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Io, "eroe" di Nassiriya, dimenticato da tutti

Parla uno dei carabinieri feriti nell'attentato del 12 novembre 2003 in Iraq. «Siamo stati seppelliti in un'orgia di retorica patriottica. Ma nessuno si è ricordato di noi. Eroi? Ma noi siamo come gli operai della ThyssenKrupp, morti e feriti perché i nostri capi non avevano messo in sicurezza la base»

 

«Eroi? Dicono che siamo gli eroi di Nassiriya, noi, i morti e i feriti sopravvissuti alla strage. Ma questa è retorica. In realtà siamo come gli operai della ThyssenKrupp: morti e feriti mentre facevamo il nostro lavoro, morti e feriti perché i dirigenti della nostra "fabbrica" non avevano messo in sicurezza la base». Riccardo Saccotelli, carabiniere del contingente italiano in Iraq, quel mercoledì 12 novembre del 2003 era di guardia davanti ad Animal House, la base italiana Maestrale di Nassiriya sulla riva del fiume Eufrate. Aveva 28 anni. Alle 10.40 il camion cisterna dei kamikaze iracheni forzava il posto di blocco all'ingresso della base, seguito da un altro automezzo imbottito d'esplosivo. «Sono stato sbalzato venti metri più in là. No, l'esplosione non l'ho sentita, eppure è stata terribile. Ma io non sentivo più niente, non vedevo più niente. Perdevo sangue dagli occhi e dagli orecchi. L'ultimo rumore che ho sentito è stato una raffica di mitragliatore: Andrea, il mio amico Andrea, è riuscito a sparare. Poi silenzio assoluto. Rotti entrambi i timpani. Schegge in tutto il corpo. Due iracheni mi hanno portato all'ospedale. Lì ho cominciato a capire. Ho visto i miei colleghi con i corpi maciullati. Chiedevo di Andrea, di Daniele, di Ivan, di Mario... Ma non sentivo niente, non sentivo più niente».

Andrea Filippa, Daniele Ghione, Ivan Ghitti e altri nove carabinieri erano morti. Mario Caldarone, Matteo Stefanelli e tanti altri erano feriti. Morti anche cinque soldati dell'esercito, due civili italiani, nove iracheni. Eroi. Solenni funerali di Stato, a Roma. Commozione. Tricolori al vento. «Mio padre mi ha detto: adesso sei un eroe nazionale. Ho risposto: ma che eroe? Andrea, Ivan, loro sì che si sono comportati da eroi, si sono buttati verso la minaccia. Sono morti. Poi sono stati seppelliti in un'orgia patriottica. Grazie alla loro morte, l'Italia può andare fiera per aver avuto dei caduti nelle sue missioni all'estero. Ma i feriti sono stati subito dimenticati. Ci dicevano: non preoccupatevi, penseremo a tutto noi. Invece siamo stati lasciati soli. Fin da subito: sono stato tre giorni all'ospedale della Croce rossa senza neppure una maglietta per cambiarmi. Tornato in Italia, ci avevano promesso l'avanzamento straordinario di carriera e i parenti dei caduti si aspettavano la medaglia d'oro al valor militare. Non abbiamo visto niente. Ci hanno proposto una Croce d'onore: ma quale onore? A me non hanno concesso neppure l'avanzamento ordinario, che mi spettava: perché ero entrato in malattia! Io, che in otto anni non avevo fatto neppure un giorno di riposo medico. Sì, si sono proprio dimenticati di noi feriti. Avrebbero preferito un'altra ventina di bare: i morti sono eroi, e non parlano. I sopravvissuti invece parlano, protestano, ricordano».

Ricordano anche gli errori dei comandanti: la sottovalutazione degli allarmi ricevuti; la non adeguata protezione, con i necessari sbarramenti, dell'ingresso della base; i blocchi anticarro riempiti non di sabbia, ma di ghiaia e sassi, che si s ono trasformati in terribili proiettili; il deposito di munizioni posto vicino agli alloggi, che ha accresciuto il volume di fuoco dell'attentato. Per non aver fatto tutto il possibile per proteggere gli impianti e gli uomini a lui affidati, il 20 dicembre 2008 il generale dell'esercito Bruno Stano, comandante della base, è stato condannato in primo grado a due anni di reclusione; e il colonnello Georg Di Pauli, comandante dei carabinieri a Nassiriya, è stato rinviato a giudizio in un processo che inizierà la primavera prossima.

«Noi come gli operai della Thyssen . Carne da macello. I generali potevano e dovevano proteggerci meglio, si sarebbero almeno ridotte le conseguenze dell'attentato. Io non andrò mai a ritirare la loro Croce d'onore, non voglio più sentir parlare di Patria, di bandiera, di cerimonie. Ci hanno fatto un oltraggio. Hanno fatto di tutto per non farmi sentire più un carabiniere. Io sono stato a Sarajevo, in Kosovo, in Iraq. Prima, a 18 anni, ero stato con i Salesiani a fare volontariato in Albania. Io credevo nel mio lavoro. Ero fiero di far parte di una missione di pace. Mi fidavo dei miei compagni, tutta gente professionalmente preparata. Ma i vertici mi hanno deluso. Fanno carriera sulla nostra pelle. Hanno giocato con la nostra vita. Io lo so, cerco di non confondere le istituzioni con chi le rappresenta male, ma adesso faccio fatica ad aver fiducia in questo Stato che manda a morire i suoi uomini, nei vertici dei carabinieri che coprono le responsabilità di chi non ha protetto i suoi soldati, nella politica che suona le fanfare della retorica patriottica. Mi ha deluso il ministro della Difesa Ignazio La Russa che il giorno dell'anniversario della strage, il 12 novembre 2008, ha detto di essere orgoglioso del colonnello Di Pauli e si è dimenticato dei feriti. Ma mi ha deluso anche la sinistra, che ci disprezza perché siamo soldati professionisti e non sa distinguere tra soldati e capi. Invece bisogna distinguere: una cosa sono i dirigenti, che cadono sempre in piedi e male che vada saranno congedati e finiranno magari a lavorare al Sismi, o come si chiama oggi il servizio segreto militare; altra cosa siamo noi "operai" dell'esercito e dei carabinieri, lasciati morire a Nassiriya proprio come gli operai della Thyssen».

Riccardo Saccotelli oggi ha 33 anni, è invalido, ma soprattutto è deluso. Ha lasciato i carabinieri e ha ricominciato a studiare, si è iscritto all'università. «Prenderò una laurea specialistica in cinema, dopo un corso che si tiene metà a Gorizia, dove vivo, e metà a Parigi. Dopo aver visto in faccia la morte, sto cercando di iniziare una nuova vita. È difficile, perché noi siamo stati dimenticati, ma non riusciamo a dimenticare».

(Il venerdì di Repubblica, 9 gennaio 2009)

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