Campioni d’Italia

Flavio Briatore
Vita da Formula 1. Una storia italiana


6. La seconda bomba
Quando, il 10 febbraio 1993, una bomba esplode (è la seconda, nella vita di Briatore) davanti alla porta della sua splendida casa londinese in stile re Giorgio, in Cadogan Place, nell’elegante quartiere di Knightsbridge, distruggendo una colonna del porticato e facendo saltare i vetri tutt’attorno, qualche voce cattiva la mette in relazione con i traffici d’armi o altri commerci. Ma i giornali inglesi scrivono che si tratta di una «piccola bomba» dell’Ira e che i terroristi potrebbero averla abbandonata per paura di essere stati scoperti. Intanto Briatore è giunto al culmine (per ora) del suo successo. Il «Tribüla» si è preso le sue rivincite. Esibisce i suoi soldi, le sue donne, le sue case. Appartamento a New York, villa a Londra, attico a Parigi, pied-à-terre ad Atene, tenuta in Kenya («Lion in the sun»). Aereo privato. Yacht di 43 metri, «Lady in blue», con un Fontana e un Giò Pomodoro nel salone. Ha amici importanti soprattutto in Inghilterra (Eccleston innanzitutto, ma anche David Mills, avvocato londinese di Berlusconi, specialista nella costruzione di sistemi finanziari internazionali «riservati», tipo All Iberian). Briatore è «arrivato» e lo fa vedere, senza risparmio. All’inizio degli anni Novanta aveva preso in mano la scuderia Benetton di Formula 1, creata nel 1986 da Davide Paolini e Peter Collins sulle ceneri della Toleman. Nel 1994 e nel 1995, con Michael Schumacher come pilota, la porta alla vittoria mondiale. «Ma la Formula 1 non è uno sport, è un business», ripete. E lui da questo business (off-shore per definizione, fuori da ogni regola e da ogni trasparenza) ha saputo spremere miliardi. A trovare sponsor è bravissimo. Per il team spendeva molto, è vero, ma i suoi bilanci non hanno mai chiuso con disavanzi superiori ai 3 miliardi: la Benetton, dunque, ha ottenuto una copertura pubblicitaria planetaria, del valore di almeno 15 miliardi all’anno, con esborsi piccolissimi o addirittura, dopo il 1993, con un guadagno di alcune centinaia di milioni. Ma Briatore non sta fermo. Mentre macina soldi in Benetton, cura anche business in proprio: compra e rivende la Kicker’s (scarpe per bambini), acquista un’altra scuderia di Formula 1, la Ligier (dopo qualche tempo la rivenderà ad Alain Prost), prende una quota della Minardi, poi diventa socio del team Bar. Forse è troppo anche per Luciano Benetton, che nel 1996 divorzia dall’amico «un po’ teppista ma tanto simpatico». Niente di male, Briatore incassa una buonuscita di 34 miliardi (ma nulla È sicuro in questo campo) e subito si ripresenta con una sua azienda, la Supertech, in società nientemeno che con Ecclestone, che sviluppa i motori Renault e li fornisce a tre team, Bar, Williams, Benetton. Poi compra la casa farmaceutica Pierrel. E ora pensa al calcio. è juventino sfegatato, ma anche il football è per lui, più che uno sport, un business; il suo pensiero oggi è: come spremere soldi dal pallone? Ma apparire gli piace almeno quanto possedere. Le due cose si sono ben sposate nel Billionaire, discoteca con piscina ottagonale infarcita di vip a Porto Cervo, in Sardegna: buon investimento, ma soprattutto ottimo palcoscenico per le sue apparizioni in pantofoline di velluto bordeaux al fianco di Naomi Campbell (storia inventata, dicono i bene informati, dalla pierre Daniela Santanché da Cuneo, amica di gioventù di Briatore e oggi pasionaria di Alleanza Nazionale, novella Marta Marzotto della destra, consigliere provinciale a Milano e presidente nientemeno che della locale commissione cultura). Per Flavio Briatore la vita spericolata è diventata ormai vita dorata. Le brutte storie del passato nessuno le ricorda più. Il «Tribüla» di Cuneo è sparito: al suo posto, un uomo di successo, non raffinatissimo, ma ugualmente coccolato dai salotti di ogni tipo, in cui si rimpiangono gli anni Ottanta e si ripete il motto di Briatore: «Se vuoi, puoi».
(gb)