari di Forza Italia,
Paolo Romani e Gianantonio Arnoldi. «Annunziata mi
chiese rassicurazioni sul fatto che Romani fosse estraneo
a questa televisione». E Cattaneo che cosa fa? «Mi
premurai di telefonargli per assicurarmi che lui fosse da
tempo estraneo alla televisione; circostanza che mi fu confermata».
Cè poi anche un filone nero, un cono dombra,
in questa storia a mille facce. La Guardia di finanza, che
intercettava le telefonate di un indagato, lo sente dire:
«Le alte sfere si son rotte i coglioni perché
ste grandi carte non le hanno». Che spiegazione
dare di questa frase? Chi sono «le alte sfere»?
E poi: «Quello mette a posto tutto». Chi è
«quello»?
Uno dei motivi per cui Commendatore non viene arrestato
è che, prima della decisione del giudice, la Guardia
di finanza (ma un settore diverso da quello che stava svolgendo
le indagini di polizia giudiziaria) capita alla Eminflex
per una verifica fiscale: una manna piovuta dal cielo, perché
gli avvocati di Commendatore possono sostenere che non si
riesce a inquinare le prove con la Finanza in casa, e dunque
sono cadute le esigenze di custodia cautelare.
E cè anche un tentativo di corruzione. Forse.
Lavvocato di Alvisini e Ferraris, Alberto Volpini,
chiede un incontro riservato a un maresciallo della Guardia
di finanza e gli fa uno strano discorso: «Mi hanno
detto che non ho capito un cazzo di tutta questa vicenda.
Mi hanno detto di dirvi di Sandokan, che voi avreste capito,
e la cosa si sarebbe potuta aggiustare». Poi Volpini
alza il pollice: «Mi hanno detto che ci sarebbe questo,
di là, per voi». Il maresciallo risponde stilando
un rapporto al magistrato: «Di là veniva inteso
come una disponibilità di 1 miliardo di lire in Svizzera».
E chi è Sandokan?
Nella vicenda di Lombardia 7 entra anche il faccendiere
di Telekom Serbia, Renato DAndria, considerato uno
degli inquinatori della commissione parlamentare. Il 30
ottobre 2001 si riuniscono a Roma Ruffoni, la moglie di
DAndria (in rappresentanza del marito, che allora
era in carcere) e un suo avvocato, Quirino Mancini. Argomento
trattato: la vendita di Canale 10, una tv napoletana controllata
da DAndria e in seguito effettivamente passata al
gruppo Ruffoni-Commendatore.
Come finirà questa complicatissima storia? Sugli
affari truffaldini del gruppo Commendatore-Ruffoni si pronunceranno
i giudici, anche se la nuova legge sul falso in bilancio
darà una mano agli indagati. Quanto alla Truffa Grande,
quella delle frequenze, andrà prevedibilmente avanti
fino al compimento, con buona pace del liberismo, del pluralismo
e del mercato.
Diario, 31 ottobre 2003
Gasparri
2 la vendetta
Approvata alla Camera la legge
Gasparri che sancisce il monopolio tv di Berlusconi. Dopo
la bocciatura di Ciampi, ritocchi minimi o addirittura peggiorativi.
Il digitale? Politicamente è un grande imbroglio,
tecnologicamente nasce già vecchio
Approvata alla Camera, mercoledì 24 marzo 2004, la
legge Gasparri bis, che deve salvare la posizione dominante
di Mediaset cioè di Silvio Berlusconi
sul mercato televisivo e pubblicitario. Ora toccherà
al Senato: Berlusconi vuole andare alle elezioni con questo
problema risolto. Tra breve, dunque, la Gasparri, ritoccata
dopo la bocciatura del Capo dello Stato, diventerà
legge della Repubblica. Così sarà aggirato
lobbligo, imposto dalla Corte costituzionale per garantire
il pluralismo e il mercato, di ridurre a due le reti Mediaset.
Il pluralismo infatti, secondo la geniale trovata del geniale
inventore della geniale Gasparri, sarà dora
in poi garantito dal Digitale Terrestre, che al pari del
Comunismo, del Federalismo e dellElisir di lunga vita,
risolve ogni problema e sconfigge ogni male.
Canali a volontà, canali per tutti, a decine, a centinaia.
Con qualità digitale. Che senso ha porre limiti,
esiliare il povero Emilio Fede sul satellite? I canali saranno
moltiplicati, non ridotti. Bene: peccato che il Digitale
Terrestre, come il Sacro Graal, sia piuttosto imprendibile,
sfuggente, evanescente. Nessun apparecchio televisivo digitale
ha per ora fatto capolino nei negozi, e tantomeno nelle
case degli italiani. E nessun nuovo canale tv è nato
per arricchire lofferta del Sacro Digitale. Saranno
i soliti, vecchi canali via etere a essere ripetuti anche
con tecnologia digitale, tanto per far finta che la Gasparri
abbia un senso. Quanto ai canali davvero nuovi, saranno
quelli satellitari. Ma quelli non hanno alcun bisogno di
Gasparri, basta una parabola e un decoder.
Quando il presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere
la nuova legge sulle tv già approvata dal Parlamento,
ha chiesto di sanare almeno le anomalie più macroscopiche.
Che cosa ha fatto, allora, la maggioranza? Il Sic (il sistema
intergrato delle comunicazioni, il paniere da cui calcolare
il limite antitrust del 20 per cento) è stato leggermente
ritoccato: hanno tolto quattro spiccioli, i proventi da
editoria libraria e musicale, la produzione di programmi
tv. Resta tutto il resto, con possibilità per la
già monopolistica Mediaset di diventare ancor più
monopolistica, di crescere ancora. Il Sic resta comunque
un oceano di 50 mila miliardi di lire, permettendo alle
tv di Berlusconi di espandersi ancora di un buon 30 per
cento.
In compenso, nella nuova versione dellineffabile legge
è silenziosamente caduto un codicillo, quello che
stabiliva un altro limite antitrust: nessuno può
raccogliere più del 30 per cento del mercato pubblicitario.
Caduto. Scomparso. A Publitalia si sono subito rimboccati
le maniche.
Quanto al controllo del pluralismo, la povera Authority
potrà scendere in campo a fine maggio, ma solo per
controllare tre dati, stabiliti dalla stessa furbissima
Gasparri: uno, se nei negozi sono in vendita i decoder per
il digitale terrestre, e se lofferta è a prezzi
accessibili; due, se la copertura virtuale del digitare
terrestre ha superato il 50 per cento della popolazione
italiana; tre, se cè offerta di programmi nuovi.
Tranquilli: fin da ora possiamo dire che tutto è
a posto. Obiettivi raggiunti. I decoder nei negozi ci sono,
i prezzi sono buoni, il 50 per cento virtuale è stato
raggiunto, i programmi non saranno proprio nuovi nuovi (saranno
quelli del digitale satellitare ripetuti anche per il digitale
terrestre) ma insomma prima nel terrestre non cerano.
E poi si può sempre costringere la povera Rai a svenarsi
per produrre qualche programma (Rai Utile...) che nessuno
vedrà.
La mancanza di sanzioni per chi sgarra, lamentata da quel
briccone del Capo dello Stato nella prima versione della
Gasparri, è stata risolta affidando allAuthority
il potere di sanzionare chi viola la legge, ma non prima
del luglio 2005: dunque cè oltre un anno di
Far West in cui Mediaset potrà fare ciò che
vorrà e consolidare la propria posizione dominante.
I decoder, comunque, nei negozi ci sono, e costano poco.
Anche perché il governo che fa fatica a trovare
soldi per la scuola, la ricerca, le pensioni per
aiutare a vendere i decoder i soldi li ha trovati e li ha
stanziati nella Finanziaria. Così oggi chi va in
un negozio di materiale elettronico trova lapparecchio
Access Media (pubblicizzato nel sito Mediaset) alla modica
cifra di 49 euro. Unoffertona. Anche grazie al contributo
di 150 euro che il governo generosamente concede (con soldi
di tutti) a chi compra il decoder offerto da Mediaset per
permettere a Mediaset di non perdere Retequattro.
Ma poi i decoder sono arrivati nelle case degli italiani?
Non importa, basta che siano in negozio. In effetti ne sono
stati venduti pochini, 280 mila, cifra che si raggiunge
se si sommano tutti i tipi di decoder presenti sul mercato.
Quelli pubblicizzati sui canali Mediaset sono prodotti dalla
multinazionale Adb, che ne ha venduti 35 mila. Meglio (52
mila) ha fatto Access Media, pubblicizzata sul sito Mediaset,
che offre il prezzo migliore, loffertona di 49 euro.
Ma il dato più significativo è un altro. Dei
280 mila decoder venduti, la metà, 140 mila, sono
decoder Fastweb: con il digitale terrestre non centrano
un fico, non utilizzano letere, ma il filo del telefono,
la fibra ottica, la banda larga. Servono insomma a portarsi
a casa la tv via internet. E questo la dice lunga su come
sta orientandosi il mercato: il digitale terrestre nasce
già superato dalla effettivamente più avanzata
internet tv.
Lo conferma a Diario anche Rick Smith, vice presidente della
Adb Europa: «I futuri obiettivi in tutta Europa vedono
come video medium la banda larga. Stiamo lavorando
per migliorare la qualità della tecnologia per la
compressione dei dati in modo da poter sviluppare questo
canale per luso pratico della tv».
Anche Telecom, con Valentino Rossi, sta correndo nella stessa
direzione. Sta pubblicizzando con grande energia e forti
investimenti «Rosso Alice» e sta potenziando
gratuitamente ai suoi utenti la banda minima (aumentandola
da 256 a 640 K e preparandosi a ulteriori massicci potenziamenti).
Così offrirà ai clienti la tv, sia pur «on
demand», sui computer di chi ha attivato una connessione
Adsl. Il che vuole dire milioni di utenti già pronti
domani a usufruire del nuovo medium.
Povero digitale terrestre: nasce già vecchio. Ma
fa tanto, tanto bene a Berlusconi.
Di Gianni Barbacetto. Ha collaborato Giorgio Sebastiano
Diario, 26 marzo 2004
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Nanni
Moretti
Ora che ci siamo ritrovati non perdiamoci di vista
Nanni Moretti
Con questi politici non vinceremo mai
Il regalo di Berlusconi
a Bin Laden
Business Week
(del 22 ottobre 2001) scrive: dopo l'11 settembre, c'è
un Paese che marcia in direzione opposta all'Occidente: è
l'Italia del Cavaliere
Storia
del Signor Savoia
Biografia non autorizzata di un erede al trono d'Italia,
piduista e manager di affari oscuri, che mentre tutti ritornano,
vorrebbe tornare anche lui
Milano
da bere,
atto secondo
Un altro politico di Forza Italia arrestato. Mille indagati
per vicende di corruzione. Le tante indagini sulla Regione
del "governatore" Roberto Formigoni. Tangentopoli
non è mai finita
Piccole
bombe crescono
Una galassia nera dietro l'attentato al Manifesto.
E ora, anche l'ultradestra comincia la campagna elettorale.
Stringendo contatti con uomini della Lega, di An, di Forza
Italia...
Rinasce
«Società civile»
Questa volta nel web,
ecco di nuovo i ragazzacci di Società civile.
Riprende vita, via internet, uno storico mensile milanese
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