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La capitale della mafia? È diventata Milano

Un fiume di cocaina. Il riciclaggio. E poi gli affari edilizi, il movimento terra, gli appalti pubblici... E, all'orizzonte, i progetti dell'Expo.

L’affare grosso è il bottino dell’Expo 2015 a Milano. Forse non saranno i promessi 14 miliardi di euro d’appalti, ma saranno comunque tanti: le cosche sono già al lavoro per entrare nella partita. E come stupirsi, se è vero che un magistrato che da anni indaga sulla mafia calabrese, Vincenzo Macrì, ha senza mezzi termini dichiarato che «la capitale della ’Ndrangheta ormai è Milano»? Ma i boss (non soltanto della ’Ndrangheta, ma anche di Cosa nostra e Camorra) si sono ormai saldamente impiantati in tutto il nord, dal Piemonte alla Liguria, dal Triveneto all’Emilia-Romagna. E mostrano il volto di rispettabili imprenditori in giacca e cravatta, sono rassicuranti uomini d’affari. Come Marcello Paparo (arrestato nel marzo 2009), 45 anni, nato a Crotone ma saldamente installato nell’hinterland milanese, tra Cologno Monzese e Brugherio: il suo consorzio Ytaka lavorava nei cantieri della Tav, l’alta velocità ferroviaria, e in quelli della quarta corsia dell’autostrada A4 Milano-Bergamo. Certo, manteneva forti legami con la casa madre, in Calabria, con le famiglie dei Nicoscia e degli Arena, che servivano soprattutto quando l’abilità imprenditoriale non bastava: allora spuntavano le pistole contro i concorrenti troppo tenaci o i bastoni contro i dipendenti troppo attivi nel sindacato (come Nicola Padulano, ridotto in fin di vita a Segrate il 15 settembre 2006).

È un manager anche Salvatore Morabito (arrestato nel maggio 2007), quarantenne in affari nel settore del facchinaggio, ma aveva anche aperto un night club (“For a King”) proprio dentro gli edifici della Sogemi, la società comunale che gestisce l’Ortomercato di Milano. Secondo l’accusa, è Morabito – rampollo della famiglia di Africo guidata dal vecchio patriarca Giuseppe Morabito detto il Tiradritto – il vero regista degli affari realizzati dai consorzi puliti intestati ad Antonio Paolo, ex sindacalista della Cgil all’Ortomercato diventato imprenditore con un giro d’affari di 10 mila euro l’anno. Manager dell’edilizia e del movimento terra è invece Maurizio Luraghi, uno che più lombardo di così non si può, ma accusato dai magistrati milanesi di essere la faccia pulita delle famiglie calabresi installate a Buccinasco, nell’hinterland milanese.

C’è anche chi è uscito dai business tradizionali delle cosche (edilizia, movimento terra, facchinaggio, logistica, pulizie...) e si è inventato un’originale macchina per far soldi: è il caso di Giuseppe Pangallo, del clan calabrese Papalia-Barbaro, che tra Milano, Lecco e Casorate Primo aveva messo in piedi un’efficiente organizzazione di rispettabili professionisti, commercialisti, imprenditori che chiedevano prestiti alle banche per comprare case. Riuscivano a ottenere molti soldi gonfiando le perizie, poi i prestanome che si erano esposti sparivano, smettendo di pagare i mutui. Le banche erano risarcite dall’assicurazione e intanto i prestiti venivano incamerati dal gruppo.
Ciro Rigillo appartiene invece alla Camorra. È stato arrestato a Napoli, dove gestiva un piccolo impero di sale gioco e videopoker. Ma molti dei suoi business erano al nord: a Milano controllava la sala Bingo di viale Zara, quella di Cernusco sul Naviglio, di Cologno Monzese, Brescia, Cremona, Padova, Lucca.

In Piemonte è fortissima la ’Ndrangheta che, dopo l’uccisione del boss Pasquale Marando e l’arresto del fratello Domenico, si sta riorganizzando con l’ascesa di nuovi uomini e nuove famiglie. In Liguria i calabresi hanno “locali” (cellule mafiose) a Ventimiglia, Lavagna, Sanremo, Rapallo, Imperia, Savona, Sarzana, Taggia e Genova. Il “locale” più importante è quello di Ventimiglia, da dove viene diretta la compensazione tra le attività di ’Ndrangheta nella riviera italiana e quella in Costa Azzurra. Anche l’Emilia-Romagna è stata ormai “colonizzata” dai calabresi, che hanno presenze a Bologna, Modena, Forlì, Rimini e Reggio Emilia. Sulla riviera romagnola (soprattutto Rimini e Riccione) è prevalente il business del gioco clandestino, a San Marino è stato invece scoperto un circuito di riciclaggio. Presenze discrete, buoni affari da concludere senza inutili clamori. Eppure a Sassuolo ci è scappata anche la bomba: esplosa alla sede dell’Agenzia delle Entrate, che in quel periodo stava facendo accertamenti sull’evasione Iva da parte di società controllate dalle cosche.

I boss al nord in giacca e cravatta hanno necessità di stringere rapporti con la politica, che in molti casi si è dimostrata permeabile alle cosche. Alcuni amministratori pubblici di località turistiche della Liguria (Sanremo, Ospedaletti, Arma di Taggia) si sono inseriti – scrive la commissione antimafia – «in veri e propri gruppi  imprenditorial-politico-affaristici». In Lombardia va anche peggio. Nel lungo elenco dei politici in buoni rapporti con indagati per mafia c’è anche un consigliere comunale di Milano eletto nelle liste di Forza Italia, Vincenzo Giudice. Secondo gli investigatori, frequentava incautamente – incontri, brindisi, cene elettorali – Giovanni Cinque, esponente di spicco della cosca calabrese degli Arena, che stava cercando una strada per gli appalti dell’Expo. Ma una provvidenziale fuga di notizie ha bloccato l’indagine appena nata.

Cene elettorali anche in onore di Alessandro Colucci, Forza Italia, consigliere regionale della Lombardia. Grigliata mista e frittura al “Gianat”, ristorante di pesce, con conto pagato da Salvatore Morabito, l’erede del Tiradritto. «Abbiamo un amico in Regione», dicevano riferendosi a lui due mafiosi (intercettati) della cosca di Africo. Il boss Giuseppe Pangallo, invece, è in buoni rapporti con Luigi Iocca, capogruppo del Pdl nel consiglio comunale di Buccinasco. I poliziotti che hanno perquisito la sua abitazione hanno trovato «modiche quantità di droga, non per uso personale». Emilio Santomauro, An poi passato all’Udc, due volte consigliere comunale a Milano, ex presidente della commissione urbanistica di Palazzo Marino ed ex presidente della Sogemi, è in attesa di processo con l’accusa di aver fatto da prestanome a uomini del clan Guida, camorristi con ottimi affari a Milano. Nella stessa inchiesta è stato indagato per tentata corruzione Francesco De Luca, Forza Italia poi passato alla Dc di Gianfranco Rotondi e oggi deputato nelle file del Pdl: secondo l’accusa, un’avvocatessa milanese gli aveva chiesto di darsi da fare per “aggiustare” in Cassazione un processo ai Guida per omicidi e associazione mafiosa. De Luca non nega: «Vede, signor giudice, noi politici siamo abituati a dire sempre sì», dichiara al magistrato. «A volte questi postulanti che chiedono piaceri alla politica sono asfissianti, allora per non avere fastidi...». Ma De Luca dice la verità quando afferma di non essere poi intervenuto presso la Cassazione? Per appurarlo, il pubblico ministero Massimo Meroni aveva chiesto alla Camera di poter utilizzare i tabulati delle utenze telefoniche del deputato. Ma la Camera (insieme Pdl e Pd) ha risposto di no. Il rifiuto «non ha consentito di accertare se De Luca avesse o meno avuto contatti con magistrati di Cassazione» e ha reso inevitabile l’archiviazione. «Così cresce il potere delle cosche al nord», dice un investigatore sconsolato, «e noi restiamo senza strumenti efficaci per contrastarle». Da qui al 2015, prevede, sarà un’escalation. 


Milano capitale della coca

All’inizio di tutto c’è la droga. Un fiume di cocaina, soprattutto, di cui la ’Ndrangheta è diventata il grande importatore dal Sudamerica. L’analisi delle acque delle fogne di Milano, realizzata dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, ha valutato che ogni giorno in città si consumano 12 mila dosi di cocaina: Milano forse non sarà più la capitale morale, ma è diventata, oltre che capitale della ’Ndrangheta, anche capitale europea dello sballo. Ogni giorno nei suoi ospedali vengono ricoverate in media cinque-sei persone per overdose di cocaina, 2 mila all’anno. Si valuta che siano 15 mila i ragazzi milanesi tra i 14 e i 19 anni che fanno uso regolare di coca, anche se la polvere bianca ha appassionati in ogni fascia d’età. Ne fa uso un milanese su sei: un dato che supera di ben tre volte la media nazionale. Una dose (tagliata con sostanze pericolose come stricnina o mannite) costa 50 euro o anche meno. Un chilo di coca (da cui si possono ricavare anche 3 mila dosi) sul mercato all’ingrosso costa 35 mila euro. I trafficanti della ’Ndrangheta la comprano in Sudamerica a 2 mila euro. Ecco come i boss calabresi accumulano profitti immensi, occupandosi del grande traffico (proprio a Milano sono stati arrestati Paolo Sergi e Antonio Piromalli, grandi imprenditori della cocaina) e lasciando lo spaccio al minuto, più incerto e pericoloso, a bande minori, per lo più di stranieri.

(Il Venerdì di Repubblica, 26 giugno 2009)

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