Campioni d’Italia

Flavio Briatore
Vita da Formula 1. Una storia italiana


Naomi e Briatore4. Donne e motori
Il «Tribüla» di Cuneo ne ha fatta di strada. Malgrado la latitanza, Briatore ha finalmente conquistato, tra Saint Thomas e New York, la vita che ha sempre inseguito: soldi, affari e belle donne da esibire. Arie da playboy se le è sempre ždate («A sei anni il mio primo bacio, a 14 la prima donna vera, Marilena, credo di Saluzzo. Vera, in quel senso lì»). Allora le sue fidanzate si chiamavano Anna Zeta, Beba. Più tardi arrivano Cristina, Nina, Giovanna, Emma. Poi ancora Naomi. E tante altre. Un’amica di Giovanna racconta a chi scrive – dopo un giuramento e mille assicurazioni di anonimato e segretezza – una di-sperata telefonata notturna: Giovanna, in lacrime, le confidava
di aver trovato Flavio in compagnia, a letto: ma – e ciò la faceva più soffrire – in compagnia di un uomo. Vita privata, fatti suoi. Figurarsi se qualcuno vuol mettersi a
giudicare i suoi gusti. È la vita pubblica di Briatore, invece, che dopo l’“incidente” delle bische compie un salto: Flavio, ricercato, condannato e latitante, alle isole Vergini spicca il volo definitivo verso il successo.
Prima della tempesta, ai bei tempi della casa di piazza Tricolore, aveva conosciuto Luciano Benetton. A presentarglielo era stato Romano Luzi, maestro di tennis di Silvio Berlusconi e poi suo fabbricante di fondi neri. Aveva poco o nulla in comune, Benetton con Briatore: trovava di cattivo gusto la sua casa, il suo stile di vita, la sua esibizione di donne e di ricchezza. Ma il «Tribüla» è un grande seduttore, conquista uomini e donne, è affascinante, sa farsi voler bene. In più, il rigoroso Benetton era rimasto affascinato dalla diversità del suo interlocutore, dal suo lato oscuro: «È un po’ teppista ma è tanto simpatico», rispondeva Luciano agli amici che gli chiedevano che cosa avesse mai in comune con quel tipo, dopo averlo messo in guardia per le brutte storie che giravano sul suo conto. Fatto sta che Briatore apre alle isole Vergini qualche negozio Benetton e fa rapidamente carriera nel ristretto gruppo di manager dell’azienda di Ponzano Veneto. Come venditore è bravo. Riuscirebbe a vendere anche il ghiaccio al Polo Nord, dice di lui chi lo conosce bene. E aggiunge: venderebbe anche sua madre. Passa nel dimenticatoio dunque anche un’altra storia che sfiora Briatore nei primi anni Ottanta. Una vicenda complicata di azioni Generali, mica noccioline, che passano di mano: un pacchetto di oltre 330 miliardi. Protagonisti: Anthony Gabriel Tannouri, libanese, noto alle cronache (e all’inchiesta del giudice Carlo Palermo) come trafficante d’armi; Mazed Rashad Pharson, sceicco arabo e finanziere internazionale; Florio Fiorini, padrone della finanziaria Sasea, ex manager Eni, esperto di mercato petrolifero. Il pacchetto di Generali passa di mano per sette anni, prima di tornare in Italia, perché diventa la garanzia di opache transazioni internazionali: di petrolio tra la Libia e l’Eni, di armi ed elicotteri da guerra (gli americani Cobra) che dopo qualche triangolazione (con il Venezuela, con il Sudafrica) finiscono a Gheddafi malgrado l’embargo. La vicenda, in verità, è rimasta oscura. Certo è che per recuperare le azioni si è mosso anche il presidente di Mediobanca Enrico Cuccia e che, nel suo giro del mondo, il superpacchetto di Generali è passato anche per una sconosciuta fiduciaria milanese, la Finclaus, sede in corso Venezia, capitale sociale soltanto 20 milioni, fondata nel 1978 da Luigi Clausetti, ma per qualche tempo nelle mani di Flavio Briatore.
(4.continua)